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Loe raamatut: «Il figlio del Corsaro Rosso», lehekülg 8

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Erano entrati tutti nell’acqua fangosa della savana, immergendosi fino alla cintola, senza preoccuparsi gran che degli spagnuoli, i quali si erano slanciati animosamente sulla lingua di terra, con la speranza di poterli acciuffare o di vederli scomparire fra le sabbie traditrici.

Buttafuoco tastava sempre il fondo con la sua canna e cercava di affrettare il passo, quantunque incespicasse ogni momento, essendovi sott’acqua delle erbe non meno perfide delle sabbie.

Avevano cosí percorso circa cinquecento passi, quando videro alzarsi a breve distanza un isolotto coperto da una folta vegetazione e che pareva avesse un’estensione considerevole.

– Ecco uno splendido rifugio! – disse Buttafuoco. – Se il fondo continua a mantenersi buono, sotto quelle piante potremo sfidare non due, ma anche dieci cinquantine. Mi pare già che gli spagnuoli non abbiano, almeno per il momento, alcuna intenzione di cacciarsi in acqua. Diavolo! Le sabbie mobili fanno troppa paura a tutti!

Tastando sempre il terreno ed avanzando con grande precauzione, il bucaniere raggiunse l’isolotto e salí sulla riva, aggrappandosi a certe erbacce dure e coriacee, chiamate olgochloa e che sono cosí cattive che perfino le capre le rifiutano.

Una massa di passiflore rampicanti si parò dinanzi al bucaniere. Sono piante che crescono molto rapidamente formando dei bellissimi festoni e che producono dei fiori purpurei con pistilli e stami bianchi con martello, chiodi, il ferro della lancia e tutti gl’istrumenti della Passione, che poi si tramutano in frutta gialle, ovoidali, grosse come poponcelli, assai apprezzate dagli abitanti, specialmente se cucinate con vino e molto zucchero.

– Questo deve essere un piccolo paradiso! – mormorò Buttafuoco.

– Probabilmente gli spagnuoli ci assedieranno ora, ma io credo che non riusciranno ad affamarci, come forse sperano. Conosco la ricchezza di questi isolotti.

– Siamo giunti finalmente a casa? – chiese Mendoza.

– Parrebbe – rispose Buttafuoco.

– Che i nostri creditori vengano a romperci le tasche anche qui?

– Mi sembra che abbiano rinunciato, per oggi o meglio per questa notte, ad importunarci.

– Sono gente educata, – disse il guascone.

– Se avessero però potuto mettervi le mani addosso, non so, mio caro signor soldato, se avreste ancora tanto spirito, – rispose il bucaniere, ridendo.

– E lo dite a me? Oh li conosco io, quei signorini. Diavolo! Ci tengono poco a scherzare coi bucanieri.

– E nemmeno i bucanieri con loro, – ribatté Buttafuoco.

Noi siamo ancora in quattro e dubito molto che essi siano ancora in cento. Signor conte, volete dormire qualche ora? Pel momento nessun pericolo ci minaccia.

– La gente di mare è abituata alle lunghe veglie e non sento affatto il desiderio di riposarmi, – rispose il signor di Ventimiglia.

– Io preferirei una buona cena, – disse Mendoza. – La lingua di bufalo e anche l’arrosto di maiale non so piú dove si trovino. Probabilmente si sono affondati nei miei talloni, dopo tante corse furiose.

– Io credo di averli sulle punte dei piedi, – disse il guascone con comica gravità.

– Io non ho meno fame di voi, – disse il bucaniere. – Però sarete costretti, al pari di me, ad aspettare l’alba. Non posso già prendere degli uccelli di notte e qui noi non troveremo altro che uccelli.

– E sarà già molto, – disse il conte, sorridendo.

– Le paludi di San Domingo sono di solito molto frequentate dai pennuti, signore, ed una buona colazione non ci mancherà, purché gli spagnuoli ci lascino tranquilli.

– Credete che tentino un nuovo attacco?

– Ora che non hanno piú i cani, i quali costituiscono la vera forza delle cinquantine, non oseranno forse assalirci. È probabile però che mandino degli uomini a cercare dei rinforzi per assediarci. Di ciò però mi preoccupo ben poco.

