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Loe raamatut: «Il ponte del paradiso: racconto», lehekülg 15

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XVI.
Confessione generale

Anselmo Cantelli, poichè era lui il cortese signore venuto innanzi sul pianerottolo, fece all'Aldini un sorriso che valeva da solo tutte le cerimonie del mondo, e con affabilità da vecchio amico lo prese per mano, traendolo a sè.

– Venga, venga; – gli disse. – Faremo conoscenza or ora, sotto gli occhi delle dame. Favorisca di passare.

– Per ubbidienza; – rispose l'Aldini, e salutando con un cenno rispettoso del capo entrò nella sala.

I Cantelli erano ancora a tavola; ma si vedeva che avevano finito di far colazione, e allora allora stavano prendendo il caffè. Di rimpetto al posto che il signor Anselmo aveva lasciato vuoto per muovere incontro al visitatore, sedeva la signora Eleonora; Margherita e Federigo sui lati. Il giovane ufficiale di marina si alzò con premura, per stringer la mano al suo caro Aldini; Margherita non volle esser da meno di lui in nessuno dei due atti, che erano di bella cortesia, se anche il primo di essi non rispondeva del tutto alle piccole leggi dell'etichetta. Un po' pallidina tuttavia, la cara fanciulla, e con una cert'aria di languore diffusa sul volto; ma quella era una grazia nuova, che s'aggiungeva alla bellezza. Margherita, poi, era bella a tutti i modi, e cara in tutti gli aspetti.

Della signora Eleonora non si dice nemmeno, se accogliesse a festa l'Aldini. Contegnosa sempre, perchè stava sempre un po' dura sulla vita, sorrise nondimeno e porse con bel garbo la destra, lasciando che con altrettanta gentilezza il perfetto cavaliere facesse l'atto del baciamano, all'antica.

– Quant'è che non abbiamo il piacere di vederla! – ebbe la bontà di dirgli, e senza aria di sforzo. – Quattro anni, non è vero?

– E per me furono secoli, signora; – rispose l'Aldini, inchinandosi. – Ma temevo tanto di essere importuno, in questi giorni! Son sempre venuto, nondimeno, a chieder notizie.

– Non è la stessa cosa, – notò Margherita; – e bisognerebbe tenerle il broncio… per quattro secoli ancora. Ma è festa oggi, e sia remissione di peccati, per l'arrivo del babbo. Ebbene, signor conte, che cosa ne dice, del nostro babbo? —

“Del nostro„ aveva ella detto! Filippo Aldini si sentì tremar tutto, dal capo alle piante. Ed era un tremito doloroso, pur troppo! In tutt'altra occasione gli avrebbe fatto fiorire una grande allegrezza nell'anima: per allora non poteva far altro che chiamargli un pallido sorriso e qualche frase stentata sul labbro.

– Vedi, babbo, – proseguiva intanto Margherita; – il signor conte Aldini è stato il nostro gentil cavaliere in tante passeggiate artistiche; ci ha fatto conoscere ed ammirare le più belle cose di Venezia. E vuol rivederne una bellissima, Lei? – soggiunse, rivolgendosi ancora a Filippo. – Guardi un po' là, nel vano della finestra. —

Nel vano della finestra, dove Margherita accennava, era una seggiola, davanti ad un tavolincino da lavoro, e sul tavolincino, poggiata sopra un cavalletto minuscolo, una cornicetta di felpa cremisina, entro cui si vedeva un disegno a matita.

– Che cos'è? – domandò Filippo Aldini, dando un'occhiata da lontano.

– Come? Non riconosce più l'opera sua? – Filippo si avvicinò, guardò più attentamente, e commosso mormorò:

– Il ponte del Paradiso! —

Ahimè, come asserragliato, quel ponte! e come lontano, quel Paradiso? L'avrebb'egli raggiunto mai? E doveva fare un certo discorso, che lo avrebbe allontanato sempre più da quell'Eden vietato. Venuto a sedersi accanto al signor Anselmo, guardava ad ogni tanto con espressione di angoscioso desiderio quel babbo, ch'egli vedeva per la prima volta e forse per l'ultima; quel babbo cortese che con tenta amorevolezza gli batteva sul ginocchio con la morbida palma. Che simpatico vecchio era il signor Anselmo Cantelli! Vecchio, così per dire, che a dargli cinquant'anni d'età gli si faceva torto. Aveva i capelli bianchi, per verità, ma la faccia fresca, vermiglia, senza una grinza, gli occhi aperti, lucenti e pieni di vita, la bocca giovine come gli occhi, e per conforto all'orgoglio di due file di denti sanissimi, le labbra sempre disposte al sorriso.

