La Trasformazione: Sull'Eterno Corpo Glorioso Spirituale E Sul Nulla Eterno Infernale

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La Trasformazione: Sull'Eterno Corpo Glorioso Spirituale E Sul Nulla Eterno Infernale
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Guido Pagliarino

La Trasformazione

Sull'eterno corpo glorioso spirituale e sul nulla eterno infernale

(secondo l’antropologia cristiana nei secoli I e II)

Saggio

Copyright © 2018 Guido Pagliarino

All rights reserved

Book published by Tektime

Guido Pagliarino

La Trasformazione

Sull'eterno corpo glorioso spirituale e sul nulla eterno infernale

(secondo l’antropologia cristiana nei secoli I e II)

Saggio

Libro ed E-book

Copyright © 2018 Guido Pagliarino

Distribuzione Tektime

Immagine di copertina: Hieronimus Bosch, olio su tavola, Visioni dell'aldilà: Ascesa all'Empireo, tra 1505 e 1515, Galleria dell’Accademia Palazzo Grimani, Venezia (particolare di tavola di polittico)

Indice

I - L’ETERNO CORPO

La trasformazione-resurrezione

Il corpo umano materiale psichico

Sui cristiani cattolici e sugli gnostici cristianeggianti (a volte impropriamente detti cristiani gnostici)

Cenni all’idea d’inferno vissuto derivante dalla platonizzazione del Cristianesimo

Il corpo umano e la sua trasformazione secondo san Paolo

II - OTTICHE ANTROPOLOGICHE CRISTIANE E CRISTIANEGGIANTI

III - RISURREZIONE DEL SOLO ANIMO UMANO SECONDO I PLATONICI E GLI GNOSTICI CRISTIANEGGIANTI

Dualismo greco e gnostico e semidualismo cristiano platonizzato: cenni

In particolare, la risurrezione del solo Animo di Cristo secondo la concezione degli gnostici doceti

In particolare, Origene, l’apocatastasi e l’inferno a termine

IV - RISURREZIONE DEL CORPO UMANO CON LA PROPRIA PSICHE

V - L’UOMO GESÙ DI NAZARETH È EBREO, NON È GRECO, DUNQUE DA EBREO RAGIONA, NON DA GRECO

La kenosi divina

L’ebreo Gesù

Gesù non greco

VI - PIÙ DIFFUSAMENTE SULL’ANIMA NEL CRISTIANESIMO A FAR CAPO DAL II SECOLO

VII - SUI NOVISSIMI

L’inferno ‘alla Dante’ e l’inferno secondo i primi cristiani

Il Dio del Cristianesimo e del Giudaismo non è dualista

A proposito del contestato Purgatorio

Purgatorio durante la vita sulla terra ? Purgatorio istantaneo ?

A proposito di Paradiso

Voltaire e la risurrezione del corpo

Qualcosa sull’inesistente limbo

In conclusione

APPENDICE 1 Abbreviazioni dei nomi dei libri biblici

APPENDICE 2 - I ventun concili ecumenici della Chiesa e tracce de i rispettivi argomenti trattati

I - L’ETERNO CORPO

La trasformazione-resurrezione

Nel suo “Dizionario filosofico” Voltaire deride l’idea di risurrezione del corpo umano, concetto che per i cristiani è verità rivelata. Lo scrittore e filosofo fa presente che uomini e animali possono in realtà essere nutriti dalla sostanza di predecessori, perché il corpo d’un essere umano sepolto e putrefatto nella terra ovvero le ceneri del suo cadavere bruciato cadute sulla stessa si trasformano in frumento o altri vegetali che sono mangiati da altri uomini; così, soggiunge sarcastico, Caino mangiò una parte di Adamo, Henoc di Caino, Irad di Henoc, Mehuïael di Irad e Matusalemme di Mehuiael e, in breve, non c'è nessuno che non abbia mangiato una piccola porzione del primo progenitore, per cui tutti gli esseri umani sono antropofagi. La cosa, continua il filosofo, è più che evidente dopo una battaglia in cui ammazziamo nostri fratelli: in capo a due o tre anni, li abbiamo mangiati nelle messi raccolte sul campo della stessa battaglia; anche noi, sentenzia, saremo mangiati un giorno. Ritenendo d’aver distrutto l’idea farisaica-cristiana di resurrezione degli esseri umani, egli osserva: quando si dovrà risuscitare, come sarà possibile che ognuno abbia il corpo che gli apparteneva, senza perderne almeno una parte? Cita poi lo scienziato e filosofo cartesiano padre Nicolas Malebranche il quale, secondo Voltaire, prova la verità della resurrezione con l'esempio dei bruchi che diventano farfalle; ma tale prova, commenta, è altrettanto fragile delle ali degli insetti che il religioso cita.

