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I Puritani di Scozia, vol. 1

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I Puritani di Scozia, vol. 1
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INTRODUZIONE DELL'AUTORE INGLESE

Posso presumere senza vanità che il nome posto in fronte a quest'opera 1 e la natura della medesima bastino a conciliarle dalle persone sagge e amiche del meditare (e a queste sole il mio lavoro è dedicato) quel grado di attenzione, di cui l'opera stessa è meritevole; laonde non m'interterrò ad accendere una lampada in pien meriggio col far gli elogi di cosa che col suo titolo solo si raccomanda abbastanza.

Però non celo a me medesimo, che l'invidia è ognor presta a latrar contra il merito, e che non mancheranno persone, le quali anche non negandomi un corredo di scienze e buoni principj, bisbiglieran sotto voce, che la condizione del mio vivere a Gander-Cleugh non è tale da potermi fornire molte nozioni pratiche sulle cose della Scozia alla nostra età più vicine. La presente introduzione pertanto non ha altro scopo che di rispondere a questi scettici.

E incomincerò dal dir loro, che Gander-Cleugh è il punto centrale della Scozia, e se così mi è lecito esprimermi, il suo ombelico: d'onde avviene che tutti coloro i quali cercano Edimburgo o Glascow sono obbligati a passar di lì, e sovente vi dimorano tutta la notte. Ora non v'è scettico anche fra' più pervicaci non pronto a convenire di ciò, che io da quarant'anni in poi ho passate tutte le mie serate seduto ad un seggiolone a bracciuoli coperto di cuoio, e posto a mano manca del cammin di cucina nell'osteria dell'Armi di Wallace, e che ho vedute quivi tante persone come se mi fossi staccato correndo per lungo e per traverso tutta Inghilterra.

Aggiugnerò ancora che se il Greco, il più celebre per sua saggezza, dovette ai viaggi la sua rinomanza, io non gli cedo a tale proposito. Due volte sono stato a Edimburgo, tre volte a Glascow, e debbo a queste gite, se, reduce dalle medesime, mi hanno considerato come oracolo di Gander-Cleugh e de' suoi dintorni.

E se ciò non basta a far tacere quei critici, chiuderò ad essi con una sola parola, la bocca, col protestare che io Jedeiah Cleishbotham, non sono nè l'autore nè il compilatore dei Racconti del mio Ostiere, e che per conseguenza non ho l'obbligo di farmi mallevadore nemmen per un iota del loro contenuto.

»Ma qual cosa sono essi adunque tali racconti che ne spacciate? Mi si chiederà: d'onde vengano? chi ne è l'autore?» A ciò pure risponderò quanto adeguatamente mi sarà possibile il farlo.

Nessuno ignora che il mio ostiere, l'ostiere dell'albergo dell'Armi di Wallace, era un uomo fornito ad un tempo d'ingegno e di curiosità. Egli avea dunque la virtù di scavar dai suoi ospiti tutte le cose che volea sapere senza far vista d'interrogarli. Quindi altri non v'era che meglio di lui fosse istrutto nella storia passata e presente della Scozia, e la memoria di questo uomo era un pozzo, nel quale non si potea veder fondo. Cercata erane la compagnia pei fattarelli che sempre condivano i suoi discorsi, amato quindi da tutto il paese di Gander-Cleugh, eccetto il feudatario, il ricevitore delle dogane, e tutti coloro ai quali non volea far credenza.

Il feudatario lo accusava di tener mano agli scorridori di quelle foreste comperando da essi le salvaggine e vendendole nella propria osteria, in contravvenzione delle leggi del regno; poichè queste leggi vogliono tal derrata essere privativa dei potenti della terra, i quali trovano grande diletto nel distruggere gli animali colle proprie mani, benchè io d'un tal diletto non sappia formarmi un'idea. Ma con tutto il rispetto dovuto a Milord, mi prenderò la libertà di sdebitare il mio amico defunto da questa colpa, perchè quanto ei vendea per lepri in cotesta osteria erano conigli della sua domestica conigliera, ed erano colombi della sua colombaia i volatili che vi si mangiavano come pernici.