– E se circondassero la savana? – chiese il signor di Ventimiglia.

– Eh! Ci vorrebbero almeno cento cinquantine ed il governatore di San Domingo non ne troverà mai tante. Se io ho un passaggio, non dispero di trovarne un altro e, prima che i rinforzi giungano, noi saremo a S. José, nella fattoria della marchesa. Là non correremo alcun pericolo, essendo io molto conosciuto dall’intendente.

– Quest’uomo è veramente meraviglioso, – disse Mendoza. – Decisamente i filibustieri hanno una fortuna straordinaria. È bensí vero che gli spagnuoli ci credono figli o nipoti o pronipoti di compare Belzebú! È già qualche cosa anche questo.

Il bucaniere ed il conte si erano coricati sotto una passiflora, sorvegliando attentamente le mosse degli spagnuoli, mosse assolutamente inoffensive, poiché non avevano osato abbandonare la penisoletta che s’avanzava nella savana.

Sorvegliavano anche le acque, soprattutto quelle ingombre di erbe, per paura che qualche caimano tentasse di giungere di soppiatto fino all’isolotto per fare qualche buon colpo.

Quelle brutte bestiacce non dovevano mancare in quella palude, però non si mostrarono. Probabilmente non si erano ancora accorte della presenza di quel gruppo d’uomini. Quando le tenebre cominciarono ad alzarsi, il bucaniere ed il conte, dopo essersi assicurati che gli spagnuoli erano sempre fermi sulla penisoletta, fecero una rapida escursione attraverso all’isolotto, onde cercare un passaggio che permettesse loro di sfuggire alla sorveglianza dei loro avversarii. Quel pezzo di terra era ingombro di pontedeire, bellissimi cespi di foglie d’un verde lucente e di fiori azzurri e di aristolochie dalle foglie ovali, i fiori lividi in forma di sifoni, col tronco grosso come una botte e radici gigantesche le quali s’alzavano fuori dalla terra come serpenti smisurati.

Non mancavano però le piante d’alto fusto. Qua e là s’ergevano, a gruppi, delle quercie, delle magnolie acuminate cariche di certe frutta somiglianti ai cetriuoli, d’un bel rosso lucente, e che si adoperano con successo per guarire le febbri intermittenti, e anche dei noci neri, di dimensioni gigantesche e molto frondosi.

Numerosi volatili fuggivano dinanzi al corsaro ed al bucaniere. Erano corvi di mare, piú grossi dei galli, ferocissimi perché osano assalire perfino le persone ferite impotenti a difendersi; fenicotteri, tantali verdi, ibis bianche e botauri, bellissimi volatili alti quasi due piedi, colle penne brune rigate, il ventre grigiastro, il becco acutissimo e gli occhi gialli e molto delicati.

– Occupiamoci prima del passaggio, – disse il bucaniere al conte, il quale si preparava a sparare qualche colpo onde procurarsi una buona colazione. – Avremo tempo per massacrare questi volatili, i quali non mi sembrano molto spaventati per la nostra presenza.

– Sperate di trovarlo?

– Eh!… Le savane di quest’ísola sono molto difficili ad attraversarsi in causa delle sabbie mobili che costituiscono il fondo. Ma io non dispero di trovare qualche costa che ci permetterà di farla agli spagnuoli. Voi siete sicuro che la vostra nave vi aspetta sempre al capo Tiburon?

– Non scioglierà le vele senza mio ordine, – rispose il conte.

– Allora possiamo andare alla fattoria della marchesa. Senza il suo appoggio sarà un po’ difficile che voi possiate lasciare San Domingo. A quest’ora tutte le cinquantine saranno in movimento per catturarvi. I tre famosi corsari non sono stati dimenticati e gli spagnuoli devono essere molto spaventati nell’apprendere che ve n’era un quarto che batte ancora le acque del gran golfo e che non si sa che cosa voglia fare.

– Forse è questo che farà venir loro la febbre, – disse il conte. – Che cosa io sia venuto a fare qui tutti lo ignorano. Certamente io non ho varcato l’Atlantico per continuare le gesta di mio padre e dei miei zii.

