Loe raamatut: «Prima Che Afferri La Preda »

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P R I M A C H E A F F E R R I

L A P R E D A

(UN MISTERO DI MACKENZIE WHITE — LIBRO 9)

B L A K E P I E R C E

TRADUZIONE DI

VALENTINA SALA

Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che si compone (al momento) di undici libri. Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta (al momento) da otto libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta da sei libri; della nuova serie dei misteri di KERI LOCKE, che (al momento) si compone di cinque libri.

Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto con l’autore.

Copyright © 2018 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e-book è concessa solo ad uso personale. Questo e-book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina Joe Prachatree, concessa su licenza di Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

INDICE

PROLOGO

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRÈ

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO TRENTA

CAPITOLO TRENTUNO

CAPITOLO TRENTADUE

CAPITOLO TRENTATRÈ

CAPITOLO TRENTAQUATTRO

PROLOGO

Una volta, quando era una ragazza, Malory Thomas era venuta su quel ponte con un ragazzo. Era la notte di Halloween e lei aveva quattordici anni. Avevano guardato giù nell'acqua, cinquanta metri più in basso, alla ricerca dei fantasmi di coloro che si erano suicidati dal ponte. Era una storia che circolava nella loro scuola, una storia che Malory aveva sentito raccontare per tutta la sua vita. Quella notte aveva permesso al ragazzo di baciarla, ma aveva spinto via la sua mano quando questi gliel’aveva infilata su per la maglietta.

Ora, tredici anni più tardi, ripensò a quel piccolo gesto innocente mentre penzolava da quello stesso ponte. Si chiamava Miller Moon Bridge ed era noto per due cose: essere un luogo fantastico e appartato dove gli adolescenti potevano pomiciare, ed essere il punto più gettonato di tutta la contea (o addirittura di tutta la Virginia) per i suicidi.

In quel momento, però, a Malory Thomas non importava dei suicidi. Tutto quello a cui riusciva a pensare era restare aggrappata al bordo del ponte con tutte le sue forze. Si reggeva a un lato con entrambe le mani, le dita premute contro il legno ruvido. La mano destra non riusciva a mantenere una presa salda a causa dell'enorme bullone che trapassava il legno per fissare il montante alle travi di ferro sottostanti.

Cercò di muovere la mano destra per trovare una presa migliore, ma aveva il palmo troppo sudato. Spostarlo anche solo di un centimetro le fece temere di perdere completamente la presa e cadere finendo in acqua. E in quel punto di acqua non ce n’era molta. Tutto ciò che si trovava là sotto ad aspettarla erano rocce frastagliate e innumerevoli monete che stupidi ragazzi avevano lanciato dal ponte esprimendo inutili desideri.

Guardò in su, verso la ringhiera arrugginita che correva lungo il ponte, che nel buio della notte pareva vecchissima. Vide la sagoma dell'uomo che l'aveva portata lì, ben diverso dall’intrepido ragazzo di tredici anni prima. No... quest'uomo era odioso e oscuro. Non lo conosceva bene, ma ormai sapeva con certezza che c’era qualcosa che non andava in lui. Era malato, fuori di testa.

"Lasciati andare", le disse. La sua voce era inquietante, a metà strada tra Batman e un demone.

"Per favore" disse Malory. “Ti prego... aiutami."

Non le importava nemmeno di essere nuda, lì a penzoloni dal Miller Moon Bridge. L’uomo l'aveva spogliata e lei aveva temuto che la violentasse. Invece non l'aveva fatto. Si era limitato a fissarla, accarezzandola in alcuni punti, quindi l'aveva costretta ad andare sul bordo del ponte. Malory pensò con nostalgia ai suoi vestiti sparsi sulle travi di legno dietro di lui, ed ebbe l’orribile certezza che non li avrebbe mai più indossati.

Con quella realizzazione, la sua mano destra si contrasse in un crampo mentre cercava di stringersi al bullone sottostante. Malory gridò e sentì tutto il peso scivolare sulla mano sinistra, la sua mano più debole.

L'uomo si accovacciò, inginocchiandosi a osservarla. Era come se sapesse che mancava poco. Ancora prima che lei se ne rendesse conto, lui l’aveva già capito.

Riusciva a malapena a vedere i suoi occhi nell'oscurità, ma fu abbastanza per intuire che era felice. Eccitato, forse.

"Va tutto bene”, disse con quella strana voce.

