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Loe raamatut: «Tre racconti», lehekülg 12

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V

All'inverno, in città, le relazioni fra Guido e Maria, invece di farsi più intime, erano venute diminuendo di famigliarità, come anche di amorevolezza. A breve andare era sfumato affatto lo zelo di Guido per istruire la cuginetta, e perchè egli era stanco della durezza d'intendimento della ragazza, e perchè ritornato alle sue occupazioni artistiche e agli spassi della vita cittadinesca. Con Maria e' non si trovava più che all'ora del desinare, dove ella non parlava mai, fuori che quelle poche e volgari parole che erano necessarie: e quando Guido recavasi a stare un poco in compagnia della madre, per uno di quei confidenziali, amorevolissimi colloqui, a cui erano avvezzi, e in cui si trovavano tanto bene ambedue, la giovanetta, la quale di solito non si staccava mai dall'Anna, sentendosi d'impaccio in tali momenti e messa in gran suggezione dalla presenza del cugino, era lesta a rizzarsi, pigliare il lavoro e ritirarsi nella sua camera.

Colla buona, dolce ed amorevole creatura, che era la madre di Guido, Maria, a poco a poco era pur venuta, per così dire, addomesticandosi; e se non con molte e aperte parole mai (chè la sua natura era e pareva farsi ogni giorno più taciturna), cogli atti e coll'aspetto veniva mostrandosi e riconoscente e benevola. Sempre strana del resto, la vista della gente pareva farle paura: fuori che dell'Anna, incurante d'ogni altro: salvo quelle cose che giovassero alla cugina, tutto il resto ella faceva con isbadataggine e coll'apatia, si sarebbe detto, d'un essere poco intelligente e meno sensibile. Di frequente la giovanetta ricadeva in una specie d'astrazione, rimanendo immobile, muta, collo sguardo fisso e senza luce, colla mossa e coll'aspetto d'una statua di cera. A che pensava ella in quei momenti? Forse non lo sapeva neppur essa e, di certo, a nessuno era disposta a dirlo.

In breve tempo Anna aveva sentito la compagnia della povera orfana farlesi gradita ogni giorno più, infine quasi necessaria. Invero, senza che paresse, non c'era cosa di cui la madre di Guido avesse desiderio o bisogno, che la taciturna Maria, chetamente, con certe sue mosse destre nella loro grossolanità non fosse lì tosto a procurargliela o farla. Se Anna volgeva lo sguardo alla fanciulla non era mai che questa le mostrasse, come si suol dire, il bianco degli occhi; ma se ella era assorta in qualche pensiero, od occupata in alcun modo da non badar più alla compagna, allora Maria alzava adagio adagio i suoi grandi occhioni sulle belle fattezze della cugina, e stava lì con ammirazione, con affetto, a contemplarla tutto quel tempo che a lei non si faceva attenzione; ma appena la madre di Guido accennava accorgersi di essere così guardata, la giovinetta s'affrettava a chinar il capo sul suo lavoro, e non ne staccava più gli occhi.

Così, man mano erasi venuta avviando ed accrescendo una confidenza affatto intima fra la donna e la ragazza, tale però che, non uscendo mai quest'ultima dalla sua taciturnità, era la madre di Guido che trovava in quella domestichezza lo sfogo dei più minuti e delicati fra gl'interni affetti. E questi affetti quale scopo, quale argomento avevano che non fosse Guido? Parlava adunque di lui quasi sempre l'amorosa madre; poi veniva narrando a Maria del suo passato e la mesta storia de' suoi amori tornava sovente del paro sulle labbra della virtuosa donna, che tutta viveva e nelle memorie del tempo trascorso, e nell'amore grandissimo all'unico suo figliuolo.

Questi aveva visto con piacere come la compagnia dell'orfana tornasse di sollievo alla madre; e poichè ora una persona affettuosa e sommessa era lì continuamente, in assenza di lui, a indagare, indovinare e adempiere ogni desiderio e ogni bisogno di sua madre, Guido, forse senza pur volerlo, s'era lasciato prendere maggiormente dagli svaghi della vita mondana e dalle abitudini meno casalinghe della spensierata allegria d'artista. Tutte quasi le ore delle sue giornate egli passava nello studio, visitato spesso da amici e da compagni, e la sera qua e colà nei convegni, ai teatri, alle feste.