Il ricevitore delle dogane allegava dal canto suo, che il mio ostiere favoriva i contrabbandi comperando l'acquavite da chi ne facea vendite clandestine. Posso accertare che non ne ho mai veduto vendere una stilla alle Armi di Wallace. Egli è ben vero, che vi si bevea un liquore spiritoso, chiamato dallo stesso ostiere rugiada delle montagne; ma qual è la legge che proibisce sì fatto commercio? Mi si mostri, e saprò dire se il mio amico le abbia contravvenuto.

Quanto a coloro, che si presentavano a lui stremi per la sete, e che non poteano cattivarselo per mancanza di denaro contante e di credito, confesso d'essermi trovato presente a tali casi e di averne avuto travagliato l'animo come se io fossi stato il paziente. Ma debbo anche dire di non avere scorta nel mio ostiere tanta durezza verso quelli che si morivan di sete da non dare ad essi da bere fino al prezzo che poteano valere il loro orologio, la loro scatola, ed anche i loro vestimenti, salvo quelli che coprivano la parte inferiore del corpo; perchè stimava tanto il decoro della propria casa, che ha sempre ricusato simili pegni. E per rendere compiuta giustizia alla liberalità del mio ostiere, debbo aggiugnere non avermi egli mai chiesto un obolo pel boccale di vino e pel bicchiere di rugiada delle montagne ch'io beveva tutte le sere da lui. Gli è vero per altra parte ch'io insegnava a leggere e a scrivere, e l'ortografia e l'aritmetica e persino la latinità a cinque suoi ragazzi, e il canto fermo alla figlia; onde vi era una specie di compenso nelle partite.

Credo per altro, che la ragion principale onde l'amico ostiere derogava per mio riguardo alla consuetudine ingenita in lui di farsi pagare il suo conto, stesse nel diletto che dal conversar meco ei ritraeva, perchè il mio discorso, comunque grave ed edificante, potea paragonarsi ad un palagio architettato con tutte le regole atte a dargli consistenza, senza dimenticare ad un tempo la cura degli ornamenti esteriori. I nostri colloqui offerivano incredibile vezzo a quelli che gli ascoltavano, soliti a dire che questo diletto valeva un boccale di vino, benchè il mio ostiere non abbia mai posto un tale articolo in lista.

Oh Dio! questo caro ostiere, egli è morto, l'ho pianto che non lo avrei pianto di più se fosse stato uno della mia discendenza. I suoi figli, miei discepoli, m'incaricarono di esaminarne le carte, e vi trovai un numero ragguardevole di storie, ognuna delle quali era più importante dell'altra, e di cui fanno parte le due che verranno. Io volea pubblicarle tutte in una volta, ma il libraio omiciattolo gioviale, scherzevole, e malizioso anzichè no, mi disse che intanto bastava presentare il pubblico di sole due. Aspetterò dunque che lo stesso libraio venga a chiedermi l'altre.

Dopo tali premesse; ognuno vedrà quanta ingiustizia sarebbe il sentenziarmi d'incapacità nello scrivere fondando il giudizio su i Racconti del mio Ostiere. Credo aver date prove che avrei saputo scrivergli se avessi voluto, ma non essendo in questo modo la cosa, tutta la critica dee cader sull'ostiere, se i racconti non piacciano; che se poi piacessero tutto l'elogio è dovuto a me perchè senza di me non si sarebbero conosciuti.

Jedediah Cleishbotham.

CAPITOLO PRIMO

 
»Della rôcca alle porte in l'ora bruna
»Stian cento prodi, nè un di lor rallenti
»Le briglie al corridor pria d'un mio cenno.
 
Douglas.