E, come se i muscoli delle dita gli stessero obbedendo, la sua mano destra si arrese. Malory sentì tutta la tensione nell’avambraccio, mentre la mano sinistra cercava di reggere i suoi sessantaquattro chili.

E poi, tutto a un tratto, non era più aggrappata al ponte. Stava cadendo. Il suo stomaco fece una capriola e gli occhi sembrarono tremarle nelle orbite mentre cercavano di dare un senso alla velocità con cui il ponte si allontanava da lei.

Per un momento, il vento che la stava travolgendo sembrò quasi piacevole. Malory fece del suo meglio per concentrarsi su quello, mentre cercava una preghiera da recitare nei suoi ultimi istanti di vita.

Riuscì solo a pronunciare poche parole: Padre nostro che... poi Malory Thomas sentì la vita abbandonare il suo corpo in un colpo secco e violento, mentre si schiantava sulle rocce sottostanti.

CAPITOLO UNO

Mackenzie White era caduta in una specie di routine, e questo non le andava particolarmente a genio, poiché non era il tipo di donna a cui piaceva la routine. Se le cose rimanevano invariate troppo a lungo, sentiva il bisogno di una scossa.

Solo pochi giorni dopo aver finalmente chiuso il lungo e infelice capitolo dell'omicidio di suo padre, era tornata nel suo appartamento e si era resa conto che lei ed Ellington ora vivevano insieme. Non era un problema; in realtà era da tempo che lo desiderava. Ma durante quelle prime settimane c’erano state notti in cui non era riuscita a dormire dopo essersi resa conto che il suo futuro ora sembrava stabile. Per la prima volta da molto tempo, non aveva nessun obiettivo da perseguire.

C'era stato il caso di suo padre, che l’aveva consumata fin dal primo momento in cui aveva ricevuto un distintivo e una pistola in Nebraska. E adesso era risolto. C'era anche stata l'incertezza sul destino della sua relazione con Ellington. E ora vivevano insieme ed erano quasi disgustosamente felici. Stava eccellendo sul lavoro, guadagnandosi il rispetto di quasi tutti all'interno dell'FBI. Perfino McGrath sembrava essersi finalmente rabbonito nei suoi confronti.

Le cose sembravano stazionarie. E Mackenzie non poté fare a meno di chiedersi: era solo la calma prima della tempesta? Se c’era una cosa che aveva imparato lavorando come detective in Nebraska prima, e come agente dell'FBI poi, era che la vita poteva strapparti ogni sorta di conforto o sicurezza senza alcun preavviso.

Tuttavia, la routine non era affatto male. In seguito alle ferite che Ellington si era procurato durante le indagini che avevano consegnato l'assassino di suo padre alla giustizia, gli era stato ordinato di rimanere a casa e riposare. Mackenzie si era presa cura di lui meglio che poté, scoprendosi abbastanza premurosa quando le circostanze lo richiedevano. Dopo che Ellington si era completamente ristabilito, le sue giornate erano diventate piuttosto ordinarie. Addirittura piacevoli, nonostante l'orrenda sensazione di essere stata in un certo senso addomesticata.

Andava al lavoro e si fermava al poligono di tiro prima di tornare a casa. Una volta a casa, le possibilità erano due: o Ellington aveva già preparato la cena e allora mangiavano insieme come una vecchia coppia sposata, oppure andavano direttamente in camera da letto, come una coppia appena sposata.

Era su questo che stava riflettendo adesso, mentre si preparavano per andare a letto. Sdraiata dal suo lato del letto, leggeva distrattamente un libro. Ellington, nella sua metà, stava scrivendo un'e-mail per un caso a cui stava lavorando. Erano passate sette settimane da quando avevano chiuso il caso in Nebraska. Ellington era appena tornato al lavoro e la routine della loro vita stava iniziando a diventare una dura realtà per lei.

"Adesso ti chiedo una cosa", disse Mackenzie. “E voglio che tu sia onesto."

"Okay”, disse lui. Terminò di digitare la frase e si fermò, dandole tutta la sua attenzione.

"Ti sei mai visto in questo tipo di routine?" gli chiese.

"Quale routine?"

Lei scrollò le spalle, mettendo da parte il libro. “Essere addomesticato. Essere legato. Andare al lavoro, tornare a casa, cenare, guardare la TV, a volte fare sesso, poi andare a letto.”

"Se questa è la routine, sembra davvero fantastica. Puoi anche togliere a volte prima del sesso, però. Perché me lo chiedi? Ti dà fastidio la routine?”

