Loe raamatut: «Prima Che Commetta Peccato »
P R I M A C H E C O M M E T T A P E C C A T O
(UN MISTERO DI MACKENZIE WHITE — LIBRO 7)
B L A K E P I E R C E
TRADUZIONE DI
VALENTINA SALA
Blake Pierce
Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che si compone (al momento) di undici libri. Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta (al momento) da otto libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta da cinque libri; della nuova serie dei misteri di KERI LOCKE, che (al momento) si compone di cinque libri.
Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto con l’autore.
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LIBRI DI BLAKE PIERCE
I MISTERI DI RILEY PAIGE
IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)
IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)
OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)
IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)
KILLER PER CASO (Libro #5)
CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)
MORTE AL COLLEGE (Libro #7)
UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)
UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)
I MISTERI DI MACKENZIE WHITE
PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)
UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)
PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)
PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)
PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)
PRIMA CHE SENTA (Libro #6)
PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Book #7)
BEFORE HE HUNTS (Book #8)
I MISTERI DI AVERY BLACK
UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)
UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)
UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)
UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)
UNA RAGIONE PER SALVARE (Libro #5)
I MISTERI DI KERI LOCKE
TRACCE DI MORTE (Libro #1)
TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)
INDICE
PROLOGO
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO UNDICI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRÈ
CAPITOLO VENTIQUATTRO
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
CAPITOLO VENTOTTO
CAPITOLO VENTINOVE
CAPITOLO TRENTA
CAPITOLO TRENTUNO
CAPITOLO TRENTADUE
CAPITOLO TRENTATRÈ
CAPITOLO TRENTAQUATTRO
PROLOGO
Il sole aveva fatto capolino all’orizzonte, ma non aveva ancora scacciato completamente il freddo della notte. Era il momento della giornata preferito da Christy. Vedere il sole che si levava sulla città serviva a ricordarle che tutte le notti avevano una fine, e lei aveva davvero bisogno di quella conferma, poiché si sentiva sempre più lontana da Dio. Vedere il sole innalzarsi sugli edifici di Washington e respingere la notte le fece venire in mente il testo di un canto di chiesa: Il dolore può durare per una notte, ma al mattino giunge il sole...
Continuò a ripetersi quella strofa mentre camminava lungo la strada che conduceva alla chiesa. Erano settimane che tentava di convincersi ad andare. La sua fede era stata messa alla prova quando aveva ceduto al peccato e alla tentazione. L’idea di confessarsi le era venuta subito in mente, ma non era mai facile confessare i propri peccati. Eppure lei sapeva di doverlo fare. Quanto più a lungo un peccato si frapponeva fra lei e Dio, tanto più sarebbe stato complesso ripristinare l’equilibrio originario. Prima fosse riuscita a confessare quel peccato, maggiori sarebbero state le sue possibilità di rimettersi sulla retta via e ritrovare la fede perduta – quella fede che aveva plasmato la sua vita fin dall’età di dieci anni.
Appena vide il profilo della chiesa davanti a sé, avvertì una stretta al petto. Ce la farò? Davvero riuscirò a confessarlo?
La familiare sagoma della Chiesa Cattolica Blessed Heart sembrava dirle che sì, poteva.
Christy prese a tremare. Non era certa se il suo potesse definirsi un tradimento. Aveva baciato quell’uomo una volta soltanto, però aveva continuato a vederlo, a lasciarsi adulare dalle sue parole di ammirazione – parole che suo marito aveva ormai da anni smesso di rivolgerle.
Le sembrava quasi di sentire il peccato scivolare via dal suo corpo mentre il sole si innalzava sempre più alto in cielo, tingendo di sfumature dorate e aranciate le mura della Blessed Heart. Se avesse avuto bisogno di ulteriori segnali che avrebbe fatto bene a confessare i propri peccati ad un prete quella mattina, quello le sembrò uno.
Giunse alla base dei gradini della Blessed Heart con le spalle pesanti. Ma sapeva che tra poco quel peso sarebbe svanito. Sarebbe potuta tornare a casa, con il cuore finalmente libero dal peccato e la mente...