Di Maria, Guido si dava poco pensiero; aveva rinunziato affatto alla parte di maestro della giovinetta, nè si curava di domandare se e come questa profittasse degli ammaestramenti della buona Anna e degl'insegnanti che si erano chiamati per lei.

Trascorsi così l'inverno e la primavera, sopraggiunse l'estate. La salute di Anna veniva raffermandosi assai bene; non così quella della povera Maria. Fosse il nuovo genere di vita fatta sedentaria in città, da libera e vagabonda in campagna ch'ella era prima; fosse l'effetto di quanto la poverina aveva sofferto di stenti e di privazioni durante l'anno di malattia della nonna; fosse soltanto la crisi dell'adolescenza, il vero è che di giorno in giorno la giovinetta dimagrava e impallidiva, le si affondavano le occhiaie, la fronte e le guancie le si colorivano di tinte livide, smorta le si faceva sempre più la luce degli occhi, il petto le veniva affannato da certi soffocamenti per cui le era quasi tolto il respiro, e i polmoni aveva scossi da una tosse irritata e profonda.

Anna più volte aveva con premura interrogata la ragazza e pregatala dicesse se e che male si sentisse; ma ad ogni volta Maria, assalita da una fiamma di rossore fino sulla fronte, a cui tosto succedeva un pallore di morte, aveva risposto ratto non aver male di sorta, e s'era allontanata; fino a tanto che aumentando sempre cosiffatti sintomi, la madre di Guido, che n'era inquieta dimolto, aveva mandato pel medico di casa e senza dir nulla alla giovinetta, avevala fatta trovare un bel dì faccia a faccia col dottore preavvisato di tutto.

Esaminandola attentamente, il medico fece con amorevolezza alla giovinetta le volute interrogazioni, a cui ella rispose, come soleva colla cugina, mal vogliosa e passando dal rossore alla pallidezza: e sarebbe scappata via, se il dottore non l'avesse trattenuta per una delle mani lunghe, magre, umidiccie d'un freddo sudore.

Appena il medico ebbe lasciata andare quella mano, Maria guizzò verso l'uscio per fuggire.

“Senti Maria:” disse il medico.

La ragazza si fermò di mala voglia.

“Vieni qui.”

Ed ella si accostò a rilento.

“Dimmi un poco:” riprese il dottore, fissandola bene in volto: “Andresti volentieri a fare un giro al tuo paese?”

Maria diede una scossa, come colpita da una botta in mezzo al petto; tremò da capo a piedi; una più vivace vampa di rossore le salì alla faccia, e gli occhi le si imbambolarono, mandò fuori quella sua voce confusa che pareva un grido soffocato, che pareva un gemito, indizio in lei della massima emozione, poi, senza dir pure una parola, fuggì ratta come il baleno.

Il medico si volse ad Anna, e così le disse:

“Sa che cosa? È la donna che stenta a sbocciare dall'inviluppo di bambina; la qual crisi viene ancora complicata da quel misterioso male, per cui le spezierie non hanno farmaci, e che si chiama nostalgia. Se questa ragazza vivesse per due o tre mesi nel suo villaggio, attingerebbe nell'aere natio tanta forza da vincere ben tosto la lotta ed entrare in una fiorente gioventù. La è una strana creatura costei, fisiologicamente parlando, e fors'anche psicologicamente, la quale nella sua passività probabilmente contiene qualche cosa di più originale e di superiore alla comune. Ma codesta personalità, o impedita da qualche condizione vuoi morbosa, vuoi d'abitudini, o tarda per natura e per ragione stessa della sua indole, stenta a svilupparsi, tanto fisicamente quanto moralmente e intellettualmente eziandio, e sta assopita, costretta, per così dire, nel suo germe, finchè una benigna concorrenza di casi favorevoli non venga a destarla e promuoverla. Se io fossi in lei, signora Anna, la vorrei condurre per un po' di tempo al suo paese.”

