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Loe raamatut: «La tigre della Malesia», lehekülg 27

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– È uno di quei legni che battono le coste per difenderle dalle irruzioni dei pirati – disse Yanez, avvicinandosi a Sandokan. – Rapidi finché si vuole, ma impotenti per misurarsi coi prahos di Mompracem.

– Tuttavia mi pare che si diriga verso di noi – osservò Giro Batoë che stava al timone.

– Per conoscerci da vicino e se fosse possibile per arrischiare un attacco. Non bisogna dimenticare che sulla testa di mio fratello Tigre pesa una taglia di mille sterline. È una bella sommetta che potrebbe tentare quei gaglioffi.

– Ma quella cannoniera là non porta bandiera inglese – disse Sandokan che da qualche istante la osservava con profonda attenzione.

– Oh! Oh! – fe’ Yanez. – Vi si immischierebbe forse qualche altra nazione?

– È una bandiera olandese – affermò Giro Batoë. – Per Allah! non m’inganno io.

– Olandese! – esclamò Marianna. – Ma come mai gli Olandesi si collegano con quelli di Labuan?

– È cosa facile a spiegarsi – rispose Sandokan. – Noi siamo pirati, e tutte le nazioni si son messe d’accordo per estirpare la pirateria che essi chiamano un flagello bello e buono. Gli Olandesi, gl’Inglesi o anche i compatrioti di mio fratello, quantunque non troppo calorosamente, ronzano attorno a Borneo. Il piroscafo ci ha additati alla cannoniera e questa ha creduto bene di tentare la caccia.

– To’, guarda, Sandokan, non lo dicevo io? – disse il Portoghese. – Ecco la valente cannoniera che diventa prudentissima.

Infatti il legno da guerra aveva a poco a poco rallentata la corsa. Procedette per qualche tratto, bordeggiando a dritta e a sinistra come indeciso, poi virò bruscamente di bordo e s’allontanò dirigendosi al nord-ovest. Dieci minuti dopo era tanto lontano da essere fuori di portata dei cannoni del prahos.

– Si vede che non si sente tanto forte da cimentarsi con noi – disse Sandokan. – D’altronde è meglio così tanto pel nostro prahos quanto per lui. Non avrei dato una sterlina delle sue ruote.

– Non credere però, che quella furba di cannoniera abbia a lasciarci – osservò Yanez. – Io scommetterei che la birbona, pur tenendosi a debita distanza, non ci perderà di vista e non si lascierà sfuggire l’occasione propizia per gettarsi improvvisamente su di noi. Guarda, Sandokan, ecco che torna a virare e che ci si mette alle calcagna.

Il Portoghese aveva detto il vero. La cannoniera aveva fatto un fronte indietro e si era slanciata dietro al prahos che filava rapido come una freccia, e per tutto il giorno lo seguì ostinatamente.

Nessuno però ebbe a inquietarsi della sua presenza, ben sapendo che se avesse avuto la temerità d’assalirli, avrebbe avuto indubitatamente la peggio. Nemmeno Marianna ebbe paura, rassicurata dalla presenza della Tigre e dei suoi formidabili tigrotti.

La giornata passò senza incidenti, e la sera venne senza che la felicità dei due amanti venisse in nulla turbata.

– Marianna – disse Sandokan, quando il sole si tuffò nelle onde. – Puoi ritirarti nel tuo nido senza timori. Quella malaugurata cannoniera per questa notte non ci darà fastidi, ne son sicuro, e meno domani che saremo in vista della nostra isola. Va, io veglierò e, dopo di me, veglierà mio fratello Yanez. Sarà l’ultima notte che tu rimarrai rinchiusa nella stretta tua cabina: domani riposerai nel covo della Tigre sulla inaccessibile rupe della temuta mia Mompracem.

Egli la baciò in volto nel mentre che le onde mormoravano dolcemente a prua e che la brezza gemeva fra gli attrezzi del legno, poi, mentre ella scendeva la stretta scala, andò a sedersi a poppa prendendo egli stesso la ribolla del timone in mano. I suoi occhi si fissarono sulla cannoniera che fumava a mezzo miglio di distanza, né si staccarono più, nemmeno un momento, nemmeno un atomo.

Alla mezzanotte egli era ancora là e non avrebbe abbandonato quel posto se il Portoghese non fosse venuto in persona per surrogarlo.

