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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 2

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Il piano di Mardia nella Tracia fu il teatro di una seconda battaglia, non meno ostinata e sanguinosa della prima. Le truppe mostrarono da ambe le parti l'istesso valore e la stessa disciplina; ed anche questa volta fu decisa la vittoria dalla superiore abilità di Costantino, che diresse un corpo di cinquemila uomini ad occupare un'altezza vantaggiosa, da cui mentre più ardeva l'azione attaccarono la retroguardia del nemico, e ne fecero considerabile strage. Ciò nonostante le truppe di Licinio, presentando la fronte in due luoghi, mantennero sempre il lor posto, finchè l'approssimarsi della notte pose fine al combattimento, ed assicurò la lor ritirata verso i monti della Macedonia417. La perdita di due battaglie e de' suoi più valorosi veterani ridusse il fiero spirito di Licinio a domandar la pace. Fu ammesso all'udienza di Costantino l'Ambasciatore Mistriano, che spaziò ne' comuni argomenti di moderazione e di umanità, sì famigliari all'eloquenza de' vinti; rappresentò nella maniera la più insinuante, ch'era sempre dubbioso l'esito della guerra, mentre le inevitabili calamità della medesima erano dannose del pari ad ambe le parti che contendevano; e dichiarò di essere autorizzato a proporre in nome de' due Imperatori suoi Signori una stabile ed onorevole pace. Il nome di Valente non incontrò appresso Costantino che sdegno e disprezzo. «Non per questo fine (replicò egli burberamente) ci siamo avanzati dai lidi dell'Oceano occidentale con un corso non interrotto di battaglie e di vittorie, ad oggetto cioè di accettar per nostro collega un miserabile schiavo dopo d'aver rigettato un ingrato congiunto. Il primo articolo del trattato dev'essere l'abdicazione di Valente418.» Bisognò adattarsi a questa condizione umiliante, e l'infelice Valente, dopo un regno di pochi giorni, fu spogliato della porpora e della vita. Tosto che quest'ostacolo fu tolto di mezzo, si restituì facilmente la tranquillità al Mondo Romano. Le successive disfatte di Licinio avevan rovinate le forze di lui, ma nel tempo stesso ne avevan dimostrato il coraggio ed i talenti. La sua situazione era quasi senza speranza, ma qualche volta gli sforzi della disperazione riescono formidabili; ed il buon senso di Costantino preferì un vantaggio grande e sicuro ad un terzo esperimento della sorte dell'armi. Consentì egli di lasciar al suo rivale, o com'esso chiamava nuovamente Licinio, al suo amico e fratello, il possesso della Tracia, dell'Asia minore, della Siria, e dell'Egitto; ma le Province della Pannonia, della Dalmazia, della Dacia, della Macedonia, e della Grecia furon cedute all'Impero d'Occidente, ed il dominio di Costantino si estese in quest'occasione da' confini della Caledonia fino all'estremità del Peloponneso. Nel medesimo trattato si convenne che i tre giovani reali, figli degl'Imperatori, fosser chiamati alla speranza della successione. Crispo e Costantino il Giovane furono poco dopo dichiarati Cesari nell'Occidente, mentre nell'Oriente Licinio il Giovane fu decorato della medesima dignità. In questa doppia proporzione di onori dimostrò il vincitore la superiorità delle sue armi e della sua potenza419.