Anna ripetè appuntino ogni cosa al figliuolo.

“Come s'ha da fare?” disse Guido. “A chi affidarla colà? E come separartene, mamma, ora che le hai posto tanta affezione?”

Fu colto in questo mentre da una subita idea.

“Ma forse tu stessa ci anderesti con piacere al tuo paese per un po' di tempo. E codesto gioverebbe eziandio alla tua salute. L'anno scorso ti fece tanto di buon sangue quella poca dimora colassù! Lascia che io provveda all'uopo, mamma, ti prego.”

Pochi giorni dopo, Guido entrava improvviso nella stanza dove erano ai loro lavori domestici Anna e Maria.

“Domani,” diss'egli con allegra vivacità e senza preamboli “domani partiamo per ***. Ho preso a pigione la casa, rifornitala di quanto occorre, e tutto è pronto per ricevervi. Potrete passarvi colà, alla freschezza di quell'aria, tutta la state.”

“Davvero!” esclamò con gioia la madre, battendo le mani in atto quasi infantile: “Oh bravo! Oh che tu sia benedetto!”

Poi tosto la sua contentezza fu temperata da una paura.

“E tu, Guido,” richiese ella dubbiosamente: “ci verrai tu pure?”

“Verrò ad accompagnarvi,” rispose il giovane, “ed a vedervi tutte le settimane una volta, o poco meno. Quanto allo starci anch'io di piè fermo, sai, mamma, che non si può. Ho da finire quel gran lavoro, nè posso assolutamente smetterlo o interromperlo.”

Maria, a quell'inaspettato annunzio, era rimasta là immobile, come sovraccolta dal massimo stupore, la mano levata sul suo lavoro, la bocca aperta, senza parola, quasi senza fiato.

“Hai udito, Maria?” le disse la madre di Guido. “Si va di nuovo al villaggio.”

La ragazza, cogli occhi sbarrati, guardava attonita, ora Anna, ora il giovane, come se non capisse punto.

Anna si chinò verso di lei, la prese per una mano e la trasse a sè, ripetendole soavemente:

“Si torna al nostro caro paesetto, hai capito?”

Maria si abbandonò a quell'attrazione, e forse per la prima volta cadde sul seno della cugina, mandando un gran sospiro e lasciando cascar di mano l'ago, la tela e l'anello da cucire.

“Ne sei contenta?” domandò Anna abbracciandola.

E la povera fanciulla rispose due o tre a bassa voce; poi nascondendo il volto nel seno della donna, ruppe in singhiozzi che certo non erano espressione di dolore.

VI

Guido, da principio, fu fedele alla data promessa: ogni settimana faceva una corsa a quel villaggio e vi rimaneva un giorno con sua madre; poi rassicurato compiutamente sulla salute di lei, la quale erasi del tutto ristabilita, cominciò a diradare i suoi viaggi, cui la lontananza rendevagli troppo disagiati e troppo pregiudicevoli alle sue artistiche occupazioni. Tanto più che svanendo i suoi timori intorno alla madre, il suo amore per l'arte aveva presa nuova e maggiore esaltazione e potenza. La madre se ne accorse e avutolo a sè, gli strappò la rivelazione ch'egli non sarebbe stato felice finchè non avesse potuto ammirare i capolavori artistici di Firenze e di Roma, e immergersi tutto, per così dire, in quell'ambiente di bellezza e di gusto che li circonda, nelle due gloriose metropoli dell'arte italiana. Non c'è amore meno egoista di quello materno; e Anna volle che suo figlio partisse. Si stabilì che Anna e Maria sarebbero rimaste al villaggio, e Guido sarebbesi recato, per dimorarvi alcuni anni, a Firenze ed a Roma; e così fu fatto.

