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Loe raamatut: «La famiglia Bonifazio; racconto», lehekülg 13

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XV

Bisognava che Silvio si rassegnasse al destino per conservare la pace, egli vedeva chiaramente l'assoluta impossibilità di combattere le idee della moglie e della suocera, e prese l'eroica determinazione di seguire per suo conto i consigli paterni. Comperò e lesse con somma attenzione il libro sapiente e brioso di Brillat-Savarin, e avendovi trovato diletto si convinse che la sua ripugnanza per le operazioni gastronomiche, non era in fondo che un pretto pregiudizio senza fondamento. Se l'occuparsi della cucina fosse una vergogna o un disonore, il soldato non si farebbe da pranzo.

E andava ripetendosi le massime del maestro che aveva studiato:

«Che cosa sarebbe l'universo senza la vita? e tutto ciò che vive si nutre.»

«Gli animali si pascono, l'uomo mangia, il solo uomo di spirito sa mangiare.»

«Il destino delle nazioni dipende dalla maniera che si nutriscono.»

«Il Creatore obbligando l'uomo a mangiare per vivere, lo invita coll'appetito e lo ricompensa col piacere.»

«La scoperta d'un nuovo cibo è più vantaggiosa alla felicità del genere umano della scoperta d'una stella.»

«Colui che ricevendo i suoi amici non dà nessuna cura personale al pranzo che viene preparato per loro, non è degno di avere degli amici.»

Dunque necessità, dignità, spirito, riconoscenza, politica, filantropia, ospitalità, tutto esige che i padroni di casa s'intendano di cucina.

Di qua non si sfugge!.. senza ritornare selvaggi.

Cominciò le più serie meditazioni sul libro di cucina, e qualche modesto tentativo riuscito abbastanza bene lo animò a proseguire la prova. E quando ritornava dallo studio entrava in cucina, ordinava i preparativi alla Betta e poi sorvegliava la cottura. Metilde mangiava con grande appetito i piattelli allestiti dal marito, e gliene faceva degli elogi che lo incoraggiavano sempre più a perfezionarsi in quest'arte benefica.

Lo stomaco soddisfatto produce il buon umore, il quale mantiene la concordia, e la piccola famigliuola si trovava benissimo della riforma. Silvio ci prendeva gusto, cercava di far conoscenza con buoni cuochi, andava a vederli al fornello, domandava informazioni, suggerimenti, consigli, s'indirizzava ai parenti ed agli amici per ottenere delle ricette di piatti squisiti. Scrisse una lunga lettera a suo cugino di Brianza pregandolo di mandargli una informazione precisa sul modo di fare il risotto alla milanese e i maccheroni al sugo. Nelle lettere alla nonna non parlava d'altro che di cucina, la pregava d'insegnargli a fare i ravioli, i gnocchi, e la torta di lasagne.

Quando l'avvocato Ruggeri era chiamato fuori di Venezia per qualche affare, Metilde invitava a pranzo la mamma, dicendogli:

– Vieni, e mangerai bene, adesso Silvio se ne intende, e ti farà gustare un pranzetto delizioso; – e poi s'indirizzava al marito: – Ti raccomando quella fritturetta che sai; il pollo in fricassea, e la charlotte.

– Basta che siate esatte per le sei in punto. Tutto sarà pronto.

