Loe raamatut: «Prima Che Abbia Bisogno»

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Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che si compone (al momento) di otto libri. Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta (al momento) da cinque libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta (al momento) da quattro libri; della nuova serie dei misteri di KERI LOCKE.

Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto con l’autore.

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LIBRI DI BLAKE PIERCE

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Book #5)

PRIMA CHE SENTA (Book #6)

I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARE (Libro #5)

I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

PROLOGO

Joey Nestler sapeva che un giorno sarebbe stato un grande poliziotto. Suo padre era stato un agente, così come il padre di suo padre. Il nonno di Joey si era addirittura beccato una pallottola in petto nel 1968, andando in pensione in anticipo. Fare il poliziotto era nel sangue di Joey e anche se aveva solo ventotto anni e gli venivano assegnati soltanto incarichi del cavolo, sapeva che un giorno sarebbe arrivato molto in alto.

Non quel giorno, però. Gli era stato assegnato un altro stupido incarico in cui doveva fare da esca: una palla, insomma. Joey sapeva che avrebbe dovuto svolgere incarichi del genere almeno per altri sei mesi, ma gli stava bene. Girare lungo le coste di Miami su un’auto della polizia a primavera inoltrata era un bel compromesso. Le ragazze non vedevano l’ora di sfoggiare pantaloncini striminziti e bikini appena il tempo era bello, e poteva godersi meglio lo spettacolo quando doveva svolgere incarichi noiosi.

Una volta portato a termine il compito di quel giorno, sarebbe tornato a perlustrare le strade in cerca di bellezze al bagno. Parcheggiò davanti alle lussuose villette a schiera, ognuna delimitata da una serie di palme curate alla perfezione. Scese dalla volante senza troppa fretta, certo che si sarebbe rivelato un semplice caso di lite domestica. Eppure, doveva ammettere che i dettagli del suo incarico lo avevano incuriosito.

Quella mattina, una donna aveva chiamato il distretto sostenendo che la sorella non rispondeva né alle chiamate né alle email. Solitamente questo non avrebbe suscitato alcun interesse, ma verificando l’indirizzo della sorella, avevano scoperto che era proprio accanto alla villetta da cui la sera prima era partita una telefonata per rumori molesti. A quanto pareva, un cane aveva abbaiato furiosamente per tutta la notte, ma quando avevano provato a bussare o telefonare ai padroni, nessuno aveva risposto. La polizia aveva quindi richiamato la donna, che aveva confermato che la sorella aveva effettivamente un cane.

E ora eccomi qui, pensò Joey mentre saliva i gradini del portico.

Era già passato dal proprietario della casa a prendere le chiavi, e già quello rendeva il suo incarico leggermente più interessante del solito. Questo però non gli impedì di sentirsi sottoutilizzato e un po’ sciocco mentre bussava alla porta. Dato tutto quello che aveva sentito sul caso, non si aspettava nemmeno che aprisse qualcuno.

Bussò più volte, i capelli che iniziavano ad inumidirsi di sudore nel berretto sotto il sole.

Dopo due minuti, ancora niente. Non era sorpreso.

Joey prese la chiave e sbloccò la serratura. Socchiuse la porta e disse a voce alta:

“C’è nessuno? Sono l’agente Nestler, polizia di Miami. Adesso entro in casa e…”

Fu interrotto dall’abbaio di un piccolo cane, che arrivò di corsa. Era un Jack Russel terrier. Anche se la bestiola faceva del proprio meglio per intimidire quello sconosciuto alla porta, sembrava anche spaventato. Le zampe posteriori gli tremavano.

“Ehi, amico” disse Joey entrando. “Dove sono mamma e papà?”

Il cagnolino mugolò. Joey si fece avanti. Aveva fatto appena due passi nel piccolo ingresso, diretto al soggiorno, quando sentì un puzzo terribile. Abbassò lo sguardo sul cane e corrugò la fronte.