– Perchè guarda tanto il mio babbo? – gli domandò Margherita. – Me lo vuol forse rubare? Badi, gli fo buona guardia, io. Al più al più, potrei concedere di fare a metà.

– Stavo osservando, signorina, – disse Filippo, reprimendo a forza un altro moto interiore, – stavo osservando come il tipo del babbo corrisponda al suo. Fatte, s'intende, le debite restrizioni; – soggiunse, imbrogliandosi un poco nel suo ragionamento; – in quel modo che una donna può rassomigliare ad un uomo…

– Ad un uomo che ha tanto di baffi; – conchiuse Margherita ridendo.

Si conosceva a colpo d'occhio che la cara birichina era molto felice in quell'ora. Tra lo sfolgorìo dei grandi occhi luminosi e il luccicore perlaceo della bocca divina, le sue guance prendevano un bel colore di rose incarnatine, che prometteva il sollecito rifiorire di quell'aspetto di bellezza ond'era stato deliziato Filippo Aldini parecchi giorni innanzi; in quel giorno, ad esempio, che egli e Margherita erano stati al ponte del Paradiso, e, Dio, permettendo, lo avevano anche varcato.

Finalmente il signor Anselmo si levò da sedere.

– La mia gente avrà da fare; – incominciò – la mamma da coccolarsi in cento discorsi col suo Federigo; Margherita da scrivere alle sue amiche di Milano. Io, se il conte Aldini mi fa grazia, vorrei fare una passeggiatina in Piazzetta con lui. —

Come aveva capito il bisogno di Filippo! Come aveva accortamente girata la frase!

L'Aldini fu pronto ad ossequiare le signore, promettendo una visita per quella sera. Ma prometteva a fior di labbra, impacciato nelle parole e negli atti. Se ne avvide Margherita, e cogliendo il buon momento ch'egli si era ridotto presso il vano della finestra, aspettando che il signor Anselmo avesse indossata la sua cappa di panno verde cupo foderata di pelliccia di martora, gli disse a mezza voce:

– Ella non è in uno de' suoi bei giorni, conte.

– Ha ragione, – rispose egli, rabbrividendo; – ho qualche pena, difatti. Ma non per me; – aggiunse tosto, notando l'effetto che produceva; – per un amico che ha qualche dispiacere. —

E un desiderio lo prese, mentre stava lì, davanti alla divina creatura, nella piena luce dell'ampia finestra, un desiderio intenso, a cui non seppe resistere. Se era condannato a perderla, come gli pareva naturale, come pur troppo gli pareva fatale, voleva almeno guardarla bene, guardarla intensamente a quella breve distanza, involgerla tutta in una occhiata, aspirarla, assorbirla. Il lampo degli occhi dilatati, e la gagliardia del respiro tratto a larghi polmoni, non furono senza un muover di labbra, che formavano parole, lasciandole tuttavia prive di suono.

– Ella mi dà il buon augurio? – mormorò ella, arrossendo.

– Sì, ch'Ella sia felice, felice, felice.

– Risponderò con tre grazie; – replicò Margherita, facendosi sempre più rossa. – Ma torni stasera più gaio, o più consolato; avrà il suo conto saldato in tremila. Sono o non sono un onesto banchiere?

– Ah, tu sei un banchiere, bambina? – disse il signor Anselmo, cogliendo in aria le ultime parole della sua Margherita. – Ed io, come mi vedi in questa pelliccia, sono un certo che… tra il tenore e il baritono. —

Gran capo ameno alle sue ore, il signor Anselmo Cantelli! E bisognava volergli bene ad ogni costo.

