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I divoratori

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XVI

Partirono. Traversarono la Svizzera. Passarono per le bianche vie maestre, attorcigliate come nastri bianchi intorno agli austeri fianchi delle Alpi; salirono l'arido Julier Pass; scesero per la rabbrividente via Mala; salutarono Silvaplana; oltrepassarono Saint-Moritz; vagarono per le foreste di pini di Flims dove il sole filtra in pallore lunare. I pini, maestosi, con un tocco di neve sulle loro cime, parevano processioni di frati in berretta da notte; gli scoiattoli si fermavano con rapidi occhi, luccicanti come perline di giavazzo, poi scappavano su per gli alberi con agitata coda. E le blande mucche elvetiche nelle verdi praterie, stavano ferme a guardarli passare.

Ogni sera nei diversi alberghi delle diverse città, andavano insieme lungo i corridoi adorni di scarpe; e giunti alla porta della camera di Nancy, egli le diceva:

– Buona notte, Miss Brown, – e la lasciava.

Varcarono il confine e furono in Italia. E subito scesero fino a Napoli, senza fermarsi a Milano, perchè Nancy, dopo tutto, non voleva veder nessuno dei suoi cari – non adesso! non adesso! Cosa avrebbe detto? Come avrebbe spiegato?… Non ci voleva pensare. Penserebbe dopo.

A Napoli il cielo e il mare li inebbriarono, e la gente li deliziò. S'arrampicarono sul Vesuvio. Si meravigliarono di Pompei. Vagarono per Capri. Poi, spinti alla fuga dall'onnipresenza di coppie tedesche svenevoli e sconvenienti, e da comitive inglesi coi « Baedeker » sotto il braccio, partirono in volta della Spezia.

Ivi ricordarono Shelley,

 
… Shelley, spirito di titano
entro virginee forme…
 

E finalmente si recarono a Porto Venere, bianca nel sole, sospesa sopra il Mediterraneo come una Naiade timida, che bagni il piede nel mare. E Nancy pregò a lungo nella piccola chiesa bianca e nera in cima al colle. Scesero nella grotta, e fremettero al pensiero che i pesci-cani avrebbero potuto divorare Byron quando traversava a nuoto la baia. Veleggiarono per il golfo e mangiarono delle vongole ed altri malodorosi frutti di mare.

E ogni sera per i corridoi, tra i duplici filari di scarpe, egli la accompagnava fino alla sua porta e le diceva:

– Buona notte, Miss Brown.

Dalla Spezia un piccolo vapore mercantile che costeggiava andando verso il Nord, li prese a bordo.

Scivolavano sull'acque azzurre verso Genova, quando Nancy, che era seduta su una cesta d'aranci, sentì il tocco della mano del Selvaggio sulla sua spalla. Ella levò il viso verso di lui, e sorrise.

Egli sedette su un'altra cesta d'aranci, accanto a lei; ma il paniere scricchiolò e gemette sotto il formidabile peso. Allora egli andò a prendere una pesante cassa di legno e la trascinò accanto a lei.

– E adesso?… – disse.

Nancy aveva imparato a conoscerlo bene. Non per un istante credette – come aveva creduto in carrozza nel Bois, più di un mese fa – ch'egli parlasse del momento presente. Sapeva che egli vedeva la vita a grandi linee e a vasti tratti, e che non parlava quasi mai di cose piccole e immediate.

– E adesso? – ripetè Nancy, e sospirò.

Egli mise la sua grande mano abbronzata sulla piccola mano di lei.

Era questa la sua prima carezza. Nancy sentì un brivido correrle per tutto il corpo, e cingerle, come una sciarpa fredda, il viso. Egli la guardava coi fermi occhi azzurri e la vide lentamente impallidire sotto al suo sguardo.

– Adesso dovete tornare a casa vostra, – disse lui.