"Non è che mi dia fastidio", disse. “È solo che... mi sembra strano. Mi fa sentire che non sto facendo la mia parte. Come se fossi pigra o passiva riguardo... beh, riguardo a cosa non l’ho ancora ben capito.”

"Pensi che questo derivi dal fatto che hai finalmente chiuso il caso di tuo padre?" le chiese.

"Probabilmente."

C'era anche qualcos'altro. Ma non era qualcosa che poteva dirgli. Sapeva che era piuttosto difficile ferirlo emotivamente, ma non voleva rischiare. Il pensiero che aveva tenuto per sé era che, ora che convivevano, erano felici e avevano tutto sotto controllo, rimaneva solo un altro passo da compiere. Non ne avevano parlato e, onestamente, non era un argomento di cui Mackenzie voleva parlare.

Il matrimonio. Sperava che anche Ellington non ci avesse ancora pensato seriamente. Non che lei non lo amasse. Ma dopo quello... insomma, cos'altro c'era?

"Lascia che ti chieda io una cosa", disse Ellington. “Sei felice? Intendo adesso, in questo preciso momento, sapendo che domani potrebbe essere una giornata identica a oggi. Sei felice?"

La risposta era semplice ma la metteva ancora a disagio. “Sì”, disse lei.

"Allora perché metterlo in discussione?"

Lei annuì. Ellington aveva ragione e questo le fece pensare che forse stava complicando inutilmente le cose. Avrebbe compiuto trent’anni tra qualche settimana, quindi forse era quella la vita normale. Una volta che tutti i demoni e i fantasmi del passato erano stati seppelliti, forse era proprio così che avrebbe dovuto essere.

E immaginava che fosse giusto così. Ma c’era qualcosa di stagnante in tutto ciò, che le faceva domandare se si sarebbe mai concessa di essere felice.


CAPITOLO DUE

Il lavoro non alleviava affatto la monotonia di quella che ormai Mackenzie definiva La Routine, con la L e la R maiuscole. Nei due mesi trascorsi dagli eventi in Nebraska, il lavoro di Mackenzie era consistito nel sorvegliare un gruppo di uomini sospettati di sfruttamento della prostituzione, trascorrendo le sue giornate seduta in macchina o in edifici abbandonati, ad ascoltare conversazioni oscene che non portavano mai a niente. Aveva anche lavorato al fianco di Yardley e Harrison al caso di una presunta cellula terroristica in Iowa, che si era rivelato un altro buco nell’acqua.

Il giorno dopo quella conversazione sulla felicità, Mackenzie si ritrovò alla sua scrivania a indagare su uno degli uomini che stava sorvegliando per sfruttamento della prostituzione. Non faceva parte di nessuna organizzazione, ma era quasi certamente coinvolto in qualche modo. Era difficile credere che avesse il permesso di avere con sé un'arma e dare la caccia agli assassini e salvare vite umane. Stava iniziando a sentirsi un finto impiegato, qualcuno che non svolgeva nessuna funzione reale.

Frustrata, si alzò per una tazza di caffè. Non aveva mai augurato il male a nessuno, ma si domandava se fosse possibile che le cose nel paese andassero davvero così bene da non necessitare dei suoi servizi.

Mentre si dirigeva verso la piccola area ristoro dove si trovavano le macchinette per il caffè, notò Ellington che metteva il coperchio al suo bicchiere di carta. Vedendola arrivare l'aspettò, anche se Mackenzie capì dalla sua postura che era di fretta.

"Spero che la tua giornata sia stata più eccitante della mia" gli disse.

"Forse" replicò lui. “Richiedimelo tra mezz'ora. McGrath mi ha appena chiamato nel suo ufficio.”

"Come mai?" chiese Mackenzie.

"Non ne ho idea. Non ha chiamato anche te?”

"No”, disse, chiedendosi di cosa potesse trattarsi. Sebbene non ne avessero parlato ufficialmente con McGrath dopo il caso in Nebraska, aveva appena dato per scontato che lei ed Ellington sarebbero rimasti partner. Si chiese se il dipartimento avesse infine deciso di separarli a causa della loro relazione. In quel caso avrebbe compreso il motivo di tale decisione, anche se ciò non significava necessariamente che le stesse bene.

"Mi sto stancando di starmene seduta ad una scrivania", disse versandosi il caffè. “Fammi un favore e vedi se riesci a farmi coinvolgere nel caso che vuole assegnarti."