Arrivata al portone della chiesa, Christy si mise ad urlare.
Indietreggiò senza smettere di gridare, rischiando di cadere dalle scale. Si portò una mano alla bocca, ma non riuscì a soffocare le grida.
Padre Costas era appeso al portone. Aveva addosso solo la biancheria intima e un lungo taglio orizzontale gli solcava la fronte. La testa pendeva mollemente rivolta verso i piedi nudi, che si trovavano a una cinquantina di centimetri da terra. Sottili rivoli di sangue gli colavano dalle dita, raccogliendosi in una tetra pozza rossa.
Crocifisso, realizzò con orrore Christy. Padre Costas è stato crocifisso.
CAPITOLO UNO
Dopo il suo ultimo caso, Mackenzie White aveva fatto qualcosa che non aveva mai fatto prima nella sua vita lavorativa: aveva chiesto le ferie.
Aveva fatto richiesta per due settimane di ferie per svariate ragioni e le bastò il primo giorno per capire che aveva preso la decisione giusta. Quando era entrata nell’FBI, non aveva impiegato molto a farsi un nome. Senza averne l’intenzione, si era ritrovata per le mani un caso importante dietro l’altro, quasi l’avessero cercata. Non solo, li aveva anche risolti brillantemente, facendo un’ottima figura con tutte le persone che contavano a Quantico e a Washington. Dopo aver risolto numerosi casi e aver rischiato la propria vita praticamente ogni mese, non riteneva che fosse troppo chiedere due settimane di ferie pagate.
I suoi superiori erano d’accordo con lei, anzi, l’avevano addirittura incoraggiata. Era certa che si sarebbero fatti una risata se avessero saputo come stava trascorrendo le sue ferie: per lo più in palestra, per migliorare la propria forma fisica e affinare il suo istinto e le sue abilità. Aveva una solida base in tutti i campi più importanti: era abile nel combattimento a mani nude; era spaventosamente brava con la pistola; era di gran lunga più forte delle altre donne che avevano frequentato l’Accademia con lei.
Ma Mackenzie White voleva sempre migliorarsi.
Ecco perché, l’ottavo giorno di ferie, stava sudando e mettendo a dura prova i muscoli in una palestra privata. Si allontanò con una spinta da di uno dei tanti ring, rivolgendo al suo compagno d’allenamento un cenno di ringraziamento, quindi si preparò al secondo round, pienamente convinta che avrebbe perso. Ma non era un problema.
Del resto, praticava il Muay Thai, la boxe thailandese, da poco più di un mese. Era diventata abbastanza brava da sentirsela di introdurre un altro stile di combattimento, meno conosciuto. Con l’aiuto di un istruttore privato e di una buona dose di determinazione, Mackenzie aveva iniziato ad allenarsi anche a Yaw-Yan, uno stile filippino di kickboxing. Mescolare le due tecniche non era esattamente ortodosso, ma insieme all’istruttore era riuscita a escogitare una strategia per usarle insieme. Il corpo di Mackenzie era stato messo talmente sotto sforzo che adesso spalle e polpacci le sembravano di cemento.
Mackenzie fece un passo verso il suo avversario e, dopo essersi toccati i guantoni in un gesto sportivo, ripresero l’allenamento. Subito Mackenzie schivò un jab e rispose con un colpo identico.
In un certo senso, era come imparare un nuovo stile di ballo. Mackenzie da bambina aveva seguito un corso di danza e non aveva mai dimenticato l’importanza della concentrazione e del gioco di gambe. Erano abilità che si era portata dietro nel suo primo lavoro come poliziotta, poi come detective in Nebraska. L’avevano anche aiutata immensamente come agente dell’FBI, salvandole la vita in più di un’occasione.
E non l’avevano abbandonata nemmeno ora, mentre si allenava. Provò le nuove mosse imparate, sferrando una serie di calci discendenti e gomitate, seguiti da colpi di kickboxing più tradizionali. L’espressione stupita sul volto del suo avversario la incoraggiava. Certo, era solo un allenamento, ma sentiva il bisogno di eccellere ugualmente.
