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CAPITOLO TRE

10:23

Perpendicular Trail, Southwest Harbor, parco nazionale di Acadia, Maine

“Come te la cavi, mostriciattolo?”

“Bene, papà.”

Luke Stone e suo figlio Gunner salivano lenti i ripidi gradini irregolari del sentiero. Era una mattinata umida, calda e che sarebbe diventata ancora più calda, e Luke era consapevole che Gunner aveva solo dieci anni. Affrontavano la montagna lentamente, e Luke si assicurava di fermarsi per pause frequenti e per bere.

Continuavano a salire attraverso l’enorme campo morenico. Le rocce massicce erano disposte in modo intricato per creare una scalinata tortuosa, quasi bizantina, come se un dio norreno dei fulmini fosse sceso dai cieli per intagliarle con le sue gigantesche mani. Luke sapeva che le rocce erano state piazzate lì da giovani disoccupati strappati alle città della East Coast dal Civilian Conservation Corps un’ottantina di anni prima, nelle profondità della grande depressione.

Ancora un po’ più su arrivarono su dei pioli di ferro imbullonati alla roccia. Salirono la scala, poi percorsero un tracciato a tornanti intagliato nel masso. Ben presto il sentiero tornò piano ed entrarono in una fitta foresta, prima di un’arrampicata finale fino al panorama della sommità. Uscirono dalla salita sulle rocce.

Proprio davanti a loro c’era un burrone scosceso, probabilmente profondo cinquanta piani, che si tuffava su un gran precipizio che arrivava al grande lago dove avevano parcheggiato. Più oltre il posto offriva una maestosa vista dell’oceano Atlantico, a forse cinque miglia di distanza.

“Che ne dici, mostriciattolo?”

Gunner era sudato per il caldo della giornata. Sedette su una roccia, si sfilò lo zaino e ne prese una bottiglia d’acqua. La sua t-shirt nera di Zombi era zuppa di sudore. Aveva i capelli biondi arruffati. Prese un sorso dalla bottiglia e la porse a Luke. Era un ragazzino sicuro di sé.

“È meravigliosa, papà. Mi piace davvero.”

“Voglio darti una cosa,” disse Luke. “Avevo deciso di aspettare finché non saremmo arrivati in cima alla montagna. Non so perché. Ho solo pensato che sarebbe stato un bel posto, questo.”

Gunner sembrava solo leggermente allarmato. Gli piaceva ricevere regali, ma, in termini generali, preferiva quelli che aveva chiesto lui.

Luke prese il dispositivo dalla tasca. Era solo un pezzettino di plastica nera, grande circa quanto una chiave elettronica. Non era granché a vedersi. Avrebbe potuto essere il telecomando di un garage automatico.

“Che cos’è?” disse Gunner.

“È un’unità GPS. Vuol dire Global Positioning System.” Luke indicò il cielo. “Lassù, nello spazio, ci sono tutti quei satelliti…”

Gunner fece un mezzo sorriso. Scosse la testa. “Lo so cos’è un GPS, papà. La mamma ne ha uno nella macchina. È un bene, anche. Si perderebbe dietro l’angolo, senza. Perché me ne dai uno?”

“Vedi questo fermaglio che ha sul retro? Voglio che te lo assicuri allo zaino e che lo porti con te ovunque vai. Ho un’app sul cellulare programmata per tracciare questa unità. In questo modo, anche quando siamo lontani, saprò sempre dove sei.”

“Sei preoccupato per me?”

Luke scosse la testa. “No. Non sono preoccupato. Lo so che sai gestirti da solo. È solo che non ci vediamo molto ultimamente, e se basta guardare il telefono per vedere dove sei è quasi come essere lì con te.”

“Ma io non posso vedere dove sei tu,” disse Gunner. “Allora come faccio a sentirti vicino?”

Luke ficcò la mano in tasca e prese un’altra unità GPS, questa azzurro acceso. “Vedi questo? Lo metterò nel portachiavi. Quando torniamo all’hotel caricherò l’app nel tuo telefono, e poi potrai sempre sapere dove sono.”