“È un po’ che nessuno ti porta fuori, eh?”

Il cane abbassò la testa, come se avesse capito perfettamente la domanda e si vergognasse.

Joey andò in soggiorno, riprovando a chiamare i padroni di casa.

“Salve? Cerco il signore o la signora Kurtz. Sono l’agente Nestler, polizia di Miami.”

Nemmeno stavolta ottenne risposta, ed era certo che non ne avrebbe ricevuta. Esaminò il soggiorno, constatando che era perfettamente pulito. Quindi entrò nella cucina adiacente e si portò una mano al viso per coprire naso e bocca. Il cane aveva scelto quella stanza come toilette; il pavimento era ricoperto di pipì e due mucchi di escrementi erano davanti al frigo.

Dall’altra parte della stanza c’erano la ciotola per il cibo e quella per l’acqua, entrambe vuote. Dispiacendosi per il cagnetto, Nestler riempì la ciotola di acqua del rubinetto. Il cane si mise subito a bere avidamente, mentre Nestler usciva dalla cucina. Arrivò alla rampa di scale che si trovava appena fuori dal soggiorno e si diresse al piano di sopra.

Appena giunto nel corridoio, Joey Nestler provò quello che suo padre chiamava l’istinto di un poliziotto per la prima volta nella sua carriera. Capì subito che c’era qualcosa che non andava. Sapeva che avrebbe scoperto qualcosa di brutto, qualcosa che non si sarebbe aspettato.

Estrasse la pistola dalla fondina, sentendosi un po’ sciocco mentre percorreva il corridoio. Superò un bagno (dove vide un’altra pozza di urina del cane) e un piccolo studio. Questo era leggermente in disordine, ma niente faceva pensare a qualcosa di allarmante.

In fondo al corridoio c’era una porta aperta, che rivelava la camera matrimoniale.

Nestler si immobilizzò sulla soglia, con il sangue che gli si gelava nelle vene.

Rimase a fissare la scena per cinque secondi prima di entrare.

Un uomo e una donna, con ogni probabilità il signore e la signora Kurtz, giacevano sul letto, morti. Sapeva che non stavano dormendo a causa della quantità di sangue che ricopriva lenzuola, pareti e moquette.

Joey fece due passi prima di fermarsi. Questa non era roba per lui. Doveva chiamare la centrale al più presto. Oltretutto aveva già visto abbastanza dal punto in cui si trovava. Il signor Kurtz era stato pugnalato al petto, mentre la signora Kurtz aveva la gola tagliata da un orecchio all’altro.

In vita sua Joey non aveva mai visto tanto sangue. A quella vista quasi prese a girargli la testa.

Uscì dalla camera da letto indietreggiando, senza pensare a suo padre o suo nonno, senza pensare al grande poliziotto che voleva diventare un giorno.

Si precipitò giù dalle scale, lottando contro una pesante ondata di nausea. Mentre tentava di prendere la trasmittente che aveva appuntata alla spalla dell’uniforme, vide il Jack Russel correre fuori dalla villetta, ma non gli importava.

Lui e il cagnolino erano davanti alla casa quando Nestler chiamò la centrale. Il cane guaiva al cielo come se quello avrebbe in qualche modo potuto cambiare l’orrore che era dentro casa.

CAPITOLO UNO

Mackenzie White era seduta alla sua postazione e faceva scorrere un dito lungo i bordi di un biglietto da visita. Era un biglietto da visita su cui si fissava da mesi ormai, un biglietto in qualche modo legato al suo passato, o meglio, all’assassino di suo padre.

Lo ritirava fuori ogni volta che chiudeva un caso, domandandosi quando si sarebbe concessa una pausa dal suo lavoro di agente per tornare in Nebraska e rivedere il luogo dov’era stato ucciso il padre con occhi diversi, senza essere condizionata dalla mentalità dell’FBI.