Alla solita ora del passeggio, le signore andavano a spasso nei più eleganti abbigliamenti, e il giovane avvocato, corrispondente di parecchi giornali nazionali e stranieri, deponeva la penna, e rientrava in casa prima del solito. Egli aveva capito che non poteva fidarsi della Betta nemmeno nelle cose secondarie, e preferiva di far tutto da sè. Si metteva in maniche di camicia, cingeva il grembiale, si avvolgeva in testa un fazzoletto per preservarsi i capelli dalla cenere e dalle faville. Puliva il tavolo con un cencio, gettava il carbone nei fornelli, e agitava la ventola per apparecchiarsi il fuoco necessario. Poi andava alla moscaiuola, prendeva le carni, le poneva sul ceppo, le tagliava e apparecchiava regolarmente, con tutte le cure e tutti gl'ingredienti indicati; prendeva la mezzaluna, faceva il battuto di cipolla, prezzemolo e presciutto, e lardellava lo stufato. Dopo ammannite le vivande e infilzati i polli allo spiedo approntava il girarrosto, e sorvegliava con occhio vigilante tutte le cotture. Le varie esalazioni della cucina spandevano intorno un odore eccitante; e tutte quelle voci sommesse o sonore che uscivano dai diversi recipienti, tutte le note basse od acute dell'ambiente armonizzavano fra loro e formavano una sinfonia gastronomica strana. Il crepitare del fuoco accompagnava come un pertichino il gorgogliare dell'acqua bollente nella marmitta; il friggere della cazzeruola, il grillettare dei tartufi nell'olio e lo scoppiettio pizzicato della legna si associavano al suono monotono del coltello che batteva sul tagliere, e ai colpi del pestello nel mortaio, e di tratto in tratto si udiva il ritornello della soneria del menarrosto che indicava la fermata.

Le signore rientravano all'ora fissata; mettevano timidamente la testa entro la porta della cucina, ma scappavano via subito spaventate dagli odori. Silvio si avanzava per avvertirle che tutto era pronto, faceva il saluto militare colla mestola, e si metteva a passare il brodo dallo staccio per la minestra.

Venuto il carnevale, la nonna annunziò il desiderio di Maria di passare qualche giorno a Venezia con suo marito.

Silvio si mostrò poco lieto della notizia, e studiava dei pretesti per non alloggiare i cugini, ma Metilde gli fece comprendere la impossibilità di lasciarli andare all'albergo, e lo obbligò a rispondere che tutto era pronto per riceverli, e che tanto lui che sua moglie avrebbero un gran piacere a vederli.

Al giorno fissato Silvio andò a riceverli alla stazione, e caricarono una gondola coi cesti e le sporte dei regali e il loro bagaglio. Arrivati a casa abbracciarono cordialmente Metilde, e dopo scambiati i saluti e le solite domande, presentarono gli oggetti portati in dono. Un enorme coniglio Ariete, allevato da Maria, otto beccaccie uccise da Andrea, il burro fresco e le uova, dei cavoli enormi, dei bei mazzi di cicoria rossa trivigiana, delle frutta e dell'uva perfettamente conservate, e delle confetture d'albicocco e di ciliegio.

Tutte queste cose deposte sul tavolo facevano bella mostra, e furono accolte con ringraziamenti ed applausi. Ma c'era un imbarazzo. Silvio non aveva mai fatto cuocere un coniglio, e non sapeva come ammannirlo.

– Si può farlo arrosto, colla salsa alla cacciatora, come il lepre, disse Maria, o alla gibelottealla francese.

– Non conosco nè questa salsa nè la gibelotte, osservò Silvio in aria compunta.

– Farò tutto io, a vostra scelta, soggiunse la cugina, sarà un vero piacere per me, di trovarmi in famiglia senza complimenti.

– Ma credi mai che acconsentiremo ad una cosa simile, esclamò Metilde; ma nemmeno per sogno! siete venuti per divertirvi, e non dovete pensare ad altro…

– C'è il suo tempo per ogni cosa, osservò Maria, e se non mi lasciate fare è segno che volete farmi partire più presto.

– Lasciala fare come le piace, disse Silvio a sua moglie, e poi rivolto alla cugina, soggiunse: – Ti aiuterò io in cucina, e vedrai che sono un guattero distinto…

– Queste non sono faccende per gli uomini, disse Maria, e meno ancora per gli avvocati; a ciascuno la sua parte; se avessi bisogno di assistenza avrei ricorso a Metilde…

– Oh cara Maria, rispose subito Metilde, tutta confusa, io non sono buona da niente… non saprei nemmeno soffiare nel fuoco…

– Allora farò da me sola, conchiuse la cugina, e cambiarono discorso.