Il bucaniere si era voltato vivamente, guardando fisso il figlio del Corsaro Rosso.

– Delle vendette? – chiese.

– Quelle verranno piú tardi, – rispose il signor di Ventimiglia, con voce grave. – Ho prima altro da fare.

Si era fermato, guardando a sua volta fisso fisso il bucaniere.

– Siete stato nel Darien, voi? – gli disse ad un tratto.

– Sí; con Wan Horn, – rispose Buttafuoco.

– Conoscete dunque quel paese?

– Abbastanza bene: si trattava allora di attraversarlo con l’aiuto di un grande cacico, nemico terribile degli spagnuoli, per andare ad assalire Granata.

– Come si chiamava quel grande cacico?

– Hara.

– Aveva delle figlie, non è vero?

– Sí, signor conte.

– Date spose a dei famosi filibustieri?

– Questo lo ignoro – rispose Buttafuoco.

– È lui.

– Chi?

Il conte, invece di rispondere, si mise a guardare la savana che si estendeva dinanzi a lui a perdita d’occhio, interrotta qua e là da isolotti e da altifondi coperti da una vegetazione superba.

– Saremo costretti ad attraversarla? – chiese dopo un lungo silenzio.

– Sí, signor conte – rispose Buttafuoco. – Non possiamo tornare indietro: perderemmo la vita, poiché sono certo che gli spagnuoli hanno mandato dei corrieri per aver degli aiuti e le cinquantine che giungeranno non saranno solamente armate di alabarde.

– Quando partiremo?

– Questa sera stessa, perché i nostri nemici non s’accorgano della direzione che prenderemo.

– È lontana la fattoria della marchesa?

– È piú vicina di quello che supponete – rispose Buttafuoco. Con una rapida marcia vi potremo giungere in cinque o sei ore.

– Cerchiamo la colazione, allora.

– Un momento, signor conte; è la costa che mi occorre trovare. Se non riesco a scoprirla, non potremo allontanarci dall’isolotto. Spezzò una canna, armò l’archibugio per essere piú pronto a far fuoco sui caimani e avanzò nell’acqua tastando il fondo.

Aveva percorso una quindicina di passi, quando il conte lo vide ritornare.

– Abbiamo una fortuna meravigliosa, – disse – il fondo è ottimo e non vi sono sabbie. Signori spagnuoli, ci aspetterete un bel po’ e quando vi metterete in marcia non troverete che dei caimani… Signor conte, guadagniamoci ora la colazione. Non sarà una faccenda lunga. Getteremo giú una mezza dozzina di scoiattoli e ci procureremo un arrosto squisito.

Rifecero il cammino percorso, costeggiando specialmente i noci neri, ed aprirono quasi subito il fuoco.

Fra gli enormi rami delle grosse piante saltavano disperatamente o meglio volavano dei graziosi animaletti, un po’ piú grossi dei topi, col pelame grigio perla sopra e bianco argenteo sotto, con gli orecchi piccoli e neri, il muso roseo ed una splendida coda che pareva una magnifica piuma di struzzo.

Erano degli scoiattoli volanti i quali, spaventati dalla presenza di quei due sconosciuti, cercavano di mettersi in salvo, come se avessero già indovinate le malevole intenzioni del bucaniere.

Quantunque rassomiglino un po’ a quelli che si trovano nelle foreste d’Europa, ne differiscono per una membrana pelosa che unisce le gambe posteriori a quelle anteriori, permettendo loro di spiccare delle vere volate che si prolungano talvolta perfino di cinquanta e più passi.

Avevano però da fare con un tiratore meraviglioso; cosicché, in meno di cinque minuti, sette od otto di quei graziosi roditori, mitragliati dal bucaniere, caddero al suolo insieme ad un gran numero di noci che potevano servire benissimo come ottima frutta.

Mendoza ed il guascone, che già s’immaginavano di avere una buona colazione con un cacciatore cosí famoso, avevano nel frattempo acceso un allegro fuoco e raccolte delle erbe aromatiche per rendere l’arrosto piú gustoso. I quattro uomini scuoiarono in pochi istanti le bestiole, le infilarono nella bacchetta di ferro d’uno degli archibugi e le misero sopra i carboni, girando quello spiedo primitivo su due forchettoni di legno piantati nel suolo.

