Loe raamatut: «Se fosse fuggita»
s e f o s s e f u g g i t a
(un giallo di kate wise – libro 5)
b l a k e p i e r c e
Blake Pierce
Blake Pierce è l’autore della serie thriller best-seller di RILEY PAGE, che include quindici libri (più altri in arrivo). Blake Pierce è anche l’autore dei gialli di MACKENZIE WHITE in tredici libri (più altri in arrivo); della serie gialla di AVERY BLACK, che comprende sei libri; e della serie thriller di KERI LOCKE, che conta cinque libri; della serie gialla GLI INIZI DI RILEY PAIGE, che comprende quattro libri (più altri in arrivo); della serie gialla di KATE WISE, che comprende sei libri (più altri in arrivo); dei gialli psicologici di CHLOE FINE, che comprendono cinque libri (più altri in arrivo); e della serie thriller psicologica di JESSE HUNT, che comprende cinque libri (più altri in arrivo).
Avido lettore e fan di gialli e thriller da una vita, Blake vorrebbe sapere cosa ne pensi delle sue opere, quindi visita il suo sito internet www.blakepierceauthor.com per saperne di più e rimanere aggiornato su tutte le novità.
Copyright © 2019 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Salvo per quanto permesso dalla legge degli Stati Uniti U.S. Copyright Act del 1976, è vietato riprodurre, distribuire, diffondere e archiviare in qualsiasi database o sistema di reperimento dati questa pubblicazione, in qualsiasi sua parte, in alcuna forma o con qualsiasi mezzo, senza previa autorizzazione dell’autore. Questo e-book è disponibile solo per fruizione personale. Questo e-book non può essere rivenduto né donato ad altri. Se vuole condividerlo con un’altra persona, è pregato di acquistarne un’ulteriore copia per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato o non è stato acquisto per suo solo uso e consumo, è pregato di restituirlo e comprarne una copia per sé. La ringraziamo del rispetto che dimostra nei confronti del duro lavoro dell’autore. Questa storia è opera di finzione. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo romanzesco. Ogni riferimento a persone reali, in vita o meno, è una coincidenza. Immagine di copertina Copyright andreiuc88, usata su licenzia concessa da Shutterstock.com.
LIBRI DI BLAKE PIERCE
UN’EMOZIONANTE SERIE PSICOLOGICA DI JESSIE HUNT
LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)
IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)
LA CASA PERFETTA (Libro #3)
L’EMOZIONANTE SERIE PSICOLOGICA DI CHLOE FINE
LA PORTA ACCANTO (Libro #1)
LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)
VICOLO CIECO (Libro #3)
SUN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)
I GIALLI DI KATE WISE
SE LEI SAPESSE (Libro 1)
SE LEI VEDESSE (Libro 2)
SE LEI SCAPPASSE (Libro 3)
SE LEI SI NASCONDESSE (Libro 4)
SE FOSSE FUGGITA (Libro 5)
SE LEI TEMESSE (Libro 6)
LA SERIE DEGLI INIZI DI RILEY PAIGE
LA PRIMA CACCIA (Libro #1)
IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)
ADESCAMENTO (Libro #3)
CATTURA (Libro #4)
LA SERIE DI GIALLI DI RILEY PAIGE
IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)
IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)
OSCURITÀ PERVERSA (Libro #3)
IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)
KILLER PER CASO (Libro #5)
CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)
MORTE AL COLLEGE (Libro #7)
UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)
UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)
IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)
LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)
MORTE SUI BINARI (Libro #12)
MARITI NEL MIRINO (Libro #13)
IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)
IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)
LA SERIE DI GIALLI DI MACKENZIE WHITE
PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)
UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)
PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)
PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)
PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)
PRIMA CHE SENTA (Libro #6)
PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)
PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)
PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)
PRIMA CHE ANELI (Libro #10)
PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)
PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)
PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)
LA SERIE DI GIALLI DI AVERY BLACK
UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)
UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)
UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)
UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)
SERIE DI GIALLI DI KERI LOCKE
TRACCE DI MORTE (Libro #1)
TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)
TRACCE DI PECCATO (Libro #3)
TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)
TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)
INDICE
PROLOGO
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO UNDICI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRÉ
CAPITOLO VENTIQUATTRO
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
PROLOGO
La maggior parte delle volte, a Karen Hopkins lavorare a casa piaceva. Si teneva occupata, il che era un bene, perché la piccola attività di ottimizzazione web che doveva essere solo un lavoretto secondario, in qualche modo era diventata una cosa full time – una cosa full time che avrebbe aiutato lei e il marito Gerald ad andare in pensione entro due o tre anni. Ma c’erano giorni in cui i clienti erano così maledettamente stupidi che quasi rimpiangeva gli anni in cui rispondeva a qualcun altro. L’abilità di passare i clienti piantagrane a qualcuno di più in alto nella catena le sarebbe stata utile fin troppo spesso.