Gunner sorrise. “Mi piace l’idea, papà. Ma lo sai che possiamo sempre mandarci dei messaggi. Tu li mandi i messaggi? So che molte persone della tua età non lo fanno.”

Adesso Luke sorrise. “Sì. Possiamo mandarci messaggi. Possiamo fare tutte e due le cose.”

Per Luke era una sensazione dolceamara stare con Gunner lassù. Luke era cresciuto senza un padre, e adesso Gunner stava facendo più o meno lo stesso. Il divorzio da Becca non era finalizzato, ma lo sarebbe stato. Luke non lavorava per il governo da due mesi, ma Becca era stata irremovibile: sarebbe andata fino in fondo lo stesso.

Nel frattempo Luke stava con Gunner due weekend al mese. Faceva tutto ciò che era in suo potere per assicurarsi che quei weekend fossero pieni zeppi di divertimento e avventura. Faceva anche tutto quello che poteva per rispondere alle domande di Gunner in modo imparziale però ottimistico. Domande come questa:

“Pensi che potremo fare una cosa così con la mamma un giorno?”

Luke fissò il mare. Domande come questa gli facevano venire voglia di buttarsi giù dalla scogliera. “Spero di sì.”

Gunner si tirò su al minimo accenno di possibilità. “Quando?”

“Be’, devi capire che io e tua madre siamo un po’ in disaccordo al momento.”

“Non capisco,” disse Gunner. “Vi amate, no? E tu hai promesso di lasciare il lavoro, no? L’hai lasciato davvero?”

Luke annuì. “L’ho lasciato davvero.”

“Vedi, la mamma non ci crede.”

“Lo so.”

“Però se riesci a farglielo credere, allora…”

Luke aveva lasciato, vero. L’aveva lasciato ed era uscito completamente dai radar. Susan Hopkins aveva promesso di lasciarlo in pace, e aveva onorato la promessa. Lui non si faceva neanche sentire col suo vecchio gruppo dello Special Response Team.

La verità era che si stava godendo il tempo lontano dal lavoro. Era tornato all’essenziale. Aveva affittato un capanno sui monti Adirondack per due settimane e aveva trascorso quasi tutto il tempo cacciando selvaggina con l’arco e pescando. Si lavava tuffandosi dal molo che si trovava sul retro del capanno ogni mattina. Si era fatto crescere la barba.

Dopo aveva trascorso dieci giorni ai Caraibi a navigare a vela in solitaria per St. Vincent e Grenadine, fare snorkeling con le tartarughe marine, pastinache giganti e squali grigi, e immersioni in un paio di relitti di più di cent’anni.

Al termine di ogni giretto, si concedeva una giornata di ritorno a Washington, DC, e andava a prendere Gunner per la prossima avventura padre e figlio. Luke doveva ammettere che la pensione non gli dispiaceva. A un anno da lì, quando avrebbe finito i soldi, non sarebbe stato tutto così gradevole, ma per il momento non riusciva a pensare a niente di brutto da dire in proposito.

“Tu e la mamma vi siete separati per sempre?”

Luke rivelò un sottile tremolio nella voce di Gunner quando pose la domanda. Aveva capito, aveva capito sul serio. Gunner aveva paura. Luke si sedette sulle rocce con lui.

“Gunner, voglio tantissimo bene sia a te che alla mamma. La situazione è complicata, e la risolveremo meglio che possiamo.”

Non era necessariamente vero. Becca era fredda con Luke. Voleva divorziare. Voleva l’affidamento esclusivo di Gunner. Pensava che Luke fosse un pericolo per Gunner e per lei. Aveva praticamente minacciato di farsi dare un ordine restrittivo contro di lui. Si stava comportando in modo irragionevole, e veniva da una famiglia molto facoltosa. Poteva pagare per una lunga e amara battaglia legale per l’affidamento, se necessario.

“Vuoi stare con lei?”