– Sì. Adesso devo tornare a casa mia. – E Nancy si domandò vagamente se casa sua era la pensione nella Lexington Avenue, o l'appartamento di Mrs Johnson nella 82.ma Strada. Concluse che era l'appartamento nella 82.ma Strada, dove il mazzo di orchidee e capilvenere aveva vissuto con lei quasi otto giorni. Sì, era quella « casa sua »! Peg e George sarebbero nuovamente i suoi compagni; e il morto signor Johnson, e il giovane senza mento, e i bambini nudi colle teste grosse, starebbero con lei nelle lunghe e solitarie serate. E Anne-Marie lascerebbe il Gartenhaus di Fräulein Müller e tornerebbe alla scuola gratuita della Settima Avenue.

– A che cosa pensate? – chiese il Selvaggio.

Nancy non rispose subito. Poi disse:

– … Penso: perchè mai avete mandato, quel giorno, il ragazzo coi fiori e la lettera… la lettera per la ragazza vestita di celeste?… Non mi pare una cosa che assomigli a voi! – E guardando il forte viso freddo, ripetè: – No, voi non mi sembrate uomo da fare una cosa simile.

– Lo so, – disse. E soggiunse ridendo: – Grazie al cielo! Ma, – continuò, – accade a tutti noi di fare delle cose che non ci assomigliano. Non è vero?

Ella non rispose…

– A voi, non è mai accaduto? – E insistè: – Rispondete.

Nancy sospirò.

– Non lo so. Non so che cosa mi assomigli, e che cosa non mi assomigli. Non lo so affatto. Non mi conosco.

– Ma io, – disse l'Orco, – vi conosco. – E tacque.

Egli aveva la irritante abitudine di smettere di parlare quando si avrebbe voluto che proseguisse.

– Parlate, – disse Nancy. – Dite ancora.

Ed egli parlò.

– Non somigliava certo a me di mandare così, per il mondo, a nessuno, quei vani e inutili fiori. Nè di scrivere una folle lettera che non era diretta a nessuno, affidandola al caso… E' vero. Ma abbiamo tutti i nostri momenti di follia in cui facciamo delle cose che ci sono aliene; delle cose, come voi dite, che non assomigliano a noi. – Un'altra pausa. – Non somigliava a voi il descrivermi le vostre tende di broccato rosa, e le vostre sigarette profumate, e i vostri gioielli, e i vostri amanti. Non somigliava a voi l'avere attraversato l'Atlantico per venire a Parigi, e a cena, con un uomo che non conoscevate, per vedere se potevate carpirgli dei denari.

– Oh! – gemette Nancy, e si coprì il viso. – E' questo che avete pensato?

– Oh! – disse lui, – è questo che avete fatto?

Poi vi fu silenzio tra loro.

Il capitano del battello si avvicinò per salutarli e dire che si arrivava a Genova in meno di un'ora.

– Ecco Nervi! – E additò la città bianca, graziosa come una manata di fiori gettati sul fianco del monte.

Nervi!… Con profondo, immenso slancio di desiderio, Nancy pensò ancora che sarebbe meglio essere là, tra suo padre e sua madre, tranquilla e al buio: fuori dalla lotta, dalle paure e dalle tristezze.

Il capitano parlò del tempo, poi, con un sorriso benevolo, passò oltre.

E lo Sconosciuto – che non sapeva nulla di Nervi – parlò:

– Mi piacque tanto la vostra prima lettera, povera piccola lettera sincera, su quella misera carta! Dicevate di essere vestita di bruno. Vi vedevo nel vostro meschino abito scuro – doveva certo essere meschino! e mi piacque l'idea di poter forse, con un po' di denaro, fare qualche cosa d'inaspettato e di gradito… E trovai cara e ingenua la lettera in cui dicevate con tanta veemenza di non essere Miss Brown!… Poi cominciarono le menzogne.

Nancy tremò. Sulla costa passava rosseggiante l'Hôtel di Quinto. La riva pareva scorrere rapida e piana in senso inverso a loro.

– Come avete potuto pensare che io, che conosco New York, crederei alle tende di broccato rosa nei numeri alti, trecento e tanti, della East 82.ma Strada? Da questo ho capito che non eravate un'americana, perchè avreste saputo che i numeri delle strade di New York narrano da sè la loro storia. Una forastiera, dunque, e povera… Poi le vostre lettere mi dissero che eravate una creatura fantastica e solitaria, oh sì! molto solitaria, perchè altrimenti non avreste avuto il tempo di scrivere tanto; una piccola bugiarda molto colta, molto intelligente, che cita i poeti, che sceglie la frase alata e l'aggettivo raro… – Tacque un istante. Indi fissandola in viso proseguì: – Poi, quando ho saputo che avevate una bambina…

– Oh, – esclamò Nancy, e subito le lagrime le scaturirono dagli occhi. – Voi sapete di Anne-Marie!