Guardava un’email chiedendosi come rispondere alla domanda idiota di un cliente senza sembrare maleducata. Al momento stava ascoltando su Spotify una delle sue playlist classiche – ma non di quelle con molti archi a sovrastare il pianoforte. No, lei preferiva piano e basta. Al momento cercava di gustarsi la Gymnopedie No. 1 di Erik Satie.
La parola chiave era cercava. Veniva distratta dall’email e dalle occasionali domande dell’uomo nel salotto. Il salotto era separato dall’ufficio da un’unica parete, quindi ogni volta che quello aveva una domanda da fare, praticamente doveva urlare. Era abbastanza socievole, ma santo cielo, Karen stava cominciando a desiderare di non averlo mai chiamato.
«Che tappeto meraviglioso che ha qui» disse, e la voce gridava attraverso la parete, attraverso Erik Satie e attraverso i pensieri che aveva raccolto Karen a proposito di quella maledetta email. «Orientale?»
«Credo di sì» disse lei girandosi oltre la spalla. Dava la schiena all’ingresso per il corridoio e, oltre, il salotto, e così era costretta a parlare piuttosto forte.
Cercò di tenere un tono cortese… persino allegro. Ma era difficile. Era troppo distratta. Quell’email era importante. Era un cliente abituale che apparentemente avrebbe portato ancor più lavoro nei prossimi mesi, ma quelli che gli gestivano l’attività parevano degli idioti.
Si mise a digitare una risposta scegliendo ogni parola con attenzione. Era difficile fare i professionali e i ragionevoli quando, arrabbiatissimi, si metteva in questione l’intelligenza della persona a cui si stava scrivendo. Lei lo sapeva bene, e le sembrava di dover sopportare la cosa molte volte al mese.
Lavorò per quattro secondi prima che l’uomo nel salottino la chiamasse di nuovo. Karen fece una smorfia, desiderando di non averlo mai chiamato. Il tempismo era pessimo. Che diamine aveva pensato? Avrebbe potuto aspettare fino al weekend, davvero.
«Vedo le foto dei suoi figli sulla mensola del camino. Quanti sono? Tre?»
«Sì.»
«Quanto hanno adesso?»
Dovette mordersi la lingua per non dirgli qualche parolaccia. Però era importante mantenere le apparenze. Inoltre, non sapeva quando avrebbe dovuto richiamarlo.
«Oh, adesso sono tutti grandi – venti, ventitré e ventisette anni.»
«Un bel gruppo di ragazzi, sicuro» ripose lui. Poi ammutolì. Lei lo udì muoversi nel salotto, incluso l’occasionale canticchiare basso e ripetitivo. Le ci volle un attimo per accorgersi che canticchiava seguendo la musica che veniva dall’ufficio, passata a un altro pezzo di Satie. Alzò gli occhi al cielo, desiderando che se ne stesse zitto. Certo, lo aveva chiamato lei per un servizio, ma la stava già irritando. Ma i professionisti di solito non venivano, lavoravano in silenzio e poi se ne andavano felicemente pagati? Che problema aveva quello lì?
«Grazie» riuscì a dire, trovando proprio sgradevole l’idea che le guardasse le foto dei figli.
Abbassò la testa e tornò all’email. Inutile, ovvio. Apparentemente il suo visitatore era incline a conversare attraverso i muri.
«Vivono qui intorno?» chiese.