“Sì. Certo che sì.” Era la prima bugia che Luke aveva detto a Gunner in quella conversazione. La verità era troppo dura da determinare. All’inizio sì. Però, a mano a mano che il tempo passava, e la posizione di Becca si induriva, ne era diventato meno sicuro.

“Allora perché non vieni a casa a dirglielo? Perché non le mandi delle rose o qualcosa del genere tutti i giorni?”

Era una buona domanda. Che non aveva una risposta semplice.

Nello zaino di Luke cominciò a squillare un telefono. Probabilmente era Becca, che voleva parlare con Gunner. Luke prese il telefonino satellitare che teneva sempre con sé. Era l’unico gesto per rimanere connesso che avesse fatto. Becca poteva sempre raggiungerlo. Ma non c’era solo lei. C’era un’altra persona sulla Terra che aveva accesso a quel numero.

Guardò chi stava chiamando. Era un numero che non riconobbe, prefisso 202. Washington, DC.

Gli crollò il cuore.

Era lei. L’altra persona.

“È la mamma?” disse Gunner.

“No.”

“È la presidente?”

Luke annuì. “Credo di sì.”

“Non pensi che sia meglio rispondere?” disse Gunner.

“Non lavoro più per lei,” disse Luke. “Te lo ricordi?”

Quella mattina, prima di partire per l’arrampicata, avevano guardato al notiziario il filmato del collasso della diga della Carolina del Nord. Più di cento decessi confermati, centinaia di dispersi. Un intero resort di montagna era stato distrutto da un muro d’acqua. Paesi a valle erano stati evacuati e protetti con sacchi di sabbia il più velocemente possibile, ma era probabile che ci fossero altre vittime.

La cosa incredibile era che una diga costruita nel 1943 si fosse semplicemente guastata dopo più di settant’anni di operatività quasi perfetta. A Luke puzzava di sabotaggio. Ma non riusciva a immaginare chi avrebbe voluto mirare a una diga in una zona così remota. Chi avrebbe anche solo saputo che c’era? Se di sabotaggio si trattava, probabilmente era una faccenda locale, un gruppo di milizie, o magari di ambientalisti, o magari addirittura un ex dipendente seccato che si era inventato uno scherzetto pericoloso e idiota che era andato malissimo, e con conseguenze tragiche. La polizia di stato del Bureau of Investigation della Carolina del Nord avrebbe probabilmente messo i cattivi sotto custodia entro la fine della giornata.

 

Però adesso il telefono suonava. Perciò magari c’era dell’altro.

“Papà, va tutto bene. Non voglio che lasci il lavoro, nemmeno se lo vuole la mamma.”

“Davvero? E se lo volessi lasciare io? Io non ho diritto di parola in merito?”

Gunner scosse la testa. “Non credo. Cioè, sono morte molte persone in quell’inondazione, no? E se io fossi stato tra di loro? E se io e la mamma fossimo morti tutti e due? Non vorresti che qualcuno capisse perché è successo?”

Il telefono continuava a squillare. Quando partì la segreteria, smise di squillare per pochi secondi, fece una pausa, e poi ricominciò. Volevano parlare con Luke, e non avrebbero lasciato messaggi.

Luke, pensando alle parole di Gunner, premette il pulsante verde sul telefono. “Stone.”

“La metto in attesa per la presidente degli Stati Uniti,” disse una voce maschile.

Ci fu un attimo di silenzio, e poi la voce di lei arrivò sulla linea. Sembrava più dura di prima, una persona più vecchia. Gli avvenimenti degli ultimi mesi avrebbero invecchiato chiunque.

“Luke?”

“Salve, Susan.”

“Luke, ho bisogno che lei venga qui per una riunione.”

“Si tratta del collasso della diga?”

“Sì.”

“Susan, sono in pensione, se lo ricorda?”

Lei abbassò la voce.

“Luke, la diga è stata hackerata. Sono morte centinaia di persone, e tutti gli indizi fanno pensare ai cinesi. Siamo sull’orlo della terza guerra mondiale.”

Luke a questo non sapeva come rispondere.

“A che ora arriverà?” chiese.

E lui seppe che non era una domanda.