"Con piacere", disse. “Ti farò sapere."

Mackenzie tornò nel suo ufficio, chiedendosi se quella piccola interruzione nella normalità potesse essere quello che stava aspettando: la prima crepa nelle fondamenta della routine. Non capitava spesso che McGrath convocasse solo uno di loro nel suo ufficio. O comunque non di recente. Ciò la portò a chiedersi se si trattasse di una specie di rapporto su di lei a sua insaputa. McGrath si stava forse informando sull'ultimo caso in Nebraska per assicurarsi che avesse seguito le regole? In quel caso si sarebbe trovata in cattive acque, dato che non aveva assolutamente seguito le regole.

Purtroppo, cercare di immaginare il motivo per cui McGrath avesse convocato Ellington era la cosa più interessante che accadeva da una settimana o giù di lì. E fu a quello che Mackenzie continuò a pensare mentre si sedeva di nuovo davanti al computer, sentendosi ancora una volta come una semplice ruota nell’ingranaggio.

***

Quindici minuti più tardi, udì dei passi in corridoio. Non era una novità; lavorava sempre con la porta dell'ufficio aperta e vedeva gente camminare avanti e indietro tutto il giorno. Ma c’era qualcosa di diverso. Sembravano i passi di molte persone che camminavano all'unisono. C'era anche un senso di quiete - una tensione silenziosa, come l'atmosfera poco prima di un violento temporale estivo.

Incuriosita, Mackenzie alzò lo sguardo dal suo portatile. Quando i passi si fecero più forti, vide Ellington, che le lanciò una rapida occhiata. In viso aveva un’espressione imperscrutabile. Reggeva uno scatolone tra le mani, mentre due guardie della sicurezza lo seguivano da vicino.

Ma che accidenti?

Mackenzie si alzò di scatto dalla scrivania e si precipitò nel corridoio. Appena girato l’angolo, vide Ellington e le due guardie entrare in ascensore. Prima che le porte si chiudessero, Mackenzie scorse ancora una volta la sua espressione tesa.

È stato licenziato, pensò. L'idea era assolutamente ridicola, ma era proprio quello che sembrava.

Corse alla tromba delle scale, aprì rapidamente la porta e iniziò a scendere, facendo i gradini due alla volta nella speranza di arrivare prima di loro. Fece di volata le tre rampe di scale, uscendo lungo il lato dell'edificio adiacente al parcheggio.

Uscì dalla porta nello stesso momento in cui Ellington e le guardie uscirono dall'edificio. Mackenzie si precipitò attraverso il prato per intercettarli. Le guardie parvero irrigidirsi nel vederla, e una addirittura le si parò davanti, quasi Mackenzie costituisse una minaccia.

"Che succede?" chiese rivolta a Ellington.

Lui scosse la testa. “Non adesso" disse. “Per ora... lascia perdere."

"Cosa significa tutto questo?" insisté. “Le guardie... lo scatolone... sei stato licenziato? Che accidenti è successo?"

Lui scosse di nuovo la testa. Non stava cercando di liquidarla, così immaginò che non potesse fare altro in quella situazione. Forse era successo qualcosa di cui non poteva parlare. E conoscendo Ellington, leale all’inverosimile, non avrebbe parlato se gli era stato chiesto di stare zitto.

Avrebbe voluto insistere, ma non gli fece pressioni. Se voleva risposte dirette, c'era solo una persona da cui ottenerle. Così tornò di corsa nell'edificio. Stavolta prese l'ascensore, riportandolo al terzo piano e dirigendosi senza indugi verso l'ufficio di McGrath.

Senza preoccuparsi di farsi annunciare dalla segretaria, si avvicinò alla sua porta. Sentì la donna chiamarla per nome tentando di fermarla, ma Mackenzie entrò. Non bussò nemmeno, limitandosi a fare irruzione nell'ufficio.

McGrath era alla scrivania, per nulla sorpreso di vederla lì. Si voltò verso di lei e la calma sul suo viso la fece infuriare.

"Stia calma, agente White”, disse.

"Che cosa è successo?" chiese. “Perché ho appena visto Ellington scortato fuori dall'edificio con i suoi effetti personali in una scatola?"

"Perché è stato sollevato dal suo incarico."

La semplicità di quella dichiarazione non la rese più semplice da ascoltare. Una parte di lei si chiedeva ancora se non si trattasse di un madornale errore. O se fosse una specie di elaborato scherzo.

