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Loe raamatut: «Tre racconti», lehekülg 13

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VIII

Guido abbandonava spesso il suo studio pel salotto in cui era solita lavorare Maria. Una irrequietezza, qual forse egli non aveva provato mai, lo travagliava di continuo; intorno al suo lavoro non aveva pazienza di reggere lungo tempo; in mezzo a tutti i suoi concepimenti artistici venivagli sempre un pensiero estraneo che lo sviava; parecchie volte ei si trovava innanzi al masso di creta cui s'era messo per plasmare, immobile, le braccia penzoloni, la fantasia lontana lontana dal suo lavoro. Allora, indispettito gettava gli attrezzi e la blusa, ed usciva, come se all'aria libera avesse da riacquistar tosto l'idea e la volontà che gli erano fuggite.

Non v'era più donna che trovasse convenirgli per modello; in tutte scopriva mille difetti: non la grazia, non la purezza delle linee, non l'espressione ch'egli andava vagheggiando; e si raccomandava agli artisti suoi compagni perchè gli procurassero quanto conoscevan di meglio.

«Voglio fare una grande statua, un'opera da metterci l'amor mio, la mia gloria;» diceva egli. «Sarà una Venere, sarà un'Ebe, sarà una Psiche… fors'anco una Madonna? Non so. Ma ne ho in capo delle forme vaghe d'un'armoniosa bellezza, cui vorrei poter far concrete coll'aiuto d'una realtà che s'accostasse un poco al tipo ch'io vagheggio; e la sciupata beltà di queste vostre modelle, qualunque m'avvenga d'incontrare, sta al mio sogno come la volgarità d'un becero alla sublimità d'un poeta.»

Un giorno ch'egli ripeteva cotali sue parole, un allegro scapato de' suoi compagni rispose ridendo:

“Se vuoi una figura veramente superiore in leggiadria, qualche cosa d'angelico congiunto a tutto ciò che ha di bello la carne… e la ne ha, cospetto se ne ha di bello questa povera carne così maltrattata dagli ascetici!.. Se vuoi una simile meraviglia, te la posso additar io.”

“Sì?” interrogò Guido con avida curiosità.

“Sicuro. E ce l'hai proprio, come si suol dire a gittata di mano.”

La fronte di Guido si corrugò.

“Chi?” interrogò egli con voce punto punto di scherzo.

“Piglia tua cugina.”

A Guido il sangue diede un rimescolo; sentì le sue guancie impallidire, poi accendersi; un subito impeto lo assalse d'inveire contro chi aveva così parlato, e se ne ritenne a stento.

“Taci;” gli disse con fiero cipiglio: “questi non sono scherzi, ma sciocchezze.”

Per nascondere la sua emozione, si alzò e si diede a girare per lo studio, toccando questo e quell'oggetto senza ragione, e in fatti non sapendo quel che si facesse. Ma il peggio fu che quelle parole del buontempone fecero sorgere fra tutti i presenti un vero concerto di lodi e d'ammirazione alla ragazza. Guido stava come sui carboni ardenti, e si faceva forza per trattenersi dall'insultare quegli encomiatori di sua cugina, che pur si tenevano nei più stretti limiti delle convenienze. Gli pareva quella poco meno che una profanazione.

Si svestì della veste da lavoro con moto che pareva di rabbia, e infilando affrettatamente il soprabito, e piantandosi in testa il cappello:

“Usciamo,” gridò; “ho da uscire io… ho bisogno di respirare aria libera.”

La verità era che il pensiero di pigliare Maria a modello della sua statua gli andava spesso per la mente, e senza spiegarsene bene il motivo, ne sentiva vergogna, e non osava confessarlo neppure a sè stesso.

Soventi volte gli avveniva che, solo, nel suo studio, ripensando a quei lineamenti che aveva impressi nel cuore e nel cervello, gli sembrasse di non ricordarsene più esattamente, di non aver presente più qualche minuta particolarità di quella fisonomia, precisamente come accade a chi guardi troppo fisso e troppo lungamente un oggetto, che la vista gli si confonde, e l'oggetto medesimo pare abbuiarglisi, e perdere la precisione delle forme.