CAPITOLO QUATTRO

18:15

Osservatorio navale degli Stati Uniti – Washington, DC

Luke viaggiava sul sedile posteriore del SUV nero che entrava nel vialetto circolare dell’imponente residenza timpanata bianca degli anni Cinquanta in stile Queen Anne che per diversi anni era stata la residenza ufficiale del vicepresidente. Da quando due mesi prima la Casa Bianca era andata distrutta, quel posto fungeva da Nuova Casa Bianca, il che funzionava a meraviglia dato che la presidente ci aveva vissuto per cinque anni prima di assumere il suo nuovo ruolo.

Nei due mesi in cui Luke era stato via, non aveva quasi mai pensato a quel posto, né alla gente che lo abitava. Continuava a tenere con sé il telefono satellitare su richiesta della presidente, ma per le prime settimane aveva vissuto nel terrore di ricevere una telefonata. Dopodiché si era persino quasi dimenticato di avere un telefono.

Una giovane donna lo accolse sul vialetto di fronte alla casa. Era una bruna, alta, molto carina. Indossava una pratica gonna nera e una giacca. Aveva i capelli raccolti all’indietro in una stretta crocchia. Aveva un tablet nella mano sinistra. Offrì a Luke l’altra mano. Aveva una stretta ferma, tutta affari.

“Agente Stone? Sono Kathryn Lopez, il capo dello staff di Susan.”

Luke fu preso un po’ alla sprovvista. “Reclutano capi dello staff fuori dalle scuole superiori ultimamente?”

“Molto gentile da parte sua,” disse. Aveva una voce sbrigativa, che gli diceva che aveva quel tono tutte le volte, e che nella maggior parte dei casi non era pensato per essere gentile. “Ho trentasette anni. Vivo a Washington da tredici anni, da quando ho preso la laurea magistrale. Ho lavorato per un deputato, due senatori e l’ex direttore della salute e dei servizi umani. Ho fatto un bel po’ di esperienza.”

“Okay,” disse Luke. “Non sono preoccupato per lei.”

Oltrepassarono le porte principali. All’interno si trovarono davanti a un posto di controllo con tre guardie armate e un metal detector. Luke rimosse la Glock nove millimetri dalla fondina a spalla e la posò sul nastro trasportatore. Si abbassò e si sfilò la piccola pistola da tasca e il coltello da caccia assicurati alle caviglie e posò anche questi sul nastro. Alla fine prese le chiavi dalla tasca e le buttò con le armi.

“Scusi,” disse. “Non ricordavo che ci fosse un posto di controllo qui.”

“Non c’era,” disse Kat Lopez. “C’è da qualche settimana appena. Sono venute sempre più persone a mano a mano che Susan ha ripreso i suoi compiti, e la sicurezza si è formalizzata.”

Luke ricordò. Quando c’era stato l’attentato e Thomas Hayes era morto, Susan era stata improvvisamente promossa alla presidenza. La Casa Bianca era stata distrutta quasi interamente, e tutto quanto – tutta l’organizzazione, tutta la logistica – aveva preso una piega ad hoc, quasi disperata. Erano stati giorni folli. Era contento del riposo che aveva avuto dopo. Era un po’ sorprendente che Susan non ne avesse avuto per niente.

Dopo che le guardie ebbero messo da parte Luke e lo ebbero perquisito ancora e passato rapidamente con la sonda del metal-detector, lui e il capo dello staff proseguirono.

Il posto fremeva di attività. L’atrio era pieno di persone in giacca e cravatta, gente in uniformi militari, gente con le maniche arrotolate, gente che camminava veloce per i corridoi trascinandosi dietro stormi di assistenti. Una cosa fu ovvia subito – c’erano molte più donne di prima.

“Cos’è successo all’ultimo?” disse Luke. “Era il capo dello staff di Susan. Richard…”

Kat Lopez annuì. “Sì, Richard Monk. Be’, dopo l’incidente con l’Ebola, sia lui che Susan sono stati d’accordo che per lui fosse un buon momento per procedere oltre. Ma anche se è fuori di qui, è caduto in piedi. Lavora come capo dello staff del nuovo deputato degli Stati Uniti per il Delaware, Paul Chipman.”