Mendoza si era improvvisato cuoco, dopo che il guascone gli aveva solennemente dichiarato di saper divorare anche sei beccaccini l’uno dietro l’altro, ma di non saperseli cucinare.

Il buon marinaio non aveva né protestato, né brontolato; anzi, aveva guardato con ammirazione quel formidabile mangiatore, chiedendogli solamente per quale motivo i guasconi, pur essendo divoratori, non ingrassavano.

Non occorre dire che la domanda era rimasta senza risposta, perché anche don Barrejo non avrebbe saputo dare su quello strano caso nessuna spiegazione plausibile.

Il fatto sta che gli scoiattoli scomparvero tutti e la maggior parte passò nel ventre del guascone.

Finita la colazione, i quattro uomini si occuparono subito degli spagnuoli, temendo sempre un improvviso colpo di mano.

Quelli invece pareva che per il momento non si occupassero affatto di loro.

Avevano acceso dei fuochi all’estremità della penisoletta e divoravano la loro colazione tranquillamente, composta forse di testuggini, poiché quei preziosi rettili abbondano intorno alle savane sandominghesi..

– Attendono dei rinforzi – disse Buttafuoco al conte. – Se noi non ci affrettiamo a scappare, circonderanno la palude, e allora sarà bravo chi potrà sfuggire all’accerchiamento. Le cinquantine non si trovano però lí per lí, e possono passare parecchi giorni prima che arrivino. Certo che noi non aspetteremo il momento terribile e fileremo attraverso le acque e anche fra le sabbie mobili. Penserà poi la marchesa a farvi scappare, signor conte.

– Sarà la seconda volta – rispose il conte.

– A lei tutto è facile – disse Buttafuoco.

Aprí una tasca di cuoio che portava al fianco e offrí al conte un grosso sigaro dicendogli:

– Potrete con questo ingannare il tempo. È tabacco cubano che ho potuto avere dai filibustieri della Tortue, e non ne troverete del migliore, ve lo assicuro io.

Il conte stava per prendere il sigaro, quando un colpo d’archibugio rimbombò e una palla fischiò sopra di loro.

Il basco si alzò precipitosamente, afferrando il suo fucile.

– Signor conte – disse con la voce un po’ alterata – sono giunti dei rinforzi agli spagnuoli e si preparano a prenderci a fucilate.

Poi, alzando la voce, disse a Mendoza ed al guascone:

– S’impegna battaglia: attenti alle palle!

CAPITOLO VIII. ATTRAVERSO LA SAVANA.

Il bucaniere e i suoi compagni si erano slanciati fra le piante, rifugiandosi specialmente dietro agli enormi tronchi dei noci neri che potevano formare una barricata assolutamente inattaccabile, almeno per il momento.

Un corpo, formato da due cinquantine armate d’archibugi s’avanzava lungo la penisoletta, sparando di quando in quando qualche colpo, ed era accompagnato da una dozzina di enormi cani

Era una forza imponente che poteva dare molto filo da torcere ai fuggiaschi, quantunque fossero separati da un largo tratto di savana e avessero la ritirata quasi assicurata.

– Sono ben decisi a prenderci! – disse Buttafuoco, il quale spiava attentamente le mosse degli assalitori.

– Che vengano all’attacco? – chiese il conte.

– Per ora, no di certo – rispose il bucaniere. – Dovranno prima cercare la costa che noi abbiamo attraversata, e quella non sarà tanto larga da permettere loro di avanzare tutti insieme. Saranno costretti a venire avanti in fila indiana, e noi avremo cosí tutto il tempo per fucilarli uno dopo l’altro. Ci tengo piú alla mia pelle che alla loro.

– Ben detto, – disse Mendoza

– E noi siamo uomini da non aver paura nemmeno del diavolo, – aggiunse il guascone. – Se si presentasse, con un colpo della mia draghinassa, taglio il naso anche a lui.

Le cinquantine si erano in quel frattempo riunite, occupando tutta l’estremità della penisoletta.

