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Garibaldi e Montevideo

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Obes, primo tra gli amici di Rivera, tenea del carattere antico; il suo patriottismo, i suoi talenti, la sua profonda istruzione lo fanno annoverare tra i grandi Americani.

Morì proscritto, vittima tra i primi del sistema di Rosas nello Stato orientale.

Luiz Edouard Perez, l'Aristide dello Stato orientale, repubblicano severo, caldo patriotta, consacrò la vita sua lunga alla virtù, alla libertà, alla patria.

Vasquez, uomo di talento e d'istruzione, fe' le prime sue armi all'assedio di Montevideo contro la Spagna, e chiuse i suoi giorni nell'assedio attuale, avendo sempre bene meritato del paese.

Herrera, Alvarez ed Ellauri cognati di Obes non furono secondi ad alcuno. Essi appartengono come prodi guerrieri, non solo allo Stato orientale, ma sibbene all'intera causa americana; e i loro nomi saranno per sempre sacri alla terra di Colombo che dal capo d'Orno si stende allo stretto di Barrow.

Ora un governo che aveva a capi uomini di tempra siffatta, ebbe naturalmente a signoreggiare lo slancio nazionale, quando per la Repubblica orientale, venne l'ora di combattere a viso aperto il sistema di Rosas. Così, mentre il popolo soccorreva pietoso a tanti infelici, il governo sceglieva i sommi tra questi, ed assoldava i guerrieri argentini dichiarati traditori da Rosas, onorandoli con ogni maniera di cure e rispetto. Ed a ciò potentemente dava opera la stampa, che libera nello Stato orientale, metteva in luce i delitti di Rosas, facendolo segno all'esecrazione universale.

È quindi facile il comprendere, come la vendetta di Rosas si addensò sul capo di Rivera, primo tra' suoi nemici, e sul paese ch'egli reggeva; però, forte nell'alimentarla, era debole poi nel metterla in atto. Si limitò dunque ad una guerra sorda, favorendo con ogni maniera la rivoluzione scoppiata nel 1832 contro Rivera, e questa fallita, non si tenne ancora per vinto.

La presidenza di Rivera cessava nel 1834. Succedevagli il generale Manuel Oribe per l'influenza di Rivera stesso che vedeva in lui un amico al proprio sistema, e lo avea prima d'ora creato generale e ministro della guerra.

Oribe appartiene alle prime famiglie del paese, per la cui difesa, dopo il 1811, combattè sempre da prode. Egli è di poco spirito, e corta intelligenza; ne è prova l'alleanza di Rosas che egli abbracciò a tutta possa, alleanza che trae a rovina quell'indipendenza da lui stesso propugnata più volte.

Come generale è di nessuna capacità; le sue violente passioni lo fanno crudele, mentre come privato è uomo dabbene. Come amministratore fu miglior di Rivera, nè per lui crebbe il debito pubblico. Però su di lui pesa la rovina dello Stato orientale. Obliando che ad esser capo di parte, non basta il volerlo, sdegnò d'unirsi alla causa nazionale che aveva per capo Rivera, e volendo fare da sè, eccitò diffidenza e sospetto; onde atterrito, si gettò un bel giorno nelle braccia di Rosas. Il paese n'ebbe sentore dalla guerra che il governo moveva all'emigrazione argentina, e come forte era l'odio al sistema di Rosas, s'unì a Rivera quando egli nel 1836 si mise alla testa d'una rivoluzione contro di Oribe. Questi però, spalleggiato dall'armata rimasta fedele e dagli aiuti di Rosas, potè sino al 1838 rimuovere il pericolo che lo premea d'ogni lato.

Qui cade in acconcio rettificare un errore troppo comune. Si crede generalmente, che all'influenza de' Francesi debbasi la caduta di Oribe, mentre ebbe a soli nemici gli Orientali. Il suo potere fu distrutto alla battaglia di Palmar, ove tra' suoi nemici non si contava un solo straniero, mentre egli cadde in mezzo a loro; e n'è certa prova, essersi trovato, dopo la capitolazione della città di Paysandu, un intero battaglione argentino in questa città. Ora gli Argentini sono stranieri allo Stato Orientale del pari che gli uomini del Chili o dell'Inghilterra.

