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Loe raamatut: «Vecchie storie d'amore», lehekülg 3

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DIO LO VUOLE!

Con soave accondiscendenza la giovinetta avvolse il braccio al collo di lui e gli rispose con sommissione pudica; poi, stanca, abbandonò il capo al cuscino e a poco a poco, chiusi gli occhi, s'addormentò. Riccardo la sentiva cosí dormire; la sentiva alitare e palpitare, e sembrava che dal contatto gli derivasse allo spirito commosso una tenerezza mesta e un trepido senso di pietà: il suo spirito riagitato da un sentimento piú antico e profondo che l'amore, ma che tuttavia l'amore gli deprimeva dentro, già tremava e sbigottiva in un presentimento di pene prossime e fatali.

Rifletteva. Nel giorno aveva visti molti cavalieri apparecchiarsi al passaggio a cui il principe Edoardo d'Inghilterra e il conte di Brettagna erano stati chiamati da Luigi il santo, e di quelli egli aveva compresa e raccolta la gioia impetuosa dell'andare a combattere i nemici della fede. Ma egli pensava che non poteva partire, per la sua donna.

Per le donne di Antiochia vendute all'incanto, per i fanciulli ceduti schiavi agli schiavi, per le vergini insozzate dai mamalucchi partivano i re. Partivano i nobili inglesi e scozzesi per i fratelli cristiani di Palestina e di Siria minacciati dalla ferocia di Bibars. Ma Riccardo non poteva partire.

Bibars il sultano feroce aveva distrutti i templi di Maria in Antiochia e in Nazareth e sparsi al vento e al fuoco i vangeli e sugli altari scannati i sacerdoti di Cristo; i guerrieri di Soppé e di Safad erano morti trucidati tutti ad uno ad uno al cospetto di Bibars. Ma Riccardo non poteva partire.

Sui morti rimasti insepolti a Joppé ed a Safad brillava, la notte, una luce celeste e i guerrieri di Francia, di Spagna e Sicilia, già in terrasanta, incontro a Maometto cantavano:

Vexilla Regis prodeunt:

Fulget Crucis mysterium

Riccardo non voleva partire. Rifiutava l'onore del corpo: alla salute dell'anima non voleva pensare. Pensava. Quando, ecco parergli che il buio della camera s'estendesse senza limiti, enorme come quello dei ciechi, e ch'egli, fuori di sé, vi smarrisse la coscienza corporea: quando, ecco nella nera oscurità balenare una luce viva da una croce di fiamma e dalla croce uscire il suono di queste parole sensibili, quasi luminose anch'esse: – Dio lo vuole! Va!

La moglie si destò atterrita al terrore di lui ed egli, tornato in sé medesimo, affannosamente le diceva della miracolosa visione. – Io ho paura di Dio – egli diceva – . Mi bisogna andare in questo passaggio – . Ma la donna tacque, e poi ruppe in pianto e tra i singhiozzi si dolse che non per sí breve letizia ella aveva sofferto tanto nel suo lungo ed avversato amore e tante rampogne soffriva ogni giorno dal parentado ricco e superbo. Pure, dopo molto pregare e piangere, essa fu queta e persuasa alla volontà divina, e toltosi un anello di dito lo diede a Riccardo dicendo:

– Questo vi ricordi me e la mia fede e il frutto dell'amor nostro se con il mio dolore potrà crescere in me. —

Riccardo abbracciò la donna.

II

Quando Edoardo d'Inghilterra fu sbarcato al lido cartaginese re Luigi nono era già morto. Invano il Santo ricoperto di cilicio sopra un letto di ceneri aveva mormorato fra i respiri estremi: Jerusalem! Jerusalem!, perché il re di Sicilia conchiuse una tregua, levò l'assedio da Tunisi e affrettò i suoi ed i Franchi al ritorno.

Ma non tornarono essi i guerrieri d'Inghilterra; e per recar innanzi i vessilli della croce tracciarono dei loro corpi la via fino a Nazareth quanti, a cento a cento, perirono di caldo, perirono di fame o avvelenati dal miele dai frutti e dalle erbe che ne ristoravano a pena la fame. A Nazareth le schiere decimate non trovarono da massacrare che un popolo d'inermi. E bisognò che ritornassero: senza gloria di geste, senza ricordi e speranza d'imprese generose, tornare! Tornare senza aver tócca una ferita combattendo! Cosí Edoardo d'Inghilterra, colpito di pugnale e a tradimento in San Giovanni d'Acri, non fu tosto risanato che, quasi fuggisse la maledizione, fuggí di Terrasanta.