Inoltre, la aiutava a tenere libera la mente. Associava sempre ad ogni pugno, calcio o gomitata qualcosa del suo passato. Sferrò un sinistro contro gli anni sprecati nella Polizia del Nebraska. Un manrovescio scacciò la paura che il caso del Killer dello Spaventapasseri le aveva instillato. Un potente diretto colpì al cuore l’infinito flusso di misteri che provenivano dal vecchio caso di suo padre.
Ad essere sincera, era proprio quel caso che l’aveva spinta a imparare quelle nuove tecniche di combattimento, a migliorarsi. Aveva ricevuto un messaggio da qualcuno coinvolto... qualcuno nell’ombra che, a quanto pareva, la conosceva.
Mentre continuava ad allenarsi, nella sua mente vedeva ancora quel messaggio.
Smettila di indagare...
Naturalmente, Mackenzie aveva intenzione di fare giusto l’opposto. Per questo adesso era sul ring, concentrata e con i muscoli tesi come corde di violino.
Dopo un colpo al plesso solare e una gomitata alle costole dell’avversario, l’incontro fu dichiarato concluso. L’arbitro applaudiva sorridendo e annuendo con la testa.
“Bene, Mac” disse “Adesso, perché non fai una pausa? Ti alleni già da un’ora e mezza.”
Mackenzie annuì, rilassando la postura e stringendo la mano all’avversario, un ragazzo di venticinque anni dalla corporatura di un atleta di MMA. Lui le sorrise attraverso il paradenti e scese dal ring.
Mackenzie ringraziò l’arbitro e si avviò verso gli spogliatoi. Aveva i muscoli così stremati che quasi le tremavano, ma la sensazione non le dispiaceva. Significava che si era spinta al limite, tentando di superarlo.
Dopo essersi fatta la doccia ed aver indossato quella che Ellington chiamava la sua tenuta da palestra (una canotta della Under Armour e un paio di leggings neri), si ricordò che l’aspettava un altro allenamento quel giorno. Sperava che le braccia smettessero di tremarle. Certo, Ellington l’avrebbe aiutata, ma gli scatoloni che doveva spostare quel pomeriggio erano tanti e piuttosto pesanti.
Anche se tecnicamente viveva nell’appartamento di Ellington già da qualche giorno, era quello il giorno in cui avrebbe portato là tutte le sue cose. Ed era un altro dei tanti motivi per cui aveva chiesto le ferie. Mackenzie considerava anche quello una crescita personale. Fidarsi di qualcuno al punto da condividere uno spazio abitativo e, per quanto suonasse sdolcinato, il suo cuore, era qualcosa che non sarebbe riuscita a fare fino a pochi mesi prima.
Appena ebbe finito di cambiarsi, si accorse di non vedere l’ora di cominciare il trasloco. Incurante dei muscoli doloranti, accelerò il passo mentre raggiungeva il parcheggio.
***
Il lato positivo di non essere una persona materialista era che, al momento del trasloco, c’era ben poco da mettere negli scatoloni. Infatti bastò un solo viaggio con il fuoristrada di Ellington e un furgone per traslochi a noleggio. Grazie all’ascensore nell’edificio dove viveva Ellington, ci vollero in tutto meno di due ore, e alla fine Mackenzie non aveva dovuto sollevare poi così tanti scatoloni.
Festeggiarono il trasloco con cibo cinese e una bottiglia di vino. Mackenzie era stanca e indolenzita, ma immensamente felice. Credeva che si sarebbe sentita nervosa e che forse avrebbe persino provato un po’ di rimorso; invece, mentre iniziavano a sballare gli scatoloni, si scoprì eccitata per questo nuovo capitolo della sua vita.
“Facciamo un patto” disse Ellington, il cutter puntato sul nastro adesivo che chiudeva una delle scatole. “Devi dirmelo subito se ci sono film o CD imbarazzanti in queste scatole.”
“Direi che il CD più imbarazzante che ho è la colonna sonora di quell’orrendo remake anni Novanta di Romeo e Giulietta. Che vuoi che ti dica? Mi piaceva un sacco quella canzone dei Radiohead.”
“Va bene, sei perdonata” disse lui tagliando il nastro adesivo.