"Per quale motivo?"

A quel punto vide qualcosa a cui non aveva mai assistito prima: McGrath distolse lo sguardo, palesemente a disagio. “È una questione privata", disse. “Mi rendo conto che voi due avete una relazione, ma questa è un'informazione che per legge non posso divulgare, a causa delle circostanze."

Per tutto il tempo in cui aveva lavorato per McGrath, non aveva mai sentito così tante cazzate legali uscire dalla sua bocca in una volta sola. Riuscì a placare la sua rabbia. Allora non si trattava di lei. Apparentemente Ellington era coinvolto in qualcosa di cui lei non sapeva nulla.

"Va tutto bene?" chiese lei. “Almeno può dirmi questo?"

"Temo che non stia a me darle questa risposta" disse Mcgrath. “Ora, se mi vuole scusare, sono davvero piuttosto impegnato."

Mackenzie si congedò con un breve cenno del capo e si chiuse la porta alle spalle. La segretaria le lanciò un’occhiata in tralice da dietro la scrivania, che Mackenzie ignorò completamente. Tornò nel suo ufficio e controllò la posta, solo per avere conferma che il resto della sua giornata era un abisso di nulla.

Quindi si precipitò fuori dall'edificio, facendo del suo meglio per non dare a vedere quanto fosse preoccupata. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era che metà dell'edificio fosse consapevole del fatto che Ellington se n'era andato e che si stava precipitando dietro di lui. Era appena riuscita a lasciarsi alle spalle gli sguardi indiscreti e le voci quasi leggendarie del suo passato sul posto di lavoro... non aveva nessuna intenzione di fornire un pretesto per far ripartire le voci.

***

Era sicura che Ellington fosse semplicemente tornato al loro appartamento. Quando lo aveva incontrato per la prima volta, era il tipo di uomo che sarebbe potuto andare direttamente in un bar nel tentativo di affogare i suoi dispiaceri. Ma era cambiato nell'ultimo anno, esattamente come lei. Una volta lì, aprì la porta del suo appartamento (il loro appartamento, ricordò a se stessa), sperando di trovarlo dentro.

E infatti era nella seconda camera da letto, che usavano come ufficio. Stava togliendo gli oggetti contenuti nello scatolone, gettandoli a casaccio sulla scrivania che condividevano. Alzò lo sguardo quando la vide, per poi distoglierlo rapidamente.

"Scusa”, disse con la testa voltata. “Oggi non è esattamente il mio giorno migliore."

Lei gli si avvicinò ma resistette all’impulso toccargli la spalla o un cingerlo con un braccio. Non l'aveva mai visto tanto giù di morale. Questo la allarmò un po’ ma, più di ogni altra cosa, le fece provare il desiderio di aiutarlo.

"Che cosa è successo?" chiese.

"Mi sembra abbastanza ovvio, no?" replicò lui. “Sono stato sospeso a tempo indeterminato."

"E perché mai?" Mackenzie ripensò a McGrath e a quanto si sentisse a disagio quando gli aveva posto quella stessa domanda.

Alla fine Ellington si girò verso di lei e, quando lo fece, poté leggere dell’imbarazzo sul suo viso. Quando le rispose, la voce gli tremava.

"Molestie sessuali."

Per un istante, quelle parole erano prive di senso. Mackenzie aspettò che lui le sorridesse e le dicesse che stava solo scherzando, ma non fu quello che accadde. Invece, i suoi occhi si fissarono su quelli di lei, in attesa della sua reazione.

"Cosa?" chiese lei. “Quando sarebbe successo?"

"Circa tre anni fa" disse. “Ma la donna si è appena fatta avanti con le accuse tre giorni fa."

"E sono fondate?" chiese.

Annuì, sedendosi alla scrivania. “Mackenzie, mi dispiace. Allora ero un tipo diverso, sai?”

Per un momento provò rabbia, ma non era sicura se nei confronti di Ellington o della donna. “Come l’avresti molestata?" chiese.