Ultimamente il lavoro la stava esaurendo e ogni caso che risolveva non faceva che alimentare la sua attrazione verso il mistero che circondava il padre. Ormai era così forte che non si sentiva più soddisfatta come un tempo quando chiudeva un caso. Quello più recente aveva portato all’arresto di due uomini che stavano progettando un traffico di cocaina in una scuola superiore di Baltimora. L’incarico era durato tre giorni e tutto era filato talmente liscio che non le era sembrato nemmeno lavoro.

Da quando si era trasferita a Quantico ne aveva avuti già abbastanza di grossi casi che l’avevano trascinata in un vortice di azione e loschi affari, scampandola per un pelo. Aveva perso un partner, era riuscita a far incazzare praticamente tutti i suoi superiori e si era fatta un nome.

L’unica cosa che non aveva era un amico. C’era sempre Ellington, ma l’intesa che c’era tra loro non somigliava affatto all’amicizia. E comunque ormai Mackenzie aveva rinunciato a lui. L’aveva respinta due volte, ogni volta per un motivo diverso, e lei non aveva intenzione di farsi prendere di nuovo in giro. Le stava bene che l’unico filo che li unisse fosse il loro rapporto di lavoro.

Nelle ultime settimane aveva avuto modo di conoscere meglio il suo nuovo partner, un novellino impacciato ma zelante di nome Lee Harrison. Gli erano stati affibbiati incarichi di burocrazia e ricerca, ma stava facendo uno splendido lavoro. Mackenzie sapeva che il direttore McGrath voleva semplicemente vedere come se la cavasse sommerso di lavoro. Per il momento Harrison aveva convinto tutti.

Pensò a lui osservando il biglietto da visita. In un paio di occasioni gli aveva chiesto di indagare sull’esistenza di un negozio chiamato Antiquariato Barker. E anche se aveva ottenuto più risultati di chiunque altro negli ultimi mesi, non si era arrivati a nulla di concreto.

Stava pensando a questo quando sentì dei passi attutiti avvicinarsi alla sua postazione. Mackenzie fece scivolare il biglietto da visita sotto un plico di fogli di fianco al portatile, fingendo di controllare le email.

“Ehi, White” disse una voce maschile familiare.

È talmente bravo da sentire che stavo pensando a lui, pensò. Si girò sulla sedia e guardò Lee Harrison.

“Ti prego, non chiamarmi per cognome” gli disse. “Basta Mackenzie. O Mac, se ti senti coraggioso.”

Lui sorrise impacciato. Era chiaro che Harrison non aveva ancora capito come parlarle, né come comportarsi con lei. A lei andava bene così. A volte si chiedeva se McGrath glielo avesse assegnato come partner temporaneo solo per farlo abituare ai colleghi difficili. Se era così, pensò che fosse una mossa geniale.

“D’accordo, allora… Mackenzie” disse. “Volevo solo farti sapere che il processo ai trafficanti è appena terminato. Vogliono sapere se hai bisogno di altre informazioni da loro.”

“No, sono a posto così” disse.

Harrison annuì, ma prima di andarsene corrugò la fronte, un gesto che Mackenzie stava cominciando a considerare tipico di lui. “Posso farti una domanda?” le chiese.

“Certo.”

“Ti senti… insomma, ti senti bene? Mi sembri molto stanca. E anche rossa in viso.”

Mackenzie avrebbe potuto facilmente prenderlo in giro per quel commento e metterlo in imbarazzo, ma decise di non farlo. Era un buon agente e lei non voleva fare la parte della collega che molestava il nuovo arrivato (per quanto fosse relativamente nuova lei stessa). Perciò rispose invece: “Sì, sto bene. È solo che ultimamente non dormo molto.”

Harrison annuì. “Capisco” disse. “Be’… allora cerca di riposare un po’.” Poi corrugò di nuovo la fronte e se ne andò, probabilmente per affrontare la montagna di lavoro che McGrath aveva in serbo per lui.