E tra alcuni che rimasero infermi in San Giovanni d'Acri fu pure Riccardo; e vi rimasero poveri in modo che, riavutosi a stento dalla malattia, Riccardo dovette procacciarsi il pane con umili fatiche. Egli temeva non rivedere mai piú la sua donna lontana.

San Giovanni d'Acri a quei giorni era peranche la piú bella città della Siria: una città lussuriosa. Ampio il porto, dove le navi europee scambiavano merci e ricchezze; alte e dipinte le case; i palagi del re di Gerusalemme e del re di Cipro e dei principi di Galilea, di Cesarea, d'Antiochia, di Tripoli, di Tiberiade, Tiro, Sidone erano magnifici, con vetriate che riflettevano il sole: príncipi e re coronati e gemmati passeggiavano per le vie incontrandosi con i mercanti di Venezia, Genova e Pisa, e con Francesi e Inglesi, Tartari e Armeni, e nelle piazze protette contr'il sole da paramenti di seta e di sargia giostravano i cavalieri a spettacolo e ad onore di dame sfarzose e superbe. I chierici stessi smarrivano Dio tra le ricchezze e i piaceri. Il che considerando Riccardo, dopo la delusione delle imprese sognate in patria con mente fervida e pura, dopo l'abbandono dei compagni che erano stati ricordevoli solo di sé, e nella vicenda di fatti pei quali sembrava che Cristo dormisse affinché trionfasse la gente dell'Islam, perdette anch'egli a poco a poco la luce, la guida e il conforto della fiducia divina; e la necessità quotidiana delle fatiche volgari gli oscurò, gli restrinse il pensiero ed il cuore. Ma l'affetto, che aveva posposto alla fede, risorse allora a sorreggerlo piú vivo e piú intenso; e come la fortuna cominciò a secondarlo, per quel desiderio di allietare un giorno con la ricchezza la sua donna e il figliolo, se gli era nato e cresciuto, protrasse il ritorno anche quando n'ebbe occasione propizia. Perciò, e perché non temeva piú Iddio, si diede a trafficare per vie non lecite e a prestare ad usura; e accumulava i quattrini. Tuttavia, in tanta cupidigia, quell'affetto buono di cui solo nutriva il cuore e il pensiero lo conteneva in una delle antiche virtú, una sola: viveva casto. Egli guardava religiosamente l'anello della sua donna.

III

Un giorno, e non seppe né dove né come, Riccardo perdette l'anello; e n'ebbe grande dolore, e solo dopo assai tempo poté darsi pace di questa sventura. Ma perduto l'oggetto del ricordo perdette anche la tenacia e la virtú del ricordo, ed il freno di sé. Meditò l'adulterio a pena s'avvide che la moglie d'un suo amico e compagno di traffici lo adocchiava proterva; e, avendo agio a praticarsi, dopo poco e facilmente essi s'intesero fra di loro.

Quando, nell'abbraccio dell'adulterio, ecco che dalla attitudine disonesta e incomposta di quella donna il pensiero di Riccardo fu respinto a vedere la moglie nella sommissione vergognosa e pudica delle prime strette nuziali, ed ecco che il raffronto gli ridestò vivo, preciso, sensibile tutto che della moglie aveva smarrito e obliato: le sembianze, la voce, lo sguardo, il respiro. Egli sobbalzò repugnando; e di meraviglia la donna rise, salace. Ma Riccardo riudiva la moglie raccomandarsi al suo amore e raccomandargli la fede in lei mentre piangeva e gli porgeva l'anello, e nello spirito, respinto da quel ricordo d'amore alla fede antica di Dio, egli ebbe anche l'allucinazione dell'antico portento: – Torna a Dio ed in patria. Va!

Cosí quella voce che l'aveva ammonito con visibile segno ad andare al passaggio, l'ammoniva ora, oscura nell'animo, e sembrava che gli dicesse quest'altre parole: – Se la tua donna potrà riconoscerti e ti sarà rimasta fedele, Dio t'avrà perdonato. – Riccardo fuggí dalla donna e recatosi da un cavaliere dell'Ospedale, uomo di probità conosciuta, l'impegnò a distribuire fra i poveri di Tolomeide le sue ricchezze male acquistate: né di quanto aveva acquistato con onesta fatica ritenne piú del bisogno ad imbarcarsi in una nave che quel giorno stesso salpava da Acri.