– Vattene a dormire, Sandokan – disse Yanez traendolo da poppa quasi con violenza. – Tu hai bisogno di riposare; non scordarti che Mompracem ha ancora bisogno della sua Tigre, ma della Tigre forte, terribile, come lo era una volta.

– Hai ragione – rispose Sandokan guardando un’ultima volta i fanali della cannoniera. – Fratello, dei pericoli vagano fra le ombre della notte; fa in modo che questi non t’abbiano a cogliere alla sprovveduta. Vigila, ma vigila come vigilai io. Tu sai che trattasi di Marianna, vale a dire di ciò che ho più caro al mondo; io diverrei pazzo se accadesse disgrazia a lei.

– Fingerò di essere innamorato della lady – disse Yanez sorridendo. – Che vuoi di più? Nessuna mossa della cannoniera sfuggirà ai miei occhi per quanto le tenebre possano diventare fitte. Orsù, vattene a dormire.

Il pirata s’allontanò, scese nella cabina senza far il minimo rumore per la tema di svegliare la giovanetta, e dopo essersi assicurato che costei dormiva, si gettò nella sua amaca colla speranza di trovarsi all’alba sotto le coste di Mompracem.

Tutta la notte però fu agitatissimo. Sogni spaventevoli lo svegliavano di frequente e l’ansietà impedivagli di ripigliare il sonno per quanto tentasse di chiudere gli occhi. Più volte si alzò e si accostò alla tramezzata che dividevalo dalla cabina di Marianna per udire se respirasse o se era proprio vero che non gli era ancora stata rapita, più volte s’accostò allo sportello che guardava il mare tentando vedere la cannoniera e più volte infine in preda a timori e ad angoscie inesplicabili si spinse fino sul ponte per assicurarsi coi propri occhi che Yanez e i tigrotti vegliavano e che nessun pericolo minacciava il suo legno.

Non pigliò sonno che verso il mattino, ma fu di breve durata. Fu improvvisamente svegliato dal Portoghese che scendeva con fracasso la scala.

– Sandokan! – gridò questi. – Salta in piedi che siamo in vista di Mompracem. Per mille fulmini! Vi ha la rivoluzione laggiù!

– Mompracem! La rivoluzione? – esclamò il pirata saltando giù dall’amaca. – Che è mai successo?

– Che vuoi che ne sappia io? Mi pare che sia tutto sottosopra.

– Che dici? Avrebbero gl’Inglesi effettuato la minaccia? Yanez!…

– Ho paura Sandokan che abbiano bombardato Mompracem!

La Tigre emise un ruggito d’ira e di dolore. Arretrò di due passi colle mani nei capelli, poi infilò la scala, giunse sul ponte e si precipitò a prua dove si erano aggruppati i suoi tigrotti.

Il sole era allora levato e mostrava Mompracem lontana appena due miglia. Sandokan, abbassando gli occhi verso la marina, vide che mezzo villaggio era ruinato, e che dei quindici o diciotto prahos che dovevano galleggiare nella piccola rada più che mezzi mancavano, e che tre o quattro giacevano arenati sul lido, senz’alberi, senza manovre e coi ventri squarciati, frantumati.

Alzò gli occhi verso la gigantesca rupe, ma sulla cima vide ancora appollaiata come aquila la sua gran capanna, sulla quale ondeggiava ancora superba la rossa bandiera della pirateria ornata da una testa da morto. Egli respirò.

Riabbassando gli occhi scorse sul lido una quarantina di pirati che andavano e venivano, affaccendandosi dietro le palizzate semi-infrante, dietro ai terrapieni scombussolati, dietro alle trincee e alle batterie in gran parte cadenti o distrutte.

– Vedi? – gli chiese Yanez che lo aveva raggiunto. – Guarda là, quanti prahos mancanti, quanti cannoni smontati, quanti rottami accumulati sulle batterie e quante breccie nei bastioni.

– Vedo – disse Sandokan con voce sorda.

– Gl’Inglesi hanno approfittato della nostra assenza per tentare la distruzione del covo della Tigre. Hanno bombardato da capo a fondo il nostro villaggio.

Sandokan emise un profondo sospiro.