Distratta dal biglietto da visita e dagli innumerevoli misteri irrisolti che questo presentava, Mackenzie si concesse di mettere tutto da parte. Si mise in pari con le email e risistemò i documenti che si stavano accumulando sulla sua scrivania. Non le capitavano molte occasioni di vivere momenti privi di gloria come quello, e ne era grata.

Quando ad un certo punto il telefono si mise a squillare, Mackenzie lo afferrò ansiosa. Qualunque cosa pur di allontanarmi da questa scrivania.

“Pronto, sono Mackenzie White” rispose.

“White, sono McGrath.”

Si concesse un brevissimo sorriso. Anche se McGrath non era assolutamente la sua persona preferita, sapeva che ogni volta che la chiamava o veniva nella sua postazione era solitamente per affidarle qualche incarico.

A quanto pareva, era proprio quello il motivo della telefonata. Mackenzie non ebbe nemmeno il tempo di salutarlo che lui riprese a parlare a raffica, come suo solito.

“Ho bisogno che venga nel mio ufficio subito” le disse. “Porti anche Harrison.”

Ancora una volta, Mackenzie non ebbe modo di replicare. La linea si era interrotta prima che una singola parola potesse uscirle di bocca.

Ad ogni modo andava bene così. A quanto pareva, McGrath aveva un nuovo caso per lei. Forse sarebbe servito per stimolarle la mente e offrirle un ultimo momento di chiarezza prima di farsi da parte per concentrarsi sul caso di suo padre.

Spinta da una sorta di eccitazione spumeggiante, si alzò e andò a cercare Lee Harrison.

***

Osservare il comportamento di Harrison nell’ufficio di McGrath era un ottimo modo per Mackenzie di imparare qualcosa. Lo vide sedere impettito sul bordo della sedia mentre McGrath iniziava a parlare. Il giovane agente era chiaramente nervoso e impaziente di compiacere il capo. Mackenzie sapeva che era un perfezionista e che aveva una memoria quasi 0fotografica. Si chiese come funzionasse, se anche in quel momento stesse assorbendo ogni parola che usciva dalle labbra di McGrath come una spugna.

Mi ricorda un po’ me stessa, pensò concentrandosi allo stesso tempo su McGrath.

“Ecco cos’ho per voi due” disse McGrath. “Ieri mattina, la polizia dello Stato di Miami ci ha contattati per una serie di omicidi. In entrambi i casi le vittime erano una coppia di coniugi. Quindi quattro morti in tutto. Gli omicidi sono stati piuttosto brutali e sanguinolenti e finora non sembra esserci un collegamento tra loro. La violenza delle uccisioni, così come il fatto che si trattasse di coppie sposate e uccise nel letto, fa ritenere alla polizia di Miami che si tratti di un serial killer. Personalmente credo che sia troppo presto per giungere a questa conclusione.”

“Crede che possa trattarsi di una coincidenza?” chiese Mackenzie.

“Sì, è una possibilità” disse lui. “Ad ogni modo, hanno chiesto il nostro aiuto e io ho intenzione di mandare voi due. Harrison, questa sarebbe un’ottima opportunità per lei di diventare un agente sul campo e fare un po’ di pratica. White, mi aspetto che lei lo tenga d’occhio, senza però comandarlo a bacchetta. Intesi?”

“Sì, signore” disse Mackenzie.

“Vi farò avere tutti i dettagli e i biglietti per il volo entro un’ora. Direi che non dovrebbe volerci più di un paio di giorni. Avete domande?”

Mackenzie scosse la testa. Harrison rispose con un rapido “No, signore” e Mackenzie capì che stava facendo del proprio meglio per contenere l’eccitazione.

Non poteva biasimarlo. Per lei era lo stesso.

Nonostante quello che pensava McGrath, Mackenzie percepiva già che quel caso non sarebbe stato affatto banale.

Coppie.

Era la prima volta che le capitava.