Quantunque la riconciliazione fra Costantino e Licinio amareggiata fosse dal risentimento e dalla gelosia, dalla rimembranza delle recenti ingiurie e dal timore de' futuri pericoli, pure si mantenne per più di ott'anni la pace del Mondo Romano. Siccome incomincia intorno a questo tempo una serie molto regolare di leggi Imperiali, non sarà difficile di enunciare i regolamenti civili, che occuparono la vita tranquilla di Costantino. Ma le più importanti fra le sue costituzioni sono intimamente connesse col nuovo sistema di politica e di religione, che non fu stabilito perfettamente che negli ultimi pacifici anni del regno di lui. Vi sono molte delle sue leggi, che interessando i diritti ed i beni degl'individui non meno che la pratica del foro, posson riferirsi più propriamente alla privata che alla pubblica Giurisprudenza dell'impero; ed egli pubblicò molti editti così locali e temporarj, che non meritano che se ne faccia parola in un Istoria generale. Due però ne vogliamo scegliere fra gli altri; l'uno per l'importanza, l'altro per la singolarità. La prima legge dimostra la notabile umanità di Costantino, la seconda poi l'eccessiva severità del medesimo. I. L'orribil costume, sì frequente fra gli antichi, di esporre o di uccidere i figli nati di fresco, si era sempre più esteso nelle Province, e specialmente nell'Italia. Questo era l'effetto della miseria, la quale principalmente proveniva dal peso intollerabile de' tributi, e dalle moleste e crudeli persecuzioni degli Uffiziali del Fisco contro i debitori insolventi. La parte più povera o meno industriosa dell'uman genere invece di gradire l'aumento della famiglia, giudicava un atto di tenerezza paterna quello di liberare i propri figli dalle imminenti miserie di una vita, che non potevano sostenere. L'umanità di Costantino, forse mossa da alcuni recenti e straordinari esempi di disperazione, lo indusse a pubblicare un editto in tutte le città dell'Italia, e dopo dell'Affrica, diretto a somministrare immediati, e sufficienti soccorsi a que' padri, che avesser presentato ai Magistrati i figliuoli, che la povertà non permetteva lor di educare. Ma la promessa era troppo liberale, e la provvisione troppo incerta per produrre un benefizio generale e durevole420. Sebbene la legge meriti lode, pure servì piuttosto a scoprire che a sollevar la pubblica calamità. Questo è un autentico documento, che sempre sussiste, per contraddire e confonder quegli oratori venali, che troppo eran soddisfatti della lor situazione per manifestare il vizio e la miseria sotto il governo d'un generoso Sovrano421.

II. Le leggi di Costantino contro i ratti dimostrano ben poca indulgenza per le più lusinghevoli debolezze della natura umana; giacchè si applicò la denominazione di quel delitto non solamente alla violenza brutale che sforza, ma anche all'insinuante seduzione, che può persuadere una donna non maritata, minore di venticinque anni, a lasciar la casa dei suoi genitori. «Chi aveva eseguito il ratto era punito colla morte; e come se la semplice morte non fosse corrispondente all'enormità del misfatto, egli doveva o esser bruciato vivo, o fatto in pezzi dalle fiere nell'anfiteatro. La dichiarazione che potea far la rapita, che ciò era seguito col consenso di lei, invece di salvare l'amante, esponeva lei medesima ad esser partecipe della pena. Ai genitori della colpevole, o disgraziata fanciulla era ingiunto il dovere di pubblicamente accusarla; e se mai prevaleva in essi il sentimento naturale in maniera da far loro dissimulare l'ingiuria, e riparare, mediante il successivo matrimonio, l'onore della famiglia, eran puniti colla confiscazione e coll'esilio. Gli schiavi dell'uno e dell'altro sesso, convinti di aver dato mano al ratto o alla seduzione, erano bruciati vivi, o posti a morte coll'ingegnoso tormento di versare loro in gola una quantità di piombo liquefatto. Poichè il delitto era pubblico, n'era permessa l'accusa eziandio agli stranieri. La facoltà di agire non si limitava ad alcun termine di anni e si estendevano le conseguenze della sentenza anche alla prole innocente che nasceva da tale irregolar congiunzione422.» Ma quando il castigo eccita più orrore, che il delitto, il rigor della legge penale dee cedere ai comuni sentimenti dell'umanità. Furono dunque mitigate ne' regni seguenti, o revocate le parti più odiose di tal editto423; e Costantino medesimo con atti speciali di clemenza bene spesso ammollì la durezza delle sue generali costituzioni. Così era infatti singolarmente disposto quell'Imperatore, che tanto si dimostrava indulgente, ed anche trascurato nell'esecuzione delle sue leggi, quanto era severo anzi crudele nel farle. Difficilmente però può vedersi un segno di debolezza più decisivo di questo o nel carattere del Principe, o nella costituzione del Governo424.