In realtà quella del Malebranche non vuol essere una prova ma è una mera similitudine; il cristiano che conosca il Nuovo testamento e, in questo, le Lettere di san Paolo, con l’espressione risurrezione del corpo non intende una seconda vivificazione delle nostre molecole; infatti nella prima Lettera ai Corinzi Paolo dice che, a imitazione di quello di Gesú risorto, il nostro corpo risorgerà in altra forma: in forma gloriosa spirituale; più esattamente l’apostolo dei gentili scrive che il nostro mortale corpo animale nonché psichico, perché dotato di ragione-io, si trasformerà in eterno corpo glorioso e pneumatico. Lo dice dopo aver premesso un’allegoria, che si semina un chicco e sorge una spiga, la quale è in un certo senso quel seme ma non è più, in senso stretto, il seme che è marcito: nessuno di quelli della spiga è il chicco seminato ma, in nuova forma gloriosa, quella spiga intera è il seme marcito. La chimica e la fisica non c’entrano, non ha nessuna importanza che la materia del corpo d’un sepolto finisca in quella d’una pianta e che esseri umani mangino i suoi frutti e assumano quella materia, per il Cristianesimo ciò che risuscita è la persona in forma sublime, gloriosa spirituale, appunto: Gesú, per chi crede ai Vangeli, nel presentarsi risorto agli apostoli entra in un luogo chiuso senza passare per la porta, ciò che sarebbe inconciliabile col principio dell’impenetrabilità dei corpi se il trascendente Risorto fosse fatto di immanente materia.

Torneremo sull’argomento della trasformazione secondo san Paolo. Intanto, avendo stabilito tale concetto e sgombrato l’equivoco che con risurrezione s’intenda nel Cristianesimo un corpo di carne e sangue che rivive tal quale, vediamo come il Nuovo testamento, che per i credenti è Parola di Dio, presenta il corpo umano vivente su questa terra.

Il corpo umano materiale psichico

Che su questa terra una persona, oltre al proprio corpo dotato di io o anima – psyché –, abbia un individuale animo, o spirito o pneuma – pneyma – creato sostanzialmente immortale non è stato provato né da metafisiche e religioni orientali né, in occidente, dai pitagorici, da Platone e dai platonici e neppure è stato dimostrato dal Padre della Chiesa sant’Agostino (354-430) il quale, influenzato dalla lettura delle Enneadi del neoplatonico Plotino, su di una tradizione spiritualista ormai stabile nella teologia dei suoi tempi, semplicemente, assunse che l’anima umana è pneumatica e immortale, divenendo coi suoi scritti il tramite più importante nella Chiesa fra le idee platoniche e il Cristianesimo. Che ogni essere umano abbia un pensiero personale, una personalità, non può essere sufficiente perché si possa parlare senz’altro di suo pneuma particolare. È sperimentale il fatto che siamo corpi umani con una psiche la quale muta e s’accresce con l’esperienza – la cultura – grazie alle sinapsi del cervello che consentono alle cellule nervose del cerebro stesso, i neuroni, d’interagire con l’ambiente. È in altri termini sperimentale che abbiamo un corpo materiale-animale psichico, proprio come afferma, nella neotestamentaria prima lettera ai Corinzi, l’ebreo convertito a Cristo Saulo-Paolo: siamo in uno dei primissimi anni 50 del I secolo e la Chiesa è solo alle origini e dalla predicazione orale apostolica stanno cominciando a nascere i libri del Nuovo testamento; siamo a molti secoli prima della nascita dello spiritualista Agostino d’Ippona. Non si può intendere San Paolo se lo si consideri uno spiritualista, egli non è platonico, non parla affatto di pneuma personale dell’essere umano su questa terra; e anche per gli altri ebrei ogni uomo è solo il proprio corpo, che ha sì anima, ma nel senso di psiche, di io, cioè è un corpo umano pensante, mentre spirito o pneuma – ruach, a volte traslitterato come ruàh – è solo Jahvè il Creatore. Peraltro l’uomo è diversificato dagli altri viventi dal fatto d’essere creato a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26): importano meno di tale espressione gli altri vocaboli e concetti dell’antropologia religiosa ebraica, vale a dire che ogni uomo è unione inseparabile di nefesh, vita o vitalità, (psyché nelle traduzioni in greco, psiche o anima in italiano) e di bashar (sarx nelle traduzioni in greco, da non confondere, come vedremo, con soma che nelle lettere di san Paolo è il corpo della persona in grazia di Dio): bashar è la carne viva dell’uomo, cioè il suo corpo materiale-animale.