Luke sapeva che c’erano deputati e senatori in entrata dai trentanove stati per rimpiazzare quelli persi nell’attentato a Mount Weather. Era una bufera di gente che saliva dai livelli inferiori, o che tornava dal pensionamento. Diversi erano gli ex governatori rinominati con un’etica questionabile e clientelismo di lunga data. C’erano mani unte di mazzette da tutte la parti.

Sorrise. “Richard è passato dal lavorare direttamente per la presidente a lavorare con un primino del secondo più piccolo stato dell’unione? E lei questo lo chiama cadere in piedi? Pare che sia caduto di testa.”

“No comment,” disse Kat, e quasi sorrise. Era la cosa più vicina all’umanità che gli avesse donato, finora. Lo condusse attraverso la folla fino a una porta doppia alla fine del corridoio. Luke conosceva già quel posto. Quando Susan era vicepresidente, la grande stanza luminosa era stata la sua sala conferenze. Nei giorni successivi al giuramento si era rapidamente trasformata al volo in una sala operativa.

Era stata anche formalizzata così. Delle pareti modulari che percorrevano la lunghezza della stanza coprivano le vecchie finestre. Giganteschi schermi video piatti erano stati montati a intervalli di un metro e mezzo. Era stato portato un tavolo conferenze in quercia più grande, e sul muro dietro al posto d’onore c’era lo stemma del presidente. C’erano circa due dozzine di persone dentro quando entrarono Luke e Kat, una dozzina alla tavola e altre in sedie poste lungo le pareti.

Il cambio di genere era evidente anche qui. Luke ricordava di essere stato lì per aggiornamenti sulla sparizione del campione di virus Ebola due mesi prima. Delle trenta persone che c’erano all’epoca nella stanza, Susan poteva essere l’unica donna. Ventinove uomini, la metà dei quali grossi e massicci, e una piccola donna.

Adesso forse la metà delle persone erano donne.

Susan si sollevò dal posto a capotavola quando Luke entrò. Era diversa, pure. Più dura, forse. Più magra di prima. Era stata una modella in passato, e aveva mantenuto la pienezza infantile delle guance fino alla mezza età. Adesso se n’era andata, e lei sembrava aver sviluppato le zampe di gallina attorno agli occhi quasi da un giorno all’altro. Gli occhi brillanti stessi sembravano più concentrati, come raggi laser. Aveva trascorso tutta la vita come la più bella donna della stanza – per la fine della presidenza, forse non sarebbe più stato così.

“Agente Stone,” disse. “Sono contenta che abbia potuto unirsi a noi.”

Sorrise. “Signora presidente. Prego. Mi chiami Luke.”

Lei non gli ritornò il sorriso. “Grazie di essere venuto.”

In piedi davanti a uno dei grandi schermi c’era Kurt Kimball, il consigliere per la sicurezza nazionale di Susan. Luke lo aveva già incontrato una volta. Era alto, con le spalle larghe. Aveva la testa assolutamente calva.

Kimball gli offrì una stretta di mano. Se la stretta di Kat Lopez era stata ferma, quella di Kurt Kimball fu di granito. “Luke, è bello rivederla.”

“Kurt, altrettanto.”

L’atmosfera era tesa. Quelle persone non avevano trascorso gli ultimi due mesi a fare campeggio e a navigare. Anche fosse, Luke aveva preso un aereo per andare lì dal Maine immediatamente, e aveva scaricato il figlio dalla sua rabbiosa futura ex moglie, che vedeva tutto ciò come una conferma delle ragioni per cui stava divorziando. Si sarebbe potuto pensare che gli avrebbero offerto un po’ più di calore.

Decise di seguire la corrente. Centinaia di persone erano morte quella mattina, e le persone in quella stanza, almeno, pensavano che si trattasse di un attentato terroristico.

“Cominciamo?” disse.

“Si sieda, prego,” disse Kimball.