 

L'amministrazione civile fu qualche volta interrotta dalla militar difesa dell'Impero. Crispo, giovane di amabilissima indole, che insieme col titolo di Cesare avea ricevuto il comando del Reno, segnalò la sua condotta ed il suo valore in diverse vittorie riportate sopra i Franchi e gli Alemanni: ed insegnò a' Barbari di quella frontiera a temere il primogenito di Costantino ed il nipote di Costanzo425. L'Imperatore avea preso per se la provincia più difficile ed importante del Danubio. I Goti, che al tempo di Claudio o di Aurelio, avevan sentito il peso delle armi Romane, rispettarono il poter dell'Impero anche in mezzo alle interne divisioni del medesimo. Ma in una pace di quasi cinquant'anni erasi ristabilita la forza di quella guerriera nazione; si era formata una nuova generazione, che non rammentava più le passate disgrazie: i Sarmati della palude Meotide seguitarono le bandiere dei Goti, o come sudditi o come alleati, o le lor forze unite invasero le regioni dell'Illirico. Sembra che Campona, Margo e Bologna fossero le scene di vari memorabili assedj e combattimenti426; e quantunque Costantino incontrasse una resistenza molto ostinata, finalmente prevalse nella guerra, ed i Goti furono costretti a procurarsi una vergognosa ritirata con restituire la preda ed i prigionieri che avevan fatto. Nè tal vantaggio servì a soddisfare lo sdegno dell'Imperatore. Egli risolvè di castigare non men che rispingere l'insolenza dei Barbari, che avevano ardito d'invadere il paese Romano. Alla testa delle sue legioni passò il Danubio sopra un ponte, ch'era stato costrutto da Traiano, e ch'egli fè ristorare, penetrò ne' più forti nascondigli della Dacia427, e quando gli ebbe severamente puniti, condiscese a conceder la pace ai Goti supplichevoli, a condizione, che ogni volta che fosser richiesti, gli somministrassero un corpo di quarantamila soldati428. Imprese di questa sorta facevano senza dubbio grand'onore a Costantino, e vantaggio allo Stato, ma si ha giusto motivo di dubitare, se provar si possa l'esagerata asserzione di Eusebio, che tutta la Scizia fino all'estremità del Settentrione, divisa com'era in tanti Popoli di costumi i più selvaggi ed i più differenti fra loro, per mezzo delle vittoriose sue armi erasi aggiunta all'Imperio Romano429.

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Era impossibile che in questo sublime stato di gloria Costantino potesse più lungamente soffrire un collega nell'Impero. Confidando nella superiorità del suo genio, e della sua forza militare, si determinò, senza alcuna precedente ingiuria, di farne uso per la distruzion di Licinio, di cui l'età ormai avanzata, od i vizi odiosi al popolo pareva che gli presentassero una ben facil conquista430. Ma il vecchio Imperatore, eccitato dall'imminente pericolo, deluse l'aspettazione sia degli amici, che de' nemici. Richiamando quello spirito, e que' talenti, per mezzo di cui s'era meritata l'amicizia di Galerio, e la porpora Imperiale, preparossi alla guerra, unì le forze dell'Oriente, e in poco tempo coprì le pianure di Adrianopoli colle sue truppe, e lo stretto dell'Ellesponto colla sua flotta. L'esercito era composto di centocinquantamila fanti, e di quindicimila cavalli; e siccome la cavalleria per la maggior parte era presa dalla Frigia e dalla Cappadocia, possiamo formare un'idea più favorevole della bellezza de' cavalli, che del coraggio e della destrezza de' cavalieri. La flotta consisteva in trecentocinquanta galere di tre ordini di remi. Centotrenta di queste furon somministrate dall'Egitto, e dalle adiacenti coste dell'Affrica; centodieci da' porti della Fenicia e dell'Isola di Cipro, e le altre centodieci dalle parti marittime della Bitinia, della Jonia e della Caria. Le truppe di Costantino si dovevan riunire a Tessalonica; ed ascendevano a sopra centoventimila fra cavalli e fanti431. Esso fu soddisfatto del lor marziale aspetto, ed il suo esercito realmente conteneva più soldati, quantunque minore nel numero degli uomini, che quello del suo competitore orientale. Le legioni di Costantino eran formate nelle più guerriere Province dell'Europa; l'esercizio ne aveva invigorita la disciplina, la vittoria innalzate le speranze, e trovavasi fra loro un gran numero di veterani, che dopo diciassette gloriose campagne sotto il medesimo condottiero, si preparavano a meritare un'onorevol dimissione coll'ultimo sforzo del lor valore432. Ma i preparativi navali di Costantino erano per ogni capo molto inferiori a quelli di Licinio. Le città marittime della Grecia mandarono le rispettive lor quote d'uomini e di navi al porto famoso di Pireo, e tutte le lor forze, prese insieme, non sorpassarono il numero di dugento piccoli vascelli: assai debole armamento, se voglia paragonarsi con quelle formidabili flotte messe in mare, e mantenute dalla Repubblica d'Atene al tempo della guerra del Peloponneso433. Non essendo l'Italia più da gran tempo la sede del Governo, gli stabilimenti navali di Miseno e di Ravenna si erano o poco a poco trascurati; e siccome la navigazione e la marineria dell'Impero venivano sostenute dal commercio anzi che dalla guerra, era naturale che dovessero abbondare più nelle industriose province dell'Egitto e dell'Asia. Solamente fa meraviglia che l'Imperatore dell'Oriente, che aveva in mare una superiorità così grande, trascurasse l'occasione di portare una guerra offensiva nel contro de' dominj del suo rivale.