Sceso sulla riva degli Schiavoni, quell'uomo eccellente così parlò al conte Aldini:

– Ella ha da intrattenermi di cose importanti, m'imagino; ma non gravi, spero. Siano come si vogliono, Ella si lasci dire per intanto che in casa mia sono tutti incantati di Lei; mia moglie, mia figlia, mio figlio. Stamane, dato il tempo necessario alle accoglienze “oneste e liete„, han tutti incominciato a tessere il suo panegirico. A tavola, poi, per tutto il tempo della colazione, è stato un piatto solo, Aldini, Aldini. Se lo lascia dire con quella confidenza di linguaggio che l'amicizia permette? Aldini al consommè; Aldini au beurre d'anchois; Aldini all'aspic; Aldini alla suprème. Aldini alla maître-d'hôtel, e chi più n'ha ne metta. —

L'Aldini sorrideva malinconicamente.

– Non si offende già, voglio credere; – ripigliava il signor Anselmo, prendendolo amichevolmente pel braccio. – Son fatto così, e gradisco la celia.

– Che dice? Mi confonde; – rispose l'Aldini, stringendo sotto il braccio la mano del signor Anselmo. – Ella mi dà una gran prova di benevolenza; così potessi meritar la sua stima!

– L'una e l'altra possiede; – replicò il signor Anselmo. – Per me, glielo confesso, quella non potrebbe andar senza questa. Metta che noi siamo già vecchie conoscenze. E così… facciamo un piccolo tradimento al nostro Zuliani? —

Filippo rabbrividì, a quella scappata, pure imaginando ch'ella fosse scevra d'ogni malizia.

– In che modo? – balbettò.

– Non lo vede? L'amico, che ha la moglie ammalata, e perciò non si è potuto muover da casa per venirmi a ricevere alla stazione, mi annunzia la sua visita per le quattro, e mi promette di condur Lei alle nove, perchè io abbia il piacere di conoscerla. Ed ecco, noi ci siam visti e conosciuti assai prima; saremo già amici vecchi, stasera. Glielo dirò, e rideremo.

– No, non gliene dica, per carità; – supplicò, fortemente turbato, l'Aldini. – Non sappia egli che ci siam visti prima!.. almeno, – soggiunse dopo un istante di pausa, – bisognerà dirgli che ci siamo veduti per caso. Ella del resto, vedrà e giudicherà, dopo che io le avrò parlato un po' a lungo… se Le piacerà di ascoltarmi.

– Certamente mi piacerà; sebbene il suo turbamento mi lasci temere che non si tratterà di cose tutte piacevoli.

– No davvero; – disse l'Aldini sospirando. – E sarà bene, perchè io possa parlare liberamente, che andiamo in luogo appartato.

– Non in piazza, capisco; e neanche in una camera d'albergo. Che cosa mi propone Lei?

– Ma… se osassi…

– In casa sua? Sta benissimo. Casa di scapolo; garçonnière… Come esprimerebbe la cosa in italiano? Ci ho pensato tante volte; ma non son forte in lingua madre. Col rispetto dovuto agli scapoli come Lei, avrei detto: paretaio. Scherzo, sa? E mi par bene scherzare, finchè siamo in istrada, per non aver aria di due frati certosini. È lontana, la sua abitazione?

– Correndo, – rispose Filippo, – ci si arriva in dieci minuti; andando di passo regolare, in quindici.

– Sto bene a gambe; – conchiuse il signor Anselmo; – arriveremo in dieci. —

Entrati in Merceria, affrettarono il passo. Il signor Anselmo era anche stimolato da una grande, curiosità e più agitato da un senso di vaga inquietudine. Che cosa aveva da dirgli il conte Aldini di così grave, o geloso, che l'amico Zuliani non dovesse neanche sapere che egli, Anselmo, e il suo genero in pectore, si erano già visti? Questione di denaro? Il sospetto ne corse alla mente del banchiere; ma egli fu pronto a scacciarlo. Cozzava troppo con tutto quello che egli sapeva delle condizioni, del modo di vivere, della serietà e della estrema delicatezza del giovine gentiluomo. O allora? Allora il partito migliore che si potesse abbracciare era quello di non far almanacchi per via, aspettando di essere in casa del signor Aldini e di sentire il gran segreto da lui.

Quanto all'Aldini, poichè aveva fatto il suo preambolo oscuro, ma promettente, non si sentiva più di simulare una calma che non aveva nello spirito, e camminava in silenzio, tutto chiuso ne' suoi pensieri, rannuvolato come il cielo di Venezia in quell'ora.