«No» disse. Fu piuttosto breve e secca stavolta, e arrivò pure a girare del tutto la testa a destra in modo che riuscisse a udire l’irritazione della voce. Non aveva intenzione di dargli l’indirizzo dei suoi figli. Dio solo sapeva che razza di domande avrebbe potuto tirarne fuori.
«Capito» disse lui.
Se non fosse stata così assorbita dall’email che aveva davanti, forse avrebbe riconosciuto un gelo inquietante nel silenzio che seguì la domanda. Era un silenzio pregno, del tipo che promette qualcosa, in seguito.
«Oggi aspetta visite?»
Non fu certa del perché, ma qualcosa nella domanda le accese la paura. Era una domanda stramba da fare per uno sconosciuto, in particolare per uno che aveva assunto per un servizio. E non aveva forse sentito qualcosa di diverso nel tono?
Ora preoccupata, distolse lo sguardo dal laptop. Sembrava esserci qualcosa che non andava con lui. E adesso non era più solo irritata dalle domande, ma si stava pure spaventando.
«Più tardi vengono degli amici per un caffè» mentì. «Però non so bene quando. La maggior parte delle volte passano a trovarmi quando ne hanno voglia»
Qui non ebbe risposta, e la cosa fu più spaventosa che mai. Lentamente, Karen fece scivolare la sedia all’indietro e si alzò. Andò alla soglia che collegava l’ufficio al salotto. Sbirciò dentro per vedere che cosa stesse facendo.
Ma lui non c’era. Gli arnesi del mestiere erano ancora lì, ma lui non si vedeva da nessuna parte.
Chiama la polizia…
Il pensiero le sfrecciò per la testa, e lo sapeva che si trattava di un buon consiglio. Ma sapeva anche di essere incline all’esagerazione. Magari era tornato al furgone o qualcosa del genere.
Assurdo, pensò. Hai sentito aprirsi e chiudersi la porta? E poi non ha fatto che chiacchierare. Te lo avrebbe detto che usciva…
Si immobilizzò; passi nel salotto. «Ehi» disse con voce un po’ titubante. «Dove va?»
Nessuna risposta.
C’è qualcosa che non va, le urlò quella vocina nella testa. Chiama subito la polizia!
Con il terrore che le esplodeva nello stomaco, Karen indietreggiò lentamente fino a uscire dal salotto. Fece per tornare nel suo ufficio, dove il telefono giaceva sulla scrivania.
Come si voltò, andò a sbattere contro a qualcosa di duro. Sentì odore di sudore per un solo istante, ma ebbe appena il tempo di registrarlo.
Fu allora che qualcosa le avvolse il collo, stringendo.
Karen Hopkins lottò, combattendo contro a ciò che aveva attorno al collo. Ma più lottava più quella cosa si faceva stretta. Era ruvida, le tagliava le carni e affondava sempre di più mentre lei si dimenava. Sentì una sottile scia di sangue scenderle giù per il petto nello stesso momento in cui si accorse di trovare difficile respirare.
Lottò lo stesso, facendo ciò che poteva per spingere l’aggressore nell’ufficio in modo da prendere il telefono. Sentì altro sangue scenderle per il collo, niente di che, solo un gocciolio. La cosa che aveva attorno al collo si fece ancora più stretta. Crollò lentamente mentre arrivava a qualche metro dalla scrivania, e tutto ciò che i suoi occhi riuscirono a vedere fu lo schermo del laptop davanti a lei. Quello schermo bianco, con un’email incompleta che non avrebbe mai inviato.
Guardò il cursore lampeggiare con insistenza, in attesa della parola seguente.
Che non sarebbe mai arrivata.
CAPITOLO UNO
Una delle varie cose che sorprendevano Kate Wise nei suoi cinquantacinque anni di vita (con i cinquantasei a sole poche settimane di distanza) era il fatto che prepararsi per un appuntamento non aveva mai mancato di farla sentire ancora un’adolescente insicura. Era giusto il trucco? Troppo? Avrebbe dovuto cominciare a tingersi per combattere il grigiore che lentamente sembrava vincere la guerra contro i suoi capelli? Avrebbe dovuto indossare un pratico reggiseno tutto comfort o uno che per Allen sarebbe stato semplice da togliere, giunti a fine serata?