E non poteva fare a meno di pensare che quel “piccolo” caso sarebbe diventato una cosa ben peggiore.

CAPITOLO DUE

Mackenzie sapeva perfettamente che uno dei luoghi comuni riguardo il governo era che tutto si muovesse a rilento, ma sapeva altrettanto bene che non si poteva dire la stessa cosa dell’FBI quando inviava i propri agenti sulla scena del crimine. Erano passate soltanto quattordici ore da quando era stata convocata nell’ufficio di McGrath, e Mackenzie stava già parcheggiando l’auto che aveva preso a noleggio davanti ad una fila di villette a schiera. Affiancò un’auto della polizia e vide che al suo interno era seduta un’agente.

Di fianco a lei, sul sedile del passeggero, Harrison stava leggendo gli appunti sul caso. Era rimasto per lo più in silenzio durante il viaggio e Mackenzie era stata tentata di provare a intavolare una conversazione con lui. Non capiva se fosse nervoso, intimorito o un po’ tutte e due le cose. Così, piuttosto che forzarlo a parlare con lei, pensò che sarebbe stato meglio per lui uscire da solo dal proprio guscio, soprattutto se McGrath prevedeva di continuare a farli lavorare insieme in futuro.

Mackenzie si prese un momento per ripassare tutto quello che sapeva sul caso. Chinò leggermente la testa all’indietro, chiuse gli occhi e richiamò tutto alla mente. La sua tendenza a ossessionarsi sui dettagli di un caso le rendeva piuttosto semplice immergersi nella propria mente e frugare come se ci fosse un archivio.

Una coppia uccisa, il che fa emergere subito alcune domande. Perché uccidere entrambi? Perché non solo uno?

Devo tenere gli occhi aperti per qualsiasi dettaglio che sembri anche lontanamente fuori posto. Potrebbe trattarsi di qualcuno che invidia lo stile di vita delle vittime.

Nessun segno di forzatura; i Kurtz hanno fatto entrare l’assassino volontariamente.

Aprì gli occhi e uscì dall’abitacolo. Poteva ipotizzare finché voleva basandosi su quello che aveva visto nei fascicoli, ma niente sarebbe stato più efficace di mettere piede sulla scena del crimine e guardarsi attorno.

Harrison scese dall’auto insieme a lei, nell’accecante sole di Miami. Mackenzie poteva sentire l’odore dell’oceano nell’aria, salato e con un sentore di pesce che non era necessariamente sgradevole.

Quando lei ed Harrison chiusero gli sportelli, anche l’agente nell’auto della polizia di fianco a loro scese dal mezzo. Mackenzie immaginò che si trattasse dell’agente incaricata di accoglierli. Sulla quarantina, era di una bellezza semplice; i corti capelli biondo cenere riflettevano la luce del sole.

“Agenti White ed Harrison?” chiese loro.

“Siamo noi” disse Mackenzie.

La donna tese loro la mano presentandosi. “Sono l’agente Dagney” disse. “Se vi serve qualunque cosa, ditemelo. Naturalmente, la scena del crimine è già stata ripulita, ma ho un fascicolo pieno di fotografie scattate quando la scena era ancora fresca.”

“Grazie” disse Mackenzie. “Per cominciare, credo di voler prima dare un’occhiata dentro casa.”

“Ma certo” acconsentì Dagney, salendo i gradini e prendendo le chiavi dalla tasca. Aprì la porta e fece cenno a Mackenzie ed Harrison di entrare per primi.

Mackenzie sentì subito odore di candeggina, o un altro detergente. Ricordava dal verbale che un cane era rimasto intrappolato in casa per almeno due giorni, facendo i suoi bisogni in giro più volte.

“La candeggina” disse Harrison “è stata usata per pulire i bisogni del cane?”

“Sì” confermò la poliziotta. “È stato fatto ieri sera. Abbiamo provato ad aspettare che arrivaste voi, ma la puzza era… davvero terribile.”