Maria e Andrea furono condotti nella loro stanza, e mentre si spolveravano, e aprivano il bagaglio, Metilde afferrò il marito per un lembo dell'abito e lo trascinò nel salotto.

– Per carità, gli disse, non mischiarti in cose di cucina fino che i cugini sono qui. Hai udito che cosa ne pensa Maria!.. tu mi faresti un gran torto lasciandole vedere che sei avvezzo ad occuparti di queste brighe…

– Ma se le hai detto tu stessa che non te ne intendi!..

– Sta bene, ma tu devi fingere di saperne meno di me…

– Sarà difficile.

– Vuoi dunque farmi vergognare davanti di loro?..

– Ma non ti rammenti che ho scritto varie lettere alla nonna per avere delle ricette di pietanze?

– Ma le ricette potevano esser per me…

– E il papà non ha veduto che non vuoi saperne?..

– Come non voglio saperne?.. dunque ti penti di non aver sposato una cuoca?..

Silvio per finirla le diede un bacio sulla fronte, e le rispose:

– Tu pure non hai sposato un cuoco… ed io lo faccio per necessità, e per la nostra salute…

Udirono un rumore di passi che annunziava il ritorno degli ospiti.

– Ti prego, per carità, non tradirmi! gli disse in fretta Metilde, e con uno sguardo così supplichevole che Silvio, per tranquillarla, le rispose: – Non aver paura, ti dò la mia parola; sta tranquilla.

Fecero colazione, poi uscirono insieme tutti e quattro per fare un giro per Venezia.

Quel primo giorno non permisero a Maria di occuparsi di cucina, e Silvio non abbandonò mai i suoi ospiti. Il pranzo lo fecero venire dalla trattoria; ma la Betta incaricata di tener calde le vivande, le servì in parte fredde, e in parte abbruciate.

Cercarono di giustificarla alla meno peggio, ma Silvio soffriva in silenzio per amore dell'arte che aveva cominciato a coltivare, e non poteva a meno di lamentarsi.

– Domani farò io, disse Maria, e mangeremo il coniglio.

Ciascuno riprese le sue abitudini, con qualche modificazione indicata dalle convenienze. Andrea girovagava tutto il giorno. Metilde conduceva Maria a visitare le chiese e i monumenti; le faceva vedere le mostre dei negozi, e specialmente quelle dei merciai e delle modiste. Quando rientravano, Maria si cambiava di vestito e andava in cucina a fare il pranzo. Metilde riceveva qualche visita, e suonava il pianoforte. La Betta correva su e giù per servire le signore, quando avevano bisogno di lei. Silvio attendeva ai suoi atti giudiziari, ed alle corrispondenze dei giornali; sollevato dell'obbligo della cucina avrebbe potuto lavorare più lungamente allo studio, ma voleva godersi un po' di vacanza, e andava a fumare il sigaro a Santa Marta o alla Zuecca. La signora Emilia si lasciava vedere di raro, perchè sapeva che sua figlia non era libera, e che andavano ogni sera al teatro.

Silvio, per dovere d'ospitalità, cercò di mostrarsi sempre cortese per Andrea, gli evitò l'occasione di trovarsi con persone che avrebbero potuto farlo arrossire della sua goffaggine. Metilde si prestò, con amichevole confidenza, a togliere i difetti più rimarchevoli dell'abbigliamento di Maria; la Betta fu molto occupata a disfare delle pieghe assurde, a rifarle in modo più corretto, a cambiar di posto certi nastri, a rifarne i nodi, o a sopprimerli addirittura. Fu chiamata una modista che sostituì un cappellino semplice e ammodo, a un certo cappello sopracarico di fiori a pennacchi che avea acquistato a Treviso.