Il fuoco era stato sospeso, avendolo giudicato affatto inutile e gli ufficiali discutevano animatamente, additandosi l’un l’altro la savana, mentre alcuni soldati, armati di lunghe canne, cominciavano ad esplorare il fondo, per cercare fra le pericolosissime sabbie mobili, la costa.

I cani giravano lungo le rive, guatando ferocemente l’isolotto e abbaiando con furore, impazienti di muovere all’attacco. Qualcuno si era già gettato in acqua e nuotava innanzi e indietro.

Abituati alla caccia all’uomo, non attendevano che un segnale dei loro padroni per spingersi coraggiosamente avanti, e i segnali non tardarono a farsi udire.

Pochi fischi s’alzarono fra i soldati incaricati del loro ammaestramento e tutti i cani si gettarono lestamente in acqua nuotando in gruppo serrato.

– Don Barrejo, attento alle gambe! – disse Mendoza, armando l’archibugio. – Quelle brutte bestie hanno una gran voglia di mangiarvi i polpacci.

– Guardatevi piuttosto le vostre, – rispose il guascone. – Io non ho paura dei cani, anzi neppur dei leoni. Non siamo del mar di Biscaglia.

– Anch’io

– Tacete e attenti ai mastini, – disse il bucaniere. – Appena sono a tiro sparate.

La muta nuotava vigorosamente dirigendosi verso l’isolotto, e i loro padroni non cessavano d’aizzarla con grida altissime.

Già non distava che una cinquantina di metri dalla riva, quando un’improvvisa agitazione si manifestò fra i nuotatori.

Non avanzavano piú e latravano furiosamente, volgendo la testa verso i soldati come per chieder loro qualche aiuto.

– Ah, ah! – esclamò il guascone, scoppiando in una risata. – Hanno trovato il loro pane e non saranno essi che lo mangeranno!

– Che cosa succede? – chiese il conte.

– Una cosa semplicissima – rispose don Barrejo. – Stanno per perdere le loro zampe. Altro che mangiare le nostre! Gli jacarè amano avere i cani dentro il loro ventre: vedrete che bell’assalto!

– Sí, sono i caimani che giungono – disse Buttafuoco. – Ci faranno risparmiare le munizioni.

I mastini si erano messi a ululare sinistramente ed avevano voltato le spalle all’isolotto nuotando disperatamente verso la penisoletta.

Ad un tratto una brutta testa, armata di due formidabili mascelle, emerse bruscamente e si gettò sull’ultimo cane, tagliandolo d’un colpo a metà.

Era un mostruoso caimano che aveva fatto il suo colpo.

Le savane di San Domingo, piú che quelle delle altre grandi isole del golfo del Messico, sono infestate da sauriani enormi e anche ferocissimi, che si fanno temere dai piú audaci cacciatori.

Hanno una resistenza cosí straordinaria che non muoiono neppure quando il gran calore asciuga tutta l’acqua delle paludi.

S’innestano nel pantano, scomparendovi dentro, specialmente là dove le erbe sono foltissime e aspettano dormendo la stagione delle grandi pioggie.

Allora gonfiano i polmoni e si lasciano trasportare dove l’acqua è piú profonda. Specialmente allora sono temibili perché, spinti dalla fame, si gettano su uomini e su animali.

Hanno poi un debole pei porci e pei cani. Per procurarsi questi animali, osano qualunque cosa.

I mastini, che gli spagnuoli avevano lanciati contro l’isolotto, vedendo il loro compagno scomparire, avevano battuto precipitosamente in ritirata, inseguiti accanitamente da una vera truppa di sauriani.

Di quando in quando un mastino scompariva, urlando disperatamente e non tutto d’un colpo, poiché i caimani ci tengono a soffocare i cani lentamente come se godessero di quella lenta agonia. Anzi, anche se affamati, non li divorano subito. Li seppelliscono in mezzo al fango e li lasciano imputridire.

Gli spagnuoli, vedendo le loro bestie in pericolo, avevano aperto un fuoco vivissimo contro quei feroci predoni che muovevano all’assalto a grandi sbalzi, facendo risuonare sinistramente le loro enormi mascelle armate di formidabili denti.

Buttafuoco si era alzato.