Sotto il regno degli ultimi Stuardi, il regio Consiglio privato adoperava tutti i modi posti in sua facoltà per abbattere lo spirito di puritanismo, che formò, può dirsi, il carattere del governo precedente; ed era ad un tempo sollecito di far rigermogliare quelle feudali instituzioni, che unendo al signore il vassallo, poteano come il Consiglio sperava, collegare e questo e quello più saldamente alla corona. I magistrati ordinavano frequenti rassegne, esercizi militari, talvolta giuochi e passatempi. La qual ultima provvisione nelle circostanze che correvano era per lo meno sbagliata in politica; perchè la gioventù d'entrambi i sessi, a cui in tutti altri tempi il flauto e il tamburino, se parlisi dell'Inghilterra, la cornamusa quanto alla Scozia, avrebbero offerto una tentazione invincibile, allora trovava un vezzo anche maggiore nel resistere agli ordini delle magistrature che le prescrivevano di ballare. La gioia fugge laddove è comandata, ma una cagion più possente si frammetteva, perchè queste feste non si adempissero colla regolarità desiderata da chi le volea.

Il rigorismo de' Calvinisti aumentava in proporzione del desiderio, che il governo manifestava di vederlo allentare. L'osservanza giudaica della domenica, il divieto de' piaceri, fossero anche i più innocenti, erano le massime professate dai più zelanti d'ostentare una straordinaria santità; ed essendo costoro inimici del Governo, non omettevano sforzi intesi a far sì, che tutte le persone, sull'animo delle quali preponderavano si astenessero dall'obbedire ai bandi di adunata della contea, ogni qualvolta il feudatario dovea mostrarsi a capo degli armigeri ch'ei dovea fornire alla corona in numero proporzionato alla natura del feudo tenuto da esso. I Puritani, detti ancora Presbiteriani2 abborrivano tanto più sì fatte assemblee, perchè i Lordi luogo-tenenti e i seriffi aveano ordinato si rendessero dilettevoli alla gioventù che vi conveniva col far succedere all'armeggiare della mattina il sollazzarsi dopo il meriggio. Que' predicatori, sempre armati di qualche citazione della bibbia, e gli entusiastici loro proseliti, non risparmiavano nè avvisi, nè prediche per diminuire a tali adunanze il numero dei concorrenti. Conoscevano essere un buono espediente a frenare la forza del governo, l'impedire che si dilatasse quello spirito di corporazione, solito ad allignare fra giovani che abbiano sovente occasione di trovarsi insieme o per esercizi militari o per prove di destrezza. Nè all'ingegno di tai fanatici fecondo in astuzie mancavano scuse da suggerire a chi voleva ascoltare i loro consigli, e a norma d'essi sottrarsi alla dovuta subordinazione. Non tutti però i compartecipi delle costoro massime riuscivano a deludere gli ordini superiori, perchè il Consiglio privato, nelle cui mani era il potere esecutivo sulla Scozia, puniva a tutto rigor di legge coloro, che senza un ben provato motivo disobbedivano alle chiamate de' bandi della contea. Il timore pertanto del castigo costringeva molti e molti anche de' più infervorati nel Puritanismo a mandare i propri figli ne' luoghi assegnati a tali unioni. Per vero dire comandavano ad essi di tornare alle lor case, appena seguita la rassegna; ma spesso accadeva che que' giovani non potessero resistere alla tentazione de' passatempi vespertini, il che i Presbiteriani chiamavano: partecipare alle abbominazioni di Babilonia.

 

Il seriffo della contea di Lanark avea convocata la gente del distretto di Clydesdale per la mattina de' cinque maggio 1679. Teneasi l'adunata in una grande pianura presso una piccola città, il cui nome non è gran fatto essenziale nella nostra storia. Com'è da credersi, le signore dei dintorni si fecero sollecite di assistere a tal cerimonia, tranne quelle, che schiave delle rigide puritane leggi, avrebbero temuto macchiare d'un delitto la propria coscienza, partecipando ai delitti de' figli di Belial. Non si conoscevano allora nè i birocci, nè i calessi, nè tutte quelle diverse maniere di cocchi che il lusso ha inventati dappoi. Il lord luogotenente soltanto veniva trasportato entro di una carrozza, la cui pesante armatura non mal somigliava alle vecchie e cattive stampe dell'arca di Noè. Otto grossi cavalli fiamminghi si spossavano nel trarre questo greve carro trionfale carico di diciotto persone. Nell'interna parte di esso stavano il duca e la sposa del medesimo e i due loro figli, tenendo i lati delle portiere lo scudiere ed il cappellano. Tre postiglioni coperti di parrucche a tre code, armati di sciable e di pistole, e d'un moschettone attaccato alla sella, guidavano i cavalli, mentre ne tenea da stare in cassetta le briglie un cocchiere vestito alla foggia stessa de' postiglioni; nella parte posteriore di questa casa ambulante vedeansi in piedi e in triplice schiera sei servitori in livrea, armati eglino pure perfino ai denti. Le altre persone di riguardo, uomini e donne, giovani e vecchi stavano a cavallo, ognun seguìto da' suoi servi e dai suoi vassalli. Scelto era anzichè numeroso un tale corteggio, e il leggitore ne conosce già la cagione.