«Quando abbassa lentamente quelle sue lunghe ciglia di seta dorata, la sua fisonomia piglia un fare raffaellesco che non ho mai potuto compiutamente afferrare; quando atteggia le labbra al suo superbo sorriso, gli è più qua e più là che s'incava nelle sue guancie quella cara pozzettina tutta grazia e avvenenza!»

Così dicevasi egli, e correva presso di lei a rivederla, col desio di chi da lunghi giorni non ha più visto cosa che gli è carissima. E ad ogni volta parevagli che una nuova bellezza gli si manifestasse.

«Eppure,» pensava altresì Guido tal fiata nella sua solitudine, «eppure manca qualche cosa in quella perfezione! Vi è ancora un grado superiore di bellezza a cui la potrebbe giungere. Che cos'è? Non so bene; ma direi che una lieve nebbia avvolga e veli tanto splendore, rimossa la quale, più viva e più eletta ne sarebbe la luce.»

Una volta che pensava appunto a codesto, mirando il fino e purissimo profilo di Maria, questa alzò il capo con quella sua solita mossa lenta e tranquilla, e volse verso Guido lo sguardo più freddo e più indifferente del solito.

«Ah! quello sguardo non ha vita, non è l'espressione d'un'anima,» disse il giovane fra sè. «È lo sguardo d'un automa, non rivela nè l'intelletto nè il cuore… Ecco ciò che le manca. La scintilla del pensiero e dell'affetto. Oh! se un Prometeo venisse e infondesse in quelle belle membra il fuoco celeste!.. Come? Possibile! Quella non sarebbe che una meraviglia di forma, e in essa non si conterrebbe il quid divinum, l'essenza superiore, la bellezza ideale cui adombra la corporea?.. No, no: la sacra favilla è nascosta, ma vi è di sicuro. Felice chi la susciterà! E allora anche l'avvenenza delle forme ne sarà avvantaggiata e compiuta. Ah! se io…»

E non osò nemmeno formolare il pensiero che seguiva.

C'era poi delle volte che, mirando quell'inalterabile serenità dello sguardo di lei, Guido ne provava quasi dispetto. Avrebbe voluto far qualche cosa da scuoterla in un modo o in un altro, fosse pur anche eccitandone lo sdegno; ma per quanto tentasse questo mezzo e quello, la placidità contegnosa della ragazza non si alterava pur mai.

Un dì Guido era venuto a sedersi, come soleva spesso, vicino alla fanciulla che lavorava al suo solito posto; la madre dello scultore non era molto lontana, Anna e il figliuolo parlavano interrottamente; la giovane, come l'usato, se non la s'interrogava, taceva. Guido ammirava, come se non le avesse viste mai, le sempre più belle fattezze di Maria; e in quel momento, fosse la sua intima emozione che lo illudesse, fosse la realtà, credeva di scorgere nel volto di lei una traccia, non dirò di tenerezza, ma di sentimento. Anzi, ad un punto ch'essa levò il viso, per guardare traverso i vetri della finestra (che erano chiusi) o il cielo, o la casa dirimpetto, o due rondini volanti, o forse nulla di preciso, parve a Guido che un lampo di pietoso e di benigno affetto passasse sui lineamenti di lei. Egli si sentì inondare il cuore da una nuova commozione, come se gli fosse apparsa a sorridergli allora lusinghevolmente la Dea della speranza.

Poco di poi Maria lasciò cadere le sue forbicine; e l'artista lesto a chinarsi per raccoglierle. La ragazza si curvò anch'essa, e abbassò la sua bianca mano a prenderle. I due giovani, chini ambedue, si toccarono leggermente; e Guido con un lieve fremito dolcissimo nelle fibre, sentì sulla guancia, sulla fronte, sul collo scorrere soave una ciocca dei capelli di Maria. Fu per lui un istante di delizia ineffabile: il cuore gli batteva ratto ratto e forte forte, sì che gli pareva doversi rompere, dandogliene un tormento insieme e una gioia da non potersi esprimere. Le destre d'ambedue trovarono le cercate forbici, incontrandosi; Guido prese colla sua calda e fremente la fredda mano di lei, che pareva di marmo, e la tenne un poco, e la strinse. Non la più lieve pressione, non il menomo moto gli rispose, nè pure un tentativo per isvincolarsi; ma, sollevando egli le pupille, incontrò quello sguardo vitreo, in cui non c'era rimprovero, nè stupore, nè emozione di sorta, ma la solita freddezza, che gli parve fatta più ingrata da una fugace espressione d'ostilità.