– Io so di Anne-Marie. Ho anche una sua fotografia. – Ed egli si tolse dalla tasca il portafogli; e ne trasse una fotografia, una piccola istantanea, che porse a Nancy.

Sì, era lei, colla bambina: un'orribile istantanea, presa mentre uscivano da un negozio di giocattoli, e stavano per traversare la strada. Anne-Marie aveva un piede alzato in aria. Ridevano tutt'e due, e sembravano brutte, una più dell'altra.

– Mio Dio! – singhiozzò Nancy, piombata nell'abisso della mortificazione. – Anne-Marie non è così! Vi prego di credere che non è così!

Un sorriso gli passò sul volto: riprese il ritrattino e lo ripose con cura nel portafogli; poi mise il portafogli in tasca.

– Quando ho saputo, dunque, che avevate una bambina, e che vostro marito era… era partito, lasciandovi sola e senza mezzi…

– Ma come avete saputo? – balbettò Nancy, – e chi ha fatto quell'orribile fotografia?

– Che importa come, e chi? Con cento dollari si hanno tutte le fotografie e tutte le notizie che si vogliono. Dicevo che allora, avendo capito ciò che volevate, mi sono detto: « All right! ». Mi presterò al gioco. « Je marcherai », come dicono i francesi. – Et j'ai marché!

Un lungo silenzio.

– E adesso, che cosa volete?

Nancy non rispose. Piangeva, colla faccia chiusa nelle mani.

– Volete continuare a vivere in America? Vi piace l'America?

Nancy fece cenno di no.

– Perchè piangete? – Egli le prese il polso, e le tolse una mano dal viso.

Nancy alzò su di lui gli occhi rossi e lagrimosi.

– Piango – disse con voce spezzata – perchè tutto è rovinato! Tutto, tutto ciò che era bello… è stato tolto… da ogni cosa… Sì, ero povera, sì, ero infelice, e inventavo quelle bugie nelle mie lettere. Ma credevo che voi… che voi mi amaste, come Jaufré Rudel. E mai, mai, mai non ero stata tanto felice come allora, amandovi così traverso la lontananza… quando eravate lo Sconosciuto… Ma adesso… tutto è spezzato, tutto è rovinato… E voi avete sempre creduto che avevo bisogno di denari… cioè, sapevate che avevo bisogno di denari… e poi… e poi avevate quella orribile fotografia… e credevate… – qui Nancy fu scossa da singhiozzi deboli e disperati, – e credevate ch'io fossi così!

 

– Sicuro, – disse Jaufré Rudel. – Credevo che foste proprio così.

E la lasciò piangere per un gran pezzo.

Quarto era già scivolata indietro nelle lontananze; sull'acqua lucida, Genova, grandiosa e rischiarata dal sole, moveva pianamente al loro incontro.

Finalmente Nancy alzò il viso.

– Non posso andare avanti a piangere eternamente, – disse con un tremulo sorriso. – Il capitano ci guarda, e pensa che voi siete un orribile e feroce orco, un selvaggio inglese che mi maltratta.

Erano quasi in porto.

– Su! prendi la tua valigetta, – disse lui, – e prontati. E taci.

Ella rise, arrossendo, e obbedì prestamente. I pochi viaggiatori erano in piedi aspettando di sbarcare. Nancy colla valigetta in una mano, e il pacco di ombrelli e di bastoni nell'altra, si mise in piedi dietro a lui, mansueta e piccola.

E guardò le larghe spalle, che le stavano davanti come un baluardo. Ah! come si sentiva protetta e tranquilla! E' pur dolce avere qualcuno che vi sgrida e ha cura di voi, e vi dice: fa questo e fa quello! Nancy chinò il viso sul pacco degli ombrelli e baciò il manico ricurvo del bastone del Selvaggio.