Era una specie di ansia carina, che le ricordava che ci era già passata. Da sposata si era sentita allo stesso modo preparandosi per un appuntamento per tutto il primo anno. Però adesso con Allen, il primo uomo con cui usciva dalla morte di Michael, era stata costretta a imparare di nuovo a uscire con un uomo.
Con Allen le cose si facevano rapidamente più facili. Erano entrambi sui cinquantacinque, quindi c’era una sensazione di fretta a ogni appuntamento – la taciuta consapevolezza che se la relazione si fosse trasformata in qualcosa di diverso dall’uscire insieme, dovevano investirci appieno. Finora, pur con qualche ostacolo qua e là, avevano fatto proprio così. E fino a quel momento era stato incredibile.
L’appuntamento di quella sera doveva essere una cena, un film e poi di nuovo a casa sua, dove avrebbero trascorso la notte insieme. Quella era un’altra cosa che l’età consentiva loro: saltare tutto il tira e molla della camera da letto. Negli ultimi mesi la risposta era stata un inequivocabile sì – sì che si ripresentava quasi a ogni appuntamento (un’altra cosa che sorprendeva Kate sulle relazioni a cinquantacinque anni).
Mentre si applicava il rossetto – solo un po’, come sapeva che piaceva ad Allen – dei colpi alla porta la fecero sussultare. Guardò l’orologio e vide che erano solo le diciotto e trentacinque, venticinque minuti buoni prima dell’orario in cui lo aspettava.
Sorrise, presumendo che fosse venuto prima. Magari voleva cambiare l’ordine delle attività e passare subito alla parte in camera da letto. Sarebbe stato un dolore spogliarsi poco dopo essersi vestita, ma ne sarebbe valsa la pena. Con un sorriso in volto, uscì dalla camera, attraversò la casa e aprì la porta.
Quando vide che dall’altra parte c’era Melissa, visse molte emozioni piuttosto velocemente: sorpresa, delusione, e poi preoccupazione. Melissa teneva nella mano destra il seggiolino dell’auto e la piccola Michelle osservava. Quando gli occhi di Michelle trovarono la nonna, si illuminò e si allungò, muovendo le manine come per aggrapparvisi.
«Melissa, ciao» disse Kate. «Vieni, entra.»
Melissa fece come chiesto, accigliandosi mentre esaminava la madre. «Merda. Stai uscendo? Un appuntamento con Allen?»
«Già. Arriva tra venti minuti. Perché? Che c’è?»
Fu allora, quando si sistemarono sul divano, che Kate si accorse che Melissa sembrava turbata da qualcosa. «Speravo che stanotte potessi badare a Michelle.»
«Melissa… in qualsiasi altro momento sarebbe un piacere. Lo sai. Ma come vedi ho già altri impegni. Va… va tutto bene?»
Melissa fece spallucce. «Immagino di sì. Non so. Terry ultimamente è strano. A essere sincera, è strano da quando ci siamo presi quello spavento per la salute di Michelle. A volte è assente, sai. Negli ultimi giorni è stato peggio, e non so proprio perché.»
«Quindi avete bisogno di stare un po’ di tempo insieme? Un appuntamento per voi due?»
Melissa scosse la testa, accigliandosi. «No. Abbiamo bisogno di fare una chiacchierata. Una chiacchierata lunga e seria. E magari si urlerà. E per quanto sia stato distante ultimamente, sia io che lui siamo d’accordo di non urlarci mai contro con una bambina in casa.»
«Ti… ti maltratta?»
«No, niente del genere.»
Kate abbassò lo sguardo sul seggiolino, liberandone lentamente Michelle. «Lissa, avresti dovuto chiamare. Avvisarmi.»
«L’ho fatto. Ci ho provato un’oretta fa. Ma ha suonato un po’ e poi è partita la segreteria.»
«Ah, diavolo. L’ho lasciato silenzioso dopo che sono andata dal dentista. Scusami.»