Comperarono un paletò di foggia recente che sostituì la tunica di vecchia data; così Maria facea buona figura, e la elegante cugina poteva accompagnarla, senza timore che la strana disuguaglianza della coppia facesse ridere la gente.

Frequentando i passeggi, i teatri e gli altri spettacoli, schivarono di ricevere in casa certe visite di signore schizzinose che non avrebbero saputo nascondere l'impressione impreveduta di certi strambotti che sfuggivano a Maria nel suo dialogo, di alcune pose, e di certe mosse troppo ardite della persona che tradivano la mancanza di buone abitudini sociali.

La trasformazione esterna di Maria attirò l'ammirazione di Silvio che si sentiva attratto verso di lei da una forza arcana, come il ferro verso la calamita, che egli voleva dissimulare, alla quale si sforzava di resistere, animato dal dovere, dal rispetto, dall'onestà, e che riusciva a dominare ed a vincere, ma dopo una lotta pertinace, e una rivolta del cuore, dove sentiva ancora un antico fuoco che covava sotto la cenere.

Ma queste lotte dell'istinto brutale col dovere dell'uomo onesto, della natura colla ragione, mettevano in burrasca il suo povero cervello, lo torturavano con pensieri sconvolti e riflessioni strambe sulle leggi e sui costumi del mondo civile. Gli pareva di poter amare due donne in una volta, senza pregiudizio di nessuna, la poligamia gli sembrava una legge di natura, la monogamia un errore sociale; e concludeva che il diritto della monogamia impone alla donna un dovere inesorabile, quello di essere completa, di soddisfare ai bisogni ideali e ai bisogni materiali dell'esistenza, di accoppiare la coltura sociale alla istruzione domestica, di saper scrivere bene una lettera e lisciarsi la pelle come un'odalisca, di saper suonare un notturno, e cuocere un pollo. Fino che abbisognano varie donne ai diversi uffici, se la monogamia sarà una legge civile, la poligamia continuerà ad essere un'abitudine comune, un uso od un abuso della nostra vita sociale!

– Silvio!.. – gli chiedeva sua moglie, – perchè sei così pensieroso?.. dopo l'arrivo di Maria non mi sembri più quello di prima!.. non mi ami più?.. La presenza di tua cugina ti ricorda il primo amore, che mi dicevi spento e dimenticato!.. dopo che io mi sono prestata ad abbellirla, tu saresti capace di compensare la mia abnegazione col tradimento!.. La guardi lungamente in silenzio… se le parli, ti confondi… e così mi rendi infelice!.. – e si metteva a piangere e a singhiozzare, con pericolo d'essere udita nella stanza vicina degli ospiti.

Il marito protestava altamente, cercava di consolarla, le diceva che quelli erano sogni, visioni d'una mente ammalata, la assicurava che egli non amava più Maria; che se l'avesse amata, quelle sue maniere, quei suoi spropositi gli avrebbero prodotto l'effetto d'una doccia gelata. Si animava troppo parlando, passava rapidamente dalla dolcezza alla collera, voleva convincerla con delle carezze e riusciva sdegnoso, non giungeva mai ad ispirarle fiducia, e passavano una parte della notte a far delle scene o delle querele; alla mattina erano pallidi e sfiniti, e Silvio che voleva mostrarsi indifferente, pareva dispettoso, e appariva più imbarazzato di prima nei suoi dialoghi colla cugina.

Così finirono il carnevale, e finalmente la quaresima venne a togliere l'incubo che li opprimeva; i cugini lasciarono Venezia, e l'ordine fu ristabilito nella piccola famiglia, ove Metilde liberata dalla vista di Maria, distratta dalla compagnia di sua madre, si mostrò meno gelosa e più tollerante col marito, il quale aveva ripreso tranquillamente le sue funzioni suppletorie dei fornelli, e viveva occupatissimo nel triplice incarico di avvocato, di giornalista e di cuoco, lavorando assiduamente colla penna e colla mestola, fra le rifritture del foro, i pasticci della politica, e i processi della cucina.