Guido abbandonò quella mano, arrossì un poco, e si trasse in là, imbarazzato e indispettito.

Maria, prima di ripigliare il suo lavoro, lasciò cascare quasi sbadatamente lo sguardo sui vetri della finestra, e questa volta visibilmente apparve sul suo volto un sentimento che avreste detto di compassione.

Lo scultore sorse subito in piedi, e guardò ancor egli in quella direzione; vide a una finestra di prospetto una tendina abbassarsi prestamente sotto la mano d'un uomo che si ritraeva.

Fino allora, Guido non avea saputo rendersi un conto chiaro e preciso del sentimento che gl'ispirava sua cugina. La subita gelosia che lo morse al cuore a quel punto, gli aprì gli occhi. Egli amava Maria disperatamente. Egli, che non aveva ancora amato mai, l'amava con tutta la potenza dell'anima sua. L'amava di quell'amore dell'uomo maturo, che ha ancora tutta la foga della prima giovinezza, e ha già la tenacità della forza virile; quell'amore che è l'ultimo che occupi il cuore d'un uomo, perchè vi s'incide profondo e incancellabile.

L'amava, così da non avere più bene che con lei e per lei, l'amava da non poterla pensare nelle braccia d'un altro. L'amava ed era ferocemente geloso.

A questa scoperta impallidì, provò ad un punto e vergogna di sè stesso e dispetto contro quella creatura cinta di tanta freddezza che pure aveva potuto accendere in lui un tanto ardore; ma poi, tosto, un impeto misto di tenerezza e di gioia lo assalse, perocchè sentì essere un gran fatto, una tremenda ventura nella vita dell'uomo quella che un vero, profondo, appassionato amore ne invada l'anima.

Sua madre gli dirigeva giusto in quel punto una domanda. Guido, oppresso dalla sua emozione, non seppe rispondere, balbettò alcune parole, e per celare il suo turbamento, non trovò altro mezzo migliore che quello di uscire dalla stanza.

Anna lo seguitò con uno sguardo pieno d'inquietudine materna.

“Hai tu osservato?” diss'ella poi a Maria con voce commossa. “Guido ha qualche cosa che lo tormenta, forse un segreto dispiacere.”

E Maria levando il suo placido viso e coll'accento della più naturale tranquillità:

“Non istate a mettervi in mente di queste cose, Anna, che vi farete male senza una ragione al mondo. Il vostro occhio di madre è sempre pronto a vedere alcun male e farvi impaurire sul conto di Guido; ma vi dico io che l'ho osservato bene eziandio, ch'egli non ha nulla.”

E intanto l'artista era corso a chiudersi in camera, e passeggiandovi in lungo e in largo a passi concitati, i pugni chiusi, la faccia contratta, esclamava con impeto che metà era di sdegno, metà di contentezza:

“L'amo, l'amo, l'amo come un pazzo.”

Si arrestò a mezzo la stanza, sopraccolto a un punto di bel nuovo da quel sospetto che aveva destata così di subito la sua gelosia. Accostossi alla finestra la quale guardava nella stessa strada in cui quella del salotto dove lavorava Maria.

Al balcone di prospetto a cui aveva già visto muoversi una tendina, Guido scorse dietro i cristalli la faccia d'un giovane che stava assorto contemplando innanzi a sè. Lo scultore mandò una bestemmia e lasciò cadere un pugno sul davanzale.

“Ed essa lo amerebbe?.. Potrebbe amarlo mai?” si domandò cacciandosi le mani nei capelli. “Amarne un altro!.. Essere d'un altro!.. Lei!.. Oh!”

E due calde lagrime gli spuntarono dagli occhi.

“Voglio sapere chi è colui.”

Nel fugace istante in che gli era apparsa la figura di quel cotale, Guido aveva scorto delle chiome bionde, una faccia pallida e magra, due occhi languidi, un sorriso pieno di mestizia, benchè su labbra di venticinque anni.