Il giovane scultore, rapito dalle bellezze artistiche di quelle ammirabili città, allettato dai suoi successi, da qualche avventura amorosa, dalle vicende d'una vita libera e piena di sollazzi insieme e d'emozioni, stette fuori assai più tempo di quanto avesse voluto dapprima, e sei anni passarono prima che tornasse a rivedere il suo Piemonte e riabbracciare la madre sua.

A Maria, Guido aveva rivolto così poco il pensiero, che quasi può dirsi niente affatto. Sua madre però glie ne aveva scritto di quando in quando, e sempre le più belle e lusinghiere cose: che nel mentre la veniva rimettendosi in salute e vantaggiando di fisico, progrediva pure di cuore e d'intelletto; che essa, Anna, applicatasi ad insegnare a quella poveretta tutto quanto era in suo potere e sapere, cominciava a ricever lusinghiero compenso della sua pazienza e de' suoi sforzi; che quell'astrattaggine e quasi assenza temporanea d'intelletto, di cui Guido l'aveva vista afflitta, diminuiva sensibilmente, lasciando luogo soltanto a una freddezza e ad un riserbo che ora parevano orgoglio, ora indifferenza; ma che questa stranezza di modi proveniva nella fanciulla dall'indole speciale del carattere, non già da mancanza di cuore, perchè verso di lei Anna, la beneficata, tuttochè non uscendo da quel suo riserbato contegno, sapeva pur dimostrare un vero affetto e una vera gratitudine, e non ometteva cura e riguardo che si potessero immaginare.

Quest'ultima cosa era quella che interessava solamente a Guido di sapere; e quando la madre gli scriveva a tal proposito i più caldi elogi di Maria, egli ricordavasi di mettere nella risposta un motto amichevole di saluto per la cuginetta.

Quando Guido annunziò il suo ritorno, le due donne vennero a Torino ad aspettare l'arrivo del reduce. La buona Anna nel riabbracciare dopo tanto tempo suo figlio provò la maggiore dolcezza che sentir possa cuore amoroso di madre.

Guido non era più un giovanetto. I sei anni trascorsi e gli studi e le lotte della vita ne avevano fatto un uomo. Aveva trentun anno, la fronte un po' più ampia pel cader de' capelli, e nelle nerissime chiome già alcun filo d'argento. Ma il suo sguardo aveva lo stesso fuoco e la stessa animazione di prima; e la sua bellezza, fatta più virile, lo rendeva ancora meglio osservabile a chi ne mirasse la nobile ed espressiva fisonomia.

Poichè furono iterati parecchie volte gli appassionati abbracciamenti colla madre, e dato un primo sfogo a quell'ardore affettuoso di domande reciproche, Guido si guardò intorno, si meravigliò di non vedere presso sua madre la cugina Maria e ne domandò novelle.

“Non siamo giunte dal villaggio che ieri,” Anna rispose. “C'è tutto da mettere in ordine nella casa; e Maria, che s'è fatta la miglior massaia del mondo, è tutta occupata in queste faccende.”

“Bene bene,” rispose Guido. “E pare che i suoi uffizi da massaia le stieno più a cuore che il veder me, tanto poca premura ci mette a venir a salutarmi. Andrò io a cercare di lei.”

“Eccola qui,” disse la madre, mentre l'uscio si apriva pian piano, e una forma di donna che pareva sorvolare sul pavimento, non camminare, sì leggiera e graziosa aveva l'andatura, s'avanzava tranquillamente verso Guido.

Questi mandò un'esclamazione di meraviglia.

“Che?” esclamò egli. “Sarebbe questa la Maria?”

“Essa stessa:” rispose la madre sorridendo lietamente.

Guido fece ratto due passi verso la fanciulla che lo guardava calma, senza pure un'ombra di emozione, e ripetè la sua esclamazione ammirativa.

Aveva dinanzi un tipo perfetto di bellezza, una meraviglia di figura di donna.