“E tu?” ribatté Mackenzie. “Non hai CD imbarazzanti in casa?”
“In realtà mi sono disfatto di tutti i miei CD e DVD. Ho tutto in digitale. Volevo fare un po’ di posto, quasi come se avessi il presentimento che uno di questi giorni un’agente sexy dell’FBI sarebbe venuta a vivere qui con me.”
“Che intuito” commentò lei, poi gli si avvicinò e gli prese una mano tra le sue. “Allora... è la tua ultima possibilità. Fai ancora in tempo a cambiare idea prima che svuotiamo gli scatoloni.”
“Cambiare idea? Sei pazza?”
“Dovrai convivere con una ragazza” disse tirandolo a sé. “Una ragazza a cui piace l’ordine, a volte in modo maniacale.”
“Ah, lo so. Non vedo l’ora” fu la risposta di Ellington.
“E tutti i miei vestiti? Sei disposto a condividere il tuo armadio con me?”
“Non ho molti vestiti” disse lui chinandosi su Mackenzie. Adesso i loro nasi si sfioravano e tra loro stava iniziando a divampare un calore a cui ormai avevano fatto l’abitudine. “Puoi prenderti tutto lo spazio che vuoi.”
“Trucchi, assorbenti, dividere il letto, più piatti sporchi... Sicuro di essere pronto a tutto questo?”
“Sì. Però devo chiederti una cosa.”
“E sarebbe?” disse Mackenzie mentre con le mani gli accarezzava le braccia. Sapeva come sarebbe andata a finire, e ogni muscolo indolenzito del suo corpo era pronto.
“Tutti quei vestiti da donna” disse lui. “Non lasciarli sparsi sul pavimento.”
“Mh... non ci penso neanche” rispose.
“Ah, lo so” disse Ellington, poi le prese l’orlo della canottiera e gliela sfilò. Senza perdere tempo, fece lo stesso con il reggiseno sportivo che indossava sotto. “Io invece probabilmente lo farò” aggiunse lasciando cadere gli indumenti a terra.
Poi la baciò e provò a portarla verso la camera da letto, ma i loro corpi erano troppo impazienti, così finirono sul tappeto del soggiorno. Anche se i muscoli doloranti di Mackenzie protestarono per la scomodità, altre parti del suo corpo ebbero la meglio.
***
Quando il suo cellulare squillò alle 4:47 del mattino, nella mente assonnata di Mackenzie si fece strada un solo pensiero, mentre allungava la mano verso il comodino.
Una telefonata a quest’ora... Mi sa che la vacanza è finita.
“Sì?” rispose saltando i convenevoli, dato che tecnicamente era ancora in ferie.
“White?”
Stranamente, negli ultimi nove giorni McGrath le era quasi mancato. Sentire la sua voce la riportò rapidamente alla realtà.
“Sì, sono io.”
“Scusi l’ora” disse. Prima che potesse aggiungere altro, anche il cellulare di Ellington si mise a squillare dall’altro comodino.
È successo qualcosa di grosso, pensò. Qualcosa di terribile.
“Ascolti, mi rendo conto di averle concesso due settimane di ferie” disse McGrath, “ma abbiamo per le mani un disastro e ho bisogno di lei. Di lei e di Ellington. Venite nel mio ufficio prima che potete.”
Non era una domanda, bensì un ordine. Senza aggiungere altro, McGrath riattaccò. Mackenzie sospirò e si girò verso Ellington, che stava giusto concludendo la sua telefonata.
“A quanto pare la tua vacanza è finita” disse con un sorriso tirato.
“Non fa niente” replicò Mackenzie. “È finita con il botto.”
Poi, come una vecchia coppia sposata, si scambiarono un bacio e scesero dal letto per andare al lavoro.
CAPITOLO DUE
Il J. Edgar Hoover Building era deserto quando Mackenzie ed Ellington entrarono. Entrambi si erano già trovati là agli orari più disparati della notte, perciò non era niente fuori dal normale. Eppure, essere chiamati a quell’ora non era mai un buon segno. Solitamente significava che ad attenderli era qualcosa di veramente orribile.