– Ecco una strana avventura! – disse il signor Anselmo tra sè, come fu entrato in casa di Filippo Aldini, ed ebbe preso posto sulla poltrona che questi gli offriva.

Filippo si era seduto dopo di lui, sopra una scranna, ma standoci, anzi che seduto, appoggiato, col capo basso e il petto in fuori, mezzo inginocchiato tra l'orlo della scranna e l'orlo della scrivania che gli stava davanti. Si era rimpicciolito, in tal guisa, umiliato nel cospetto di quell'uomo, che doveva esserne il suo giudice.

– Signor Cantelli… signor Anselmo… – incominciò, – vuol essere il mio confessore, ed accogliere la mia confessione generale? So che Ella aveva… ed ha ancora buone intenzioni per me. Per tutto ciò che risguarda la mia vita di cittadino e di soldato, di onest'uomo e di gentiluomo, credo di esserne degno.

– Lo so; – disse il signor Cantelli. – L'amico Zuliani me ne ha scritto quanto occorreva. Anche da Parma ho saputo molto, ed altamente onorevole, della sua gente e di Lei. Ma certo, a me sarebbe bastato ciò che mi asseriva, sulla propria fede, un uomo d'alta probità, un uomo d'oro, come Raimondo Zuliani. —

Filippo abbassò il capo ancor più che non avesse fatto in principio.

– Ahimè! – diss'egli. – Il signor Zuliani si è in qualche punto ingannato. Aggiungo, col rossore della vergogna sul viso, che quell'uomo ottimo non poteva non ingannarsi. Ho dei torti, e gravi, verso di lui, che egli non conosceva ancora, scrivendole. Non inarchi le ciglia, La prego, non mi levi il coraggio di proseguire. Debbo confessarle sinceramente ogni cosa, chiedendole, per altro, d'ogni cosa il segreto.

– Ella mi ha preso per confessore; m'investo del sacro ministero. Non abbia dunque verun timore; manterrò gelosamente il segreto. —

Così disse il signor Anselmo, più inquieto che mai, ma disposto a prestare la più viva attenzione.

Filippo Aldini, sempre incurvato sul braccio e mezzo inginocchiato com'era, incominciò toccando brevemente del servizio militare abbandonato, del suo stabilirsi a Venezia, del suo vivere elegante, ma non al tutto dissipato, del suo spendere misurato, dello aver conosciuto il banchiere Zuliani, incaricato di rimettergli le sue modeste rendite, e infine dell'essere entrato, senza secondi fini, naturalmente, per semplice bontà di Raimondo Zuliani, in grande dimestichezza con lui.

Qui il primo guaio; qui la cagione d'ogni male per ambedue. Si erano troppo fidati, Raimondo della virtù dell'amico, egli della sua propria forza, che veramente poteva bastare, essendo corazzata di bella indifferenza. Come si perdette egli? come naufragò la sua buona e leale amicizia, tra le lusinghe del palazzo Orseolo? Cavalleresco ossequio, rispettosa confidenza, erano questi i termini, non varcati per un pezzo, delle sue relazioni colà. Certamente, la rispettosa confidenza e l'ossequio cavalleresco non potevano escludere quel tanto di galanteria superficiale ed innocente che si usa in società con le dame, zucchero in polvere, con quintessenza di sottili profumi, senza cui pare che il mondo elegante non possa vivere, temendo sempre che certa riserbatezza puritana di modi lo conduca a morir di noia. Intanto, si può egli ricordare con precisione quando e come si varchino certi confini, sempre male segnati? e quando e come sia nata quella confidenza più intima, che è già un principio di complicità, per cui l'uno sovrabbondando e l'altro cedendo, si dispone in tortuosi giri quel nodo, che una volta formato stringe e lega due esseri? Una preferenza insignificante a tutta prima, un servizio da nulla esagerato dal sentimento, una frase spensieratamente più tenera tra i fumi di un convito, gli ardori e le fragranze arcane, tra le ebbrezze di un ballo e le libertà d'una veglia mascherata… Che dire, e che cercare di più? Il signor Anselmo, il confessore, il giudice poteva intender questo, ed altro a sua posta.