Una carrozza li condusse all'Hôtel Isotta. Egli non le diede più del tu. Pranzarono. Poi sedettero sul balcone a guardare la gente che passava per via Roma. Vanitosi e decorativi gli ufficiali passeggiavano a due a due, a tre a tre, arricciandosi i baffi, e guardando in faccia alle frettolose sartine, o sogguardando le signorine snelle e timide, camminanti al fianco di prosperi e maestosi genitori. La banda militare suonava in piazza Vittorio Emanuele; e la musica giungeva, soave e distante, al loro balcone.

Allora Nancy gli raccontò tutta la sua « Storia del Lupo ». Gli raccontò del suo lavoro: del primo libro di poesie che aveva scosso ed entusiasmato tutta Italia; e del secondo libro, il Libro interrotto – che avrebbe dovuto essere il suo grande capolavoro…

Egli ascoltò, fumando il suo sigaro senza parlare. Quando Nancy tacque, egli non fece commenti.

– C'è un battello che parte di qui mercoledì, – disse. – Il « Kaiser Wilhelm ». Andrete a prendere la bambina; – s'interruppe – a meno che non preferiate farla educare in America.

– Dio guardi! – disse Nancy.

– Ebbene. Andate a prenderla e conducetela qui. E conducete anche la vecchia Fräulein, se vuol venire. E poi andate a Porto Venere, o alla Spezia, o dove volete, e prendete una casa. E scrivete il vostro Libro. E non pensate ad altro.

Nancy non poteva parlare. Vedeva nella sua mente Porto Venere, bianca nel sole, sospesa sopra il mare.

E vide il Libro – il Libro che avrebbe vissuto – che dopo tutto, che malgrado tutto doveva vivere, vivere alfine!

Siccome ella non rispondeva, egli chiese:

– Non vi piace? Non volete?

Nancy non aveva parole. Gli prese la mano, e se la strinse alle labbra e al cuore.

Egli allora si chinò verso di lei; e i suoi chiari occhi celesti erano duri e freddi più del solito.

– Miss Brown, – diss'egli, – Miss Brown stolta e temeraria. Voi vi siete auto-suggestionata colle vostre proprie parole nelle vostre proprie lettere a credervi innamorata di uno Sconosciuto. E poi siete venuta qui, per carpire a quello Sconosciuto dei denari. Non è vero?

Nancy ricominciò a piangere.

– Non piangete. Li avrete i denari. Ma è bene intendersi. Io sono un uomo semplice ed amo le cose chiare. Voi siete venuta da me per denari. Questa è dunque una transazione finanziaria; non è un poema medioevale.

E come Nancy, pallida e esterrefatta, voleva parlare:

– Taci, Miss Brown, – disse lui. – Taci che sarà meglio.

Ed ella tacque.

XVII

La casetta di Fräulein a Staten Island nel crepuscolo, coi lumi accesi e con una piccola cuffia di neve sul tetto, pareva una cartolina d'auguri Natalizi; e Nancy vedendola da lontano affrettò i trepidi passi. Era arrivata a New York un'ora fa, e aveva lasciato tutte le sue cose al porto, per correre al Gartenhaus senza perdere un istante. Le dita rosee di Anne-Marie le serravano il cuore. Bisognava vederla subito! subito!

Fräulein, che era sempre vaga e nebulosa in fatto di orarii e di arrivi di bastimenti, aveva deciso che era meglio non andarle incontro, anche per evitare alla bambina l'attesa allo sbarco, sotto le gelide arcate piene di gente e di correnti d'aria. Da tre giorni ella tratteneva in casa Anne-Marie colla frase: « La tua mamma può essere qui da un momento all'altro ». Ma dopo le prime ore di febbrile aspettativa e di folli corse al cancello per vedere se la mamma arrivava, Anne-Marie aveva detto a Fräulein che era una bugiarda, ed essendo stata punita per ciò (Fräulein l'aveva con gravità privata di un immaginario dolce di crema che Anne-Marie sapeva essere inesistente) la bimba aveva sussurrato nel peloso orecchio di Schopenhauer, che non crederebbe mai più una parola di ciò che Fräulein le direbbe. Schopenhauer, di cui il nome era stato scelto da Fräulein con intenti educativi, (cioè, come ella scrisse nel suo diario « per sviluppare la mente infantile, familiarizzandola di buon'ora coi nomi di Autori e di Filosofi ») aveva abbaiato scetticamente, dandole ragione; poichè anche a lui Fräulein con sibilanti incoraggiamenti aveva detto: « Adesso viene mistress! Schopenhauer, senti mistress! Cercala, Scioppi! »