Era apparso miracolosamente un posto alla destra di Susan, e Luke sedette.

Sullo schermo apparve la foto di una grande diga. Grande non era la parola giusta. Immensa era più corretta. Di fronte alla diga c’era un edificio di sei piani, il centro di controllo, con sotto sei saracinesche parzialmente aperte. L’edificio era sovrastato dalla diga che sorgeva alle sue spalle. Sull’orlo c’era una stazione di energia idroelettrica con file e file di trasformatori.

“Luke, questa è la diga di Black Rock,” disse Kurt Kimball. “È alta approssimativamente cinquanta piani e contiene il lago di Black Rock, che è lungo sedici miglia, profondo centoventidue metri, e a ogni dato momento contiene circa duecentottantatremila metri cubi di acqua. Come probabilmente ha visto ai notiziari, appena dopo le sette di questa mattina le sei saracinesche che ha visto sul fondo si sono aperte completamente, e sono rimaste bloccate così per tre ore e mezza, finché i tecnici non sono riusciti a scollegarle dal sistema del computer che le attiva per chiuderle manualmente.”

Kimball usò un puntatore laser per indicare le saracinesche.

“Se guarda le saracinesche in relazione all’edificio, vedrà che sono piuttosto grandi. Ciascuna è alta dieci metri, il che significa che sono stati rilasciati in una volta sola sei getti di acqua di tre piani di altezza. La pressione dell’acqua del lago Black Rock ha mandato l’inondazione a valle a una velocità approssimativa di venti miglia all’ora, il che non sembra granché finché non ci si sta di fronte. Fino a questa mattina il Black Rock Resort si ergeva a tre miglia a sud della diga. Il resort era fatto quasi interamente di legno. L’iniziale muro d’acqua l’ha completamente distrutto e, per quel che ne sappiamo, i soli sopravvissuti sono una manciata di persone che erano partite presto per salire fino in cima alla diga, o per fare un giro in auto sulle strade panoramiche della zona.”

“Quante persone c’erano al resort?” disse Luke.

“C’erano duecentoottantuno ospiti registrati nel sistema di prenotazioni on line. Forse una ventina ha lasciato il resort prima dell’inondazione, o non ci è mai arrivato per una ragione o per un’altra. Tutti gli altri sono stati spazzati via e vengono dati per morti. Insieme ad altri disastri avvenuti a valle, ci vorranno molti giorni prima di avere un conteggio abbastanza accurato dei corpi.”

Luke ebbe quella strana sensazione familiare. Tornava come una vecchia amica, un’amica che non vedevi da un po’ e che speravi di non vedere più. Arrivava come una nausea in fondo allo stomaco. Era la morte, la morte di persone innocenti, che si facevano gli affari loro. Luke aveva avuto a che fare con questa roba per troppo tempo.

“Qualcuno ha cercato di avvertirli?” disse.

Kimball annuì. “Gli impiegati del centro di controllo della diga hanno chiamato il resort al telefono non appena si sono accorti che le saracinesche erano aperte, ma apparentemente l’inondazione li aveva già raggiunti quando sono riusciti a mettersi in contatto con qualcuno. Qualcuno ha risposto, ma la conversazione è finita quasi immediatamente.”

“Gesù. E quali sono i disastri a valle a cui ha accennato?”

Sullo schermo apparve una mappa. Mostrava il lago, la diga, il resort e i paesi vicini. Kimball indicò una città. “La città di Sargent si trova a sedici miglia a sud del resort. È un paese di duemilatrecento persone, e un portale per i visitatori del parco nazionale. Per la maggior parte Sargent è situata su una collinetta, e la cittadina è stata avvertita un po’ meglio del resort. Sono stati avvertiti a sufficienza, in effetti, perché partissero le sirene di emergenza prima dell’arrivo dell’inondazione. Con sedici miglia in più da percorrere, l’acqua a Sargent ha colpito con meno forza, e molte case e edifici hanno resistito alla forza iniziale dell’inondazione e non sono stati distrutti. Alcune case a bassa quota comunque sono state sommerse rapidamente. Più di quattrocento persone di Sargent sono momentaneamente disperse e presunte morte.”