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Invece di prendere tale attiva risoluzione, che avrebbe potuto far mutar faccia a tutta la guerra, il prudente Licinio aspettò l'avvicinamento del suo rivale presso Adrianopoli in un campo da esso fortificato con sì premurosa diligenza, che ben dimostrava il timor ch'egli aveva dell'evento. Costantino diresse la sua marcia da Tessalonica verso quella parte della Tracia, sinchè si trovò arrestato dall'ampio rapido corso dell'Ebro, e scoprì il numeroso esercito di Licinio, che occupava il ripido declive del monte, dal fiume alla città di Adrianopoli. Passarono vari giorni in dubbiose e lontane scaramucce; ma furon tolti finalmente gli ostacoli del passaggio e dell'attacco dall'intrepida condotta di Costantino. Qui non possiamo a meno di riferire un fatto maraviglioso di esso, a cui sebbene possa difficilmente trovarsi l'uguale nella poesia o ne' romanzi, pure si trova celebrato non già da un venale oratore addetto alla fortuna di lui, ma da un Istorico, special nemico della famiglia del medesimo. Si assicura che il valoroso Imperatore gettossi nell'Ebro accompagnato solo da dodici cavalieri, e che per lo sforzo delle sue invincibili armi, ruppe, disordinò, e pose in fuga un esercito di cinquantamila uomini. La credulità di Zosimo prevalse in tal modo alla sua passione, che sembra che fra gli eventi della memorabil battaglia di Adrianopoli scegliesse e adornasse non già il più importante, ma il più maraviglioso. Conferma il valore ed il pericolo di Costantino una leggiera ferita, ch'esso ricevè nella coscia, ma può rilevarsi anche da un'imperfetta narrazione, e forse da un testo corrotto, che fu cagione della vittoria non meno la condotta del Generale, che il coraggio dell'Eroe: che un corpo di cinquemila arcieri girò ad occupare un folto bosco nella retroguardia del nemico, la cui attenzione era impegnata nella costruzione di un ponte; e che Licinio, confuso per tante artificiose evoluzioni, fu contro sua voglia tirato dal suo vantaggioso posto a combattere nella pianura. Il combattimento allora non fu più uguale; la confusa moltitudine delle nuove reclute di lui restò facilmente vinta dagli sperimentati veterani dell'Occidente. Si dice che trentaquattromila uomini vi fossero uccisi. Il campo fortificato di Licinio fu preso per assalto la sera della battaglia; la maggior parte de' fuggitivi, che si erano ritirati alle montagne, si renderono il giorno dopo alla discrezione del vincitore; ed il suo rivale, che non potè più tenersi in campagna aperta, si chiuse dentro le mura di Bisanzio434.