– Ah! – mormorò egli con accento straziante. – La mia potenza, il mio nome, la mia fama, si sono spente!… E spente per sempre!…

CAPITOLO XXVII. La regina di Mompracem

Pur troppo Mompracem, l’inaccessibile nido dei pirati, la sede della terribile Tigre della Malesia, era stata attaccata e bombardata.

GI’Inglesi, messi probabilmente al corrente della spedizione che Sandokan aveva intrapresa sulle coste di Labuan, seco portando il fiore dei suoi uomini, più che sicuri di trovare l’isola quasi indifesa, l’avevano improvvisamente e con forze schiaccianti assalita ed erano corsi un pelo di prenderla definitivamente e di dare l’ultimo colpo di grazia alla già crollante potenza dei pirati.

Ancora una mezz’ora di tempo, e forse meno, e il saccheggio avrebbe tenuto dietro alla distruzione delle trincee; ancora un ritardo, e tutti i cannoni sarebbero stati inchiodati, il villaggio interamente incendiato, la dimora della Tigre violata e la rossa bandiera della pirateria abbattuta e per sempre.

Quando Sandokan e i suoi uomini sbarcarono, tutti i pirati di Mompracem, la maggior parte feriti, stavano schierati sulla spiaggia, cupi, tremanti, colle teste chine sul petto come colpevoli dinanzi alla giustizia.

– Tigre della Malesia – disse uno dei capi facendosi innanzi a Sandokan che contemplava con truce espressione quelle ruine ancor fumanti. – Noi abbiamo fatto quanto era possibile per iscacciare il nemico che sbarcò nel momento che noi eravamo alla scorreria, seco portando il caporale inglese. Se tu credi che noi siamo colpevoli, subiremo senza lamento la condanna che tu ci imporrai.

Sandokan non rispose. Un doloroso sospiro sollevò l’ampio petto e crollò con gesto di scoraggiamento la testa. Egli guardò con ispavento lo scarso drappello di prodi, ridotto a una cinquantina di uomini dei cento e più che aveva lasciato; egli guardò quelle trincee sfondate che ormai non offrivano un riparo sufficiente contro la incalzante potenza degli Inglesi, a quel villaggio semi-arso, a quelle coste un dì tanto temute e or violate, e provò una terribile stretta al cuore.

– Tigre della Malesia! – esclamarono i pirati tendendo supplicanti le mani verso di lui.

Sandokan si prese la testa fra le mani con gesto disperato. Un rauco singulto gli montò alla gola.

– Andate, andate, miei prodi! – disse egli con accento straziante. – Vi perdono.

Egli gettò le braccia attorno al collo di Marianna che lo guardava tristamente e l’abbracciò senza dir verbo.

– Sandokan – mormorò la giovanetta. – Coraggio mio prode amico. È la fatalità che così vuole.

– Sì, Marianna, la fatalità – rispose Sandokan con impeto feroce. – La fatalità che s’è giurata di spezzare la mia potenza e d’infrangere compiutamente il cuore dell’antica Tigre. Ah! È troppo! È troppo, Marianna!

La giovanetta lesse sul suo volto tutti i dolori che laceravano la sua anima. Ebbe pietà e paura. Lo prese per le mani e traendolo dolcemente verso la spiaggia:

– Sandokan – gli disse con voce rapida ma ferma. – Tu rimpiangi la tua passata grandezza, tu soffri atrocemente, lo leggo nei tuoi occhi, non puoi dire di no. Senti, mio eroe, vuoi tu che io rimanga teco a Mompracem, fra i tuoi tigrotti? Vuoi tu che io divenga la moglie della Tigre della Malesia? Vuoi tu che io mi faccia piratessa, che io impugni come te la scimitarra, che io combatta al tuo fianco? Dillo, Sandokan, lo vuoi tu?…

La voce della giovanetta era ferma, ma si capiva quanto le costasse quella proposta. Lei, la giovanetta che si commoveva alla vista di un ferito, lei, la gentil Perla di Labuan assuefatta alla poetica vita dei boschi, trarla e tenerla in un’isola di pirati, a Mompracem, travolgerla fra le pugne, mostrarle stragi, morti e moribondi? Chi l’avrebbe fatto?

Sandokan ne fu commosso. La guardò con occhi stravolti, con ammirazione, ma comprese l’immenso sacrificio.