XVI

Un fortunato avvenimento venne a rompere la monotonia della loro esistenza. Una gradita rivelazione annunziò a Metilde lo gioie della maternità. La buona notizia corse le poste, portò la contentezza a papà Gervasio ed alla nonna; destò l'invidia dei cugini, attirò le congratulazioni cordiali dei parenti di Brianza, e di tutti gli amici di casa.

La signora Emilia stese subito una lunga lista di tutti gli oggetti indispensabili al futuro rampollo dei Bonifazio, e la mise sotto gli occhi del genero che ne restò sbalordito. E la suocera previdente tornò da capo a fare le solite peregrinazioni ai negozi, per esaminare, discutere, e consigliare gli acquisti più opportuni alla figlia. E intanto che lo due signore continuavano a girare per le botteghe, a casa piovevano i pacchi, le scatole, gli involti spediti dai negozianti, colla polizza relativa.

La Betta lavorava tutto il giorno ad approntare fascie, bende, gonnellini, bavagli, camicine, e berrettini. Silvio fra la gioia di diventar padre, e lo spavento di non riuscire a pagarne tutte le spese, perdeva la testa. Moltiplicava le corrispondenze ai giornali, per accrescere i suoi guadagni, quando mancavano le notizie le inventava, e i lettori dei giornali nei quali scriveva erano avvertiti d'ogni minimo avvenimento, colla giunta di riflessioni, commenti, supposizioni e predizioni spaventose, che mettevano in pensiero i droghieri, e tutto questo per apparecchiare un corredo conveniente all'erede presuntivo… dei suoi debiti probabili.

E a forza di scrivere nei giornali d'opposizione, con un pessimismo comandato, con l'obbligo di trovar tutto male, lamentando continuamente la mancanza degli uomini che sapessero governare, aveva finito per persuadersi ch'egli sarebbe riuscito colla più accurata educazione del figlio a farne l'uomo aspettato, quello che avrebbe guidate le future generazioni alla gloria, alla prosperità, alla potenza.

Gli pareva di sentire un'intuizione che lo ammonisse d'un grande avvenire per la sua famiglia, e cercava attentamente sul lunario un nome che corrispondesse alle sue idee, e che fosse di buon augurio. Il nome di suo padre gli metteva un brivido, un grand'uomo non poteva chiamarsi Gervasio. Annibale il nome del suocero gli pareva troppo classico, gli richiamava alla memoria la noia delle traduzioni scolastiche. Andava enumerando con sua moglie tutte le illustrazioni della patria, ma trovava sempre degli ostacoli per adottare que' nomi. Vittorio era troppo guerresco, Giuseppe troppo comune, Massimo troppo pretendente, Urbano troppo modesto…

– E Camillo? gli chiese Metilde, non ti pare un bel nome!..

– Camillo!.. è bello davvero! bravissima, l'hai trovato, nostro figlio si chiamerà Camillo.

Un mese dopo di questa deliberazione, la signora Metilde metteva al mondo una bambina, che la puerpera voleva battezzare col nome di Emilia. Silvio si oppose, col pretesto che non voleva far torto a nessuna delle nonne, e quindi le escludeva entrambe; ma in fondo egli pensava che una sola Emilia in casa gli bastava, ed era anche troppo, e soggiunse:

– Se invece d'un maschio c'è nata una femmina, ciò vuol dire evidentemente che l'Italia ha più bisogno d'una donna che d'un uomo, mio padre me l'aveva già detto, ed è stato profeta. Si chiamerà Camilla, e se Camillo ha tanto contribuito a fare l'Italia, Camilla farà gl'Italiani… secondo la formula di Massimo d'Azeglio. Ne faremo una donna completa… secondo i diritti dell'uomo che aspira a conservarsi monogamo, dentro e fuori della legge.