 

Luke fissò lo schermo mentre il puntatore laser di Kimball cadeva sulle cittadine di Sapphire, Greenwood e Kent, ciascuna in qualche modo più distante dalla diga della precedente, e ciascuna sul sito di un disastro di suo. La scala era devastante, e anche se le saracinesche erano state chiuse l’inondazione avrebbe continuato a spingersi a sud e giù a valle per molti dei giorni seguenti. Due dozzine di città erano state evacuate, ma erano praticamente garantite altre vittime. Alcune persone in zone remote non erano scappate, o non ci erano riuscite.

“E lei pensa che siano stati degli hacker? Com’è possibile?”

Kimball guardò per la stanza. “Tutti qui sono autorizzati a sentire il seguito? Può per cortesia uscire chiunque non abbia l’autorizzazione?”

Per la stanza si sparse un basso mormorare, ma nessuno si mosse. “Okay, presumo allora che tutti abbiano il diritto di stare qui. In caso contrario, saranno cazzi vostri. Ricordatevelo.”

Tornò a voltarsi verso Luke.

“La diga è stata costruita nel 1943 per creare l’elettricità così necessaria durante la guerra. È stata costruita ed è rimasta operativa fino a oggi sotto la Tennessee Valley Authority. Per la maggior parte della sua vita, le saracinesche venivano azionate da controlli meno sofisticati del telecomando del garage. Una ventina d’anni fa la TVA ha cominciato a cercare modi per risparmiare soldi automatizzando le loro dighe. I centri di controllo delle vecchie dighe idroelettriche sono incredibilmente inefficienti rispetto agli standard moderni. Fondamentalmente si mettono lì persone ventiquattr’ore su ventiquattro, e il loro lavoro consiste nel leggere e scrivere registri e di tanto in tanto nell’aprire e chiudere gli sfioratori. Le saracinesche non vengono aperte quasi mai.

“La TVA stava pensando di poter aggregare dieci o venti centri di controllo di dighe diverse in uno solo, centralizzato. Perciò hanno aggiornato retroattivamente molte dighe con software che possono essere azionati da remoto. La Black Rock era una di quelle. Stiamo parlando di un software semplicissimo – sì vuol dire aprire le saracinesche, no vuol dire chiuderle. Per una ragione o per un’altra, non hanno mai creato il centro di controllo centralizzato, però hanno creato il software connesso a internet, nel caso in cui avessero deciso di farlo. L’ultima goccia, per così dire, è che la scienza del criptaggio all’epoca esisteva appena, e il software non è mai stato aggiornato dalla sua installazione.”

Luke lo fissò, sconvolto.

“Sta scherzando.”

Scosse la testa.

“Era facile dirottare il sistema. È solo che nessuno aveva mai pensato di farlo, prima. Quale terrorista saprebbe dell’esistenza di quella diga? È in un angolo remoto di uno stato rurale. Non si prendono tanti punti visibilità con un attentato a Sargent, Carolina del Nord. Però, come abbiamo scoperto, le conseguenze sono devastanti come se avessero attaccato Chicago.”

Susan parlò per la prima volta durante la presentazione di Kimball. “E la cosa peggiore è che ci sono centinaia di dighe come quella per tutti gli Stati Uniti. La verità è che non sappiamo neanche quante ce ne siano, né quante di esse siano vulnerabili.”

“E perché pensiamo che siano stati i cinesi?” disse Luke.

“I nostri hacker della National Security Agency hanno tracciato l’infiltrazione fino a giungere a una serie di indirizzi IP della Cina settentrionale. E abbiamo tracciato comunicazioni con quegli indirizzi fino a un account internet in un motel di Asheville, Carolina del Nord, sessanta miglia a est dalla diga di Black Rock. Le comunicazioni hanno avuto luogo nelle quarantotto ore precedenti l’attentato. Una squadra SWAT del Bureau of Alcohol, Tobacco, and Firearms opera in quella regione, saccheggiando distillerie e birrifici privi di licenza. La squadra è stata deviata al motel, ha fatto irruzione nella stanza in questione e ha arrestato un uomo di nazionalità cinese di trentadue anni di nome Li Quiangguo.”