Quando raggiunsero l’ufficio di McGrath, trovarono la porta aperta. Lui era seduto ad un piccolo tavolo da riunione in fondo alla stanza, intento a studiare diversi fascicoli. Insieme a lui c’era una donna che Mackenzie aveva già visto. Era l’agente Yardley, una tipa silenziosa e diretta che in più di un’occasione aveva affiancato l’agente Harrison. Quando li vide entrare e avvicinarsi al tavolo, fece un cenno e una sorta di sorriso robotico, poi tornò a fissare il portatile, concentrata.
McGrath sollevò la testa e Mackenzie lesse una sorta di sollievo nel suo sguardo. Era un bel modo di essere accolta al lavoro dopo aver dovuto interrompere le ferie.
“White, Ellington” disse McGrath. “Conoscete l’agente Yardley?”
“Sì” disse Mackenzie rivolgendo un cenno del capo alla donna.
“È appena tornata da una scena del crimine collegata ad un’altra di cinque giorni fa. Inizialmente il caso era stato affidato a lei, ma quando abbiamo cominciato a sospettare che potesse trattarsi di un serial killer, le ho chiesto di raccogliere tutta la documentazione per passare il caso a voi. Abbiamo un omicidio... il secondo in cinque giorni. White, ho pensato nello specifico a lei per via di un suo caso passato; mi riferisco al Killer dello Spaventapasseri.”
“Cosa abbiamo su questo caso?” chiese Mackenzie.
Yardley girò il portatile verso di loro. Mackenzie si accomodò alla sedia più vicina e osservò la fotografia sullo schermo con una calma che ormai conosceva bene, l’abilità di studiare gli scatti più crudi come parte del suo lavoro, ma con la compassione rassegnata che praticamente tutti proverebbero per una morte così tragica.
Vide un uomo che aveva superato la mezza età, con capelli e barba quasi completamente bianchi, appeso al portone di una chiesa. Le braccia erano spalancate e la testa china, in una posa che richiamava la crocifissione. Il petto era solcato da tagli e un’ampia ferita si apriva sulla fronte. Era stato lasciato in mutande, che avevano assorbito gran parte del sangue che era colato dagli squarci. Da quello che riusciva a carpire dalle fotografie, sembrava che le mani dell’uomo fossero state davvero inchiodate alla porta. In piedi invece erano semplicemente legati.
“Questa è la seconda vittima” disse Yardley. “Il reverendo Ned Tuttle, cinquantacinque anni. Il cadavere è stato rinvenuto da un’anziana signora che era passata di buon’ora per deporre dei fiori sulla tomba del marito. La Scientifica si trova sulla scena del ritrovamento proprio ora. A quanto sembra, il corpo è stato messo lì meno di quattro ore fa. Abbiamo già inviato degli agenti per informare i famigliari.”
È una donna a cui piace avere il comando e portare a termine le cose, rifletté Mackenzie. Potremmo andare molto d’accordo noi due.
“Cosa sappiamo della prima vittima?” chiese Mackenzie.
McGrath le passò una cartellina. Mentre Mackenzie scorreva il contenuto, McGrath riassunse i fatti. “Padre Costas, della Chiesa Cattolica Blessed Heart. È stato trovato nelle stesse condizioni dell’altra vittima, inchiodato al portone della sua chiesa cinque giorni fa. Sinceramente, mi stupisce che non ne abbia sentito parlare ai notiziari.”
“Mi ero ripromessa di non seguire i notiziari in vacanza” disse Mackenzie scoccando a McGrath un’occhiata ironica, che però l’uomo sembrò non cogliere.
“Mi sembra di averne sentito parlare mentre ero in pausa” disse Ellington. “La donna che ha trovato il corpo è rimasta in stato di shock per un po’, giusto?”
“Esatto” confermò McGrath.
“E basandoci sui risultati della Scientifica” aggiunse Yardley, “padre Costas non può essere rimasto crocifisso per più di due ore.”
Mackenzie scorse la documentazione. Le immagini ritraevano padre Costas nella stessa identica posa del reverendo Tuttle. Tutto sembrava uguale, compresa l’ampia ferita sulla fronte.