L'artista si pose di nuovo a passeggiare per la camera parlando a sè stesso nella concitazione della sua mente.

“Maria penserebbe a quell'uomo?.. E potrebbe giungere ad amarlo?.. E lo amerebbe?.. No, no; è impossibile… Forse ella non è neppure capace d'amare. La sorte, facendola di tanta perfezione esteriore non volle che a questa corrispondesse l'interno! Ed è forse meglio così. Sarebbe troppo se pari alla beltà del corpo fosse il valore dello spirito. Non è che una meraviglia di forma cui bisogna contentarsi di vagheggiare senza chieder di più. Ma questo diletto, non vorrei che altri nemmeno lo avesse; non vorrei che occhio d'altri pur potesse mirarla. Al pari di me nessuno nè può, nè sa capire la poesia di linee che l'abbella…”

Tornò alla finestra. Il giovane di prospetto più non compariva. Guido appoggiò la sua fronte ardente ai vetri.

“Eppure” rispose egli dopo un poco, “è egli possibile che la natura abbia lasciato imperfetto un simile capolavoro e manchi il cuore?.. Forse l'anima in lei non è posta al riparo, dietro tanta freddezza, se non per conservarvi più intatte, più sublimi, più divine tutte le potenze affettive, e felice chi giungerà sino a quell'anima per ridestarvele! Chi sa quanti tesori d'amore si nascondono forse in quel cuore addormentato!.. E perchè non potrei essere io quello che?.. E perchè non mi amerebbe?..

«Amore… a null'amato amar perdona.»

Oh! se mi amasse!..”

Corse allo specchio a guardarsi.

“Ah! la mia giovinezza è oramai ita!.. Oh darei la mia parte di paradiso per essere ancora a venticinque anni.”

Si ravviò la chioma, si lisciò la folta barba, e poi sorrise di scherno a quegli atti come vergognandosi di sè stesso.

“Chi me l'avesse detto!.. Ma torno io forse peggio d'un fanciullo?.. Eh via! Non è colle grazie d'un ganimede da figurino che si conquista il cuore d'una donna dabbene. E se Maria fosse tale da pigliarsi con quelle arti e con quei meriti? È così strano, è così piccolo l'animo della maggior parte delle donne! Quello là di faccia è giovane, ed è biondo al pari di lei… Ella non sa, non può supporre nemmeno qual vulcano d'amore frema nell'anima d'un uomo come son io…”

Uscì per prendere informazioni sul giovane che abitava dirimpetto.

IX

Era figlio unico di un ricco signore. Amato ciecamente come tutti i figli unici e per essere egli cagionevole di salute, otteneva sempre dal padre tutto quanto gli potesse venire in mente di desiderare. Il sospetto geloso di Guido aveva indovinato il vero. Quel giovane era stato preso della bellezza di Maria, vedendola ogni giorno al lavoro presso alla finestra. La fanciulla, per lungo tempo non s'era neppure accorta di quel volto d'uomo, che stava con tanto d'occhi ardenti a contemplarla; avvistasene poi una volta, senza affettazione, come senza turbamento, aveva tirate le tendine per mettersi al riparo dalla curiosità di quegli sguardi, e per un poco aveva continuato a far così, sempre che vedesse comparire la faccia di quel giovane. Ma un dì, guardandolo ella per caso un po' più attentamente, vide sulla faccia di quello sconosciuto tanto cordoglio e sì modesta e calda preghiera, che la ne sentì una viva pietà, e senza darvi nè importanza, nè pure un pensiero, finse d'allora in poi non avvedersi più della presenza di colui, e lasciò che il giovane la contemplasse a suo bell'agio. Ed egli, forse temendo che tanta ventura gli venisse nuovamente ritolta, se ne abusasse o troppo scopertamente ne usasse, prese il costume di stare nascosto dietro la tenda e non apparire alla scoperta che di tratto in tratto, beatissimo allora quando lo sguardo della ragazza, alzandosi dal lavoro e andando sbadatamente in giro, veniva a cadere su di lui. Un giorno finalmente quel giovane disse a suo padre che se non isposava quella ragazza, sarebbe infelice per tutta la vita. Il padre, sapendo che la fanciulla era povera e di umil nascita, dapprima contrastò e volle tentare ogni possibil mezzo per isviare il figliuolo da tale idea; ma il giovane, che era innamorato assai più che non si credesse, sempre stette fermo al suo proposito, tanto che i suoi, entrati in timore per la salute di lui, decisero finalmente di contentarlo.