Metilde non capiva niente di questi discorsi strampalati, e non aveva la forza di domandare spiegazioni. Pallida, affranta nel suo letto ornato di pizzi, volgeva lo sguardo alla cuna, ove riposava la bimba, e la contemplava con affettuosa compiacenza.

Nel lungo puerperio non riusciva a riacquistare le forze, l'allattamento la immagriva, il medico raccomandava ogni riguardo, e di risparmiarle la benchè minima fatica, e il più semplice disagio.

Silvio era stato costretto dalla necessità a raddoppiare il lavoro per non mancare dei mezzi necessari a far fronte a tante spese. Lavorava allo studio ed in casa, trattava gli affari curiali, scriveva articoli, faceva il brodo ristretto e la pappa, e gli mancava anche il riposo della notte. Si coricava tardi, oppresso dalla stanchezza, ma dopo breve tempo il pianto della bimba lo risvegliava. Udiva dapprima fra la veglia e il sonno un lieve lamento, un piagnucolare sommesso, che a poco a poco si trasmutava in un piagnisteo e diventava un belato rumoroso e continuo che lo obbligava ad alzarsi. Andava a prendere la bambina, la portava alla mamma che la allattava, poi la riponeva in cuna, si gettava in letto e ritornava ad addormentarsi, ma poco dopo ricominciava la stessa solfa. Si alzava sudato, la riportava in giro sul suo guanciale per la camera fredda. La bimba aveva lo spasimo, gridava per molte ore consecutive, a brevi intervalli; consultarono il medico il quale osservò che la madre faceva poco latte, e trovò indispensabile di aggiungere il poppatoio alla alimentazione insufficiente. Ed ecco l'avvocato, giornalista, cuoco, diventato anche balia, incaricato di alimentare la bimba col poppatoio; e passava gran parte della notte in veste da camera, con un fazzoletto allacciato in testa, a cantare la ninna nanna colla bambina sulle braccia.

Dopo lo spasimo e la fame vennero i vermi e la dentizione, e il buon babbo somministrava lo sciropetto di cicoria, fregava le gingive della bimba col dentaruolo di avorio; ma quelle tribolazioni di bambinaia e di balia aggiunte alle fatiche del foro, alle elucubrazioni del giornalismo, ed alle manipolazioni della cucina furono superiori alle sue forze, non tardarono a riuscirgli insopportabili, e volendo egli lottare con vani tentativi di resistenza, finirono per opprimerlo completamente e gettarlo in letto con una grave malattia.

Meno male che Metilde cominciava a riaversi, si alzava dal letto, e poteva occuparsi della bimba. Il medico ordinò che la Betta andasse a dormire nella stanza della signora, e si cercasse qualche altra persona per l'assistenza del malato, passato in altra camera.

La signora Emilia si dichiarava troppo sensibile, e poco pratica per assistere gl'infermi; fece venire una donna provvisoria, e consigliò Metilde di scrivere al signor Gervasio, pregandolo che mandasse la nonna.

Ma per disgrazia di tutti, in quello stesso giorno era successo un brutto accidente anche alla villa Bonifazio. La povera nonna era stata colpita da un insulto apoplettico, e se le fossero mancati i pronti soccorsi del medico, avrebbe dovuto soccombere. Portata in letto priva dei sensi era alquanto rinvenuta dopo il salasso, ma la paralisi le toglieva i movimenti e la favella. Borbottava delle parole confuse, e non poteva muoversi senza aiuto. Maria chiamata in fretta accorse subito al letto della povera paralitica, e non la abbandonava un momento. Papà Gervasio per l'improvvisa afflizione sentiva aggravate le sue sofferenze agli intestini, non si allontanava che per brevi istanti dalla camera della madre, non era in caso di accorrere a Venezia, e non poteva mandare nessuno in assistenza del figlio.