– Giacché i caimani corrono tutti da quella parte, e i nostri nemici sono occupati, approfittiamone per fuggire. Seguitemi sempre e non lasciate la costa.

Tenendosi sempre nascosti dietro gli enormi tronchi dei noci, raggiunsero la riva e scesero nell’acqua. Buttafuoco era dinanzi a tutti, e non cessava di perlustrare il fondo.

Nessuno si era accorto della loro fuga. Gli spagnuoli avevano impegnata una vera battaglia contro i caimani che accorrevano da tutte le parti della savana, attratti dai guaiti lamentevoli dei mastini.

Si udivano passare a tre o a quattro alla volta, rapidi come frecce, coi dorsi rugosi coperti di piante palustri.

Buttafuoco procedeva rapidamente, seguendo la costa la quale pareva che avesse la larghezza di un paio di metri. Quantunque l’acqua non fosse profonda piú di tre o quattro piedi, rendeva però la marcia assai difficoltosa

Moltissimi uccelli scappavano dinanzi a loro, alzandosi fra i gruppi di canne, minacciando di tradire la direzione che tenevano.

Erano gruppi di tringhe per lo piú, uccelli grossi come le allodole, le gambe lunghissime e la carne deliziosissima e di arzavole, anitre di piccole dimensioni, perché non sono piú grosse d’un piccione, colla testa nera e violacea, con una linea bianca sulla cima e gli occhi azzurrini, volatili anche questi pregiatissimi.

– Questa savana è un paradiso, – mormorava Mendoza, il quale seguiva con gli occhi spalancati i voli di tutti quegli uccelli. – Peccato non rimanere qui qualche settimana! Scommetterei che anche le magre gambe di questo spaccone di guascone s’ingrasserebbero e che farebbero voglia ai cani degli spagnuoli. Bah!… Ci rifaremo piú tardi, se ci lasceranno un momento di tregua!

La ritirata continuava sempre rapidissima, poiché Buttafuoco temeva che gli spagnuoli si accorgessero della fuga dei loro avversari e che, sbarazzati i cani, si slanciassero alla conquista dell’isolotto.

Fortunatamente la costa si prolungava attraverso la savana ed il bucaniere, già pratico di quelle vaste paludi, non s’ingannava sulla solidità del fondo.

La sua canna s’affondava continuamente a destra e a sinistra, sempre attento alle sabbie mobili e filava sicurissimo sulla costa, dicendo sempre ai suoi compagni:

– Non deviate mai: seguite le mie tracce. Abbiamo la morte, da una parte e dall’altra.

La marcia durò venti minuti, poi il piccolo gruppo raggiunse un secondo isolotto, molto piú piccolo del primo e molto piú fangoso e che era coperto di nidi di caimani.

Le spiagge erano gremite di piccoli coni, non piú alti di un piede, composti di fango e di rami malamente intrecciati e che contenevano parecchi strati di uova non piú grosse di quelle di un’oca, ma piú lunghe, piú bianche e col guscio assai rugoso e con molti geroglifici.

I negri non hanno alcuna difficoltà a mangiarle, quantunque sappiano di muschio.

Il tuorlo è piccolissimo, appena colorito e l’albume azzurrognolo; e ben cucinato diventa cosí duro da doverlo tagliare col coltello.

Che quelle uova siano veramente eccellenti, come affermano i negri, vi sarebbe forse da dubitarne; si sa però che i figli dell’Africa sono molto diversi da noi.

Un pezzo di tromba d’elefante o una frittata di vermi di terra o di cavallette, fa lo stesso per quei corpi. In questo equivalgono ai chinesi ed ai malesi.

– Che peccato non avere gli intestini dei negri, – disse Mendoza. Qui ci sarebbero da fare delle gigantesche frittate.

Non ne avremmo il tempo, – rispose il bucaniere. – Gli spagnuoli si sono accorti della nostra ritirata e scommetterei che a quest’ora marciano sulla costa. Se i cani non abbaiano piú, vuol dire che la battaglia contro i caimani è terminata e che ora quei signori d’oltremare si occuperanno di noi. Lesti, attraversiamo anche questo isolotto e cerchiamo di raggiungere la terra ferma.

– Nemmeno un momento di riposo? – chiese Mendoza.