“Quella ragazza sarà tua sposa;” gli disse il padre. “Sta' di buon animo e Dio te la mandi buona.”

Il giovane fu per isvenire dalla contentezza, e buttandosi al collo del genitore, lo ringraziò vivamente più coi baci e con le lacrime che con le parole.

Codesto intimo dramma aveva avuto luogo senza che dalla famiglia di Maria nulla se ne sapesse, eccetto la muta contemplazione del giovane, della quale da ultimo erasi accorto Guido. Ed ecco che pochi giorni dopo quell'ora di spasimo e di esaltazione, mercè cui lo scultore aveva conosciuto tutta l'estensione e la profondità dell'amor suo, rientrando in casa il nostro protagonista incontrò un vecchio signore affatto a lui sconosciuto, che usciva: Guido si affrettò ad entrare nel salotto, dove trovò sola sua madre, evidentemente sopra pensiero.

“E Maria?” domandò egli.

“È nella sua stanza:” rispose la madre. “Ho avuto adess'adesso un colloquio a cui non era conveniente che ella assistesse.”

Guido sentì stringersi il cuore da un doloroso presentimento.

“Un colloquio?” balbettò egli. “Con chi? E a qual proposito?”

“Anzi t'aspettavo con molto desiderio per discorrerne teco,” seguitava la madre. “Non hai visto, entrando, un signore che si partiva di qui?”

“Sì, ebbene?”

“È il signor X…; ed è venuto a domandarmi per suo figlio, un unico figliuolo, la mano di Maria.”

“Ah!”

Guido si appoggiò sul marmo del caminetto, e per caso alzò gli occhi allo specchio ond'era sormontato; egli si vide così pallido che non osò più voltarsi, per timore che la madre s'accorgesse del suo turbamento.

Dopo un poco, chiese con voce che si sforzò a tutto suo potere di render ferma:

“E tu, che cosa gli hai risposto?”

“Che avrei consultato Maria, e che noi non avremmo fatto che quanto ella volesse.”

“Hai risposto eccellentemente:” sussurrò Guido, a cui pareva mancare la voce; e poi, sedendo presso il camino, si curvò sopra i tizzoni ardenti che si mise a tormentare con le molle.

Anna continuava:

“A dir vero, le convenienze ci sono tutte. Lo sposo è ricco, giovine, amatissimo da suo padre, e questi me lo affermò innamorato alla follia della nostra Maria…”

Le molle caddero dalle mani di Guido.

“Innamorato! Innamorato!” diss'egli con voce stizzita, smozzicando le parole fra i denti. “Bel merito! bel merito!.. E chi sa che razza d'amore!.. Una fiammata che la possessione estingue, non una di quelle passioni…”

S'accorse che s'avviava per una strada inopportuna e s'interruppe. Riprese le molle e ricominciò a battere con rabbia sopra i tizzoni.

“Ricco!” soggiunse. “La gente quando ha detta questa parola, crede aver detto tutto. Eh!.. in un matrimonio, c'è ben altro eziandio a cui badare.”

“Hai ragione,” disse Anna, “ma nel nostro caso la famiglia è affatto onorevole, e sul conto del giovane credo che non si possa dire che bene.”

“Uhm!”

“Come! Avresti udito qualche cosa non buona di lui?”

“No, no,” s'affrettò a risponder Guido, che sentì subito una gran vergogna de' fatti suoi.

Anna ripigliava:

“Del resto ne possiamo discorrere a bell'agio tutti insieme. Se tu credi, sveleremo subito la cosa a Maria.”

“Sì, sì, come vuoi:” disse Guido con una nascosta agitazione. “Anzi tu dici bene, è meglio parlargliene al più presto.”

Fu mandata a chiamare la ragazza.

Ella venne tosto col suo passo leggero e l'andatura graziosamente spigliata in una noncuranza piena di garbo.

Anna sedeva sopra una poltrona in faccia alla finestra; Guido su una seggiola bassa, accosto accosto al camino. Guardò egli di sottecchi la fanciulla che s'avanzava, e poi curvandosi, sul focolare si rimise a percuotere con più violenza i tizzoni.