Scioppi aveva subito cercato e annasato per tutto il giardino, fiutando e graffiando lungo la siepe e scavando rapidi buchi nelle aiuole e intorno ai cavoli primaticci; ma ben presto aveva compreso che « Mistress » era una vana parola, un mero suono – eccitante, ma illusorio.

E così, per averla troppo presto e troppo a lungo attesa, nessuno aspettava Nancy quando essa entrò per il piccolo cancello e traversò correndo i minuscoli viali del giardino.

Il cuore le batteva in trepida gioia. Quante paure, quante ansie aveva avuto per Anne-Marie! Durante gli ultimi giorni della traversata, era stata assalita da angoscianti e tragiche immaginazioni. Mio Dio! Se Anne-Marie correndo attorno per l'isola fosse caduta in mare? Se il piccolo fox-terrier fosse diventato idrofobo e l'avesse morsicata? Se un automobile – il cuore di Nancy diede un balzo, e ricadde come una palla di piombo, facendola venir meno per il terrore di quella reminiscenza… No! non ci penserebbe più a queste terribili cose! Non ci penserebbe più affatto.

Ma – se Anne-Marie avesse la scarlattina?! D'un tratto Nancy si sentì convinta che Anne-Marie aveva la scarlattina, e che arrivando a Staten Island vedrebbe sventolare dal balconcino del Gartenhaus la bandieretta rossa che avverte…

Nancy era sulla soglia e si apprestò a battere alla porta. Poi, prima di osarlo, si lasciò cadere in ginocchio sul gradino coperto di neve, e congiunse in puerile gesto di preghiera le mani:

– Signore, fate ch'io trovi Anne-Marie sana e felice! Così sia.

Quasi in risposta alla sua preghiera un suono le colpì l'orecchio: un accordo di dolcezza e d'armonìa… poi una lunga nota tenuta e vibrante, seguìta da un rapido gruppetto di note, scoppiettanti e perlate come una risata —

Il violino!

Nancy balzò dalla soglia e corse sotto la finestra del pian terreno illuminata. S'arrampicò sulle roccie ornamentali ammonticchiate sotto alla finestra e, lacerandosi le mani ai spogli rami dei rosai, riuscì ad afferrare il davanzale della finestra e a spingere lo sguardo traverso i vetri chiusi e le lievi tende di mussola. E vide Anne-Marie.

Ritta nel cerchio di luce della lampada, col violino alto sul braccio sinistro e la guancia lievemente posata allo strumento, essa pareva un piccolo angelo musicante di Beato Angelico. Teneva le palpebre abbassate, fluttuanti capelli biondi le ondeggiavano sul viso, lievi e increspati come l'acqua d'un ruscello d'oro.

La gola di Nancy si strinse, e il divino quadro tremò e si confuse davanti ai suoi occhi. Poi la mente di Nancy vacillò, ascoltando. La bambina suonava come un'artista. Trilli e arpeggi le scorrevano dalle dita come cascatelle d'argento. Talvolta un accordo pieno e sonoro ne arrestava la saltellante leggerezza; poi subito scaturivano nuovi trilli, nuove scale rapide e chiare come razzi di luce, sprizzando di musica il crepuscolo.

La mano di Nancy scivolò dall'orlo del davanzale, e un ramo del rosaio picchiò nel vetro. Subito s'udì l'acuto e insistente abbaiare del cane; rapidi passi nel corridoio – e la porta fu aperta dalla sorridente Elisabeth.

Ed ecco Fräulein tutta esclamazioni e domande, ed ecco – ecco Anne-Marie chiusa nelle materne braccia!