– Neanche un minuto – rispose Buttafuoco. – Si giuoca la pelle.

– Ah!… Se don Barrejo potesse darmi un pezzo delle sue gambe!… Ne ha perfino di troppo lui.

– In questo momento vorrei averle anche piú lunghe, – rispose il guascone.

– Uh! Che superba cavalletta!

Pure scherzando quei valorosi uomini si eran rimessi in corsa, passando come frecce sotto le piante che coprivano in gran numero il secondo isolotto.

Splendidi cespi di rododendri, alti piú di dieci metri, crescevano dovunque, mostrando i loro grossi rami ed i grappoli di fiori porporitii, mentre sopra di loro torreggiavano delle superbe palme coronate da parasoli di lunghissime foglie palmate, ricadenti elegantemente con spate d’un violetto iridescente listato di porpora, e fiocchi di frutta che sembravano mele verdi.

In meno di cinque minuti i fuggiaschi attraversarono anche quell’isolotto e, con un vero grido di gioia, salutarono la terraferma, la quale non si trovava lontana piú di cinquecento metri, mostrando la fronte di una fitta foresta formata da colossali platani.

– Là è la nostra salvezza, – disse Buttafuoco. – Anche se gli spagnuoli gireranno la savana, noi giungeremo alla fattoria della marchesa di Montelimar prima di loro.

– Ci permetterà il fondo di attraversare questo ultimo bacino? chiese il signor di Ventimiglia.

– Io non dispero, – rispose il bucaniere.

Esaminò rapidamente la riva, tastando sempre le sabbie poi si ricacciò in acqua. La fortuna assisteva i fuggiaschi, poiché il bravo bucaniere aveva trovata senza molte difficoltà un’altra costa e anche piú elevata delle altre, quindi piú sicura.

I quattro uomini, tenendo sempre gli archibugi alzati, mossero lestamente verso la terraferma, mentre in lontananza si udivano dei colpi d’archibugio.

Già stavano per raggiungerla, quando ad un tratto il bucaniere affondò fino a mezzo il petto.

– Fermi! – gridò. – Le sabbie mobili!

Quel valoroso, che scherzava dinanzi alla morte e che da solo si sentiva in grado di tener fronte ad una cinquantina di alabardieri, era diventato spaventosamente pallido.

– Una corda! una corda! – gridò dopo qualche istante d’angoscioso silenzio.

– Se non l’avete, sono perduto!

– Io ne ho sempre in tasca – rispose Mendoza, tirando fuori un gherlino incatramato, grosso come il dito mignolo.

– Non fate un passo innanzi, voi – gridò Buttafuoco, vedendo che l’imprudente marinaio stava per abbandonare la costa della savana. – Gettatemi la corda e strappatemi da questa terribile trappola.

Il conte, che era dinanzi al guascone e al basco, gliela lanciò destramente, trattenendo l’altro capo.

Il bucaniere, che affondava lentamente ma continuamente nel fondo traditore, se la legò sotto le ascelle, dicendo:

– Levatemi da questa tomba e badate di non cadere. Vi è la morte sotto ed intorno a voi.

I tre uomini unirono i loro sforzi, badando bene a non perdere l’equilibrio. A piccoli tratti ben misurati strapparono il brav’uomo dalle sabbie che già si aprivano per inghiottirlo.

– Non mi aspettavo di trovarle qui – disse Buttafuoco. – Che la costa sia proprio finita? Sarebbe la nostra rovina.

– Che pieghi invece?

– Me ne accerterò all’istante, signor conte.

Aveva subito ripreso il suo sangue freddo. Riafferrò la canna che si era piantata profondamente nella fanghiglia e avanzò prima a destra poi a sinistra, con estrema precauzione.

Un grido di trionfo avvertí il conte che la buona via era stata ritrovata.

– Siamo salvi! – aveva esclamato Buttafuoco.

La costa in quel punto descriveva una curva pur continuando ad avvicinarsi alla riva. Il bucaniere, dopo essersi ben assicurato della sua direzione, si spinse risolutamente innanzi e raggiunse felicemente la terraferma, subito seguito dai compagni.

– Siamo al sicuro, qui? – chiese Mendoza.