VII

Il medico aveva avuto ragione, e il tornare all'aria nativa e, se non a tutte, a una gran parte delle prime abitudini della sua vita, aveva giovato assai alla salute di Maria e allo sviluppo della sua giovinezza. Quelle forme angolose e rigide s'erano venute a poco a poco rimpinguando e ingentilendo; le ricche e splendide chiome d'oro con più attenzione e con più intelligenza raccolte e curate, facevano una smagliante corona alla fronte di lei purissimamente modellata, piana, candida, veramente virginea; col formarsi della persona avevano cominciato a perdere la loro disavvenenza, poi avevano preso una certa acconcezza, da ultimo una grazia squisita le mosse, gli atti della fanciulla oramai giovine donna; dall'informe e rozza crisalide era venuta sprigionandosi e ora svolazzava trionfalmente la brillante farfalla dall'ali d'oro.

Al mutamento fisico tenne dietro altresì un mutamento morale. Studiò con attenzione e imparò; cessò dalla selvaggia soggezione e quasi diffidenza che aveva di tutto e di tutti. Fu detto come Anna, da sua madre, figlia d'un maestro di scuola, avesse ricevuta una istruzione più ricca e compiuta di quel che si sarebbe pensato potesse avere una povera ragazza d'un piccolo villaggio. Ora tutto il suo sapere fu per lei dolce e generoso soddisfacimento comunicare a quell'anima novellina; e fu un orgoglio il vedere come là dove avevano fallito e i maestri chiamati all'uopo e suo figlio medesimo, ella ci riuscisse colla sua amorevolezza e colla sua pazienza. Ciò accrebbe di vantaggio nella affettuosa madre di Guido quell'amore per Maria, cui già le avevano ispirato e le misere condizioni di questa e le prove tacite, modeste, ma non meno reali nella fanciulla, della sua gratitudine. Tale affetto prese alcun che di materno; se non la vita del corpo, era essa, Anna, che dava e schiudeva a quella creatura la vita dello spirito. Ci si adoperò, la brava donna, con quel calore di tenerezza, che ognuno mette per sempre nelle cose sue.

A poco a poco la condotta delle faccende domestiche era passata intieramente nelle mani di Maria; Anna non aveva più da prendersi briga di sorta, ma da desiderare soltanto; tutto sollecitamente era fatto dalla fanciulla, e con una tranquilla facilità e con un'opportunità che non lasciavano scorgere l'opera e solo facevano apparire gli effetti.

La giovane aveva preso assai gusto alla lettura; e molte ore del giorno soleva passarle leggendo. Anna aveva fatto trasportare al villaggio tutti i libri di Guido: storia, viaggi, poesia, romanzi, critica; e Maria, un dopo l'altro, lesse tutti quei volumi, e poi rilesse da capo. Che impressioni venissero in lei facendo tali letture nessuno potè saperlo, perchè ella non ne parlava mai, e per leggere si ritirava sempre nella solitudine della sua stanza, come vergognosa di lasciarsi vedere in tali momenti.

Maria con tutto questo era sempre taciturna come prima. Parlava non più del necessario, senza calore, senza commovimento mai, senza effusione: la collera, il trasporto dell'allegria e l'abbandono delle confidenze erano estranei a lei come il pianto e il riso.

La viveva così, chiusa in una superba indifferenza onde appariva diversa, e quasi direi, superiore alla comune dell'umanità. Quel suo contegno non più impacciato, ma serio e riflessivo, riusciva ben tosto ad imporne a chiunque l'accostasse; e siccome quando diceva il suo parere parlava sempre assennatamente, aveva acquistata su coloro che l'attorniavano un'autorità tacitamente riconosciuta, per cui, quando Maria aveva detto una cosa questa era risoluta.

Era dunque una persona affatto diversa da quella che Guido aveva lasciata partendo, la Maria che ora gli stava dinanzi e gli aveva fatto mandare esclamazioni di meraviglia.

“Maria! Maria!” ripetè lo scultore mirandola quasi estatico. “Sei tu? oh chi t'avrebbe riconosciuta?”

La fanciulla ebbe un lieve sorriso che le sfiorò le labbra, fissò i suoi occhi freddamente limpidi in volto al cugino, e con una voce armoniosa, ma non commossa dal menomo tremito d'affetto, nuova ancor essa per Guido, rispose placidamente:

“Sì, son io. Mi sono mutata dimolto eh?.. Te pure, Guido, hanno cambiato alquanto gli anni.”