 

Nell’Antico testamento troviamo questi concetti e le parole che li descrivono nei testi della Torah (Pentateuco per i cristiani), scritti fra il VII e il IV secolo a.C. e, più precisamente, fra il V e il IV i libri Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, mentre il Deuteronomio, parola che dignifica Seconda Legge, è forse situabile nel VII secolo in una prima stesura perduta detta “libro dell’Alleanza”, ne parla il successivo libro 2 Re (22, 3-20), e sicuramente è scritto nel V secolo il testo giunto a noi. Troppo lungo sarebbe parlare qui della formazione e della datazione dei libri veterotestamentari, ma volendo approfondire si può vedere il saggio divulgativo di Guido Pagliarino “Il Vento dell'Amore”, Tektime Editore, 2018.

La nefesh o anima non è dunque per la Bibbia qualcosa di separabile dal corpo e capace di sopravvivere senza di esso.

Un po’ come nella Grecia del IV secolo avanti Cristo è per Aristotele (384-322 a.C.) anche se c’è chi, richiamandosi alla Metafisica aristotelica, libro XII, 3, 1070, ritiene che questo filosofo non escluda la sopravvivenza dello spirito intellettivo individuale, e lo vedremo un po’ meglio qualche rigo oltre. Intanto si consideri che per lo Stagirita l’Essere non è il Dio-Amore incarnato e umanissimo dei cristiani e nemmeno è l’ebraico Jahvè, sollecito e paterno verso il suo popolo eletto anche se, come tutti i padri dell’antichità, può punire assai severamente; il Dio aristotelico pensa solo a ciò che è perfetto, cioè pensa solo sé stesso, dunque ignora il mondo anche se questo, dopotutto, muove perché c’è lui; dunque, il Dio d’Aristotele non considera gli uomini e men che mai li ama, mentre sono essi a doverlo amare proprio perché è perfetto, e difatti l’anima umana è attratta dall’Essere senza ch’egli si muova verso di essa. Però la stessa anima tende all’Essere solo durante la propria vita terrena perché, come s’è detto, non sopravvive al proprio corpo. Com’è noto, l’anima è contemplata in modo specifico da Aristotele nei tre libri del trattato intitolato appunto Dell’Anima; il filosofo si chiede se corpo e anima siano tra loro separabili e se la seconda abbia la potenzialità di passare, reincarnandosi, da corpo a corpo come pensavano Platone e prima di lui i Pitagorici, oppure se, finendo il corpo d’esistere, cessi anche la sua anima. Per Aristotele quelle che chiama affezioni o attività dell’anima non possono esserci senza il relativo corpo, ad esempio l’ira, che per la scienza del suo tempo deriva dal bollire del sangue, non può esserci senza il medesimo plasma, e il corpo dev’essere fornito di strumenti di senso per poterli esercitare sulla realtà, cioè dev’essere dotato di organi affinché possa esserci un’anima che intende la realtà: senza gli orecchi, ad esempio, l’anima non sente, e però per lo Stagirita noi sentiamo non perché abbiamo gli orecchi, ché se questi per ipotesi fossero staccati dal corpo non udiremmo, ad esempio il cadavere fresco ha ancora orecchi non decomposti ma non sente più, bensì perché attraverso gli orecchi è l’anima che ode (la moderna fisiologia sa bene che non è l’apparato uditivo in sé che sente e che esso è solo strumento, però la stessa fisiologia afferma che l’apparato uditivo è strumento del cervello e non dell’anima). Insomma, per Aristotele l’uomo vive in quanto ha corpo e anima, perché egli è il loro insieme, sinolo, e dunque, in opposizione a Platone, in Dell’Anima Aristotele giunge a negare la sopravvivenza della stessa anima umana. Si diceva poco sopra che questo filosofo può anche dare l’impressione d’avere una sia pur debole speranza di vita eterna. Parrebbe preferibile l’idea opposta, anche se questo non appare in Dell’Anima ma nella Metafisica: Aristotele scrive nel XII libro della stessa: ‘Se, poi, rimanga qualcosa anche dopo, è problema che resta da esaminare. Per alcuni esseri nulla lo vieta: per esempio, per l’anima: non tutta l’anima, ma solo l’anima intellettiva; tutta sarebbe impossibile’ (Metafisica, libro XII, 3, 1070, traduzione di Giovanni Reale, Milano, 1978). Ebbene (cfr. Guido Pagliarino, È Uomo, Pozzuoli (Na), 2007): “Si deve però notare ch’egli aggiunge, il che non sempre è notato e citato da coloro che sostengono che Aristotele credesse all’immortalità dell’anima: ‘Comunque, è chiaro che non occorre affatto, per questo, ammettere l’esistenza delle Idee: l’uomo genera l’uomo e l’individuo un altro individuo’ (ibid). Dunque, se l’anima intera non è separabile dal corpo, tuttavia la sua parte più alta potrebbe esserlo? Intanto, dev’essere chiaro che, comunque, per lo Stagirita l’intelletto individuale, che nel caso sarebbe più pneumatico che psichico, perderebbe la personalità nel raggiungere il culmine in Dio, a differenza che per il reincarnazionista Platone; sappiamo che lo spirito per Platone riguardava il mondo superno delle idee: dunque, Aristotele ripiegherebbe, in proposito, sulle idee del proprio maestro: se credesse alla sopravvivenza; ma non mi pare evitabile l’impressione ch’egli l’ammetta solo per estremo scrupolo, infatti non manca di ricordare che l’uomo genera l’uomo e che per questo non c’è bisogno delle idee e, con ciò, ho la sensazione ch’egli sottintenda, ancora una volta, che per lui solo la specie è eterna. Ricordiamoci poi che gli scritti aristotelici giunti a noi non costituiscono una trattazione sistematica destinata al pubblico; e due altre cose vanno tenute presenti, cioè che nei suoi primi anni Aristotele è ancora legato a Platone e che gli scritti che conosciamo saranno ordinati e pubblicati molto tempo dopo la sua morte, e non secondo l’ordine temporale della loro stesura, onde non si può escludere, mi pare, che l’ammissione inserita nella Metafisica che l’anima individuale potrebbe sopravvivere sia dell’epoca, per così dire, platonica, espressa cioè prima dei tre libri del De Anima in nessuno dei quali, invece, tale ammissione appare.”