Certo, una cosa poteva asserire l'Aldini, nella sincerità della sua confessione; ch'egli si era trovato senza avvedersene sull'orlo del precipizio; ch'egli c'era rimasto, con una vaga speranza di ritrarsi e un esagerata timore di apparir vanitoso e ridicolo, nella ostentazione inopportuna di una sciocca paura. Involto, sconvolto e travolto; in queste tre parole Filippo Aldini esprimeva i tre stadii dell'error suo. Così era egli caduto; ma presto aveva tentato di rialzarsi, e di rialzare, consigliando con tenerezza, a grado a grado cercando di persuadere, sperando di esserne venuto a capo, ricadendo ancora, per rialzarsi di nuovo, tentando sempre, volendo ad ogni costo riuscire all'intento.

Il signor Anselmo ascoltava, tentennando il capo a quando a quando, e sorridendo con filosofica espressione di compatimento benevolo.

– Eh, si capisce; – diceva, colmando un intervallo che Filippo aveva posto nella sua dolorosa esposizione di fatti. – Le occasioni fanno il ladro. Certe care donnine son poi così matte!.. E chi sa? più assottigliano il cervello, più hanno i nervi teneri. Se mettiamo poi in loro presenza un giovinotto come Lei!.. —

Sì, tutto questo era buono e bello, ma non attenuava punto la triste condizione di Filippo Aldini. Seguiva infatti il guaio peggiore; e Filippo Aldini passò a raccontarlo. Bene aveva egli spezzata quella catena di errori, non dubitando di apparire nell'ansia continua delle esortazioni e delle preghiere un codardo. Ed oramai confidava di aver ridotta quella donna alla sua medesima fede; non la vedeva più altrimenti che in conversazioni, a teatri, in visite cerimoniose; a farla breve, nelle sole occasioni in cui ogni mancamento alle consuetudini antiche avrebbe piuttosto nociuto che giovato, dando argomento ad osservazioni maligne, suscitando ingiuriosi sospetti. Quella donna, se non al tutto persuasa; gli pareva convinta, rassegnata, tranquilla. Perchè da ultimo aveva dato in ismanie? Orgoglio ferito, certamente, non fiamma rinnovata d'amore: ed era stato un colpo di follìa, quell'amore; spento dalla ragione, non avrebbe dovuto più divampare. Non egli, poi, colpito dalla bellezza, dalla grazia, dalla virtù d'una cara fanciulla, d'una creatura divina, aveva osato vagheggiare il pensiero di farla sua: era stato Raimondo, a formarne il disegno, imaginando senza dubbio, nel favorire l'amico, d'infondergli il coraggio che a lui sarebbe per troppe ragioni mancato. Per verità, egli amava Margherita con tutte le forze dell'anima, e ciò che ardeva nell'anima sua gli traspariva sicuramente dagli occhi. Di dar moglie al suo giovine amico, Raimondo Zuliani aveva parlato in presenza della sua Livia; ed ella aveva sorriso, assentito, perfino aggiunte le sue esortazioni a quelle del marito. Poteva egli, Filippo Aldini, nel lasciare che Raimondo Zuliani parlasse per lui, povero innamorato, ai signori Cantelli, prevedere lo scoppio di una nuova follìa che doveva esser cagione di tante rovine?

– Rovine! e quali? – pensò il signor Anselmo mentre aguzzava l'orecchio.

Certo, seguitava Filippo, in tutta quella faccenda gelosa, egli non era stato senz'arte: si era destreggiato in modo da non esser tirato mai a discorrere del suo matrimonio possibile. Ma questa era arte legittima, ed anche necessaria. Di certe cose, che sono il dolce futuro, si parla male, in presenza di certe persone, che rappresentano l'amaro passato; e sono delicatissime, le dolci cose sperate, e non è prudenza ragionarne, se non quando siano avviate per modo di non correr più il pericolo di andare in dileguo. Del resto, se era Raimondo quegli che aveva tutto ideato e tutto imbastito, se egli ne aveva parlato e molto probabilmente seguitava a parlarne con sua moglie, se ella appunto in quei giorni era tutta tenerezza col marito, poteva egli prevedere quella repentina tempesta di collere, incominciata con un velenoso discorso alle signore Cantelli; continuata con un assalto diritto a lui, chiamato cacciatore di doti, e costretto a mendicar pretesti per rinunciare alla propria felicità; giunta finalmente al suo colmo spaventoso, quella stessa mattina, colla consegna di un antico carteggio al marito?