Palpitante e viva e stretta se la tenne sul cuore, la sua creatura, ringraziando Iddio per i morbidi capelli che le sfioravano il viso, per la fresca guancia che odorava di sapone, per l'alito dolce che sentiva d'erba e di fiori.

– Anne-Marie! Anne-Marie! Adorata! Sei stata triste? Dimmi, dimmi. Mi hai desiderata tanto? Hai avuto nostalgia di me?

Anne-Marie singhiozzava disperatamente:

– No! no! no! solo adesso! solo adesso!

– Ma adesso mi hai, tesoro mio!

– Non importa! Ma adesso ho la nostalgia, ho la nostalgia, – gridò Anne-Marie incoerente e disperata.

E sua madre la comprese. – Le madri comprendono.

– Anne-Marie! Non ti lascierò mai più. Te lo prometto.

Anne-Marie la guardò traverso le luccicanti lagrime. Sporse la manina umida.

– Parola d'onesto Indiano? – disse gravemente.

– Parola d'onesto Indiano, – disse Nancy mettendo solennemente la sua mano in quella di sua figlia.

Schopenhauer, contorcendosi per gli abbaiamenti e i dimenamenti di coda, fu carezzato e ammirato, e dimostrò la sua bravura nello stare seduto sulle zampe posteriori, colla schiena appoggiata al muro. E Fräulein narrò tutte le notizie riguardo ai cibi che aveva mangiato Anne-Marie, a cui la tapioca non dispiaceva più, ma a cui le prugne cotte dispiacevano sempre. Poi siccome era tardi e Anne-Marie doveva andare a letto, tutti la accompagnarono disopra, anche Schopenhauer. E mentre Elisabeth slacciava nastrini e bottoni, e Fräulein spazzolava i capelli dorati e ne faceva due treccie, Nancy in ginocchio davanti alla piccina rideva con lei e la baciava; e Schopenhauer le mangiava le scarpette.

Quando fu in letto, Nancy e Fräulein la lasciarono; ma Elisabeth e Schopenhauer dovettero rimanere – come sempre – seduti nel buio vicino a lei, finchè si addormentava.

– Ma Fräulein, Fräulein! come la vizii! – disse Nancy scendendo, a braccetto con lei, le piccole scale.

– Zitta, – disse Fräulein misteriosamente. – Ti spiegherò.

E quando furono nel salotto – dove il violino di Anne-Marie era sul tavolo, e il suo arco su una sedia a bracciuoli, e un suo pezzetto di pece sul sofà – Fräulein si fermò e disse con voce solenne:

– Ma tu non sai che quella creatura è un Genio? – Nella voce di Fräulein, pronunciando la parola « Genio » eravi timore riverenziale, omaggio e genuflessione.

Nancy sedette, e fissò con sguardo distratto il pezzetto di pece attaccato al quadrello di panno verde, buttato sul sofà. « Un Genio! » La parola, e il tono di trepidante stupore in cui fu pronunciato, le destò nel cuore un ricordo.

Anni fa, quando la Gloria si era schiusa come un immenso fiore di luce innanzi a lei, e che, all'improvviso fragore del suo successo, tutti i poeti d'Italia erano venuti a felicitarla e ad adularla – Uno non era venuto. Quegli era il grande Cantore della rivolta, il Poeta pagano della nuova Roma. Egli era il Genio, il puro e formidabile Genio latino, ora glorificato, ora vituperato dall'impetuosa ed esaltata gioventù d'Italia. Viveva solitario e lontano dal mondo, sordo ai clamori che si facevano intorno al suo nome; disdegnoso di laudatori come di detrattori; impassibile dinanzi all'invettiva o all'acclamazione.

A trovar lui – dietro suo laconico consenso – Nancy stessa era andata. Un discepolo, lungo di barba e breve di parola, era venuto a prenderla, per condurla alla casa del Poeta, sulle mura d'una turrita città…

Era una vecchia casa; e davanti ad essa Nancy ricordava di aver veduto una sentinella che camminava in su e in giù col fucile sulla spalla. Nancy, allora, aveva riso frivola e stolta:

– Oh! il Poeta ha il soldato di guardia perchè nessuno gli rubi le sue idee! – aveva detto al discepolo.