 

L'assedio di questa città, che fu immediatamente intrapreso da Costantino, era molto laborioso ed incerto. Le fortificazioni di quella piazza, che si risguardava con tanta ragione, come la chiave dell'Europa e dell'Asia, erano state riparate ed accresciute nelle ultime guerre civili; e finchè Licinio fu padrone del mare, la guarnigione era molto meno esposta al pericolo della fame, che l'armata degli assedianti. Furon chiamati al campo da Costantino i comandanti di mare, ed ebbero positivi ordini di forzare il passo dell'Ellesponto nel tempo che la flotta di Licinio, invece di cercare, e di distruggere il debole nemico, restava inoperosa in quell'angusto stretto, dove la superiorità nel numero era di poco uso, o vantaggio. A Crispo, figliuol maggiore di Costantino, fu affidata l'esecuzione di quest'ardita impresa, ch'egli condusse con tal coraggio e buon successo, che meritò la stima, ed eccitò probabilissimamente la gelosia di suo padre. L'attacco durò due giorni, e nella sera del primo le flotte, dopo una considerabil perdita da ambe le parti, si ritirarono ne' lor rispettivi porti dell'Europa e dell'Asia. Il secondo giorno, verso il mezzodì, levossi un forte vento meridionale, che trasportò i vascelli di Crispo incontro al nemico435, ed avendo egli con avveduta intrepidezza profittato di questo casual vantaggio, ben presto conseguì una piena vittoria. Cento trenta vascelli restaron distrutti, cinquemila uomini uccisi, ed Amando, Ammiraglio della flotta asiatica, colla maggior difficoltà si rifuggì ai lidi di Calcedonia. Tosto che fu aperto l'Ellesponto, entrò nel campo di Costantino, che aveva già avanzate le operazioni dell'assedio, un abbondante convoglio di provvisioni. Egli formò dei mucchi artificiali di terra ugualmente elevati che le mura di Bisanzio. Le alte torri, che furono alzate su que' fondamenti, infestavano gli assediati con grosse pietre e con dardi scagliati dalle macchine militari; e gli arieti, che percuotevan le mura, le avevano rotte in vari luoghi. Se Licinio persisteva più lungamente nella difesa, si esponeva ad esser involto egli stesso nella rovina della piazza; avanti però che gli fosse chiusa l'uscita, esso prudentemente trasferì a Calcedonia nell'Asia la sua persona, ed i suoi tesori; e siccome bramò sempre di associar compagni alle speranze ed ai rischi della sua fortuna, diede in quell'occasione il titolo di Cesare a Martiniano, ch'esercitava uno degli Uffizj più importanti dell'Impero436.

Tali erano i ripieghi e tale l'abilità di Licinio, che dopo tante successive disfatte raccolse di nuovo nella Bitinia un esercito di cinquanta o sessantamila uomini, mentre l'attività di Costantino era impiegata nell'assedio di Bisanzio. Il vigilante Imperatore nondimeno non trascurò gli ultimi sforzi del suo antagonista. Fu trasportata in piccoli legni una parte considerabile del suo vittorioso esercito sul Bosforo, e subito ch'ebbe posto i piedi a terra sulle altezze di Crisopoli, o come si dice adesso, di Scutari, fu attaccata la decisiva battaglia. Le truppe di Licinio, quantunque levate di fresco, male armate, e peggio disciplinate, resisterono ai vincitori con infruttuoso ma disperato valore, finchè una total disfatta, e la strage di venticinquemila uomini determinò irrevocabilmente il destino del loro Capo437. Ritirossi egli a Nicomedia col fine di guadagnar tempo, e colla mira piuttosto di entrare in trattato, che colla speranza di un'efficace difesa. Costanza, moglie di lui e sorella di Costantino, intercedè appresso il fratello in favor del marito, ed ottenne dalla politica piuttosto che dalla compassione di questo una solenne promessa, confermata con giuramento, che dopo il sacrificio di Martiniano, e la rinunzia della porpora, sarebbe stato permesso a Licinio di passare il rimanente della sua vita in pace, e nell'abbondanza. La condotta di Costanza, e la parentela, che aveva colle parti che combattevano, richiama naturalmente allo spirito la memoria di quella virtuosa matrona, ch'era sorella di Augusto, e moglie di Antonio. Ma la maniera di pensare degli uomini era mutata, e non si stimava più un'infamia per un Romano il sopravvivere al proprio onore ed alla propria indipendenza. Licinio chiese, ed accettò il perdono delle sue mancanze; si prostrò colla porpora ai piedi del suo Signore e Padrone; con insultante pietà fu sollevato da terra; nel medesimo giorno ammesso alla mensa Imperiale, e poco dopo mandato a Tessalonica, ch'era stata scelta per luogo del suo confino438. Questo per altro fu terminato in breve dalla morte; ed è posto in dubbio se un tumulto de' soldati o un decreto del Senato servì di pretesto all'esecuzione. Secondo le regole della tirannia fu accusato di tentare una cospirazione, e di mantenere una perfida corrispondenza co' Barbari; ma poichè non ne fa mai convinto nè dalla sua condotta, nè da alcuna legittima prova, è permesso per avventura di presumerne l'innocenza dalla sua debolezza439. Fu disonorata la memoria di Licinio coll'infamia; ne furono gettate a terra le statue, ed abolite tutte in un tratto le leggi ed i processi giudiziali del regno di lui con un editto fatto con tale precipitazione, e di conseguenze tanto cattive, che fu quasi subito dopo corretto440.