Oribe rinunziò al potere officialmente davanti alle Camere, e chiestone alle stesse il permesso, lasciò il paese. Ciò fatto Rosas lo costrinse a protestare contro tale rinuncia, e, cosa inaudita in America, egli lo riconobbe per capo del governo d'un paese a lui pure vietato. Era, come se Luigi Filippo esule avesse dato un vicerè alla Repubblica francese. Si rise a Montevideo di questa follia del dittatore, che intanto si preparava a mutare il riso nel pianto, e ne fu conseguenza naturale la guerra tra le due nazioni, che dura dal 1838.

Riafferrato il potere, Rivera appoggiò con ogni sua possa il blocco francese, e n'ebbe soccorsi d'uomini e di danaro contro il nemico comune. In tali strettezze avrebbe Rosas facilmente inchinato l'animo alle esigenze europee quando l'arrivo dell'ammiraglio Mackau nel 1840 diè luogo al trattato che porta il suo nome, per cui si rialzò la potenza di Rosas già presso al tramonto e sola nella lotta durò la Repubblica orientale. Così si combattè diversamente fino al 1842 quando l'armata orientale toccò la disfatta di Arroyo-Grande. In questo intervallo, una gran parte della Repubblica argentina, fidando sul poter della Francia, erasi contro di Rosas levata a guerra eroica e nazionale. Ma questa lotta ineguale avea cresciuto il numero dei patriotti argentini martiri della crudeltà del dittatore.

Intanto, vinta la battaglia d'Arroyo-Grande, l'armata di Rosas, forte di 14,000 uomini, si gettò sul territorio dello Stato Orientale. A questo torrente erano unico argine 600 soldati agli ordini del generale Medina, e 1,200 reclute sotto il generale Pacheco y Obés, allora colonnello, che riunitesi insieme sotto il fuoco dell'avanguardia nemica presero a capo il generale Rivera, cui si congiunsero 4 o 5 mila volontarii accorsi al pericolo.

Allora si vide, miracolo stupendo, 6,000 uomini disordinati e quasi inermi, disputarsi palmo a palmo il terreno all'armata di Rosas. Costretti a marciare per contrade incendiate dal nemico, questi eroici difensori della patria, raccolsero tutte le fuggenti famiglie e tra immensi pericoli ne protessero la ritirata a Montevideo, ove cercò un asilo quasi tutta la popolazione della campagna.

Il primo febbraio 1843 l'armata orientale ordinatasi sulle alture di Montevideo vide il nemico; ma lungi dal riparare in città, cui raccomandò le protette famiglie, chieste armi e munizioni, si gettò alla campagna onde provvedere alla guerra, dicendo ai cittadini: difendetevi e contate sopra di noi!

Capitolo Terzo

Wright, l'autore dell'Assedio di Montevideo, esponendo la situazione nella quale si trovò la Repubblica orientale dopo la battaglia dell'Arroyo-Grande, chiude quella lugubre narrazione con queste tristi parole: «Il sole di dicembre, tuffando i suoi raggi nell'Oceano, ne lasciò:

Battuti al di fuori,

Senza armata,

Senza soldati anche nell'interno,

Senza materiale di guerra,

Senza danaro,

Senza rendite,

Senza credito.»

E questo quadro non era esagerato.

Il generale Rivera era allora il capo della Repubblica. E noi dando un giudizio imparziale su di lui come su tutti gli uomini che abbiamo cercato di tratteggiare, giudicio che apparterrà alla posterità – perchè nei giudicii politici e letterarii la distanza equivale ai tempi e fa il presente imparziale come l'avvenire – noi abbiamo detto in quale compassionevole stato avesse ridotte le finanze del paese.