IV

Il pellegrino finalmente ha toccato il suolo della patria; ma ha la schiavina tutta lacera, i piedi nudi e il sangue infermo per il malore che già lo gravò con affanno mortale. Imprende il suo viaggio ristando qua e là a domandare elemosina e sospinge lo sguardo in cerca delle sue montagne ancora indefinite nel cielo remoto, come ondeggiamenti di nebbia: la strada si dilunga innanzi bianca infuocata immutabile. Egli cammina. Lunga la strada, e la casa molto lontana; brevi i riposi, e a frusti il pane della carità. Egli cammina, cammina.

Finché l'occhio non vaga piú per luoghi mai visti, ma corre ai monti nativi che acquistano linee precise nel chiaro azzurro, e il pensiero misura la distanza alla meta: anche pochi giorni di viaggio. I piedi laceri e le membra corrose dal male; assidua scòrta, la morte. Egli cammina, cammina.

Rivede estenuato e angoscioso i luoghi amici: i bei luoghi. Anche un giorno. Rivede il colle ridente nel sole ed il paese bianco tra il verde: in capo al paese il castello paterno. Anche un'ora. Non piú stanchezza, non male: mormora a costo la strada il ruscelletto dall'acqua pulita, e non beve; un cane gli esce contro di furia, non teme. Egli cammina e guarda innanzi, come in un sogno; e l'intento dell'animo al prossimo fine lo trascina ansante barcollante muto su per l'erta al castello.

Nell'androne è una turba di miseri ai quali ad uno ad uno la dama fa la carità con atto umile e mesto, e un gentil fanciullo aiuta la madre nella cura pietosa e sorride: il pellegrino muto, a capo basso, in ginocchio, attende il perdono di Dio, mentre dicono i poveri: – Dio ve ne renda merito. – E la donna dice: – Pregate Dio che mi torni Riccardo!

Senza sospetto, in fine, ella porge una moneta a Riccardo e s'avvia; ma l'ignoto mendico con la foga degli ultimi spiriti avvinghia delle braccia il figliolo e lo stringe, disperatamente, e lo bacia, e al grido del fanciullo la donna manda un grido di terrore e d'amore vedendo il marito cadere, corpo morto, riverso.

DISPERAZIONE

Di tre vergini, che in una casa presso la chiesa di Rumello vivevano sole nella religione, la piú giovane superava le due altre co 'l fervore della sua fede. Ancora bambina, orfana di genitori nobili, l'avevano condotta seco le due altre e allevata fuori del mondo nel timor di Dio; ed essa era cresciuta fanciulla serbando la mente pura e l'animo semplice nella severa e sincera abitudine della devozione. Neppure le turbò il pensiero lo sviluppo dell'adolescenza: che se talvolta le espressioni dei concetti mistici e quei discorsi delle compagne intorno le nozze con Dio e la dilettazione dello sposo celeste le penetravano nell'imaginativa a suscitarle il sospetto e quasi la sensazione del significato proprio, súbito ritorceva lo spirito piú acceso dal segreto moto sensuale a vedere il Nazareno che accoglieva, irradiato della sua luce eterea e sublime, l'anima d'ogni vergine degna delle sue nozze: la Madonna benediceva sorridendo e sorridevano tutti intorno, tra i concenti di musiche arcane, i santi e i cherubini.

Dio la soccorreva anche nei sogni. E le visioni mirifiche, il giorno, ora l'esaltavano a strane gioie ed ora l'umiliavano con dolore acerbo. Nel gaudio era Dio che scendeva a lei? Ella ascendeva a Dio e sentiva l'anima sua dilatarsi, rifulgere, come dissolversi per la grazia del divino amore; e s'abbandonava, inebriata, al rapimento sovrumano.

Solo nel crepuscolo della sera, il Signore le pareva piú lungi, troppo lungi, da lei; e per fuggire alle tenebre imminenti l'anima sua provava il desiderio d'uscire dalla carcere corporea, di tornare là ond'era venuta al mondo e dove Dio l'attendeva, purificata da l'umano patire, con infinito bene. Oh perché non aveva penne da levarsi libera e lieta dalla terra? Non era ancora degna di morire: il suo sposo troppo piú di lei aveva sofferto; e prima di rivolgere al cielo gli occhi desiosi Egli aveva faticato sotto il peso della croce e sanguinato da orribili ferite e pianto; essa né sapeva piangere di quelle lagrime, né poteva bagnare l'anima nel sangue dell'agnello, né provare entro la carne gli spasimi del Crocefisso: mentre piangeva, essa scorgeva Cristo crocifisso nel sole che calava con un fulgore sanguigno all'orizzonte.