“Maria,” disse la madre di Guido, facendole cenno che sedesse, “abbiamo da parlarti di cose importanti che ti riguardano.”

“Me?” interrogò la ragazza stupita; e poi tosto, vedendo il mal governo che Guido stava facendo del fuoco, si rivolse a lui con piglio graziosamente autorevole: “Guarda se questo è modo di assettare il fuoco!.. Hai mandato la cenere fin qui sul tappeto!”

Guido gettò via le molle e appoggiate le gomita sulle ginocchia, con le mani si reggeva la faccia; Maria prese la spazzola del cammino e levò via con tutta cura la cenere sparsa; poi andò a sedersi sopra uno sgabello ai piedi di Anna, pigliò fra le sue e ritenne la mano che questa le tendeva, e guardandola con que' suoi occhi limpidi e sgranati, le disse:

“Parlate pure; vi ascolto.”

“Si tratta della cosa più importante per una ragazza:” cominciò Anna sorridendo: “d'un matrimonio per te; e noi dobbiamo chiederti la tua volontà a tale riguardo.”

Maria non manifestò la menoma commozione; dopo il suo solito glaciale sorriso, metà superbo, metà incredulo disse pacata:

“Un matrimonio per me? È un'idea che mi riesce affatto nuova, a cui non ho vòlto mai la mente… Perchè un matrimonio?.. Uscire da questa casa io, per entrare in un'altra del tutto estranea, in mezzo ad estranei?.. Voi mi domandate intorno a ciò la mia volontà quale sia? Che cosa posso io volere, io che non conosco nulla della vita e non so nulla del mondo?”

Anna le spiegò in breve come realmente fosse nel destino della donna il farsi sposa e madre; le rivelò qual fosse il partito proposto, quali vantaggi avesse, quali fossero le buone qualità del giovane e le felici condizioni del casato, e concluse con le seguenti parole:

“Io t'ho posto innanzi tutta la verità delle cose perchè tu ti potessi decidere con piena conoscenza di causa. Certo a noi dorrà grandemente il perderti, mentre, tu lo vedi, t'amiamo come figlia e sorella e sei tanta parte della nostra famigliuola; ma tu non hai da consultare che il tuo interesse e il tuo bene, e quando noi ti vedremo felice saremo lieti, per quanto ci abbia a costare il separarci da te.”

Maria aveva ascoltato il discorso della cugina, immobile e indifferente, come se le si parlasse di cose risguardanti tutt'altri che lei. Quando Anna ebbe finito, ella chinò il capo, quasi per raccogliersi in sè, e lasciò andare la mano della cugina che teneva ancora fra le sue.

Guido, che fino allora era stato colla faccia chiusa fra le palme, sollevò la testa e volse uno sguardo ansioso verso la ragazza, di cui attendeva la risposta.

“E così,” cominciò poi Maria a dire lentamente, “voi mi consigliate ad acconsentire?”

Guido diè un balzo e parve voler prorompere con vivaci parole, ma si contenne.

“Noi non vogliamo influire sulla tua decisione, nè in un verso, nè nell'altro,” disse Anna, “ma è nostro obbligo il metterti sott'occhio le cose come stanno.”

“Bene,” disse Maria; e stata ancora un poco sopra sè, soggiunse poscia con accento d'espansione più che non avesse avuto ancora mai:

“Non voglio dividermi da voi, Anna. Io non ho bisogno affatto di nuove affezioni; anzi ne sono schiva… Quando morì la mia povera nonna… (vi dirò con tutta schiettezza cosa che non vi ho mai detta, solo perchè non me ne venne l'occasione) quando morì quella santa donna, io non era che una bambina; eppure v'era già qualche cosa in me che, non dirò ragionasse, ma sentiva in un modo tutto suo particolare; ebbene, allora, io mi dissi che non avrei amato più, che non avrei potuto amar più nessuno al mondo come quella povera morta.”

Fece pausa un istante. Ella non aveva ancora parlato mai sì a lungo di cosa che la riguardasse; e forse per la prima volta, dacchè Guido la udiva, la voce metallica di lei aveva una vibrazione d'affetto.