Presso gli antichi ebrei tutti gli esseri viventi non solo hanno ma sono la vita, la nefesh circola nel sangue tanto degli umani che degli animali ed è per questo che il sangue non può essere mangiato: nel Deuteronomio è scritto: “[…] tuttavia astieniti dal mangiare il sangue, perché il sangue è la vita” – in lingua ebraica invece di vita si legge nefesh – “tu non devi mangiare la vita insieme con la carne” (Dt 12, 23). Peraltro non sono caratteristici del solo Giudaismo1 i concetti espressi dalle parole nefesh e bashar e nemmeno lo è la ruach ovvero il vento o spirito divino soffiato nella persona affinché viva, si tratta di concetti comuni ad altre religioni e filosofie coeve. Per quei giudei che credono alla risurrezione, in ambiente farisaico e non presso i sadducei che pensano che tutto finisca con la morte, l’essere umano giusto2 risuscita in un mondo nuovo, è corporeo e il suo corpo, senza difetto alcuno, ha la propria psiche come nella prima vita – i farisei non suppongono una trasformazione del corpo materiale in spirituale, come si legge invece nella lettera neotestamentaria 1 Corinzi di san Paolo –; nelle accademie rabbiniche si discute sulla precisa età che dimostrerà il corpo una volta risorto, tutti comunque lo suppongono giovane e bello; la risurrezione avverrà solo alla fine dei tempi; la persona vivrà in altra terra e sotto nuovi cieli, dove sarà perfettamente giusta: si potrebbe parlare d’un altro paradiso terrestre; in attesa di risorgere, secondo i farisei il defunto rimane interamente morto ovvero, con un eufemismo ch’entra pure nel Cristianesimo, dorme: è lo sheòl, il luogo ebraico dei morti; i giusti stanno nella parte alta dello sheòl, nel seno di Abramo, dove sono in attesa di risorgere dietro al patriarca capostipite, i reprobi stanno in fondo, senza speranza di risurrezione; ovviamente i rabbini e gli altri spiriti colti del Giudaismo sanno che si tratta di un midrash, cioè d’un’allegoria cui è sottesa la sostanza d’una verità teologica, un’allegoria che simboleggia semplicemente la morte dalla quale i giusti risorgono alla fine dei tempi e gli altri no.