Per ciò poi che riguarda l'armata, essa risentivasi delle false idee che aveva sulla guerra il generale Rivera, delle quali diremo l'origine.

Rivera aveva fatto le sue prime armi sotto Artigas, il quale non era un generale, ma un capo di fazione. Le sue battaglie consistevano in sorprese e colpi di mano. Allievo di tal maestro, Rivera ne trattava in egual modo la guerra, benchè gli affari e gli uomini avessero cambiato di aspetto.

Alcuni ufficiali, patriotti intelligenti, tentarono di far mutare tale sistema a Rivera, credendo che la sua maniera di combattere fosse un sistema e non una pratica; ma per quanto ascendente potettero prendere su di lui, dovettero accontentarsi d'introdurre, e a gran fatica, pochi ed isolati miglioramenti che non facevano che vieppiù appalesare il difetto del partito a cui si atteneva. L'armata quindi restò quale il suo capo la voleva; indisciplinata, senza ordine, senza unità, vera armata d'avventurieri – quale infine era sotto Artigas, meno Artigas.

Componevasi essa di due piccoli battaglioni di fanteria formati intieramente di negri e di qualche migliaio di cavalieri, che lasciando vuote le squadre anche negli accampamenti militari, non correvano sotto la bandiera che nei giorni del pericolo. Aveva un considerevole materiale d'artiglieria leggiera, ma il personale di quest'arme si conduceva come quello della cavalleria; il servizio dello stato maggiore come quello dell'armata potea dirsi nullo essendo anche frammezzo ai comandanti superiori, uomini cui sarebbe riuscito malagevole il comandare una manovra.

Le diverse divisioni dell'esercito confidate a comandanti generali patian difetto esse pure d'una organizzazione militare. Invano avresti cercato un arsenale da guerra su tutto il territorio della repubblica. E siccome a nessuno cadeva in pensiero che la repubblica potesse toccare una disfatta, questa avvenendo sarebbe stata irreparabile.

Montevideo poi già da molto non era più città di difesa; le sue mura erano state atterrate fino dal 1833. Il governo che vi aveva stabilito residenza era composto di uomini deboli, capaci sì di fare il loro dovere nelle circostanze ordinarie, ma incapaci di forti risoluzioni in caso disperato.

Ora la condizione di Montevideo era terribile. Alla nuova della perdita della battaglia d'Arroyo-Grande, la popolazione fu come colta da fulmine e tutti i patriotti curvarono il capo, mentre che gli amici di Oribe, cioè i partigiani dello straniero, apersero l'animo alle speranze e cospirarono apertamente per Rosas per distruggere così la Repubblica orientale.

 

Allora alcuni uomini di patriottismo e d'azione che trovavansi a Montevideo spinsero il governo a energiche misure per la difesa della città. E fu per essi che si decretò un'armata di riserva nominando a comandarla il generale Paz rifugiato in Montevideo, che si chiamarono alle armi tutti gli uomini dai 14 ai 50 anni, che si affrancarono gli schiavi onde farli soldati; ma tutte queste misure avevano l'impronta della debolezza ed erano perciò spoglie d'ogni autorità. Esse venivano dettate non con quella fede sincera nella possibilità della difesa, fede che avrebbe fatto la loro forza, ma chiaramente per salvare la responsabilità di quelli che le dettavano e che sostituivano così l'agitazione all'attività, la febbre all'energia; e fin d'allora le risorse dell'autorità furono esauste, e il governo si vide male obbedito, perchè non rispettato.

Fu da mezzo il campo che s'alzò il primo vero grido di guerra contro l'armata nemica e quel grido venne dal comandante generale del dipartimento di Mercédès, dal colonnello Pacheco y Obes.

Appena il disastro d'Arroyo-Grande fu conosciuto, il colonnello Pacheco y Obes, non ricevendo consiglio che dal suo patriottismo, prese sul momento le misure le più energiche per organizzare una forza militare. Prima ancora del governo egli aveva colla sola sua autorità individuale proclamato la libertà degli schiavi, cassando con un sol frego di penna questa grande quistione che si dibatte da un secolo in Europa e innanzi a cui si ritrae da sessant'anni il governo degli Stati-Uniti.