– Grave! grave! – borbottava il signor Anselmo, che oramai vedeva sopraggiungere il dramma.

E il dramma, il dramma, bisognava raccontargli. A frasi rotte, ma non dimenticando nulla, neanche l'improvvisa e folle apparizione di quella donna là dentro, dov'essi erano seduti in quel punto, e dove indi a poco doveva irrompere il furente marito, Filippo Aldini raccontò. Sopraffatto dall'ira, il signor Zuliani non era stato altrimenti acciecato; le sue mani vendicatrici non si erano aggravate su quella disgraziata. Bensì a lui si era rivolto, a Filippo Aldini, per chieder conto dell'onor suo oltraggiato e dell'amicizia tradita. Lì, per l'appunto, dov'essi stavano, e mentre la donna, esortata dall'Aldini a fuggire per quell'uscio segreto, pur rimaneva inavvertita in ascolto, Raimondo aveva voluto stabilire le condizioni d'un duello mortale, inesorabilmente mortale. Due nomi scritti, e la sorte decidesse quale dei due, in un termine inviolabile di tempo, doveva uccidersi, sparire, poichè uno dei due era di troppo sulla faccia del mondo.

Così voleva Raimondo; forma e condizioni del duello erano in sua balìa, essendo egli l'offeso; e l'Aldini aveva dovuto giurare di star fermo ai patti. La sorte era stata contraria a Raimondo, il quale, del resto, a temperargli il nuovo rimorso, affermava che in nessun modo, anche vincitore nel giuoco della sorte, avrebbe voluto sopravvivere alla perdita della sua felicità, alla morte delle sue illusioni.

Ed egli, l'Aldini, aveva dovuto inchinarsi; più ancora, fatto schiavo di quell'uomo per forza di cose, per rispetto ad una sventura ond'egli era stato in tanta parte cagione, aveva dovuto sottomettersi ad un'altra volontà di Raimondo. Questi, la cui parola era impegnata con Anselmo Cantelli, aveva già fatto del matrimonio tra l'Aldini e Margherita una questione d'onore; voleva adunque che il matrimonio seguisse; quanto a sè, fatte le nozze, avrebbe provveduto, secondo il decreto della sorte, e secondo l'istesso disgusto, invincibile omai, della vita. Ma questa volontà di Raimondo metteva l'Aldini in una condizione assai triste. Doveva egli tacere? Era una viltà, e la sua coscienza gli avrebbe sempre rimproverato quel tradimento alla buona fede dei signori Cantelli, che sulla testimonianza di Raimondo Zuliani lo avevano per un gentiluomo senza macchia. Doveva egli parlare? Era una slealtà, poichè con questo egli tradiva i segreti di casa Zuliani, quei segreti dolorosi che la magnanimità di Raimondo aveva voluto coprire del velo più fitto, abbracciando il partito d'un duello alla sorte. Ma se il parlare fosse stato ristretto in certi confini di prudenza, e nella misura della necessità, ristretto sopratutto all'unica persona che aveva poi il diritto di sapere ogni cosa, perchè d'ogni cosa era liberale a lui, come avrebb'egli meritata la taccia di sleale?

La coscienza gli diceva che nel discreto orecchio di Anselmo Cantelli egli poteva deporre il suo segreto e l'altrui. Senza dubbio, tra due mali era da sceglier sempre il minore; e il minore consisteva per l'appunto nel non commettere una viltà così grande, come sarebbe stato il tacere. Un cacciatore di doti, certificato ed autenticato un portento di delicatezza, poteva tacere e lasciar correre: un uomo onesto davvero, non tale per attestati antichi o recenti, doveva parlare, fosse pure nella angosciosa certezza di rinunziare con ciò al bene supremo, alla mano ed al cuore di Margherita. Il danno era immenso; ma non sarebbe lungamente durato. Solo in ciò confidava.