«No, scusami tu. Odio chiederti questo favore all’ultimo minuto quando chiaramente hai dei programmi. Però… non so che altro fare. Scusa se ti sembra che mi stia approfittando di te, ma tu sei… sei tutto quello che ho, mamma. Però ultimamente pare che tu stia andando avanti. Tu adesso hai Allen e quella specie di lavoro con il bureau. Mi pare che tu ti stia dimenticando di me… che io e Michelle siamo più una seccatura che altro.»
A Kate si spezzò il cuore a sentire quelle parole. Si sistemò Michelle in grembo, le teneva le manine e la faceva saltellare.
«Non mi sono dimenticata di voi» disse Kate. «In effetti forse sto cercando di riscoprire me stessa. Attraverso il lavoro, attraverso Allen… attraverso te e Michelle. Non siete mai state una seccatura.»
«Mi dispiace. Non sarei dovuta venire dopo che non avevi risposto al telefono. Possiamo fare un’altra volta, magari tra qualche giorno… che ne dici?»
«No» disse Kate. «Stasera. Prendetevi stasera.»
«Ma il tuo appuntamento…»
«Allen capirà. Si è affezionato parecchio a Michelle, sai.»
«Mamma… sei sicura?»
«Sicurissima.»
Si sporse e avvolse Melissa in un abbraccio. Michelle le si dimenò in grembo, sollevando la mano libera per afferrare i capelli della nonna. «Anch’io ho avuto paura quando Michelle era in ospedale» disse mentre si abbracciavano. «Forse Terry non ha mai superato la cosa. Dagli l’opportunità di spiegarsi. E se te ne fa passare delle belle, ricordagli che tua madre ha una pistola.»
Melissa rise mentre si lasciavano. Anche Michelle rise, battendo le mani grassocce.
«Di’ ad Allen che mi dispiace» disse Melissa.
«Sì. E se stasera le cose si fanno strane, fammelo sapere. Sei sempre la benvenuta qui se ti serve una pausa.»
Melissa annuì e baciò Michelle sul capo. «Fa’ la brava con la nonna, ok?»
Michelle a questo non aveva risposte da dare, dato che al momento stava schiaffeggiando uno dei bottoni della camicia di Kate. Kate guardò Melissa andarsene e vide chiaramente quanto fosse combattuta. Le venne da chiedersi se le cose a casa non fossero peggiori di quanto desse a intendere.
Chiusa la porta, Kate abbassò lo sguardo su Michelle e le rivolse un sorriso. Michelle glielo restituì felicemente cercando di prenderle il naso.
«La mamma è contenta a casa?» chiese Kate. «La mamma e il papà se la cavano bene?»
Michelle le afferrò il naso e strinse, come ricordandole i suoi doveri. Kate fece un sorrisone e cacciò fuori la lingua, capendo che forse badare a Michelle poteva già essere un appuntamento di suo.
***
Quando quindici minuti dopo Kate aprì la porta ad Allen, lui parve sia felice che confuso. Aveva gli occhi lucenti e brillanti, come sempre quando vedevano Kate. Poi vide la bimba di dieci mesi tra le sue braccia, e gli occhi gli si strinsero in confusione. Sorrise lo stesso, perché Kate meno di mezz’ora prima aveva detto la verità a Melissa; Allen adorava Michelle quasi quanto la adorava Kate.
«Penso che sia un po’ giovane per fare da terzo incomodo» disse Allen.
«Lo so. Senti, Allen, mi dispiace. Ma c’è stato un cambio di programma… nell’ultima mezz’ora. Melissa e Terry stanno passando un momento difficile. Terry è molto distante e strano. Devono lavorare su delle cose…»
Allen fece spallucce con noncuranza. «Sono sempre invitato a entrare?»
«Certo.»
Le baciò entrambe – Kate sulle labbra e poi Michelle sulla fronte – prima di entrare. A Kate si scaldò il cuore tutto in una volta nei suoi confronti. Innanzitutto, era bello come sempre. Si era vestito bene per l’uscita, ma non troppo bene. Riusciva sempre a vestirsi in modo da sembrare adatto sia a un cocktail party su un patio sulla spiaggia che a un ristorante chic del centro.
«Pensi che sistemeranno tutto?» chiese Allen.