Tale raffigurazione dello sheòl si ritrova pure nella parabola evangelica del ricco egoista e del povero Lazzaro (Lc 16, 19-31), Lazzaro peraltro che non dev’essere confuso con l’omonimo amico di Gesù, morto e da lui risuscitato, che troviamo nel vangelo secondo Giovanni (Gv 11, 1-44).

L’ebreo e fariseo san Paolo la vede similmente agli altri farisei, ma con una variante; infatti, se è vero ch’egli pure, nella sua epistola di teologia antropologica 1 Corinzi, dice che l’uomo in terra è un corpo materiale-animale psichico – chiama corpo la persona completa perché anche per lui il corpo comprende la psiche e, quindi, coincide con l’intero individuo umano – e se è vero che crede come gli altri farisei alla vita eterna dei giusti, per lui nell’attimo dell’assunzione a Dio la persona salvata, cioè giustificata da Cristo, si trasforma da animale psichica in spirituale gloriosa. Peraltro, se è pur vero che per il Cristianesimo del I secolo e di buona parte del II un essere umano è su questa terra interamente materiale e, dunque, è il suo stesso corpo, sulla base dell’esperienza, a formarne ed esprimerne il pensiero – noi diciamo grazie al cervello, gli antichi dicevano grazie al cuore –, la stessa persona può ragionare a livello elevatissimo fin a poter pensare a Dio, diversamente dagli animali che hanno ricevuto solo un soffio vitale e, i più evoluti, una capacità mentale ridotta in funzione della mera sussistenza; il Creatore resta personalmente presente nell’essere umano, cioè ogni persona ha in sé anche l’indivisibile spirito divino o, in altri termini ancora, in ciascun uomo e in ciascuna donna ci sono corpo, anima e spirito; ma mentre il corpo e l’anima sono personali, lo spirito è l’animo stesso di Dio, vivificante la persona e illuminante la sua mente, tant’è vero che per la teologia cristiana Gesù – il Figlio uomo e Dio – s’è incarnato per salvare la stirpe adamitica in corpo e anima, non anche in ispirito: ovvio, ché l’animo dell’essere umano non aveva bisogno d’essere salvato visto che non è suo personale ma si tratta di Dio stesso.

Sui cristiani cattolici e sugli gnostici cristianeggianti (a volte impropriamente detti cristiani gnostici)

Nei secoli II e III3 , diversamente dai cattolici, vale a dire dai cristiani dell’unica Chiesa – lo scisma ortodosso è di là da venire –, i cristiani gnostici,, ma sarebbe forse meglio dire gli gnostici cristianeggianti considerando la loro ottica sostanzialmente diversa da quella cristiana, nonostante figure formalmente comuni come, anzitutto, quella di Gesù, sono divisi in varie piccole sette, anche se con idee basilari tra loro comuni. Hanno invece un concetto antropologico diverso da quello cristiano, intendono cioè il proprio spirito non come presenza indivisa in tutti gli esseri umani del pneuma vivente e animante di Dio, ma come pneuma personale, anche se lo considerano quale scintilla cascata in terra dal pleroma divino e sventuratamente incarnatasi.

 

La parola pleroma, o pleroma paradisiaco, che generalmente significa pienezza e fa riferimento alla globalità dei poteri divini, la totalità di tutto ciò che è effuso benignamente da Dio, è usata non solo dagli gnostici ma anche in ambienti teologici cristiani. Si potrebbe forse dire l’àmbito di Dio. Comunemente nella Chiesa si parla di Paradiso.