“Non dovrebbe essere un problema” disse Mackenzie. “La camera da letto si trova al piano di sopra, dico bene?”

Dagney annuì e li accompagnò su per le scale. “L’unica cosa che è stata modificata quassù è che sono stati rimossi i cadaveri e il lenzuolo” spiegò. “Il lenzuolo è ancora lì per terra, dentro una busta di plastica. Doveva essere spostato, per poter togliere i corpi dal letto. Il sangue… insomma, lo vedrete.”

Mackenzie notò che Harrison aveva rallentato leggermente, portandosi alle sue spalle. Mackenzie seguì Dagney alla porta della camera da letto, notando che era rimasta sulla soglia cercando in ogni modo di evitare di guardare all’interno.

Una volta entrata, Mackenzie vide che Dagney non aveva esagerato, così come i verbali che aveva letto. C’era molto sangue, più di quanto ne avesse visto in un solo luogo.

E, per un terrificante momento, le sembrò di essere in una stanza in Nebraska, la stanza di una casa che conosceva e che adesso era abbandonata. Le parve di guardare un letto intriso di sangue con sopra il cadavere del padre.

Scacciò l’immagine dalla mente sentendo i passi di Harrison che lentamente si avvicinava dietro di lei.

“Tutto ok?” gli chiese.

“Sì” disse lui, anche se il respiro sembrava un po’ affannoso.

Mackenzie notò che il sangue era per lo più sul letto, come c’era da aspettarsi. Il lenzuolo che era stato tolto dal letto e steso a terra un tempo era stato bianco. Adesso invece, coperto di sangue quasi del tutto secco, aveva una tonalità marrone rossastra, come di ruggine. Mackenzie si avvicinò lentamente al letto, certa che non avrebbe trovato prove. Anche se il killer si fosse casualmente lasciato alle spalle un capello o qualcosa con il suo DNA, sarebbe stato ricoperto da tutto quel sangue.

Osservò gli schizzi sulle pareti e sulla moquette, concentrandosi in particolare su quest’ultima, cercando tra il sangue una possibile orma.

Potrebbero esserci impronte, pensò. Per uccidere qualcuno in quel modo, con un tale spargimento di sangue, il killer doveva sicuramente averne anche addosso. Quindi anche se non ci sono impronte, forse c’è qualche traccia di sangue in giro per casa, che potrebbe essersi accidentalmente lasciato dietro andandosene.

Inoltre, come ha fatto il killer a ucciderli entrambi a letto? Uccidendone uno, l’altro probabilmente si sarà svegliato. O il killer è velocissimo, oppure ha preparato la scena con in cadaveri nel letto dopo il delitto.

“È un macello, eh?” commentò Harrison.

“Già” disse Mackenzie. “Dimmi… noti niente, così di primo istinto, che considereresti un indizio, una prova o comunque qualcosa su cui indagare?”

Lui scosse la testa, fissando il letto. Lei annuì in risposta, sapendo che tutto quel sangue avrebbe reso molto difficile trovare prove. Si mise persino carponi per controllare sotto il letto. Non vide altro che un paio di ciabatte e un vecchio album fotografico. Tirò l’album a sé e lo sfogliò. Nelle prime pagine c’erano le foto di un matrimonio, con la sposa che camminava verso l’altare di una grande chiesa, poi la coppia felice che tagliava la torta.

Corrugando la fronte, rimise l’album dove l’aveva trovato, poi si voltò verso Dagney, che era ancora sulla soglia, quasi girata di spalle. “Ha detto di avere le foto della scena, giusto?”

“Sì. Mi dia un secondo e gliele porto” rispose rapidamente e con un certo senso di urgenza, chiaramente impaziente di andarsene di sotto.

Quando Dagney se ne fu andata, Harrison uscì in corridoio. Si voltò verso la camera da letto e fece un profondo sospiro. “Hai mai visto una scena del crimine come questa?”