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Con questa vittoria di Costantino, il Mondo Romano trovossi di nuovo unito sotto l'autorità di un solo Imperatore, trentasette anni dopo che Diocleziano ne avea diviso la potenza e le province con Massimiano suo collega.

I gradi successivi dell'innalzamento di Costantino, dal tempo in cui prese la porpora a York fino alla rinunzia di Licinio a Nicomedia, si son riferiti minutamente e con precisione, non solo perchè i fatti per se stessi interessano, ma molto più anche perchè i medesimi contribuirono alla decadenza dell'Impero per cagione della gran perdita di sangue e di danaro, e pel continuo accrescimento de' tributi non meno che del corpo militare. Le immediate memorabili conseguenze di questa rivoluzione furono la fondazione di Costantinopoli, e lo stabilimento della Religione Cristiana.

417Zosimo (l. II. p. 92-93) l'Anonimo Valesiano (p. 713) e l'Epitome ci fan note alcune circostanze; ma confondono spesso le due guerre fra Licinio e Costantino.
418Petr. Patricius in Excerpt. Legat. p. 27. Se volesse credersi, che γαμβρος più propriamente significasse un genero, che un congiunto, si potrebbe congetturare, che Costantino, assumendo il nome insieme co' doveri di padre, avesse adottato i figli di Teodora suoi fratelli e sorelle minori.
419Zosimo l. II p. 93. Anon. Valesiano p. 713. Eutrop. X. 5. Aurel. Vittore. Euseb. in Chron. Sozomen. l. I. c. 2. Quattro di questi scrittori affermano, che la promozione dei Cesari fu un articolo del Trattato. Egli è però certo che Costantino e Licinio i Giovani per anche non erano nati: ed è molto probabile, che tal promozione si facesse il primo di Marzo dell'anno 317. Si Era verisimilmente convenuto, che l'Imperator d'Occidente creasse due Cesari, ed uno quello di Oriente; ma ciascheduno di loro si riservò la scelta delle persone.
420Cod. Theodos. lib. XI. Tit. 27. Tom. IV. p. 188 con le osservazioni del Gottofredo. Vedi anche lib. V. Tit. 7. 8.
421Omnia foris placita, domi prospera, annonae ubertate, fructuum copia (Paneg. Vet. X. 58). Quest'orazione di Nazario fu pronunziata il giorno de' Quinquennali de Cesari, cioè il primo di Marzo dell'anno 321.
422Vedasi l'editto di Costantino indirizzato al popolo Romano nel Cod. Teodosiano lib. IX. Tit. 24. Tom. 3. p. 189.
423Il figliuolo di Costantino assegna molto a proposito la vera causa di questa revocazione «ne sub specie atrocioris judicii aliqua in ulciscendo crimine dilatio nasceretur». Cod. Theodos. Tom. III. p. 193.
424Eusebio (in vit. Const. l. III. c. 1.) osa affermare che durante il regno del suo Eroe la spada della giustizia restò oziosa nelle mani de' Magistrati. Eusebio stesso però (lib. IV. c. 29-54) ed il Codice Teodosiano ci fan conoscere, che quest'eccessiva dolcezza non era dovuta alla mancanza nè di atroci delinquenti, nè di leggi penali.
425Nazario Paneg. Vet. IX. Si trova espressa in alcune medaglie la vittoria di Crispo sugli Alemanni.
426Vedi Zosimo l. II. p. 93, 94, quantunque non sia la narrazione di quell'Istorico nè coerente, nè chiara. Il panegirico di Optaziuno (c. 13.) rammenta l'alleanza de' Sarmati co' Carpi e coi Goti, e indica i diversi campi di battaglia. Si suppone che i giuochi Sarmatici, che si celebravano nel mese di Novembre, avessero avuto origine dal buon successo di questa guerra.