Ma un giorno di festa all'oratorio della chiesa cantarono alcuni valenti cantori. Dal luogo nel quale stava, non veduta, la vergine non vedeva persona, solo udiva; e negli intervalli udiva il bisbiglio vago, l'udibile silenzio della folla ristretta che prega e che ascolta; e salivano a lei ondate d'incenso, di caldo e quasi palpiti di vita. Ripreso, il canto si devolveva grande e solenne senz'avere in sé modo alcuno che non convenisse a glorificare Iddio; pure una voce tra le altre del coro piú alta e piú snella la distraeva suscitandole come la pena d'un'antica sciagura – e non sapeva quale – ridesta e confortata in una dolcezza di ricordo indefinito, o, piú tosto, il presentimento d'una pena prossima cui già tardasse una consolazione attesa – e non sapeva quale. Senza che pensasse: non madre, non parenti, nessuno, altro che Dio!, ella sentiva tutta la malinconia di questo pensiero nel suo cuore vuoto.

E un altro giorno dal basso, dal villaggio, tra il murmure delle voci e delle opere, le giunse un canto d'uomo e credé riconoscere il cantore dell'oratorio. La voce dell'uomo non piú tenuta ai modi lenti e fermi della salmodia seguiva il vario ritmo della canzone, cosí dolce ad udire che la vergine l'ascoltò per afferrarne ogni parola: parole d'amore, soavi, fervide, mirabili vennero a lei, oltrepassarono e si dileguarono lontano nel rumore torbido, lasciandole ora un'impressione definita di meraviglia e di sbigottimento perché da esse aveva compreso espandersi al sole e all'aria libera tutta la felicità piena e baldanzosa della vita umana; perché aveva veduto il giovane che cosí cantava. Sbigottita, ella non si ritrasse quando a rivederlo nei dí seguenti fu veduta da lui; meravigliata, non si ritrasse quando s'accorse ch'egli lodava in lei la bellezza della donna amata e l'attendeva e la cercava e la sollecitava ad osservare in lei medesima la bellezza della donna amata. E finalmente una forza, una smania piú valida della sua volontà la spinse, avvolta di lusinghe e non piú inconscia della colpa, nell'inganno. Quando, finalmente, poté vederlo vicino, quell'uomo, udirlo vicino, essa soggiacque.

Co'l disgusto dell'azione brutale ricevuta in sé le rimase uno stupore amaro: erano quelle le segrete voluttà dei sensi? quello l'irresistibile segreto dell'amore? Poi ebbe la vergogna della nudità che fu conosciuta e si conobbe; della carne che sentí la carne; della verginità svelata a forza e perduta volentieri, e piangendo ebbe il pensiero dell'ulteriore castigo che alla colpa sarebbe conseguito visibile nel suo corpo, del castigo ultimo che alla morte del corpo sarebbe conseguito all'anima sua.

Prese ad odiare sé stessa piú di chi l'aveva soggiogata. Ma non la paura della pena le era pena bastevole: non la vergogna, per cui avrebbe voluto nascondersi alle sue compagne e fuggire; non l'odio di sé, per cui avrebbe voluto distruggersi: non bastava. In ogni momento de' suoi tristi giorni il pensiero del peccato commesso le cadeva su l'anima come la goccia su la pietra che incava; e il dolore, nel suo petto, diveniva come un peso che cresceva cresceva a soffocarla. Le sue labbra perdevano la voce e il cuore le veniva meno: immota, le mani bianche abbandonate sulle ginocchia, il viso squallido, gli occhi privi di lagrime e di luce, insensibile, l'ammiravano le compagne; n'ammiravano la perfezione dell'umiltà e della fede.

E non bastava. Ella doveva scorgere in sé tutto il male dell'anima sua, considerarlo senza piú rimedio e speranza alcuna di salute, senza tregua e senza pietà, in eterno: ella stessa doveva misurare, ella stessa, con sottile indagine, la propria colpa: – Peggio dell'adultera: l'adultera manca alla fede dello sposo terreno; essa allo sposo celeste. Peggio della meretrice: la meretrice avanti di darsi a tutti gli uomini non si diede vergine a Dio. Peggio del ladro: essa aveva rubato a Dio un'anima, la sua. Peggio dell'assassino: Dio aveva ferito, Dio!

E non bastava. Gridava perdono, e sentiva respingersi alla pena vigile e continua; si lasciava strozzare dal dolore, e non moriva. Il Dio che aveva segnato del suo sangue il cammino per andare a lui, che aveva quetato il dolore dell'adultera e perdonato al ladrone e perdonato alla Maddalena, diviso dal suo pensiero per sempre si celava dentro di lei vendicatore assiduo e perenne e la mordeva, la rodeva, la consumava, spietato, lentamente. La ragione le veniva meno. Presso lei, invisibile, chi rideva cosí? Chi parlava?