Secondo gli stessi gnostici, come già per Platone, la materia è male e non l’ha creata l’Essere perfetto ma è sempiterna e, a un certo punto, l’ha modellata, facendola divenire il mondo, un incosciente celeste chiamato il Demiurgo, cioè l’Artefice o l’Artigiano: com’è noto, si tratta di figura immaginata da Platone per far quadrare la sua visione delle idee superne perfette e del mondo immanente imperfetto, un sorta di dio minore in preda alla mania di potenza, ma assai poco capace quale artigiano cosmico; se non fossero stati imprigionati nei corpi materiali da quel maldestro spocchioso del dio Demiurgo, gli spiriti umani sarebbero rimasti – preesistenza dei medesimi – felici4 . Inoltre per gli gnostici, antifemministi ante litteram, le donne non hanno lo spirito o, come in genere si dice imprecisamente, “non hanno l’anima”, e non si salvano, ché per gli gnostici corpo e anima (anima è qui nel senso classico di psiche, non di pneuma) periscono, sopravvive solo lo spirito di certuni, cioè di loro stessi, gli spirituali, in grado d’acquisire appieno la conoscenza nonché rigorosamente maschi, mentre non si salvano gli esseri umani materiali, ossia gli altri uomini di sesso maschile, e tutte le donne. Secondo però la fazione degli gnostici valentiniani, una parte degli altri maschi, detti gli psichici, può avere una salvezza di secondo livello, non nel pleroma ma ai suoi margini, grazie all’anima-psiche particolarmente intelligente che consente d’acquisire grossolanamente la conoscenza.. Risulta inoltre addirittura un’eccezione per le donne, anche se sicuramente non di cifra femminista: nel vangelo gnostico dello pseudo Tommaso, seconda metà del II secolo, e nel coevo vangelo gnostico della pseudo Maria (Maria di Magdala, non la Madonna), la Maddalena, con sbalordimento del Pietro gnostico che quasi se ne dispiace, viene resa degna di vita eterna dal parimenti gnostico Cristo, ma non in quanto donna bensì perché egli ha trasformato in maschile, e dunque (sic) intelligente, l’anima di Maria Maddalena, consentendole così di raggiungere un livello di gnosi sufficiente alla salvezza

Sempre a proposito di salvezza eterna delle donne, può essere interessante osservare per inciso che gira da secoli la bufala, apparsa ai tempi della Rivoluzione francese su gazzette5 e oggi massicciamente diffusa nel mondo grazie al web, che la Chiesa avrebbe indetto un concilio ecumenico per discutere se le donne avessero o no l’anima (nel senso di pneuma). Mai ci fu un concilio della Chiesa relativamente all’animo delle donne, e grazie a internet si possono verificare rapidamente e rigorosamente sul sito del Vaticano, l’elenco e gli oggetti dei concili ecumenici (si può vedere tale elenco anche, più succintamente, al termine di questo saggio nell’Appendice 1). È ben noto che le donne venivano battezzate fin dall’inizio del Cristianesimo proprio per la salvezza della loro anima e che alcune di esse erano venerate come martiri cristiane già nei primi secoli della Chiesa; e, prima di tutto, la Madonna era considerata beata almeno dall’anno 80 del I secolo, in cui era stato scritto, al più tardi, il vangelo di Luca, nel quale si riporta un inno cristiano coevo, che sarà poi noto come il Magnificat, in cui, sulle labbra stesse della Madonna, è posta l’affermazione gioiosa “tutte le generazioni mi chiameranno beata”: si sarebbe forse considerata beata una persona destinata all’annichilimento?6

Per gli gnostici conta la conoscenza mentre per i cristiani è essenziale – o dovrebbe esserlo – l’amore.

A parte gli aristotelici, per cui l’anima è mortale col suo corpo, e a parte gli epicurei, che sono materialisti ed escludono ogni principio spirituale, per i pensatori greci antichi – e, come s’è appena ricordato, per gli gnostici – l’essere umano ha non solo corpo e anima ma pure pneuma personale e quest’ultimo è la sola componente umana assolutamente vitale, per essi l’uomo sopravvive esclusivamente in essenza, cioè il suo corpo con la sua psiche-anima non risorge e solo lo spirito si salva. Quando i colti greci e latini sostenitori della sopravvivenza del solo spirito si convertono al Cristianesimo ammettono, dato che lo dice il Testamento, che alla fine dei tempi risorgerà anche il corpo e non solo l’anima ch’essi intendono in senso non solo psichico ma spirituale. Poiché i credenti gentili acquistano l’assoluta supremazia su quelli ebrei dalla seconda metà del II secolo, il Giudeo-Cristianesimo si muta in Cristianesimo ellenizzato, o per meglio dire platonizzato. A questo punto si pensa nella Chiesa che l’uomo non è solo un corpo animale raziocinante che, grazie a Cristo che lo giustifica, risorge trasformato gloriosamente in spirituale, ma che già sulla terra la persona ha il suo spirito individuale oltre al corpo: da allora per l’antropologia cristiana l’essere umano ha corpo personale, ha individuale anima-spirito e non più semplice anima-psiche e, inoltre, ha in sé il vivificante pneuma divino indiviso e presente in tutti gli uomini. Le conseguenze non sono da poco.