Il distretto di Mercédès comprendeva tre piccole città dai due ai tremila abitanti ciascuna. Pacheco fatta una leva in massa inreggimentò i cittadini, li armò, li disciplinò, creò fabbriche d'armi, e senz'altre risorse in fuori di quelle che egli seppe trarre dal patriottismo del paese al quale egli fece appello, venti giorni dopo la battaglia d'Arroyo-Grande, si presentava alla sua volta in campo con 1,200 uomini armati ed equipaggiati, che ebbero l'onore di scambiare coi soldati di Rosas i primi colpi di fucile che furono tratti per la santa difesa del paese.

I suoi caldi e risoluti proclami, la sua fede nel trionfo della causa nazionale rialzarono l'entusiasmo accasciato, e siccome era chiaro che un uomo che agiva in tal modo doveva sperare, – ognuno sperò. Ecco poi come s'esprime il giornale officiale di Montevideo del 31 dicembre del 1842 parlando della condotta del colonnello Pacheco y Obes.

«Noi sappiamo di offendere la modestia del prode capo del distretto di Mercédès; ma come tacersi mentre ogni giorno mostrasi ai nostri occhi un nuovo segno della sua incessante attività, della sua nobile coscienza, della sua alta capacità? Il colonnello Pacheco y Obes ci prova che noi abbiamo alla circostanza uomini d'azione, di consiglio e di governo atti a salvare la patria».

Così pensavano di lui tutti i patriotti dello Stato orientale. Dappertutto questi domandavano un cambiamento di governo e l'opinione pubblica chiamava a prendere parte al potere il colonnello Pacheco y Obes.

Il generale Rivera cedette al voler del paese, e prima di partire per l'armata nominò un nuovo ministero di cui facea parte Pacheco y Obes per la guerra e marina, Santiago Vasquez per l'estero e l'interno, e Francesco Munnoz per le finanze. Il 3 febbraio 1843, il nuovo ministero entrò in funzioni; fu chiamato ministero Pacheco y Obes, e devesi alle pronte misure dei primi giorni della sua esistenza, l'incredibile difesa di Montevideo.

Questo ministero agiva sotto la direzione del presidente del senato che teneva la presidenza della Repubblica in assenza del generale Rivera. Il nome di questo magistrato era Joaquin Suarez, uno dei più ricchi proprietarii dello Stato orientale, l'uomo tra' più onorati di questo popolo cui egli ha consacrata tutta la sua vita. Ora egli tiene il posto di presidente, essendo successo a Rivera, il cui tempo legale era spirato col 1 marzo 1843.

II 16 febbraio del medesimo anno l'armata nemica comandata da Oribe si presentava davanti Montevideo nella certezza di entrarvi senza trar colpo o al più di averla con un colpo di mano. Ma nel tempo che era trascorso dalla sua installazione, il nuovo governo aveva fatto di Montevideo una piazza di guerra capace d'arrestare i vincitori d'Arroyo-Grande.

Tutti gli uomini atti a portare le armi erano stati inreggimentati, e nessun riguardo era scusa al proprio dovere. Niuna eccezione fu ammessa. Il ministro della guerra dettava i decreti e s'incaricava egli stesso di farli eseguire; e tutti sapevano che nulla valeva ad arrestare la sua volontà di ferro.