Maria ripigliava:

“Perchè, vedete, io bisogna che ami a tutto mio modo, e sia amata secondo un mio modo… Quella povera vecchia nonna come sapeva amarmi! Come mi pareva che sapessero amarmi le gole e il vento, i castagni e gli abeti, i fiori selvaggi e i freddi ruscelli delle mie montagne! Come le mie capre vagolanti sui ciglioni dei dirupi ed accorrenti alla mia voce!”

Negli occhi suoi s'era acceso uno di quei lampi di sensitiva intelligenza che accennai darle talvolta, quand'essa era bambina, un'espressione ammirabile, lampi che s'erano fatti sempre più radi; le ciglia le tremolavano, come sotto la pressione di lagrime ch'ella si sforzasse di ricacciare indietro.

Quanto era bella in quel momento! Guido fu a un punto di gettarsele in ginocchio dinanzi ed esclamare:

«Maria, t'amo a mille doppi, io; e saprò amarti più di tutto e di tutti, e per tutta la vita!»

Fu la madre di lui che disse con accento di tenera rampogna e di amoroso rimpianto:

“Oh che dunque noi non abbiamo saputo amarti, Maria?”

La fanciulla aveva già vinto quel po' d'emozione per tornare alla sua calma abituale.

“Ah! non dico questo” esclamò, “anzi!.. Statemi a sentir con pazienza, e vedrete.”

Prese la mano di Anna, la baciò, e poi seguitò tranquillamente il suo discorso.

“Dunque alla morte della nonna, io non credeva di poter rivoler bene a qualcuno, e venni a star con voi (come forse ve ne sarete accorti) con la malavoglia di chi soggiace ad una necessità. Non ci voleva che la vostra bontà infinita, Anna, per vincere quella mia permalosa rustichezza. Voi avete addomesticata questa creatura selvaggia, a forza di benevolenza e di generosi riguardi. A mano a mano io mi sono assuefatta a voi; senza volerlo, sorse in me per voi una parte di quell'affetto che nutrivo per quella mia buona vecchierella che dorme laggiù nel cimitero del nostro villaggio: e ora, Anna, vi voglio bene.”

Non aveva mai detto cotanto. Benchè la sua voce non fosse punto commossa, pure c'era un non so che, leggiero, leggiero, ma apprensibile, un'aura direi, un profumo di sentimento che Anna ne fu tocca. Prese la testa della ragazza, che le sedeva sempre ai piedi, la strinse a sè, e chinatasele sopra, la baciò, come avrebbe potuto fare una madre. Maria si prestò a quelle carezze con passivo abbandono, senza restituirle, sorridendo a suo modo, e lasciò il suo capo con muta compiacenza riposare in grembo della cugina.

Di Guido ella non aveva parlato, nè pur fatto cenno, nè voltogli uno sguardo, nè mostrato pure di ricordarsi che esistesse: eppure l'innamorato artista, a due passi da lei, contemplandola rapito, le mani giunte, sentivasi per quelle parole scorrere un fluido di soave voluttà per tutte le vene.

Stata così un poco, Maria raddrizzava compostamente la persona, e continuava:

“Ora abbandonarvi e vivere in nuovo ambiente, in nuove condizioni, sarebbe per me una sventura. Ora sono certa che non amerò più altri che voi, mia buona madre e amica e sorella e tutto… Non mi scacciate dal vostro fianco, e lasciatemi viver qui.”

Anna era per rispondere; ma Guido non glie ne lasciò il tempo.

“Sì, sì,” proruppe, “tu hai ragione. Non viviamo noi affatto bene insieme? Perchè separarci?.. Scacciarti, noi!.. Ma tu ci sei necessaria come l'anima della casa!.. Ma se tu mancassi di qui, queste pareti diverrebbero tetre, e queste stanze parrebbero un sepolcro…”

Si accorse che nelle sue parole v'era troppo calore e nel suo accento troppo impeto. Maria lo guardava con occhio fisso e freddo. Egli tentò correggersi.