Cenni all’idea d’inferno vissuto derivante dalla platonizzazione del Cristianesimo

Da un lato la nuova concezione favorisce la conversione al Cristianesimo dei colti greco-romani i quali giungono a intendere il pensiero cristiano come il compimento della filosofia greca; alcuni di loro, addirittura, divengono apologisti cristiani e altri, più tardi, padri della Chiesa; d’altro lato, una volta che il pensiero cristiano si è generalmente platonizzato, cambia il concetto di perdizione del peccatore impenitente: prima, la persona dannata era vista come colui o colei che, meramente, muore per sempre perché non si trasforma in persona spirituale e perciò non è assumibile allo Spirito di Dio, ossia l’eternità infernale era il non vivere mai più, era il fallimento totale della propria esistenza; dopo la platonizzazione, l’inferno diventa atrocemente vissuto, infatti se l’anima umana è spirituale in sé fin dal concepimento della persona, essa è, logicamente, anche immortale e, allora, l’inferno in cui il dannato precipita dev’essere sempiternamente da lui vissuto; quanto al corpo, ormai si pensa che Dio lo farà risorgere alla fine del mondo affinché soffra pur esso per sempre assieme all’anima.

Solo nel XX secolo, finalmente, durante e dopo il concilio ecumenico Vaticano II, nascono dibattiti sullo scandaloso inferno vissuto. Il Cristianesimo delle origini, restato nella semioscurità per tanto tempo, inizia di nuovo a mostrasi, dopo che teologi si sono accorti che certe lagnanze e miscredenze forse si sederebbero se si tornasse al pensiero della Chiesa dei primi due secoli.

Il corpo umano e la sua trasformazione secondo san Paolo

Vediamo meglio cosa vuol significare san Paolo, nelle sue Lettere neotestamentarie, laddove, nella loro versione italiana, leggiamo corpo, anima, spirito.

L’apostolo delle genti usa i termini greci sarx e soma per indicare il corpo. Col primo vocabolo, traducibile anche come carne umana, intende l’intera persona quando non è in grazia di Dio e, essendo peccatrice mortale, è rivolta alla morte invece che alla Vita in Dio, a meno ch’ella si converta. Con soma san Paolo dice dell’essere umano quando la sua fede, la pistis, nel battesimo ha incontrato la Charis, la Grazia, e dunque l’uomo, ripieno del Pneuma divino, ha la strada aperta per l’assunzione alla Vita: in senso stretto, solo Gesù risorge, perché egli è divino oltre che umano, i salvati sono assunti a Dio grazie a Cristo.

Tanto che la persona sia in grazia quanto che non lo sia, san Paolo considera psichico il corpo umano, in quanto è un corpo che ragiona e ha libertà di scelta: ognuno è una persona completa in corpo e anima-psiche; leggendo corpo dobbiamo comprendere anche la relativa psiche, cioè dobbiamo intendere che si tratta della persona completa: parlare di risurrezione del corpo è come parlare di risurrezione della persona.

Quando nelle versioni in italiano delle lettere paoline troviamo anima o spirito, dobbiamo far attenzione al contesto7 . Nell’originale certe volte, anche a proposito dell’essere umano, san Paolo usa pneyma, ma per indicare la situazione dell’essere umano sulla terra in Grazia, non additando cioè una sua anima personale spirituale, ma significando che lo Spirito, che è come dire l’Amore assoluto e l’assistenza spirituale del Paraclito (Avvocato, Protettore) cioè del medesimo Spirito santo, agiscono in lui. Altre volte san Paolo usa la parola psyché: come s’è detto, egli non si riferisce a un’essenza eterea ma alla concreta individuale ragione-psiche che ogni essere umano (malati psichici integrali a parte ovviamente) possiede e che è concepita dal corpo, che Dio ha creato capace, a differenza del corpo animale, di ragionare sofisticatamente ad alto livello e di sentirsi individuo elevato sulle altre specie e ulteriormente elevabile credendo in Dio e nella propria assunzione a lui nell’eterno.

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