Guido pensò tosto alle poche rughe della sua fronte, ai pochi suoi capelli canuti, e senza capirne bene il perchè, arrossì e sentì entrargli nell'animo un sentimento di scontentezza.

Primo di lui proposito, nel movere incontro alla cugina, era stato quello di abbracciarla come una sorella; ma la vista di quella bellezza, subito lo aveva sbalordito, poi la fredda gravità di quell'accoglimento lo aveva sconcertato. Il sorriso indifferente di Maria, le poche di lei parole erano state per Guido come acqua fredda gettatagli in volto: invece di abbracciarla, egli le tese una mano. Maria pose in quella di lui la sua destra, una mano piccola, esile, lunghetta, morbida e cedevole alla pressione, ma fredda come lo sguardo, indifferente come l'accento; e senza rispondere alla stretta, ne la tolse poi tosto.

“Ogni cosa è preparata nella tua stanza:” disse ella, “e tu hai certo bisogno di andarti a riposare.”

La sera, prima di addormentarsi, Guido ebbe con insistenza innanzi a sè, nella sua fantasia d'artista, l'immagine della cugina.

«Che bella figura! Che strano tipo e stupendo! Chi si sarebbe sognato mai che da quel mostricciuolo saltasse fuori una tale perfezione di forme? La è una figura che ogni artista sarebbe ben lieto di riprodurre. Servirebbe a meraviglia per una testa di Venere la sua… no, meglio di Giunone.»

Addormentatosi, dopo non breve dar di volta qua e là, sognò di trovarsi in un ampio e grandioso studio, attorniato dai migliori capolavori dell'arte greca e italiana; e là in mezzo nell'ardore d'una ispirazione feconda, quale non aveva avuta mai, senza punto aver modellato la creta, far egli di botto risaltare a colpi di scarpello da un gran masso di marmo una statua d'insuperabile bellezza: e tale statua, che sotto i colpi della sua mano febbrilmente concitata, pigliava forma e mossa ed espressione, aveva i lineamenti, il portamento e il contegno di Maria.

Il giorno dopo si agitò fra madre e figlio una grande quistione: dove stabilire la comune dimora? Alla città o al villaggio?

Guido in quel momento bramava andare al paesello; diceva quel soggiorno essere più giovevole alla madre; egli stesso aver bisogno di riposo e di quiete.

“Vivremo colà alcun tempo, solo da noi e per noi!” esclamava con calore.

La madre, al contrario, sosteneva che Guido colà presto si sarebbe annoiato, che avrebbe negletto l'arte sua; e ciò non doveva fare a nessun costo; affermava che a lei la più giovevol cosa di questo mondo era star presso suo figlio in qualunque luogo poi si fosse; che quindi Guido aveva da ripigliare senz'altro quella sua vita cittadinesca cui erasi assuefatto prima di partire.

Anna fece appello al giudizio di Maria, la quale, seduta al suo lavoro presso la finestra, non aveva pronunziato ancora una parola e non mostrava aver prestato la menoma attenzione al discorso.

Maria sollevò lentamente la testa, e guardando il cugino con quella medesima espressione con cui guardava il panno che stava cucendo, disse coll'accento d'un umile personaggio che proclama, per mandato d'un'autorità superiore, una sentenza inappellabile:

“Tu, Guido, ti devi a tua madre, è vero; ma all'arte tua eziandio. Al villaggio quest'ultima sarebbe da te abbandonata; ed a tua madre, l'hai sentito, basta per esser lieta, il viver teco.”

Anna si volse in aria di trionfo a suo figlio.

“Vedi che avevo ragione!”

Guido lanciò uno sguardo di fuoco sulla cugina, la quale, senza scomporsi altrimenti, richinava la testa sul suo lavoro con una graziosa curva di collo; e non ribattè parola.

Maria aveva parlato; la lite era finita. Si rimase a Torino.