“Mia madre ha bisogno di te:” soggiunse. “Chi ti togliesse a lei, la priverebbe del suo braccio destro. Resta con noi. Ti si offre la ricchezza! che ne faresti tu così semplice e modesta? Credi a me, che conosco il mondo. È ben altra cosa che i denari quella da cui si può avere la felicità sulla terra. Noi ti ameremo come ti amava la nonna… di più ancora!.. Che tu sii benedetta. Maria, per le parole che hai pronunziate! A te devo in parte la guarigione di mia madre, a te dovrò la contentezza della sua tarda età… Oh te ne sarò tanto riconoscente, Maria!..”

In queste parole, l'amore non osava levarsi la maschera, ma tutto pure si faceva sentire nell'ardenza degli sguardi, nel suono della voce. Anna ebbe per la prima volta sospetto del vero; Maria seguitava a guardar Guido colla sua placida indifferenza.

“Or dunque è deciso;” ripigliava lo scultore, “questo matrimonio tu lo rifiuti. Bisogna farglielo saper subito a quel tale.”

“Il signor X…” disse Anna, “ripasserà domani.”

“E perchè obbligarlo a venire egli medesimo, quando la risposta ha da essere sfavorevole?.. Da' retta, mamma: il meglio è che tu subito, con tutti i possibili riguardi, glie ne scriva.”

Anna avvolse il figliuolo, se così posso dire, con uno sguardo scrutatore ed amorevolmente compassionevole insieme, poi disse a Maria:

“Ci hai tu pensato abbastanza? È questa una risoluzione definitivamente presa, di cui tu non abbia a ricrederti, a pentirti?”

Maria scosse tranquillamente il capo.

“No cugina, non me ne pentirò mai.”

“Vuoi pensarci ancora?”

“È inutile. Dirò domani e doman l'altro e tutti i giorni di seguito quello che ho detto oggi.”

“E sia! Quanto io desideri conservarti presso di me, non ho parole per esprimertelo. La tua determinazione, io ne ho ferma fiducia, sarà per il meglio di tutti.”

E mandò un'occhiata piena d'espressione verso Guido, il quale nella sua contentezza, s'aggirava pel salotto, canterellando e fregandosi le mani.

“Ora vanne un momento nella tua stanza. Maria,” soggiunse Anna, “ho qualche cosa da dire a Guido.”

Questi, all'udire tali parole, si fermò su due piedi, come stupito, e guardò con occhio di desiderio e di rincrescimento Maria, la quale si alzava tranquilla tranquilla a suo modo e se ne partiva senza aggiungere una parola.

“Guido!” esclamò la madre, quando Maria ebbe richiuso dietro sè il battente dell'uscio: e la voce, con cui questa sola parola fu pronunziata, era impressa d'immenso affetto.

L'artista che teneva ancora gli occhi fissi sulla porta per cui la ragazza era uscita, si volse e vide la madre, tutta benevolenza e pietà nel volto, tendergli ambedue le mani, sorridendogli, come solo sa sorridere al figlio una madre.

“Mamma!” esclamò egli precipitandosi su quelle mani e coprendole di baci. “Mamma mia!”

Anna levò via di sotto alle labbra del figlio la sua destra e passandogliela carezzevolmente sulle chiome, gli disse con voce commossa:

“Tu ami Maria!”

Guido le cadde in ginocchio dinanzi, e abbandonando il capo nel grembo materno, rispose con tutta l'effusione dell'anima sua:

“Sì, l'amo!”

“Povero Guido!” disse Anna baciandolo in fronte. “Or qual proposito è il tuo?”

“Che so io? Non ne ho nessuno. Quest'amore mi ha preso, senza ch'io volessi, senza che me ne accorgessi. In esso sta ora la felicità della mia vita. Se Maria non avesse da esser mia, non ti dirò che morrei (sono uomo abbastanza per non dir più di queste esagerazioni) ma sarebbe per me un insopportabile dolore.”

“Vuoi tu ch'io glie ne parli a Maria?”

“No:” esclamò vivacemente Guido, quasi tremando.

“Che cerchi almeno di scrutarne il cuore?”

“No, no: ho paura. Forse è meglio lasciarla ancora in quell'intorpidimento dell'anima che ignora. Un giorno o l'altro il cuore si desterà pure in lei. Il mio sogno è trovarmi in quel dì al suo fianco e potere colla fiamma dell'amor mio comunicare a lei la scintilla divina.”