Sullo schermo apparve l’immagine di un cinese condotto fuori da un vago e piccolo motel da un gruppo di alti e grossi agenti dell’ATF. Apparve un’altra immagine dello stesso uomo in piedi su una stretta carreggiata dall’altra parte del lago. Si trovava di fronte a una targa storica che diceva Diga di Black Rock – 1943 con sotto un paio di paragrafi di descrizione.

“Anche se possiede i documenti di viaggio, incluso il passaporto, a nome suo, non crediamo che questo sia il vero nome dell’uomo. Come sapete la sequenza dei nomi in Cina è invertita – viene prima il cognome, seguito dal nome di battesimo. Li è uno dei più comuni cognomi cinesi, praticamente un nome generico, simile a Smith negli Stati Uniti. E Quiangguo in cinese mandarino significa nazione forte. Era un nome con connotazioni militaristiche molto comune dopo la rivoluzione cinese, ma caduto in disgrazia probabilmente quarant’anni fa. Inoltre Li è stato trovato in possesso di un’arma, così come di una piccola fiala di pillole di cianuro. Crediamo che sia un agente governativo cinese che opera sotto pseudonimo che avrebbe dovuto uccidersi se fosse stato a rischio di cattura.”

“Allora ha avuto paura,” disse Luke.

“Quello, oppure non ha preso le pillole in tempo.”

Luke scosse la testa. “Dopo un’operazione del genere, un agente disposto a uccidersi avrebbe tenuto la bottiglietta di pillole in mano, o se la sarebbe tenuta in tasca, ventiquattr’ore al giorno. Cos’erano le comunicazioni?”

“Erano una serie di email criptate. Non le abbiamo ancora decriptate, e potrebbero volerci settimane. È un codice che all’NSA non hanno mai visto. Molto complesso, molto duro da smontare. Perciò, al momento, non abbiamo idea di quale sia il contenuto delle email.”

“Il cinese parla?” disse Luke.

Kimball scosse la testa. “Lo tengono in una cella al centro di detenzione dell’ente federale per la gestione delle emergenze nel nord della Georgia, a circa novanta miglia a sudest dal luogo dell’attentato. Insiste nel dire di essere un semplice turista che si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.”

“È per questo che abbiamo chiamato lei,” disse Susan. “Vorremmo che ci facesse una chiacchierata. Abbiamo pensato che con lei potrebbe parlare.”

“Una chiacchierata,” disse Luke.

Susan si strinse nelle spalle. “Sì.”

“Farlo parlare?”

“Sì.”

“Per quello probabilmente avrò bisogno di avere la mia squadra con me,” disse Luke.

Passò uno sguardo tra Susan, Kurt Kimball e Kat Lopez.

“Forse faremmo meglio a discuterne in privato,” disse Kimball.

*

“Okay, Susan, allora, questa è la parte in cui lei mi dice di nuovo che lo Special Response Team è stato sciolto, giusto?”

“Luke…” cominciò lei.

Sedevano di sopra nello studio di Susan. Lo studio era proprio come se lo ricordava Luke. Un’ampia stanza rettangolare con pavimenti in legno massiccio e un tappeto bianco nel mezzo. Il tappeto fungeva da punto focale per una zona relax con grandi e comode sedie con spalliere dritte e un tavolo da caffè.

Su un’intera parete dello studio c’era una libreria che andava dal soffitto al pavimento. La libreria ricordava a Luke Il grande Gatsby.

E poi c’erano le finestre. Delle gigantesche e graziose finestre che andavano dal pavimento al soffitto che fornivano un ampio panorama dei giardini in discesa dell’osservatorio navale. Le finestre si affacciavano a sudovest e lasciavano entrare la luce pomeridiana. La luce era del tipo che un grande artista avrebbe cercato di catturare.