"Era una giovane agente che stavo addestrando tre anni fa" iniziò a raccontare. “Stava andando davvero bene, così una notte insieme ad alcuni colleghi l'abbiamo portata fuori per festeggiare. Abbiamo bevuto tutti un paio di drink e alla fine restammo soli, io e lei. Non mi era mai passato per la testa di provarci con lei, ma quando uscii dal bagno la trovai lì ad aspettarmi. Mi baciò e stavamo iniziando a spingerci un po’ oltre, allora si ritrasse, forse rendendosi conto che era un errore. A quel punto però io ci riprovai. Mi piace pensare che se non avessi bevuto la cosa sarebbe finita quando lei si era staccata da me. Invece non mi fermai. Tentai di baciarla di nuovo e non mi resi conto che lei non stava ricambiando il bacio se non quando mi spinse via. Le dissi che mi dispiaceva, ed era vero, ma lei si precipitò fuori. E finì lì. Solo una breve pomiciata nei bagni. Nessuno dei due si era imposto sull’altro e non c’era stato niente di più grave. Il giorno dopo, quando arrivai al lavoro, scoprii che aveva chiesto di essere trasferita sotto un altro agente. Nel giro di due mesi se n'era andata, trasferita a Seattle, credo.”

"E perché ha deciso di denunciare tutto adesso?" chiese Mackenzie.

"Perché di questi tempi va di moda”, scattò Ellington, quindi scosse la testa e sospirò. “Scusa. Era una cosa pessima da dire.”

"Sì, in effetti. Mi stai raccontando tutta la storia? È tutto quello che è successo?”

"Questo è tutto”, disse. “Lo giuro."

"Eri sposato, vero? Quando è successo, intendo."

Annuì. “Non è certo uno degli episodi di cui vado più fiero."

Mackenzie ripensò alla prima volta in cui aveva trascorso parecchio tempo insieme a Ellington. Era stato durante il caso dello Spaventapasseri, in Nebraska. Gli si era praticamente buttata addosso, presa com’era dai suoi drammi personali. Aveva capito che lui era interessato, ma alla fine aveva rifiutato le sue avances.

Si chiese quanto l'incontro con quella donna avesse influenzato le sue azioni quella notte in cui si era offerta a lui.

"Quanto durerà la sospensione?" chiese.

Ellington si strinse nelle spalle. “Dipende. Se decide di non sollevare un polverone, potrebbe trattarsi di un mese. Ma se le cose sfuggono di mano, potrebbe essere molto di più. Potrebbe addirittura portare al mio licenziamento.”

Stavolta fu Mackenzie a distogliere lo sguardo. Non poteva fare a meno di sentirsi un po’ egoista. Certo, era sconvolta dal fatto che l’uomo a cui teneva profondamente stesse passando una cosa del genere, ma alla base di tutto era più preoccupata di perdere il proprio partner. Detestava il fatto che le sue priorità fossero così distorte, ma era quello che sentiva in quel momento. Oltre ad una intensa gelosia, che odiava. Non una donna gelosa... quindi perché era così gelosa della donna che aveva denunciato le presunte molestie? Non aveva mai pensato alla moglie di Ellington con gelosia, quindi perché questa donna?

Perché sta facendo cambiare tutto, pensò. Quella noiosa routine in cui stavo cadendo e a cui mi stavo abituando comincia a sgretolarsi.

"A che stai pensando?" chiese Ellington.

Mackenzie scosse la testa e guardò l'orologio. Era solo l'una del pomeriggio. Molto presto, si sarebbero accorti della sua assenza al lavoro.

"Sto pensando che devo tornare al lavoro" disse, quindi si voltò e uscì dalla stanza.

"Mackenzie" le gridò dietro Ellington. “Ehi, torna qui."

"Va tutto bene" rispose. “Ci vediamo dopo."

Se ne andò così, senza salutarlo con un bacio o un abbraccio. Perché, nonostante le sue parole, le cose non andavano affatto bene.

Altrimenti non si sarebbe ritrovata a tentare di scacciare le lacrime, spuntate dal nulla. Altrimenti non si sarebbe ritrovata a soffocare una rabbia che continuava a cercare di emergere, sussurrandole che era stata una sciocca a pensare che la vita sarebbe andata bene d’ora in poi, che finalmente avrebbe potuto avere una vita normale, libera dai fantasmi del passato.

Quando raggiunse la sua auto, era riuscita a fermare le lacrime. Il suo cellulare squillò, sul display campeggiava il nome di Ellington. Lei lo ignorò, accese la macchina e tornò al lavoro.

Vanusepiirang:
16+
Ilmumiskuupäev Litres'is:
10 oktoober 2019
Objętość:
222 lk 4 illustratsiooni
ISBN:
9781640294660
Allalaadimise formaat:

Selle raamatuga loetakse