«Penso di sì. Penso che lo spavento preso quando Michelle era in ospedale abbia scosso Terry più di quanto si sia accorto. Lo sta patendo solo adesso, e credo che la cosa forse stia minando il matrimonio.”
«È dura» disse Allen. Aprì le mani verso Michelle e lei si allungò istantaneamente verso di lui. Mentre lui la coccolava e lei gli dava schiaffetti alla guancia, Allen guardò Kate con quella che non era proprio preoccupazione, ma un qualcosa di simile.
«Non aveva neanche chiamato?» chiese.
«Ci ha provato e… diamine. Mi sono dimenticata di nuovo di mettere la suoneria. Ero dal dentista per un controllo.»
Prese il telefono dalla borsa e riaccese la suoneria. Vide d’un colpo che un’ora e venti minuti prima Melissa aveva davvero cercato di chiamarla.
«Be’, sai, il nostro appuntamento può essere qui» disse lui. «Possiamo ordinare una cena tailandese e guardare un film. E la parte finale può essere uguale.»
Kate annuì e sorrise, ma la sua attenzione era ancora sul telefono. Aveva anche un’altra chiamata persa. E il numero che aveva provato a chiamare due volte, l’ultima volta aveva lasciato un messaggio.
Era una telefonata da Washington DC – dal direttore Duran.
«Kate?»
Sbatté le palpebre e distolse lo sguardo dal telefono. Odiava la sensazione di essere stata beccata a fare qualcosa di male.
«Tutto bene?»
«Sì. Solo… solo che ha chiamato anche il lavoro. Circa tre ore fa.»
«Richiama, allora» disse Allen. Stava fingendo di ballare con Michelle, e anche se aveva un volto felice Kate percepiva dell’irritazione in agguato. Però sapeva anche che non avrebbe fatto che insistere ulteriormente perché chiamasse, se si fosse rifiutata di farlo.
«Un secondo» disse andando in cucina e richiamando Duran.
Il telefono squillò solo due volte prima che rispondessero. Pure in qualcosa di così semplice come un «pronto», Duran sembrava arrabbiato.
«Kate, eccoti. Dov’eri finita?»
«Avevo il telefono silenzioso. Scusa. Tutto bene?»
«Be’, l’ultima volta che non hai risposto ho dato un po’ i numeri.»
«Per cosa?»
«C’è un caso nell’Illinois – due omicidi che sembrano legati, ma non c’è collegamento forte. Ha lasciato sconcertata la polizia del posto, e la succursale fuori Chicago ha evidenziato che a te la zona era familiare… il caso Fielding che hai risolto nel 2002. Hanno detto che sono felici di metterci degli agenti loro, ma chiedevano se ti piacerebbe accettarlo. Sono piuttosto entusiasti all’idea di riaverti lì.»
«Quando?»
«Vorrei che salissi su un aereo stasera. Perché siate lì, tu e DeMarco, belle fresche domattina presto.»
«Quali sono i dettagli?»
«Ti posso mandare quello che ho, ma c’è dell’altro in arrivo. Rapporti della polizia, della scientifica, tutto quanto. Posso contare su di te?»
Kate guardò Allen, che ancora ballava con Michelle. Gli dava dei colpetti al naso e alla bocca mentre lui le cantava un pezzo di Bob Dylan. Se avesse accettato il caso, avrebbe dovuto richiamare Melissa per dirle che non poteva tenere Michelle. Non quella sera. E avrebbe anche dovuto cancellare i programmi fatti con Allen.
«Che succede se non posso?» chiese a Duran.
«Allora lo passo alla succursale di Chicago. Ma penso proprio che voi siate la coppia perfetta. Tutto quello che dovete fare è trovare delle piste e cominciare. Dopo possono proseguire gli agenti del posto.»
«Ci posso pensare?»
«Kate, devo saperlo adesso. Devo far sapere che succede alla polizia del posto e alla succursale.»