Si precipitò verso di lei quasi fuori di sé, l’abbracciò delirante, poi, traendola verso la costa:

– Tu sei divina! – le disse. – Tu sei insuperabile, ma io non voglio che tu diventi la moglie di un pirata, non lo voglio, no. Sarebbe una mostruosità che io ti obbligassi a rimanere a Mompracem, che io avessi ad assordarti coi fragor dei cannoni, colle urla dei feriti, che ti mostrassi ogni dì massacri orrendi e che ti esponessi ad un eterno pericolo.

«Due felicità sarebbero troppe, non le voglio. No, andremo lontani da questi luoghi, tanto che non possa udire né il tuonar dei bronzi, né le urla delle vittime. Non tentarmi, Marianna, non tentarmi. Lascia che abbandoni la mia potenza e la mia gloria e che si spenga il mio nome. Avrò te, e tu sarai più di tutto quello che io perdo.

– Ah! – esclamò Marianna. – È proprio vero adunque che mi ami più della tua isola e dei tuoi uomini!

– Sì, anima mia, più di tutti – rispose Sandokan baciando i suoi dorati capelli. – È destino che la mia potenza abbia a cadere, Marianna. Lascia che si compia questo destino inesorabile.

Egli tornò bruscamente verso la sua banda che lo guardava con viva ansietà.

– Compagni – diss’egli con quell’accento fermo, altero, risoluto che imponeva. – Io vi ringrazio di ciò che voi avete fatto sino ad oggi per me, per sostenere il mio nome, per compiere la mia tremenda vendetta contro coloro che mi straziarono il cuore, per difendere la mia isola e la mia bandiera. Tigrotti, io vi chiedo ancora un favore che probabilmente sarà l’ultima volontà della Tigre della Malesia, volontà che io voglio sperare che nessun di voi ardirà osteggiare.

– Parlate, capitano, parlate! – esclamarono ad una voce i pirati, affollandosi attorno a lui.

– Ascoltatemi, miei prodi. Il nemico ci è alle spalle; voi potete vederlo laggiù in quella cannoniera che fuma arditamente presso le nostre coste, e che non è altro che l’avanguardia.

Le giacche rosse hanno forti motivi per ritornare sulla nostra isola; quello di vendicare coloro che noi uccidemmo sotto le foreste di Labuan, e di strapparmi la donna che condussi meco; mia moglie!

«Fra qualche giorno essi saranno qui, ne ho il presentimento, e saranno qui numerosi e potenti più determinati ad espugnare l’isola che non lo fummo noi ad espugnare le Romades. Voi mi capite. Sarà l’ultima partita che noi giocheremo a Mompracem ma io voglio che questa partita s’abbia a vincere a ogni costo. L’ultima volontà della Tigre voglio che si compia con un corteo di scheletri e con un fiume di sangue!

– Tigre della Malesia – disse Balamê, uno dei capi – accanto a voi noi diverremo tigri pur noi, che a un vostro cenno sapranno morire come sono morti eroicamente coloro che pugnarono sulle coste dell’isola maledetta. Difenderemo fino all’ultimo anelito, fino a che avremo una goccia di sangue nelle vene e la forza di alzare un’arma la nostra Mompracem, voi e vostra moglie giacché lo volete. Ordinate: noi siamo pronti a sacrificare le nostre vite. Perché parlare ai vostri tigrotti di ultima volontà? Quale mai sarà l’audace che avrebbe tanto ardire di toccarvi colla sua scimitarra? Quale mai sarà la palla che non si spezzerà contro l’invulnerabile vostro petto?

Sandokan lo guardò commosso. E chi non poteva commuoversi alle parole di quei prodi, che, dopo aver perduto i loro compagni, offrivano ancora le loro vite a colui che era stato la causa delle loro sventure?

La Tigre ruggì in cuor suo di non poter spezzare le catene di Marianna e di riporsi alla testa di quegli eroi. Soffocò un singulto che salivagli alla gola.

– Compagni – diss’egli quasi con ira. – Vi ha la fatalità che dopo averci perseguitati ci condanna. Curvate anche voi il capo sotto questo crudele destino che è inesorabile. Lo curvo pur io che mi si chiamava la Tigre!…

Egli volse altrove la faccia sulla quale leggevansi le traccie d’un dolore sconfinato, porse il braccio a Marianna sui cui occhi brillavano due lagrime, che andavano ingrossandosi sotto le palpebre, e si allontanò col capo inclinato sul petto. Il Portoghese lo seguì, dopo aver gettato un triste sguardo sugli avanzi della terribile banda, le cui faccie cupe esprimevano una disperata rassegnazione.