Veniva immediatamente dopo la carrozza, di cui ci siamo studiati presentare l'abbozzo, lady Margherita Bellenden, che pretendea la mano su di tutta la nobiltà invitata a tale spettacolo. Ella vestia stretto lutto, che non dimise mai sin d'allora che il marito di lei fu qual partigiano reale condannato e decollato sotto il protettorato di Cromwell.

Pronipote di questa matrona, e primo scopo a lei di tenerissimo affetto miss Editta, soprannominata Editta dalle belle chiome, era da tutti riguardata siccome la più avvenente fra le persone del suo sesso in quella contea. Montata sopra un picciolo cavallo di Spagna, che conducea con indicibile grazia e leggiadria, sembrava a canto dell'ava, la primavera posta in vicinanza del verno. Dolcezza spiravano que' lineamenti, ma vi si scorgeva nel tempo medesimo una tale vivacità, che la preservava da quella specie di stupidezza, taccia solita a darsi alle donne fornite di bionde chiome e d'occhi azzurrini; laonde i vezzi di questa giovinetta attraevano maggiormente gli sguardi che non l'eleganza delle vesti e la preziosità delle gemme di cui paravasi.

Due soli servi a cavallo seguivano queste due dame, corteggio a quanto parea di gran lunga inferiore al lor grado e alla loro nascita. Ma gli è da sapersi che la buona lady Margherita avea dovuto impiegare diversamente le altre persone di sua famiglia, per essersi trovata nell'impossibilità di compiere esattamente il contingente d'armigeri ch'ella dovea fornire a quella rassegna. Per nessuna cosa al mondo ella non avrebbe voluto mancare ai suoi obblighi a tale proposito, e quindi trasformò i propri servi in militari. Il suo vecchio intendente che dalla testa ai piedi armato di tutto punto, conduceva la truppa della feudataria, avea, proprie espressioni di lui, sudato sangue e acqua, per indurre alcuni vassalli a comparire alla rassegna, ma non vi riuscì. Le minacce non ebbero effetto migliore delle parole. Che far doveva in tal circostanza? Egli potea, per vero dire, denunziarli al consiglio privato, che avrebbe gittata un'ammenda su i refrattari, e messo presidio in lor casa per costringerli a pagarla. Ma ciò sarebbe stato tutt'uno che introdurre cacciatori e cani in un giardino per ammazzarvi una lepre.

»Non son troppo ricchi, diceva Harrison fra se medesimo, e se gli abiti rossi vengono a spogliarli del poco ancor che possedono, come pagheranno le loro onoranze il giorno della Candelaia? – Senza questo di più si fa abbastanza fatica ad ottenerne la riscossione.»

Tai sensate considerazioni furono il motivo, per cui si diede passata alla mala voglia de' recalcitranti; ed Harrison trasse fuori quant'armi e armature occorrevano dall'arsenal del castello per vestirne il coppiere, il falconiere, i servi a piedi, il giardiniere, e reclutando in oltre due o tre bracchieri compiè in tal guisa il contingente che spettava a lady Bellenden, qual proprietaria della baronia di Tillietudlem.