Mackenzie richiuse la cartellina e la restituì a McGrath.
“Dove si trova quella chiesa?” chiese indicando lo schermo del computer.
“Appena fuori città. È una chiesa presbiteriana piuttosto grande.”
“Mi mandi l’indirizzo per messaggio” disse Mackenzie rialzandosi. “Vado a dare un’occhiata di persona.”
Forse, negli ultimi otto giorni, il lavoro le era mancato più di quanto avrebbe immaginato.
***
Era ancora buio quando Mackenzie ed Ellington arrivarono alla chiesa. La squadra della Scientifica aveva quasi finito. Il corpo del reverendo Tuttle era stato rimosso dalla porta, ma a Mackenzie non importava: aveva già visto abbastanza nelle fotografie.
Due omicidi con crocifissione, entrambi sul portone di una chiesa. Le vittime erano presumibilmente i leader spirituali di quelle chiese. Mi sembra evidente che qualcuno provi un forte risentimento nei confronti della chiesa. Chiunque sia, non fa distinzioni di culto.
Quando la Scientifica ebbe concluso il proprio lavoro, Mackenzie ed Ellington si avvicinarono alla facciata dell’edificio. Sulla sinistra, vicino ad una piccola insegna con il nome della chiesa, c’era una manciata di persone. Alcune pregavano abbracciandosi. Altre piangevano apertamente.
Sono membri della chiesa, intuì Mackenzie con profonda tristezza.
Quando furono più vicini all’edificio, la scena peggiorò. C’erano tracce di sangue e due larghi fori dove erano stati piantati i chiodi. Mackenzie ispezionò la zona in cerca di altri richiami religiosi, ma non ne trovò. C’erano solo sangue e tracce di terra e sudore.
Che mossa audace, pensò. Deve avere per forza un qualche significato simbolico. Perché una chiesa? Perché la porta di una chiesa? Una volta sola potrebbe passare per coincidenza; ma due vittime inchiodate alla porta... è un’azione deliberata.
Trovava quasi offensivo che qualcuno potesse compiere un’azione del genere davanti ad una chiesa. Ma forse era stato scelto quel luogo di proposito. Non c’era modo di saperlo con assoluta certezza. Nonostante Mackenzie non avesse grande fiducia nella religione o in Dio, rispettava le persone che vivevano secondo la propria fede. A volte desiderava poter essere anche lei così. Forse per questo trovava quell’atto così deplorevole; dileggiare la morte di Cristo proprio all’ingresso di un luogo dove le persone si radunavano nel suo nome in cerca di conforto era odioso.
“Anche se questo fosse stato il primo omicidio” commentò Ellington, “una scena del genere mi avrebbe subito fatto credere che non sarebbe finita qui. Tutto questo è... rivoltante.”
“Hai ragione” rispose Mackenzie. “Anche se non saprei dire di preciso perché.”
“Perché le chiese sono luoghi sicuri. Uno non si aspetta certo di trovare sangue e chiodi all’entrata. Sembra roba uscita dal Vecchio Testamento.”
Mackenzie non era minimamente ferrata in materia, però rammentava alcune storie della Bibbia dalla sua infanzia. In particolare, qualcosa riguardo un Angelo della Morte che arrivava in città a prendere il primo nato in tutte le famiglie che non avevano un determinato marchio sulla porta.
Un brivido la percorse. Mackenzie lo scacciò e si voltò verso la Scientifica. Con un cenno della mano richiamò l’attenzione di un membro della squadra, che si avvicinò, evidentemente turbato da quello che lui e i suoi colleghi avevano visto. “Agente White” la salutò, “il caso è suo adesso?”
“Così sembra. Mi chiedevo se avete ancora i chiodi che sono stati usati per appendere la vittima al portone.”
“Sicuro” disse quello, poi chiamò con un cenno un collega e tornò a guardare l’ingresso della chiesa. “Il responsabile dev’essere super forzuto... oppure ha avuto tutto il tempo di agire indisturbato.”
“Ne dubito” commentò Mackenzie. Indicando il parcheggio della chiesa e la strada poco oltre, disse: “Se anche il killer avesse agito alle due o alle tre di notte, è praticamente impossibile che non sia passata neanche un’auto lungo Browning Street.”