– Fatalità! Fatalità! Fatalità! – ripeté Yanez. – Sei pur troppo con noi senza pietà.

Essi salirono la stretta gradinata che menava sulla cima della rupe, seguiti dagli occhi di tutti i pirati che parevano li guardassero come per l’ultima volta e che s’empivano a poco a poco di lagrime.

Sandokan attraversò rapido la piattaforma con Marianna, prima che questa potesse vedere fra le trincee sfondate gli scheletri umani ancor dispersi, ed entrò nella sua dimora.

– Marianna – disse Sandokan con sospiro. – Questa era l’antica abitazione della Tigre della Malesia, questo era il covo tanto temuto dove viveva Sandokan pirata… È tuo, fino a che tu rimarrai sull’isola di Mompracem, poi ritornerà deserto come prima che io avessi ad abitarlo… È un nido lugubre, nel quale si svolsero terribili drammi; un nido indegno di ospitare la Perla di Labuan, ma sospeso sull’abisso, inaccessibile a ogni essere umano, e sul quale il nemico non potrà giungere che dopo aver freddato l’ultimo pirata di Mompracem e d’essere passato sul mio corpo. Marianna, se tu fossi diventata la regina di Mompracem, l’avrei abbellito, ne avrei fatto una reggia… Orsù, a che parlare di cose impossibili? Tutto è morto o sta per morire.

Sandokan portò le mani al cuore e il suo volto si sconvolse dolorosamente. Marianna gli gettò le braccia attorno al collo.

– Sandokan, tu soffri, tu hai il cuore spezzato, tu mi nascondi i tuoi dolori – diss’ella.

– No, Marianna. Non sono che commosso. La vista di quegli uomini feroci, la vista di quegli eroi che piangevano mi ha impressionato, mi ha…

– Sandokan!…

– Che vuoi, anima mia, li amo e mi pare che mi si spezzi qualche cosa nel petto all’idea di doverli lasciare. Orsù questa sera svelerò ogni cosa a loro, che tutto ignorano. È d’uopo che tutti lo sappiano e che si preparino alla separazione.

– E di me, che diranno di me, causa di tutte le sventure che colpirono la sfortunata loro isola? Ah! Sandokan!…

– Oh! Non temere, anima mia! – esclamò Sandokan, i cui occhi s’accesero di sdegno al sol pensarlo. – Nessuno ardirà gettare un’accusa contro la Perla di Labuan, nessuno ardirà alzare una mano verso di te. Guai, guai all’audace che l’oserebbe. La Tigre gli berrebbe tutto il sangue delle vene dopo avergli fatto soffrire mille indicibili tormenti.

«Non supporlo, Marianna. Sono per essi la terribile Tigre della Malesia, il loro capo, il loro padrone, il loro dio!…

– Ma, nel fondo del cuore, malediranno la Perla che strappò dalle loro braccia la Tigre.

Sandokan emise un ruggito furioso.

– Non ti malediranno nemmeno nei loro cuori: io lo voglio!…

Egli trasse a sé la giovanetta e, cangiando tono:

– Marianna, questa sera io li chiamerò tutti attorno a me, e dirò a loro ogni cosa prima che abbiano a lottare per l’ultima volta col nemico sulle spiagge della mia isola. È d’uopo che sappiano che io voglio che tu sia difesa, è d’uopo che giurino che essi faranno dei loro petti scudo a te, è d’uopo che abbiano a sacrificarsi per difendere la Perla di Labuan, la moglie del loro capo, della Tigre.

«Questa notte tu sarai la regina di Mompracem, e perciò voglio che tu sii brillante, onde abbia ad affascinarli come hai affascinato me che pur aveva un cuore inaccessibile per lo strale dell’amore.

«Mi tenteranno, invocheranno la passata nostra grandezza, la nostra potenza un dì formidabile, ma sarò irremovibile come la rupe su cui mi trovo; ti tenteranno poiché tu abbia a rimanere, ti pregheranno, piangeranno fors’anche ai tuoi piedi, ma giacché non vuoi essere la regina della mia isola, rifiuterai, e rifiuterai senza esitazioni, senza paura.