Queste desolanti notizie afflissero grandemente le due famiglie di Venezia, che si trovavano in grave imbarazzo. La signora Emilia affaccendata correva dalla sua casa a quella della figlia, si consultava con tutti, ma non ascoltava nessuno, si lamentava sulla sua sorte, gemeva per lo stato di debolezza di Metilde, le raccomandava la quiete e il riposo, deplorava il colpo apoplettico che aveva colpito la signora Bonifazio fuori di tempo, confondeva le cose, sgridava la Betta, voleva insegnarle a fare il brodo per gli ammalati, lo lasciava cadere sul fuoco e infettava la casa col fumo dell'unto bruciato, e concludeva con un atto di accusa contro quel benedetto omo di suo genero, che non aveva preveduto nulla, che colle sue imprudenze s'era guadagnato quella malattia, che metteva in iscompiglio tutta la casa in un momento importuno. Metilde cercava invano di giustificare il marito, il povero diavolo si era troppo affaticato per assisterla, aveva preso freddo di notte, e lavorava soverchiamente pei bisogni della famiglia…

– Tu taci, che non sai nulla, le rispondeva sua madre; gli uomini sono testardi, e non sanno mai regolarsi, avrà mangiato troppo di quella sua cucina pesante… avrà fatto qualche disordine. Tutti i mariti, o quasi tutti assistono le mogli puerpere; è il loro dovere; non ci mancherebbe altro che si rifiutassero… nessuno si ammala per questo!..

– Povero Silvio! esclamava Metilde, adesso è inutile di cercare i motivi del suo male; adesso è ammalato e non dobbiamo pensare ad altro che a guarirlo. Il medico dice che quella donna non basta; se potesse bastare almeno per la notte che io ci ho la bimba che non posso abbandonare, farei il possibile anch'io per assisterlo durante il giorno.

– Sei matta! non sai proprio quello che dici. Non si conosce ancora la sua malattia; pare che sarà tifo, una malattia contagiosa! Tu non devi nemmeno entrare nella sua stanza, non devi esporti al pericolo, non hai forze bastanti per resistere a tante fatiche, devi pensare prima di tutto alla tua salute, è il tuo dovere di madre!..

– E così, chi assisterà mio marito!

– Un infermiere!.. di qua non si scappa; costerà di sicuro del denaro, ma il vecchio Gervasio pagherà; senza infermiere non è possibile di andare avanti. Ne ho già parlato al medico… mi sono intesa con lui, che ha promesso di trovarlo.

– Ah! povero Silvio, quando si vedrà assistito da un estraneo, come resterà crudelmente colpito; si crederà abbandonato da tutti, e questa amarezza potrebbe peggiorare il suo male.

– Non aver paura di questo, egli non conosce più chi gli sta intorno, non risponde alle domande che con un gemito insignificante, forse non capisce più nulla!..

Metilde piangeva, sua madre la sgridava, facendole osservare che le lagrime in questi casi non servono a nulla, e rovinano gli occhi.

Il medico venne con l'infermiere, esaminò nuovamente il malato, e non seppe dissimulare la sua inquietudine. Era giovane anche lui, amico di Silvio, molto studioso, ma esercitava da poco tempo la professione, e ne sentiva la grave responsabilità. Mostrò desiderio di consultarsi con un medico provetto, e propose il celebre dottor Pellegrini. Le signore acconsentirono subito, ed alla sera ebbe luogo il consulto.

Il dottor Pellegrini, dopo d'aver ascoltato una relazione del medico curante, esaminò attentamente l'infermo e volle essere informato esattamente delle condizioni fisiche dei parenti, perchè era convinto che ogni individuo riceve coi germi della vita anche quelli della morte.