Ma accadde in oltre, che in quella mattina medesima, prima di partire dal castello della baronessa, e stando Harrison a passare in rassegna la sua truppa dinanzi alla porta della torre, gli si fe' incontro Mausa, madre di Cuddy, il giardiniere, donna, la cui testa era invasa dalle massime le più ardentemente fanatiche dei Puritani. Or dunque costei che tenea in mano l'armatura mandatale, perchè la consegnasse al suo figlio, dall'intendente, la gittò sprezzatamente a' piedi del medesimo, soggiugnendo: »Il mio Cuddy, sicuramente per un castigo del Signore che disapprova un tal genere d'adunanze, è stato preso questa notte da gagliardissima febbre, nè gli è possibile abbandonare il suo letto.» Ben si praticò una visita entro la casa della giardiniera, ma Cuddy, a quanto appariva, non era in istato di rispondere a nessuna interrogazione, nè a trargli una parola di bocca valevano o le minacce o le preghiere.

Un vecchio cantiniere, che era nel novero di questa truppa di prodi, e avea militato sotto sir Riccardo Bellenden, trovò tosto un felice espediente; »Perchè non prendere Gibby? sclamò egli: sotto Montrose ho veduto combattere tai soldati che non valevan Gibby.»

Era Gibby un povero giovinotto, piccolo di statura come di spirito, incaricato di guardare la polleria del cortile, sotto gli ordini d'una vecchia, che n'era la sopraintendente. Iti a cercarlo in un campo ove stava dietro alle oche, gli addossarono tosto una sarcotta d'acciaio, della quale appena potea sopportare il peso: cacciò le sue corte gambe entro due enormi stivaloni; l'elmo gli copriva pressochè sino al mento la testa; e gli fu attaccata al fianco una grande sciabola, se non è meglio detto ch'ei fu attaccato alla sciabola. In tale acconciatura, il cantiniere Gudyil lo mise di peso sul più mansueto fra i cavalli che gli riuscì di trovare, cavalcatura che Gibby sperimentava per la prima volta in sua vita. Pur passò il suo torno di rassegna al pari degli altri, perchè, gli è anche da dirsi, il seriffo non credette doverla guardare tanto per il sottile nell'ispezione del contingente, fornito da una dama sì affezionata alla parte reale, come lo era lady Bellenden.

Tale si è la cagione che costrinse questa matrona a mostrarsi in pubblico col corteggio sol di due servi, cosa di cui avrebbe arrossito in qualunque altra circostanza; ma non eravi sagrifizio, compreso quello del suo amor proprio, al quale non si fosse ella prestata di buon grado per la causa della monarchia. Gli è vero ch'ella avea perduto il marito e due figli nelle guerre civili, cui dieder luogo quelle stagioni malaugorose; ma n'ebbe un compenso lusinghiero oltre ogni dire alla sua vanità. Allor quando Carlo II attraversava il ponente della Scozia per marciare incontro a Cromwell, fermatosi al castello di Tillietudlem, accettò ivi una colezione; avvenimento che formava epoca importante ne' fasti di lady Margherita Bellenden. Quindi accadea ben di rado che trascorresse un sol giorno, senza ch'ella trovasse occasione di citare qualche circostanza della visita, onde fu onorata dal re, e di rimembrare come Sua Maestà si degnò baciarla su le due guance, dimenticando però che il grazioso sovrano avea conceduto egual favore, e con maggior intensione, a due avvenenti cameriere, che Milady per quel giorno trasformò in due damigelle d'onore.

Un tanto onore, senza dubbio avrebbe bastato a lady Margherita per farle abbracciare in perpetuo la parte degli Stuardi; ma senza di ciò la sua nascita, la sua educazione, l'odio suo per la fazione opposta, l'aveano già irrevocabilmente collegata alla fortuna di questa dinastia, che in quei giorni avea il sopravvento. Tutta compresa di gioia in contemplando schierata alla rassegna una forza militare capace di sostenere gl'interessi della corona, divorava in segreto l'amarezza di vedersi abbandonata da una parte dei suoi vassalli.