«Orsù, siamo forti all’ultima ora. La fatalità gravita su di noi: si compiano i destini d’Allah. Io scompaio e dietro di me scompariranno i pirati e Mompracem.

I suoi occhi rotearono trucemente nelle orbite e si copersero d’un velo sanguigno.

Afferrò la giovanetta, la sollevò e accostò le sue labbra a quelle di lei.

– Lascia, lascia, che io libando l’amore sulle tue labbra divine disperda i miei dolori e soffochi i miei tormenti!

La depose a terra, poi gettò un fischio.

I due Malesi addetti all’abitazione comparvero.

– Ecco la vostra padrona – disse loro. – Chiamatemi Ladgia.

La donna che portava questo nome comparve un istante dopo. Era questa una Dajacha superba, come sono in generale tutte quelle della sua razza, dal portamento ardito, dal volto leggiadro, con occhi che brillavano d’un fuoco selvaggio. Aveva le gambe e le braccia cariche d’anelli di rame e d’ottone che tintinnavano graziosamente quando camminava, i capelli rialzati e abbelliti da lunghe e variopinte piume, e portava attraverso il corpo una cintura di anelli sostenenti di una corta bidang di stoffa rigata.

Questa ragazza, che era la più bella che vantassero i dajachi laut del Borneo, Sandokan l’aveva adottata come figlia dopo che suo padre era stato ucciso in un abbordaggio. Egli l’aveva mandata a prendere appositamente alle Romades dove viveva, per farne un dono a lady Marianna.

– Ladgia – disse il pirata. – Tu porti un nome di guerra dovuto alla tua audacia e al tuo coraggio. Ecco qui la tua padrona, sappi difenderla e proteggerla come la proteggerò e la difenderò io.

Stette un istante muto, poi, volgendosi verso Marianna:

– Coraggio, amor mio. Finché rimani su questa terra, sii la regina di Mompracem.

Uscì con passo rapido come volesse nascondere l’emozione che tornava a riprenderlo. Yanez lo seguì. Essi discesero sulla spiaggia nella quale andavano e venivano tacitamente i tigrotti di Mompracem.

La cannoniera fumava sempre a poche miglia dalla costa, andando e venendo, ora dirigendosi al nord, ora all’est, e ora avvicinandosi fino a tre o quattrocento passi dalla temuta isola. Pareva che cercasse qualche cosa, e che s’impazientisse. Sandokan indovinò subito che aspettava degli aiuti da Labuan per cominciare il bombardamento del villaggio, e fremette di paura, non per sé, non pei suoi tigrotti, ma ancora per Marianna.

– Lo vedi, Yanez – diss’egli volgendosi al Portoghese e indicando con gesto scoraggiante la cannoniera. – Tutto è finito per la povera Mompracem.

– Hai paura di quella vaporiera?

– Credi tu che sarà sola a bombardarci e a tentarne l’assalto? Essa aspetta dei rinforzi, aspetta quelli di Labuan e fors’anco la flotta di Sarawak! Ah! Yanez, ho un funesto presentimento radicato nel cuore, il presentimento che domani o dopodomani la nostra bandiera venga abbattuta per sempre, e le nostre coste fino a ieri inviolabili e temute, abbiano a cadere nelle mani dei nostri rivali di Labuan.

– Ma ci difenderemo estrenuamente – disse Yanez. – Abbiamo ancora cannoni, polveri e palle, abbiamo ancora dei tigrotti assetati che sotto la condotta della Tigre della Malesia faran prodigi di valore. Vedrai, Sandokan, che non avranno tanto ardire d’assaltare la Tigre nel suo covo.

– Non illuderti, Yanez – rispose tristamente il pirata. – La nostra potenza se ne è andata colla morte dei nostri tigrotti. E poi credi tu che gl’Inglesi non sappiano che io sono stregato? Credi tu che la Tigre si getterà perdutamente sul nemico come faceva nei tempi passati quando non aveva catene e il cuore inaccessibile?

«Ah! Yanez! la mia gloria è tramontata per sempre col mio nome!

– Ma allora noi corriamo un serio pericolo e prima di tutti lady Marianna!

La Tigre si scosse e lo guardò fissamente.