Col cuore, lo sapeva cosa voleva fare. Voleva accettarlo. Disperatamente, voleva accettarlo. E se ciò faceva di lei un’egoista, be’… e allora? C’era un’enorme differenza tra mettere al primo posto la famiglia e negarsi le opportunità e l’occasione di vivere la propria vita. Sapeva che se avesse rifiutato quell’occasione solo perché all’ultimo minuto si era offerta di badare a Michelle per Melissa, sarebbe stata indispettita verso entrambe. Le doleva ammetterlo, ma eccola la onesta e brutale verità.
«Ok, sì, contami. Ci sono già i dettagli del volo?»
«Se ne sta occupando DeMarco» disse Duran. «Ti contatterà presto.»
Kate chiuse la telefonata, gli occhi che si spostavano ancora su Allen e Michelle. Lo sguardo provato sul volto di Allen le diceva che aveva sentito la conversazione.
«Quando parti?» chiese.
«Non lo so. Dell’itinerario si occupa DeMarco. Stasera, a una qualche ora. Allen… mi dispiace.»
Lui non disse nulla, e distolse lo sguardo sedendosi sul divano con Michelle. «È così e basta» disse alla fine. «E non sentirti troppo male… mi si prospetta ancora una bella seratina, qui.»
«Non fare lo sciocco, Allen. Chiamo Melissa e le spiego le cose.»
«No. Se hanno bisogno di un po’ di respiro, lasciaglielo. Come forse sai, sono assolutamente capace di badare a questa piccolina.»
«Allen, non posso proprio chiedertelo!»
«E mai lo faresti. È per questo che mi offro volontario.»
Kate andò al divano a sederglisi accanto. Gli posò la testa sulla spalla. «Lo sai quanto sei incredibile?»
Lui scrollò le spalle. «Tu lo sai?»
«Che vuoi dire?» chiese percependo del risentimento nel tono.
«Voglio dire a proposito di questa cosa con te e il lavoro. Doveva essere una volta ogni tanto, giusto? E sinceramente, a essere onesti, così è. Ma quando c’è, c’è. Vogliono che molli tutto per correre, quando ti chiamano.»
«Fa parte del lavoro, però.»
«Di un lavoro da cui sei andata in pensione due anni fa. Ti manca davvero così tanto?»
«Allen… non è giusto.»
«Forse no. Non fingerò di sapere che richiamo abbia su di te quel lavoro. Però mi trovo a bordocampo come Melissa e Michelle. Ci sono dei limiti a quello che posso sopportare.»
«Se ti senti così, questo lavoro non lo accetto. Richiamo Duran e…»
«No. Devi accettarlo. Non voglio che te la prendi con me o con tua figlia se te lo lasci scappare. Quindi, va’. Accettalo. Ma da persona che si sta rapidamente innamorando sempre di più di te, dovrei dirti che avrai delle belle discussioni da fare, quando torni. Con me, con tua figlia, e forse persino con te stessa.»
La prima reazione di Kate fu di rabbia e risentimento. Però forse aveva ragione lui. Dopotutto, non aveva capito che la sua decisione era sul confine dell’egoismo, poco prima? Fra tre settimane avrebbe compiuto cinquantasei anni. Forse era davvero ora di segnare dei confini, per quanto riguardava il lavoro. E se ciò significava che il suo piccolo accordo con Duran e il bureau dovevano giungere a un termine, che così fosse.
«Allen… devi essere sincero. Se il fatto che lo accetti porterà della tensione tra di noi…»
«No. Stavolta no. Ma non so in futuro per quanto potrò andare avanti così.»
Aprì la bocca per rispondere ma le squillò il telefono, interrompendola. Controllò il display e vide che era Jo DeMarco, la giovane che le faceva da partner da un anno in quel piccolo esperimento in corso tra lei e l’FBI.
«È DeMarco» disse. «Devo avere i dettagli del viaggio.»
«Va bene» disse lui. «Non devi farti dare il mio permesso.»
Quello che Kate non disse, anche se lo sentiva in fondo al cuore, era: E allora perché mi sembra di sì?
Era una domanda che non aveva voglia di affrontare in quel momento. E, come aveva fatto negli ultimi mesi quando le si presentavano domande come quella, rivolse la sua attenzione al lavoro. Con una punta di senso di colpa, rispose alla telefonata.
«Ehi, DeMarco. Dimmi tutto.»