“Non con così tanto sangue” rispose Mackenzie. “Ho visto scene raccapriccianti, ma questa le supera tutte in quanto a sangue.”

Harrison sembrò riflettere a lungo sulle sue parole, mentre Mackenzie usciva dalla stanza. Tornarono al piano di sotto insieme, entrando in soggiorno proprio mentre Dagney rientrava dalla porta d’ingresso. Si radunarono nell’area bar che separava la cucina dal soggiorno. Dagney mise la cartellina sul bancone e Mackenzie la aprì. La prima foto mostrava il letto matrimoniale che aveva appena visto, ricoperto di sangue. L’unica differenza era che nella fotografia c’erano due corpi distesi, un uomo e una donna. I signori Kurtz.

Entrambi indossavano gli abiti che Mackenzie immaginò avessero messo per dormire. Il signor Kurtz (Josh, diceva il verbale) indossava una maglietta e un paio di boxer. La signora Kurtz (Julie) indossava una canottiera dalle bretelle sottili e pantaloncini da ginnastica aderenti. C’erano numerose foto, alcune che ritraevano i cadaveri così da vicino che a Mackenzie scapparono un paio di smorfie. La foto del collo sgozzato della signora Kurtz era particolarmente raccapricciante.

“Nel verbale non ho visto indicata con chiarezza l’arma del delitto” osservò Mackenzie.

“Perché nessuno ha capito quale fosse. Pensiamo semplicemente che si tratti di un coltello.”

Un coltello molto grosso, pensò Mackenzie distogliendo lo sguardo dal cadavere della signora Kurtz.

Notò che, persino nella morte, la signora Kurtz sembrava aver cercato di trovare conforto dal marito. La mano sinistra poggiava sulla coscia di lui. C’era un che di dolce in tutto questo, ma le spezzava anche il cuore.

“E che mi dice della prima coppia uccisa?” chiese Mackenzie.

“I signori Sterling” disse Dagney, estraendo parecchie foto e fogli di carta dal retro della cartellina.

Mackenzie osservò le foto e vide una scena simile a quella nelle precedenti. Una coppia distesa a letto e sangue ovunque. L’unica differenza era che il signor Sterling dormiva nudo, oppure il killer l’aveva spogliato.

Le due scene sono fin troppo simili, pensò Mackenzie. Quasi come se fossero state studiate a tavolino. Guardò le somiglianze, spostando lo sguardo da una foto all’altra.

Il coraggio e la forza di volontà necessari ad uccidere contemporaneamente due persone, e in modo così brutale… Questo tizio è estremamente motivato. E a quanto pare non la violenza estrema non lo spaventa.

“Mi corregga se sbaglio” disse Mackenzie “ma la polizia di Miami sta procedendo trattando gli omicidi come comuni effrazioni domestiche, giusto?”

“Be’, all’inizio sì” ammise Dagney. “Ma da quello che possiamo dire, non è stato rubato niente. E dato che questa è la seconda coppia ad essere uccisa in una settimana, sembra sempre meno probabile che si tratti di una semplice effrazione.”

“Sì, sono d’accordo” disse Mackenzie. “Ci sono collegamenti tra le coppie?” chiese Mackenzie.

“Finora non è saltato fuori niente, ma c’è una squadra al lavoro per scoprirlo.”

“Nel caso degli Sterling, c’erano segni di lotta?”

“No, nessuno.”

Mackenzie guardò di nuovo le due fotografie e le somiglianze le balzarono subito agli occhi. Una in particolare le fece accapponare la pelle.

Mackenzie guardò di nuovo la foto dei Kurtz. Vide la mano della moglie sulla coscia del marito.

E in quel momento ne fu sicura: quella era opera di un serial killer.

Vanusepiirang:
16+
Ilmumiskuupäev Litres'is:
02 aprill 2020
Objętość:
192 lk 5 illustratsiooni
ISBN:
9781640292321
Allalaadimise formaat:

Selle raamatuga loetakse