– Là! là! – disse il signor Anselmo, commosso, un po' stendendo la mano per battergli amorevolmente sul braccio, un po' tirandola a sè per rasciugarsi una lagrima. – Non si lasci trasportare dalla vivacità dei suoi sentimenti. Ragioniamo, se è possibile. Intendo ch'Ella abbia voluto aprirsi intieramente con me: intendo, ed ammiro. Ma le cose non mi paiono così gravi, com'Ella le fa. La sua storia, se non si trattasse di quell'ottimo Zuliani, che c'è di mezzo, e al cui caso bisognerà provvedere, non mi farebbe, creda, nella mia veste di padre, nè caldo nè freddo. Quando ella si lasciava involgere, sconvolgere, travolgere… ricordo la sua frase, vede?.. Ella, dico, non conosceva ancora mia figlia. Del passato non ci può esser colpa per noi. L'uomo è nato cacciatore; si può dirlo qui… nel suo paretaio; – soggiunse maliziosamente il signor Anselmo, che non rinunziava alla burletta, quando la sentiva germogliare sul labbro; – e bisognerebbe interrompere il corso della specie umana, ivi inclusa la discendenza di Nembrot, se si dovessero ricusare per generi gli uomini che sono stati a caccia. —

Qui il signor Anselmo fece una brevissima pausa, come l'oratore che dall'esordio sta per passare al vivo dell'argomentazione, poi ripigliò:

– Non induca da ciò che io sia stato un gran cacciatore nel cospetto del Signore; no, ma buon Dio! quando Eleonora Langosco non era comparsa ancora sul mio modesto orizzonte, creda che ho fatte le mie sciocchezze pur io, come ogni fedel cristiano. E del resto, voglia ricordarsi di quel comico latino; Terenzio, mi pare: “son uomo„ ha fatto dir egli ad uno dei suoi personaggi; “son uomo e mi accollo la parte mia di tutte le umane debolezze„. Dunque, niente paura, signorino; pensi in quella vece che la mia stima per lei è cresciuta a mille doppi. —

Filippo Aldini levò la fronte, e lo guardò trasognato.

– Già – riprese il signor Anselmo; – proprio così. Sa Lei, conte Aldini, che un discorso come il suo non lo fanno due uomini? Almeno, – volle concedere il buon vecchio, – almeno, a cercarli tra le mie conoscenze. Ella rinunzia, per delicatissimo sentimento d'onore, ad una donna che ama profondamente; ad una donna che vale assai… Lascio stare i quattrini; – soggiunse il banchiere, a mo' di parentesi; – sono la nostra miseria! Parlo delle qualità morali, che conosco ben io, anche superiori alle fisiche, visibili a tutti. Ci rinunzia, e son certo che ciò potrà costarle la vita. Ora io… gliel ho a dire? Venga qua, poichè tanto è già mezzo ginocchioni davanti al suo confessore… Si accosti bene! —

Così dicendo, venne ad aver tra le palme la testa di Filippo Aldini. Lo baciò allora sulla fronte, poi si curvò per dirgli all'orecchio, ma forte, ben forte:

– Ora, io… non rinunzio a Lei. Ha capito? —

Filippo mise un grido; afferrò le mani del signor Anselmo, e le baciò, inondandole di lagrime.

– Si calmi, si calmi! – esortava il buon vecchio. – Che c'è egli di strano, in ciò che le ho detto, o che ella non meriti, per la sua bella sincerità? Le ho parlato per conto mio, s'intende; – aggiunse egli poscia; – e perchè ella sappia bene fin d'ora con che animo parlerò a Margherita.

– A Margherita! – esclamò Filippo, sussultando.

– Eh, niente si può fare, concederà, senza che venga da lei una parola di gradimento. Ella stima mia figlia, signor conte; la crederà degna di ricevere in deposito, e capace di custodire gelosamente un segreto. —

Filippo assentiva col capo, ma contorcendosi anche un pochino, e stringendo le labbra, al pensiero che del segreto non tutto suo, dovuto confidare al signor Anselmo per troppo gravi ragioni, andasse a parte anche un'altra persona. Quell'altra era bensì Margherita, la divina creatura; ma proprio era fatto per lei, quel segreto?