427Ne' Cesari di Giuliano (p. 329, Comment. di Spanemio p. 252.) Costantino si vanta d'aver ricuperato la provincia della Dacia, soggiogata già da Traiano; ma soggiunge Sileno, che le conquiste di Costantino erano come i giardini d'Adone, che languiscono e si seccano quasi nel momento stesso che nascono.
428Giornand. de reb. Getic. c. 21. Io non so quanto possiam fidarci della sua autorità. Un'alleanza di questa sorta ha un'aria molto recente, e difficilmente si può applicare alle massime, elle si avevano al principio del quarto secolo.
429Eusebio in vit. Constant. l. 1. c. 8. Questo passo però è preso da una generale declamazione sulla grandezza di Costantino, ma da alcun racconto speciale della guerra Gotica.
430Constantinus tamen, vir ingens, et omnia efficera nitens, quae animo preparasset, simul Principatum totius orbis affectans, Licinio bellum intulit. Eutrop. X. 5, Zosimo l. II. p. 89. Le ragioni, ch'essi hanno addotto per la prima guerra civile, possono applicarsi piuttosto alla seconda.
431Zosimo l. II. p. 94, 95
432Costantino avea gran cura di concedere privilegi e sollievi a' suoi veterani compagni (conveterani) com'egli comincia in questo tempo a chiamarli (Vedi il Codi. Teodosian. lib. VII. Tit. 20. Tom. II. p. 419, 429.).
433Quando gli Ateniesi avevan l'impero del mare, la loro flotta era composta di trecento, e dopo di quattrocento galere a tre ordini di remi, tutte ben allestite, e pronte all'immediato servizio. L'arsenale, fatto nel porto di Pireo, costò alla Repubblica mille talenti, che sono quattrocentoquarantamila zecchini. Vedi Tucidide de bell. Pelloponnes. lib. II. c. 13 e Meursio de fortificat. Attica, c. 19.
434L. II. p. 95, 96. Nel frammento Valesiano descrivesi tal battaglia brevemente, ma con chiarezza: Licinius vero circa Hadrianopolim maximo exercitu latera ardui montis impleverat: illuc toto agmine Constantinus inflexit. Cum bellum terra marique traheretur, quamvis per arduum suis nitentibus, attamen disciplina militari et felicitate, Constantinus, Licinii confusum, et sine ordine agentem vicit exercitum, leviter femore sauciatus.
435Zosimo l. II. p. 97-98. La corrente sempre viene dalla parte dell'Ellesponto, e quando è aiutata da un vento settentrionale, nessun vascello può arrischiarsi a passare, ma un vento meridionale rende la corrente quasi insensibile. Vedi il Viaggio di Tournefort in Levante. Let. XI.
436Aurelio Vittore, Zosimo l. II p. 98. Secondo quest'ultimo, era Martiniano Magister officiorum, usando egli la frase latina in greco. Sembra che alcune medaglie indichino, che durante il suo breve regno ricevesse il titolo d'Augusto.
437Eusebio (in vit. Constant. l. II. c. 16. 17.) attribuisce tal decisiva vittoria alle devote preci dell'Imperatore. Il frammento Valesiano (p. 714.) fa menzione d'un corpo di Goti ausiliari sotto il loro Capo Aliquaca, ch'erano del partito di Licinio.
438Zosimo l. II. p. 102. Vittore il Giovane nell'Epitome. Anon. Valesiano p. 714.
439Contra religionem sacramenti Thessalonicae privatus occisus est. Eutropio (X); e la sua testimonianza vien confermata da S. Gerolamo (in Chronic.) e da Zosimo (l. II p. 102.) Lo scrittore Valesiano è il solo, che faccia menzione de' soldati, e Zonara solamente chiama in aiuto il Senato. Eusebio salta prudentemente questo passo delicato; ma Sozomeno, cento anni dopo, incomincia ad asserire che Licinio tentava tradimenti.
440Vedi il Codice Teodosiano lib. XV. Tit. 15. Tom. V. p. 404-405. Questi editti di Costantino dimostrano una dose di passione, ed una precipitazione che molto poco si convengono al carattere di Legislatore.