Ma questi non aveva sorriso.

Poi ella era entrata sola in quella casa, perchè il discepolo non era invitato.

Lo spirito del Silenzio regnava sulla fredda e buia scala.

 

La porta le era stata aperta da una pallida serva trasognata, di cui l'unica missione al mondo pareva essere quella di non far rumore. Tre tacite donne, figlie forse del Poeta, le avevano detto con voci sommesse di prendere posto. Tutte avevano un'aria dolce e soggiogata come se vivessero giorno per giorno con qualche cosa che le struggesse, che le divorasse. E pareva che ne fossero contente. Esse esistevano unicamente per badare a ciò che il Genio non fosse disturbato.

Ed ecco che la porta si aprì bruscamente e il Genio entrò. Era un fiero uomo, colla testa grigia e leonina e gli occhi impazienti. E Nancy, vedendolo, comprese che si potesse volentieri traversare la vita in punta di piedi per non disturbarlo. Comprese che si abbassasse la voce e si frenasse il gesto davanti a lui. Comprese che egli aveva il diritto di divorare.

Egli teneva tra le mani il piccolo libro di Liriche. Poi parlò in accenti brevi e staccati. Disse:

– Tre sole donne furono poeti: Saffo; Desbordes Valmore; Elisabetta Browning. Ed ora – voi… Andate; e lavorate.

Pronunciò poche altre parole; e tutte colla voce austera e gli occhi foschi sotto le ciglia aggrottate. Ma Nancy gli aveva detto addio, tremante e abbagliata di felicità.

Le Divorate le avevano silenziosamente aperta la porta, ed ella già scendeva, vacillante e col cuore inondato d'emozione, la scala – quando udì un greve passo sopra a lei; si fermò e si guardò indietro.

Egli era uscito sul pianerottolo e la seguiva cogli occhi saettanti sotto la fiera fronte. Essa si fermò e il cuore le batteva forte.

– Addio, – disse il Poeta. – Aspetto e confido.

Ella aveva mormorato:

– Grazie.

E poi era scesa rapida, colla vista turbata da subite lagrime, e non s'era più voltata indietro. Ma sapeva che egli era rimasto lassù, fermo, a guardarla.

« Aspetto e confido ». Le tre parole l'avevano scossa e ridestata. Suonavano come una fanfara nel suo cuore.

Ahimè! egli aveva aspettato e confidato invano.

Ella non aveva mai scritto un altro libro.

Ed ora i severi occhi non leggerebbero più nulla. E il grande cuore non aspettava più.

* * *

… Nancy fissava ancora, con occhi vacui, il piccolo pezzo di pece ambrata, attaccato al pezzetto di panno verde, sul sofà – lo fissava senza vederlo. Un Genio!… Era un Genio la sua piccola Anne-Marie? Quella creaturina tenera e gaia come un uccelletto selvatico, era essa uno dei Divoratori?

Sì. Regnava già nel Gartenhaus quell'atmosfera di peritante attesa, di riverente silenzio, d'anelanza al sacrificio: l'atmosfera del Divoratore. Fräulein parlava a voce bassa; Elisabeth e il cane stavano seduti nel buio, mentre il Genio s'addormentava. Il suo violino possedeva la tavola, il suo arco la poltrona, la sua pece il sofà. E Fräulein aveva nei suoi atteggiamenti tutta la sua stupefazione d'una Divorata.

– Quella bambina è un Genio, – continuava a ripetere. – Sarà come Wagner. Ma molto più grande.

Poi parve risvegliarsi e ricordare le cose di minore importanza, le piccole realtà della vita.

– Ah! ma non m'hai detto ancor nulla del tuo viaggio. Che cos'hai combinato cogli editori? Il tuo libro quando escirà? Ma poverina, poverina! devi essere stanca! devi aver fame!… Zitta! facciamo piano!… La stanza della piccina è proprio qui sopra! – E Fräulein si mise un timoroso indice sul labbro. – Se non ti spiace, ti preparerò la cena in cucina. Anne-Marie, quando non è lei che mangia, non vuol sentir rumore di piatti.