– Marianna! – esclamò egli.

– Se tu non senti di possedere l’antico tuo valore, è certo che gli Inglesi irromperanno sulle nostre coste e che ci piglieranno tutti quanti.

– Chi sarà mai quella mano che ardirà alzarsi sulla moglie della Tigre? – chiese Sandokan, rizzandosi fieramente. – Credi tu che io me la lascierò rapire? Morrà il mio nome, la mia potenza, la mia isola, ma Marianna, giammai!

– E se gli Inglesi ci respingessero?

– Mi ritirerei nelle foreste, e di poi prenderei il mare.

– E se ti mettessero alle strette, se ti circondassero, se la fuga fosse diventata impossibile?

– In tal caso darei fuoco alle polveri e salterei abbracciato a Marianna, colla mia bandiera e i miei tigrotti.

– Si vede che tu parli seriamente. E io con chi morrò abbracciato?

– A Ladgia – disse Sandokan, sforzandosi a sorridere mentre il Portoghese si imbarazzava. – Io so che tu l’ami, Yanez.

– In fede mia, tu indovini proprio, amico mio, e sia. L’ho amata alle Romades, l’amerò egualmente a Mompracem, e se mi toccherà morire, morrò abbracciato a Ladgia. Lavorerò per due, difenderò tutte e due, rizzerò da me solo una trincea.

– Andiamo allora, Yanez, mi occorrono uomini per fare delle batterie da difendere il villaggio contro i bombardatori.

I pirati di già si erano messi febbrilmente al lavoro. Una parte di essi abbattevano e trasportavano alberi aiutati da una dozzina d’indigeni dei dintorni, altri empivano i gabbioni di terra rizzando terrapieni di uno spessore non comune, e altri ancora piantavano palizzate fitte, empiendole di rottami, di macigni, di ferraccio. Si picchiava, si zappava, si abbatteva stimolati dalla Tigre e dal Portoghese che li incoraggiavano colla voce e coll’esempio.

I più abili artiglieri lavoravano dietro ai cannoni. Mettevano in batteria i più grossi riparandoli con lastroni di ferro e palizzate, preparavano le spingarde disarmando i prahos che ormai dovevano cadere sotto il fuoco del nemico, eccetto tre, i più rapidi e i più solidi, destinati per le coste occidentali onde proteggere la fuga se questa diventasse necessaria. Gli armaiuoli, e fra di essi se ne contavano dei più esperimentati, che avrebbero potuto dar dei punti a quelli indiani, si affaccendavano a schiodar cannoni che fortunatamente erano in numero ragguardevole.

L’intera giornata fu passata attorno alle trincee e ai terrapieni e alle batterie, dove la stessa Marianna si adoperò aiutata da Ladgia, una vera guerriera, a porre in batteria una piccola spingarda. Prima di sera il villaggio, se non era inespugnabile, presentava almeno degli ostacoli non facili a superarsi. Quei quaranta uomini avevano lavorato per cento.

Ventidue bocche da fuoco dei calibri di 18 e di 12 erano state messe in batteria sulla sinistra del villaggio, altre dieci della medesima portata, con parecchie spingarde, erano sulla destra, e tre grossi cannoni da 24 in un terrapieno isolato sul dinanzi del villaggio. Palizzate e trincee, fossati e terrapieni, si succedevano su ben quattro linee, presentando quattro difese, dietro le quali potevano ritirare i cannoni.

Appena che il sole si tuffò nelle onde, i tre prahos, bene armati, con un equipaggio di venti uomini fra i quali la metà indigeni presero silenziosamente il largo dirigendosi verso le coste meridionali per guadagnare di poi quelle occidentali.

Uno di essi, il più grande e il meglio armato, portava la maggior parte delle incalcolabili ricchezze di Sandokan, frutto di sei e più anni di saccheggi. La sua stiva riboccava addirittura di oro, di perle, di diamanti, in quantità tale da arricchire Pontianak, Varauni e Sarawak assieme. Qualche momento dopo Yanez, Ladgia, Giro Batoë e trenta dei più devoti e più coraggiosi pirati che avesse Mompracem, salivano la rupe ed entravano nella capanna per dare l’ultimo addio alla loro vita d’avventurieri, per dare l’ultimo addio alla loro esausta potenza, e al nome della Tigre che doveva fra poco morire per sempre.