– Per serbare la verginità Agnese sostenne d'essere esposta alle sozzure del lupanare e non fu tócca, e le chiome diffuse ne celarono la nudità agli sguardi virili. Mille uomini non riuscirono a trascinare nel postribolo Lucia di Siracusa.

Un demone la derideva da presso, invisibile.

– Regina, per serbare la verginità, patí la stretta d'un cerchio di ferro e gli strappi di tanaglie infuocate. Orsola e le sue compagne furono trafitte dai ladroni nella selva, ma morirono vergini.

Il demone ghignazzava, allegro.

– A perdere la virginità Petronilla preferí morire d'inedia; Domitilla fu bruciata viva.

Ghignazzava il demone.

– Cunegonda la casta passava su vomeri roventi…

E il demone le fu sopra, l'avvinse, l'invase, si contorse entro di lei mugghiando per la sua bocca e stridendo attraverso i suoi denti stretti: ella agitava le membra, frenetica, e dalla bocca emetteva una schiuma bianca.

Intanto le compagne piangevano e dicevano: – O spirito malvagio, pártiti da questa serva di Dio!

Ma essa nella convulsione urlò:

– Impura! io sono impura!

III

 
«Qui d'aventur velt traiter
il n'en doit nule entralaisser
qui bonne soit à raconter…»
 

AGNESINA

Sec. XIII

I

Guglielmo Berlinghieri e Rinaldo Imberali erano accesi l'uno e l'altro, ma piú il secondo, d'una bella giovane che aveva nome Agnesina ed era figliola d'una ricca e savia donna di Firenze. Guglielmo, in cambio del suo amore riceveva sorrisi e lusinghe, e Rinaldo invece irrisioni e dispetti; e l'Agnesina che non amava niente Rinaldo s'innamorava senza misura di Berlingieri.

Ciò suole avvenire; ma Rinaldo Imberali si consumava per la ventura altrui e la propria infelicità, e per il pensiero della fanciulla, non meno trista che bella, smarriva i desideri e la fiducia dell'età sua e fino la voglia di vivere; e sembrava perdere anche la salute e la mente. Onde i suoi comprendendo che il figlio, quantunque piú smemorato nei dí che non vedeva la giovane, dal vederla traesse sempre esca nuova alla fiamma e nuova ferita alla piaga, pregarono un amico, a lui caro e fedele, di condurlo a un suo luogo vicino a Firenze. Colà Rinaldo mostrò di acquetarsi il giorno nelle caccie e nei diporti, ma la notte inforcava di nascosto il cavallo e per accostarsi al suo tormento vagava intorno la città. Ne scorgeva una porta aperta? Egli v'entrava ansioso e angoscioso a cercarvi la nota casa.

Avvenne frattanto che l'Agnesina si crucciò con la madre, la quale, scoperti i segni e le risposte di lei a Guglielmo e temendone, la teneva rinchiusa, e tanto s'infastidí del rigore materno che per mezzo della fantesca avvertí l'amante di voler fuggire con lui. E la fantesca aggiunse: – A notte fatta voi verrete a cavallo; ella sarà pronta su l'uscio e si getterà in groppa: è leggera e sa ben cavalcare.

Guglielmo rispose che di ciò era lieto; e su 'l far della notte due suoi amici andarono per lui alla porta della città affinché non la serrassero e affinché, se bisognasse, potessero dargli aiuto e accompagnarlo con i loro cavalli nella fuga; ed egli, al tempo che gli parve opportuno, passò dalla casa dell'Agnesina. Ma la fanciulla, impedita dalla madre che non dormiva, non era per anche discesa, e neppure quando il cavaliere tornò a passare; e il cavaliere credé aver troppa fretta e si dilungò per la via.

Allora allora l'Agnesina poté correre a basso; e indi a poco, palpitante e giuliva, udí accostarsi un cavallo. Non era Guglielmo Berlinghieri; era Rinaldo Imberali, il quale scorrendo come di solito presso a Firenze, veduta quella porta aperta, di null'altro in pensiero che del suo amore s'era incamminato per la buia contrada. L'Agnesina disse: – Son qui! – ; e a Rinaldo nell'udire quel motto e nell'osservare quell'ombra bianca nell'oscurità, che gli faceva cenno della mano, sembrò di sognare: spinse il cavallo all'uscio della casa e colse in groppa, co 'l braccio, l'Agnesina.

Rinaldo punse il cavallo. Alla porta, i compagni di Guglielmo, aspettando che l'amico, secondo l'accordo, si fermasse a chiamarli, non guardarono a chi trascorreva cosí in fretta e in silenzio.