Avuta in molto onore da tutte le antiche famiglie della contea, non vi fu capo di esse presente a quella rassegna che non si affrettasse di renderle omaggio, nè vi erano giovani ragguardevoli, che raddirizzandosi sul proprio palafreno, e fermi sulle loro staffe non venissero a caracollare dinanzi a miss Editta per conciliarsene l'attenzione. Ma tali cure andavano a vuoto. Gli occhi della giovinetta erano chiusi alle grazie, di cui pompeggiavano quei cavalieri, come gli orecchi di lei ai complimenti che le indirigevano, benchè avessero a tal'uopo spirate quante cortesi espressioni si trovano ne' romanzi di La Calprenede, e di Scudery, romanzi la cui lettura era in grand'uso nel secolo di cui facciamo menzione: ma scritto era nei destini, che miss Bellenden non conserverebbe la medesima indifferenza nell'andante corso di quella giornata.

CAPITOLO II

 
»Il cavalier, cui tolse ogni vigore
»La pesante armadura, alfin stramazza,
»E si trascina seco il corridore.»
 
I piaceri della speranza.

Dopo gli esercizi militari, che vennero eseguiti quel meglio che poteva aspettarsi da uomini novizi nell'armi, e da cavalli non addestrati, molte grida annunziarono aperto l'arringo per meritare il premio del Pappagallo. È questo un uccello di legno, ornato di penne a più colori, che viene collocato all'estremità d'una picca. Il merito della gara sta in atterrarlo con un tiro d'archibuso carico a palla, e tenendosegli ad una distanza di sessanta passi all'incirca. Il vincitore porta nel rimanente della giornata il glorioso titolo di Capitano del Pappagallo, e vien condotto in trionfo ad una vicina osteria, ove ha il privilegio di far banchetto agli emuli stati meno avventurosi di lui. Avvicinatisi per tanto i competitori al bersaglio, riportarono chi risa, chi applausi dagli spettatori, in proporzione di maggiore o minore destrezza manifestata. Niuno avea toccato ancora quel simulacro, allorquando fu veduto accostarsi un giovine in abito verde, di fisonomia che si conciliava benevolenza, e messo con semplicità non disgiunta da eleganza, cose tutte che ne additavano non volgare la condizione. Sorse immantinente un confuso bisbiglio, che non sarebbe stato così facile il giudicare se fosse un contrassegno di pubblico favore.

 

»È egli possibile, dicean fra loro alcuni di que' più zelanti Puritani non venuti che a proprio malgrado a quell'adunata e nei cui cuori era più invelenito l'astio contra la monarchia, è egli possibile, che il figlio di un tal padre si frammetta in sollazzi sì riprovevoli?» Altri, ed era questa la maggior parte, auguravano successo onorevole al figlio d'un capo antico de' Presbiteriani, senza perdersi nell'indagare se gli convenisse o no disputare un tal premio.

I voti di questi furono esauditi, perchè il giovane mandò a terra il pappagallo in mezzo ad applausi pressocchè universali. Ma il trionfo di lui non era tuttavia assicurato perchè in prima facea mestieri, si avventurassero allo stesso cimento tutti quelli che non avevano per anche scaricato il proprio archibuso. Collocato nuovamente sulla picca il finto augello, due altri concorrenti pervennero ad abbatterlo. L'un d'essi apparteneva evidentemente all'infima classe, avvolto in grande mantello, e studiosissimo di nascondere il volto con esso. L'altro era un giovin signore, che terminata la rassegna non si era mai dipartito dal fianco di lady Margherita e di miss Bellenden. Avendo la prima d'esse manifestato rincrescimento che non si presentasse a quella gara verun campione chiaro per fasti gentilizi, lord Evandale prese il primo archibuso che gli si offerse ed a sua volta atterrò il pappagallo.

Niun'altro essendosi offerto a contendere il premio, s'aperse novellamente la lizza fra i tre rivali felici, il che avvivò vieppiù la curiosità dei circostanti. La pesante carrozza del duca venne, non senza difficoltà posta in moto, ed avvicinata al luogo che serviva d'arena a que' lottatori. Le signore si posero in cerchio a qualche distanza, e gli occhi d'ognuno fisavansi su i concorrenti, e sulla meta proposta alla loro bravura.