La sala dell’abitazione era stata arredata col maggior lusso possibile. Scintillanti lumiere versavano torrenti di luce sugli arazzi tempestati d’oro e d’argento e sulle mobiglie incrostate di madreperla.

Nel mezzo era stata preparata una gran tavola che si curvava sotto il peso dei tondi d’argento finamente cesellati, delle ammirabili tazze ricolme di spumanti vini, delle bottiglie e degli enormi mazzi di fiori che si alzavano a gran piramidi spandendo all’intorno un profumo soave penetrante che inebriava, al quale si frammischiava il profumo delicatissimo della polvere di sandalo che ardeva sui vasi di bronzo.

Sandokan e Marianna di lì a un poco apparvero a braccio l’un l’altro, prendendo posto in mezzo alla banda.

Lui era vestito in velluto rosso, il suo colore favorito, il colore del sangue, col turbante verde sul capo sormontato da un gran pennacchio smaltato di perle, e i due kriss alla cintola dall’impugnatura d’oro massiccio. Aveva un’aria sì fiera, sì truce, sì maestosa che imponeva e che faceva insieme tremare.

Lei invece era abbagliante, bella, divina, più bella che mai, vestita in velluto nero sul quale rilucevano stelline d’oro, colle braccia nivee nude e coperte di braccialetti, i capelli biondi sparsi sulle semi-nude spalle in un pittoresco disordine e sul capo un gran diadema di diamanti che mandava baleni sotto i riflessi delle numerose lampade.

Pareva una regina, una divinità, più ancora un’apparizione soprannaturale avvolta in una nebbia luminosa, una apparizione che incuteva rispetto, che affascinava, che metteva i brividi, che faceva girar la testa a tutti, tanto era quella sera bella la Perla di Labuan.

I pirati, i più rozzi, i più sanguinari, i più vecchi incanutiti al fuoco di cento battaglie furono soggiogati. Un grido di stupore, d’ammirazione irruppe da tutti i petti, e nella mente d’ognuno balenò l’ardita idea di farne d’essa la loro padrona, la loro regina.

Il pranzo fu il più sontuoso che fosse mai stato dato a Mompracem. Sandokan in tutta la sua durata non aprì bocca, e rivolse tutte le sue attenzioni a Marianna, non più sanguinario pirata, ma fidanzato innamorato alla follia, e così pure le volsero tutti i pirati, che non staccavano un sol istante gli occhi fissi in quelli azzurri e scintillanti di lei. Gareggiavano per dimostrarle maggior affezione, e tutti rimuginavano nelle loro menti sempre l’idea di fare della Perla di Labuan la Perla e la regina di Mompracem.

Di già qualche parola era stata gettata furtivamente di convitato in convitato, e Sandokan stesso la udì. Pure non disse ancora verbo: solo la sua fronte s’oscurò, i suoi sguardi più volte perdettero la loro truce espressione per dar luogo a un lampo di gioia, a un lampo di speranza.

Alla fine del banchetto Sandokan si alzò. Pareva imbarazzato, evitava gli sguardi dei suoi tigrotti che lo fissavano in istrano modo, e la sua faccia si era fatta oscura, tetra, quasi feroce. S’indovinava che una terribil battaglia ferveva nella profondità del suo cuore.

– Amici – diss’egli alfine con una voce quasi cupa, disperata. – Amici, gli è una dolorosa missione quella che la fatalità tremenda che gravita su di noi, m’impose, ma ho giurato di compierla e ubbidisco ciecamente quantunque mi strazi il cuore e me lo faccia sanguinare tutto.

«Voi mi avete veduto lottare senza posa e senza pietà per compiere quella terribile vendetta che aveva giurato di intraprendere contro coloro che mi precipitarono dal trono nella polvere. Voi mi avete veduto pugnare qual tigre, per innalzare la nostra potenza e rendere forte e temuta Mompracem che noi adottammo per patria. Voi mi avete veduto condurvi per quasi dieci anni di vittoria in vittoria senza mai aver indietreggiato, senza mai aver esitato e, più di tutto, senza essere mai stato vinto.

Vanusepiirang:
12+
Ilmumiskuupäev Litres'is:
30 august 2016
Objętość:
580 lk 1 illustratsioon
Õiguste omanik:
Public Domain

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