– Le buone e le cattive qualità del sangue, egli diceva, producono la salute o le malattie, predispongono le azioni del galantuomo e del birbone, le opere dell'uomo di genio e dell'imbecille. Cerchiamo dunque prima di tutto, di conoscere le origini, di studiare negli ascendenti le tendenze del nostro soggetto. È certo che l'ambiente, la professione, il genere di vita, gli alimenti, le cure igieniche o i disordini, esercitano la loro influenza, modificano le tendenze, le accelerano o le ritardano secondo i casi. Ma tanto l'albero che l'uomo non possono dare che ciò che hanno nel sugo vegetale e nel sangue. È certo che il castagno non farà mai pesche; nè un prossimo parente dell'ultimo doge di Venezia si metterà alla testa di mille uomini per liberare la Sicilia; nè un letterato avrà le stesse malattie d'un cuoco!..

A queste parole Metilde arrossì, e subiva nella coscienza una lotta fra la vergogna e il rimorso. «Se parlo, – essa pensava, – faccio palese la mia inettitudine come padrona di casa; se taccio arrischio la vita di mio marito! Mio Dio! che devo fare?..» Le parve di trovare un espediente e chiese al medico:

– Mi dica un poco, dottore, se un uomo solo facesse il letterato ed il cuoco, quali sarebbero le sue malattie?

Il medico sorrise alquanto, e le rispose, con grande meraviglia di Metilde.

– Ne ho conosciuti moltissimi anche di questi, un mio amico improvvisatore, faceva una famosa cucina!.. In questo caso, vede mia cara signora, le opere letterarie diventano pasticci, e i pasticci diventano poemi… cioè sono composti dei più svariati ingredienti… Ciò non vuol dire che riescano sempre deliziosi come l'Orlando Furioso; anzi talvolta sono indigesti come qualche altro poema… che le auguro di non leggere.

Allora Metilde si fece coraggio, e confessò:

– Devo avvertirla per sua norma, dottore, che mio marito si diverte a far la cucina…

– Ah! bravissimo, disse il dottore, conosco anche qualche avvocato che sa arrostire a meraviglia i suoi polli, e li fa mangiare in tutte le salse…

– Forse il fuoco dei fornelli, avrà fatto male a mio marito?..

– Se fosse così, si consoli; questo fuoco non è micidiale come quello delle battaglie, non domanda eroismo per affrontarlo, e si guarisce facilmente da' suoi effetti. Non abbia timore, ripareremo a tutti i malanni. Il sangue dei Bonifazio è buono, la patria ha tutto l'interesse di conservarlo.

E fatte le sue prescrizioni, prese commiato dalla signora, ed uscì seguito dal suo collega.

Quando furono in istrada il dottore Pellegrini continuava a fare quelle domande, che non dovevano udirsi dalla famiglia.

– Quali sono le condizioni morali dell'ammalato? ha dei pensieri gravi? delle preoccupazioni attristanti?..

– Credo, gli rispondeva il collega, che abbia molti debiti…

– Lo purghi con perseveranza… Ha forse dei patemi d'animo?

– Ha una suocera… vecchia elegante…

– Vi aggiunga del rabarbaro…

La malattia procedeva regolarmente, senza nuovi accidenti; ma pochi giorni dopo cominciò ad ammalarsi anche la bambina, e il medico non sapeva che ordinarle. L'ammalato se ne accorse per la confusione della casa, sospettò che le mancassero i dovuti riguardi, e se ne lamentava coll'infermiere, dicendo:

– La Betta non avrà la pazienza di cambiarla spesso, ed io credo che mia moglie non se ne intenda; la mia malattia è una doppia disgrazia!..

Raccomandava al medico di esaminare il contenuto del poppatoio, che non si fidasse della mala fede della domestica, e che insegnasse alla signora tutte le cure necessarie, perchè non è stata mai avvezza ad assistere malati. Così gli crescevano le inquietudini, anche per le notizie poco soddisfacenti che venivano dalla villa, e quando avrebbe dovuto star meglio la malattia si aggravava.