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Il tesoro della montagna azzurra

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– Fatemi vedere le piroghe.

Attraversarono la zona delle rhizophore e arrivarono sulla spiaggia, davanti alla quale stava la scialuppa montata da Mina e da Reton, sempre pronto a far tuonare il cannoncino. Vedendo la fanciulla, che stava ritta accanto al bosmano, il bandito impallidì spaventosamente, poi un flusso di sangue ali montò al cervello.

– La señorita! – ruggì. – Non sarai mia, ma non ti avrà nessun altro!

Mentre don Pedro e don José si fermavano, stupiti, ignorando ancora l’amore selvaggio che ardeva nel cuore dell’antico negriero, Ramirez puntò rapidamente il fucile, prendendo di mira la giovane. Il colpo stava per partire, quando un giovane marinaio, che fino allora ne don Pedro, né don José avevano notato, piombò con uno slancio da tigre su di lui, piantandogli una navaja nel petto. Ramirez aveva mandato un urlo.

– Emanuel!…

Prima che il capitano dell’Andalusia e don Pedro rimessisi dallo stupore avessero il tempo d’intervenire, il bandito girò su sé stesso e scaricò il fucile, che non aveva abbandonato, fracassando il cranio al suo assassino. Tutti si erano slanciati su di lui, anche i suoi marinai ma egli li trattenne con una parola:

– Sono morto.

Fece due passi indietro, si lasciò sfuggire l’arma, si portò le mani al petto, cercando di estrarre dalla ferita la terribile lama che era rimasta infissa fino al manico, poi cadde pesantemente al suolo, come un albero schiantato dalla bufera.

La navaja gli aveva spaccato cuore!

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Due ore più tardi, dopo aver sepolto l’uno accanto all’altro, l’assassino e l’assassinato, i conquistatori del tesoro, ancora profondamente impressionati dal terribile dramma svoltosi sotto i loro occhi, lasciavano l’isolotto, scortando le quattro piroghe, che portavano nelle stive più di quaranta milioni di oro purissimo, che i krahoa, sotto la guida del vecchio Belgrano, avevano raccolto fra le sabbie del Diao. Tutti avevano fretta di lasciare l’isola degli antropofaghi sulla quale avevano passate troppo tristi emozioni. Verso il mattino scialuppe e piroghe abbordavano felicemente l’Esmeralda. Il tesoro fu subito imbarcato, con l’aiuto dei nove marinai di Ramirez, i quali si erano messi a disposizione del capitano dell’Andalusia, felici di essere stati risparmiati, mentre avevano temuto di dover finire la loro vita sotto i denti degli antropofaghi. La separazione fra gli uomini bianchi, i kahoa e i krahoa fu commovente. Matemate e Koturé i due valorosi kanaki, ai quali tanto dovevano don Pedro e Mina, piangevano come fanciulli e così pure tutti i capi dei villaggi delle due tribù.

– Tu ci hai regalate le canne che tuonano e tante cose ancora; – dicevano tutti, – ma avremmo preferito di vederti ancora fra noi.

All’alta marea, dopo commoventi addii, l’Esmeralda prendeva il largo, per iniziare la traversata del Pacifico, mentre i krahoa e i kahoa, ormai fusi in una sola tribù, risalivano tristemente il Diao dalle sabbie d’oro.

FINE