Il caso che doveva risolvere quale degli emuli avrebbe la preferenza del tiro, favorì il giovine contadino, che voltosi all'altro vestito di verde: »In coscienza mia, gli disse, sig. Enrico, se ci trovassimo in tutt'altra circostanza mi studierei di fallire il bersaglio per lasciare a voi questo onore, ma Ienny Dennison sta osservandoci, e non posso dispensarmi dal fare tutto quel meglio che so.»

L'effetto però non corrispose al buon desiderio del villanello, e solamente la palla uscita del suo archibuso trascorse rasente sì al pappagallo, che ne portò via alcune penne. Immantinente abbassando gli occhi, e come uom che tema di esser riconosciuto, si ritirò.

Venne la sua volta al giovane dall'abito verde, che avvicinatosi atterrò nuovamente il pappagallo, onde più numerosi e forti applausi gli derivarono dal mezzo di quella folla. »Egli è veramente figlio di suo padre. Viva la buona causa in eterno.»

I Reali in udir tali esclamazioni aggrottavan le ciglia, ma preser coraggio in veggendo lo stesso buon successo ottenersi da lord Evandale.

Allora Enrico montando a cavallo, e avuta cura di ben assicurarne la sella, si diede al galoppo, e passando innanzi al bersaglio trasse e lo abbattè per la terza volta. Tutti quelli che stavano intorno a lord Evandale gli dipinsero la condotta tenuta dall'altro siccome una innovazione alle antiche consuetudini, nè quindi esservi alcun obbligo d'imitarla. Diverso però d'avviso il giovane cavaliere, volle seguir l'esempio additatogli dal competitore; ma intanto che egli scaricava l'arme mancò un piede al suo cavallo, onde la palla non giunse allo scopo.

Se prima meritò lodi dovute alla sua destrezza il giovine vestito di verde, in quel momento si fece ammirar per cortesia; poichè movendo verso lord Evandale, gli manifestò le proprie intenzioni, di non vantaggiare di un caso accaduto a Milord per colpa del suo cavallo, e gli propose un secondo cimento a piedi.

»Lo accetterei più volentieri a cavallo, se al pari di voi avessi un palafreno bene addestrato.»

»Volete voi farmi l'onor di salirvi e di prestare a me il vostro?» rispose il giovine.

Lord Evandale vergognava quasi di accettare simile offerta, che gli avrebbe scemato il merito della vittoria, quando anche l'avesse riportata. Per altra parte desiderava ricuperare la fama della propria bravura. Rispose quindi al cortese emulo, cedergli ei di buon grado la gloria della giornata, su di cui avea dimessa qualsisia pretensione, ma accettar volentieri il partito d'un nuovo cimento, cui s'avvierebbero, ciascun ad onore della sovrana del proprio cuore.

Così favellando, lanciò uno sguardo appassionato sopra miss Bellenden, e porta la tradizione, che gli sguardi del giovine antagonista prendessero la stessa dirittura. Ma la conchiusione di questa ultima prova non fu diversa dalla precedente. Lord Evandale, lungi dal mostrare quella gelosia, che suol essere l'appannaggio delle picciole anime, si congratulò egli stesso col suo vincitore. »Vi ringrazio, gli disse, d'aver restituito nella buona opinione ch'io n'ebbi il mio palafreno. Stava per dargli colpa di quanto mal mi tornò; vedo ora di non dovere accusar che me stesso.» Dette le quali cose, rimontò a cavallo allontanandosi dall'assemblea.

Giusta il costume, solito in tai circostanze, coloro stessi che erano propensi a lord Evandale, divennero larghi d'applausi al suo fortunato rivale, verso di cui finalmente l'intera attenzione de' circostanti fu volta.

»Chi è egli? come si chiama?» si domandavano l'uno all'altro coloro che nol conoscevano. Ma il suo nome non rimase ignoto gran tempo; e appena si seppe appartenere egli a tal'ordine di società, cui le alte persone poteano usare riguardi senza troppo abbassarsi, quattro amici del duca vennero invitandolo a presentarsegli innanzi. Nell'andar con essi che il colmavano di congratulazioni ed attraversando la folla, si trovò un istante rimpetto a lady Bellenden. Le guance gli si tinsero d'un vermiglio più carico nel salutare miss Editta, la quale non arrossì meno di lui nel restituirgli il saluto.