– Pensi un po'; – riprese il signor Anselmo, che si era facilmente avveduto di quel contrasto di pensieri. – Se io non ci fossi, Ella, quest'oggi, trovandosi al bivio crudele di cui mi ha fatta una così viva pittura, si sarebbe pur confidato d'ogni cosa con Margherita; ne conviene? Dunque, procediamo. Margherita ha senno maturo in giovane età; Margherita è una donna forte, sa? Non la giudichi da un po' di stordimento che ha in questi giorni sofferto. Era naturale. La poverina stimava lei come il più leale degli uomini, e lì, senza preamboli, ne ha sentito dir corna. Capirà… Ciò doveva colpirla nel mezzo del cuore; e ciò va ad onor suo, come a testimonianza della stima che aveva concepita per Lei. Ma infine, sa padroneggiarsi, distinguere, e giudicare con calma. Le aggiungerò che io mi fido molto del suo retto giudizio; e in certe faccende, poi, nelle matrimoniali, ad esempio, non la contrario mai. Non sono già io, che ho da prender marito; è lei, e perciò giudica lei, decide lei in prima ed ultima istanza. Per un nugolo di pretendenti, finora, ha detto di no: per Lei, così poco pretendente, lo vedo bene! ha detto di sì. Vuole che si disdica? Io non lo credo. Comunque sia, quella savia figliuola merita tutta la mia confidenza, ed io mi rimetto intieramente alle sue decisioni. Pel suo segreto, signor conte, non dubiti; Margherita saprà farne buon uso. Ella vada tranquillo, e non mi dica altro, se mi ama. – Filippo chinò la fronte, persuaso.

– Sarei uno sciocco, – diss'egli, – se non riconoscessi quanta bontà c'è in Lei, sopra ogni merito mio: sarei un essere indegno di vivere, se dubitassi della signorina Margherita, della sua delicatezza di sentire e della sua nobiltà di pensare. Ah, quante cose aggiungerei, – gridò Filippo, animandosi, – se non mi ritrovassi in questa dolorosa condizione!

– Bravo! io le immagino tutte; – ripigliò il signor Anselmo, levandosi da sedere; – speriamo di averne presto un bel saggio. Fa così piacere ai babbi sentirsi lodare il sangue loro! Ma veda come ci siamo sbrigati; – soggiunse, guardando il suo Patek. – Sono appena le due e mezzo. Ritornerò all'albergo; Ella mi metta sulla buona strada per San Marco, perchè non mi fido troppo dell'indirizzo proverbiale: La vaga drio a la zente. E restiamo intesi fin d'ora ch'Ella verrà come ha promesso, alle nove, e magari alle otto.

– Ma… – disse Filippo, perplesso; – se la signorina Margherita mi avesse condannato? —

Il signor Anselmo lo guardò con una tale espressione di tenerezza, che il povero Filippo non avrebbe potuto augurarsene di più nel cuore della sua bella figliuola.

– In questo caso l'avvertirei con due righe di biglietto; – rispose. – Dove pranza lei? Al Quadri, mi han detto.

– Sì, è il mio luogo solito. Ma ne avrò voglia, quest'oggi?

– Non perda l'appetito, mio caro Aldini; è una tra le prime raccomandazioni della scuola di Salerno. Un boccone inghiottito è poi, davanti alle nostre malinconie, come la provvista d'aria di cui si rinnovano i nostri polmoni; lavoro inavvertito, quasi meccanico. Si continua a respirare, anche nei momenti più tristi, quando si dispera di tutto, e s'invoca la morte. Ma non filosofiamo; se no, perdo il treno… voglio dir l'ora buona per ragionare con quella cara figliuola. Stia di buon animo, su! Resta inteso ad ogni modo che Ella viene senza aver aria di saper nulla, di aspettar nulla, trattandosi d'una visita di presentazione alla mia modesta persona. Le cose van fatte da cavalieri molto sbadati, molto ignoranti, anche e più coll'amico Zuliani, il quale fra un'ora e mezzo mi darà l'annunzio della visita sullodata, che noi dal canto nostro non potremo dirne di aver già ricevuta. Quanto a Margherita, che crede? ch'essa non voglia più riconoscere il conte Aldini, neanche per prossimo? Comunque sia, mio caro, per levarla di pena, le invierò il mio bigliettino, e sperando di poterci scrivere una frase, del genere di questa: “il ponte del Paradiso è in ottimo stato di conservazione; ci si può passare senza pericolo„.