“A meno che l’assassino non abbia studiato la zona in anticipo per trovare i tempi morti del traffico dopo mezzanotte” suggerì Ellington.
“Telecamere di sorveglianza nei paraggi?” chiese Mackenzie.
“Nessuna, abbiamo già controllato. L’agente Yardley si è anche messa in contatto con i proprietari degli edifici circostanti, ma solo uno ha installate delle telecamere di sicurezza, che però non inquadrano la chiesa. Insomma, niente da fare.”
Un altro membro della Scientifica si avvicinò con in mano un sacchetto di plastica trasparente contenente due spuntoni di ferro e quello che sembrava del filo di ferro arrotolato.
“Sono chiodi da ferrovia quelli?” si informò Mackenzie.
“Probabilmente” disse il tizio della Scientifica. “Anche se sono una versione ridotta. Forse sono quei chiodi che si usano per pollai e recinti.”
“Quanto ci vorrà per avere i risultati delle analisi?” chiese ancora Mackenzie.
L’uomo si strinse nelle spalle. “Mezza giornata, forse. Se mi dice cosa le interessa in particolare, cercherò di farle avere quei risultati per primi.”
“Cercate di scoprire che attrezzo ha usato il killer per piantare i chiodi. Si dovrebbe capire dalle tracce sulle teste dei chiodi, no?”
“Sì, dovremmo riuscirci. Abbiamo tutto quello che ci serve: il cadavere passerà al medico legale solo dopo che avremo dato il nostro consenso, e abbiamo già raccolto le impronte digitali dal portone e dalle scale. Le faremo sapere se scopriamo qualcosa.”
“Grazie” disse Mackenzie.
“Mi dispiace, ma abbiamo dovuto rimuovere il corpo. Stava per farsi giorno e non volevamo che questa brutta storia finisse sul giornale di oggi. O su quello di domani, per la cronaca.”
“Non c’è problema, davvero.”
Detto ciò, Mackenzie si tornò a voltare verso il portone, congedando implicitamente i membri della Scientifica. Tentò di immaginarsi qualcuno trascinare un cadavere attraverso il prato e poi su per la scalinata nel cuore della notte. Per la posizione in cui si trovavano, i lampioni della strada non arrivavano a illuminare la facciata della chiesa che, data l’assenza di luci di altro tipo nei dintorni, doveva essere stata completamente avvolta dalle tenebre.
Forse è più probabile di quanto pensassi che il killer abbia avuto tutto il tempo di agire con calma, ragionò.
“Che richiesta strana” disse Ellington. “Cosa stai pensando?”
“Ancora non lo so, ma quello che so è che devono esserci volute una gran forza e determinazione per sollevare un uomo da terra e inchiodargli le mani a questa porta. Se è stato usato un martello, potrebbe significare che sono coinvolti due aguzzini: uno che teneva sollevata la vittima con le mani in posizione e un altro che piantava i chiodi.”
“Un quadretto raccapricciante” commentò Ellington.
Mackenzie annuì mentre scattava qualche foto col cellulare. Nel frattempo, le tornò in mente un suo vecchio caso in cui il killer era ricorso al tema della crocifissione: un caso in Nebraska, che l’aveva portata poi alla collaborazione con l’FBI.
Il Killer dello Spaventapasseri, pensò. Oddio, riuscirò mai a lasciarlo sepolto nei ricordi?
Alle sue spalle, il sole iniziò a sorgere, proiettando in cielo i primi raggi di luce. La sua ombra fu proiettata sui gradini della chiesa, e Mackenzie tentò di ignorare il fatto che somigliasse molto ad una croce.
Altri ricordi del caso del Killer dello Spaventapasseri le invasero la mente.
Forse questa sarà la volta buona, pensò speranzosa. Forse, risolvendo questo caso, i ricordi di quelle donne crocifisse nei campi di granoturco smetteranno di perseguitarmi.
Ma quando posò di nuovo gli occhi sulle porte insanguinate della Cornerstone, temette che la sua fosse solo una pia illusione.