»Voi dunque conoscete quel giovine?» disse lady Margherita alla nipote.

»Io… sì… L'ho veduto in casa di mio zio, e… anche in altri luoghi… qualche volta… a caso.»

»Il suo cognome, a quanto ascolto è Milnwood.»

»Sì: (soggiunse allora sir Gilbert Cleugh che stava a cavallo presso lady Margherita). Egli è figlio del defunto colonnello Morton di Milnwood, che alla giornata di Dunbar comandava un reggimento di cavalleria in difesa del re.»

»E che ha combattuto contro di lui nelle giornate di Marston-Moor e di Philiphaugh (soggiunse lady Margherita, mettendo un caricato sospiro): fu in quest'ultima battaglia che mio marito perdè la vita».

»La vostra memoria vi serve bene, o Milady, ma in questo momento è meglio dimenticare il passato.»

»Non se ne dovea però dimenticare quel giovine, sir Gilbert! e avrebbe fatto bene a non mettersi nella società di persone, alle quali il suo nome può destare sgradevoli rimembranze.»

»Ma non pensate, o Milady, ch'è qui, perchè il dovere vel chiama? egli fa parte del contingente prescritto a suo zio. Vorrei bene che il mio contingente fosse composto di giovani pari a lui.»

»Lo zio di questo Milnwood, sarà mi figuro un presbiteriano, come lo è stato lungo tempo suo padre!»

»Lo zio di questo Milnwood non è altra cosa se non se un vecchio avaro, che per una moneta d'oro cambierebbe d'opinioni politiche tutti i giorni. Anzi sarebbe una quistione difficile da risolvere, s'egli abbia mandato il nipote per una conseguenza delle presenti sue massime, o per timore di pagare un'ammenda. Io direi pel secondo motivo. Ma comunque siasi è stata per quel giovane una circostanza felice onde sottrarsi un dì almeno alla noia di stare in quel vecchio castello di Milnwood, ove non vede altra compagnia fuor di quella d'un zio ipocondriaco e d'una vecchia donna di casa.»

»Sapete voi a quanti uomini ammonti il contingente di cui è tassata la terra di Milnwood?»

»A quattro cavalieri armati di tutto punto.»

»La signoria di Tillietudlem (soggiunse lady Margherita, rizzandosi con aria di dignità) ne ha sempre forniti dodici, e spesse volte lo zelo de' proprietarj ha triplicato un tal numero. Mi ricordo che sua maestà, il re Carlo II, quando mi fece l'onore di accettare una colezione in mia casa, s'informò d'una maniera affatto particolare…»

»La carrozza del duca s'incammina, o Milady (s'affrettò ad interromperla sir Gilbert, partecipando in quel momento del brivido che prendea tutti gli amici di lady Margherita ogni qualvolta le correva alla lingua quella benedetta visita del re a Tillietudlem) ell'è ora di prendere il luogo che vi compete fra le persone del corteggio. Mi permetterete di scortarvi sino a casa vostra? Perchè diverse bande di Presbiteriani sono sparse per la campagna e si dice che insultino i Reali.»

»Vi ringrazio, sir Gilbert, rispose lady Bellenden; ma la scorta de' miei lancieri ne protegge abbastanza. Piuttosto vorreste avere la compiacenza di dire ad Harrison che faccia marciar più presto la sua brigata? Par che accompagni un funerale!»

1Il sig. Walter Scott nel pubblicare così il romanzo storico I Puritani di Scozia, come l'altro Il Nano Misterioso, ha assunto il nome di Jedejah Cleishbotham, maestro di scuola e sagristano della parrocchia di Gander-Cleugh, ed ha intitolati entrambi i romanzi: Racconti del mio Ostiere.
2Si vedrà in appresso come vi fosse qualche distinzione fra i Puritani ed i Presbiteriani, comunque figli tutti di una medesima setta.