– Per un po’ di tempo, non avremo nulla da temere, – rispose il bucaniere. – Solamente i cani potrebbero darci qualche fastidio; non essendo però noi indiani, non sono troppo temibili.

– Ve ne abbiamo dato un esempio, – disse il guascone.

Moltissimi conigli, dal pelame rossiccio chiaro e la coda lunga, che stanno fra i nostri conigli e le lepri, scappavano dinanzi a loro, mentre fra i rami svolazzavano dei grossi curlam, bellissimi trampolieri della famiglia dei francolini, colle piume brune-porpora sul dorso, con una striscia bianca ai lati della testa, il becco aguzzo e duro come una lama di acciaio, che adoperano per difendersi non solamente contro i cani, ma anche contro i cacciatori. Buttafuoco descrisse nel bosco un grand’arco di due o tre chilometri, poi, persuaso che i nemici non erano ancora giunti fin là, si decise a sparare alcuni colpi d’archibugio, gettando a terra due coppie di galli del collare, un paio di sgarze, graziosi aironi grossi poco piú d’un tordo, col ciuffo e le piume verdi, mentre il corsaro, che aveva caricato il suo fucile pure a migliarola, mitragliava alcune pernici americane, un po’ meno grosse di quelle europee e d’una fecondità prodigiosa, perché depongono perfino quaranta uova.

Carichi di tutti quei volatili, fecero ritorno all’accampamento improvvisato da Mendoza e dal terribile guascone.

– Gli spagnuoli? – disse subito Buttafuoco.

– Io credo che stiano cenando pacificamente, – rispose don Barrejo, il quale aveva subito adocchiati i bellissimi pennuti.

– Sicché voi volete dire che noi possiamo imitarli, – disse il bucaniere, sorridendo.

– Quando uno dorme o mangia, io ho sempre avuto l’abitudine di imitarlo, – rispose il guascone.

– I guasconi sono sempre furbi, – disse Mendoza.

– E come se ne vantano! – disse don Barrejo.

– Degnatevi almeno di preparare la cena.

– Ci penso io, signor bucaniere.

– Ed io vi aiuto, – aggiunse il marinaio.

Mentre i due compari, i quali pareva che andassero pienamente d’accordo quantunque non si risparmiassero vicendevolmente le stoccate, a colpi di lingua però, si occupavano alacremente della cena, il conte e Buttafuoco si erano spinti verso la riva della savana, temendo sempre una sorpresa.

Tanto all’uno che all’altro pareva impossibile che gli spagnuoli si fossero immobilizzati sulla penisoletta, senza tentare la traversata della palude.

Forse aspettavano la notte per spingersi innanzi e sorprenderli.

Il bucaniere però non era uomo da cadere cosí grossolanamente in un agguato.

Abituato alle sorprese ed alla vita dei boschi, conosceva troppo bene i suoi eterni nemici, coi quali già troppe volte aveva avuto da fare.

– Avremo il tempo di cenare e anche di riposarci qualche ora, aveva detto al signor di Ventimiglia. – Sarà l’ultima volta che noi passeremo fra queste lagune e coi nemici alle spalle. La marchesa s’incaricherà poi di farci raggiungere il capo Tiburon.

Rimasero in osservazione sulle rive della savana per qualche tempo, poi si ripiegarono lentamente verso l’accampamento, attratti anche dal profumo squisitissimo che giungeva fino a loro.

Mendoza ed il guascone avevano fatto dei veri miracoli: galli dal collare, sgarze e pernici erano stati superbamente arrosolati e non chiedevano altro che dei buoni colpi di dente.

– Signor conte, – disse Buttafuoco, – voi avete due cuochi insuperabili. Il mio arruolato, malgrado tutta la sua buona volontà, non vale tanto.

– Se mi sarà possibile ve ne cederò uno, – rispose il signor di Ventimiglia.

Un uh!… feroce fu la risposta dei due compari: i quali ormai sentivano di non poter vivere lontani l’uno dall’altro nemmeno un mezzo minuto.

Vanusepiirang:
12+
Ilmumiskuupäev Litres'is:
30 august 2016
Objętość:
440 lk 1 illustratsioon
Õiguste omanik:
Public Domain