Fu in questo frattempo che si riorganizzarono i battaglioni di guardia nazionale che da sett'anni renderono tanti segnalati servigi alla città stretta d'assedio. Fu allora che egli scelse a comandanti di queste masse improvvisate codesti uomini, stranieri fino allora alla guerra, che nel seguito sono divenuti tanti eroi e che noi chiamiamo: Lorenzo Batlle, Francisco Tage, José Maria Munnoz, José Solsona, Juan Andres Gelly y Obes, e Francisco Munnoz. Tutti erano negozianti od avvocati al principio dell'assedio. Tutti sono in oggi colonnelli, e mai le nobili insegne di questo grado furono portate più nobilmente. Francisco Munnoz è morto. Tutti gli altri quasi per miracolo vivono ancora, perchè in tutti i giorni di questo lungo assedio furono veduti in mezzo al pericolo provocare la morte che li rispetta.

I corpi di linea, alla testa dei quali figuravano pure uomini nuovi, furono riorganizzati e messi sotto gli ordini di Marcelino Sosa, l'Ettore di questa nuova Troia, di César Diaz, di Manuel Pacheco y Obes, e di Juan Antonio Lezica. E tutti questi altri nomi che citiamo sono già istorici, e sarebbero nomi immortali se avessero a cantore un altro Omero.

Sosa è morto e noi racconteremo e la sua morte d'eroe e alcune delle sue gesta, che rendendolo il terrore dell'armata nemica, gli hanno conquistata l'ammirazione della città assediata.

Presentemente è il colonnello Cesare Diaz che regge l'armata. Uomo di grandi talenti, gode la riputazione da nessuno contestata d'essere il miglior tattico d'infanteria che si trovi fra le due armate.

Il colonnello Batlle, attuale ministro della guerra e delle finanze, è presso a poco sui trent'anni; la natura gli è stata più che prodiga; essa l'ha fatto bello, prode, spiritoso, d'ingegno; infine uno di quegli uomini il cui avvenire è destinato a risplendere nella futura istoria d'America. Fu egli che con un pugno d'uomini sorprese nel 1846 le forze che assediavano la Colonia e che la battè completamente obbligandoli a levare l'assedio. E tanto valore mostrato da questa giovane armata messa su d'improvviso è ascritto in parte al generale José Maria Paz, che ne era duce, primo tra i migliori maestri nell'arte della guerra, mentre d'altra parte vi contribuivano con tutte le loro forze ed il loro sangue gli Argentini rifugiati a Montevideo, formatisi in legione per la difesa del paese che aveva dato loro l'ospitalità.

Vennero pure eletti capi molti stranieri che in certa guisa stavano a rappresentanti delle idee di libertà e di progresso non del tutto spente nel mondo e che non hanno per anco trovato una nazione in cui possano mettere profonde radici. Tra questi capi che concorsero alla difesa di Montevideo e che saranno ricompensati dei loro sacrificii, non solo dalla riconoscenza d'una città, ma d'una nazione, primeggia Giuseppe Garibaldi.

Giuseppe Garibaldi, proscritto d'Italia perchè aveva combattuto per la libertà, proscritto dalla Francia dove aveva voluto combattere per la stessa causa, proscritto da Rio-Grande per avere contribuito alla fondazione di quella Repubblica, venne ad offrire i suoi servigi a Montevideo. Noi cercheremo di far conoscere ai nostri contemporanei sotto i rapporti tanto fisici che morali quest'uomo potente, che nessuno ha potuto attaccare che colla calunnia.

Garibaldi è un uomo sui 40 anni, di mezzana statura abbastanza proporzionata, con lunghi capelli biondi, occhi cilestri, e col naso, la fronte ed il mento greco; può dirsi tipo di vera bellezza. Porta lunga la barba; il suo vestire ordinario è una redingota stretta al corpo ed abbottonata senza alcun'insegna militare. Le sue mosse sono preziose, la sua voce armonica, somiglia ad un canto. Nello stato normale di vita sembra piuttosto un uomo di calcolo che d'immaginazione; ma se intende le parole d'indipendenza e d'Italia, allora egli si scuote come un vulcano, getta fiamme e spande la sua lava. Giammai fu visto, se non nella pugna, indossare armi; venuto il momento, snudata la spada che prima gli viene alle mani, ne getta il fodero e si caccia contro il nemico.

Nel 1842 fu nominato comandante della flottiglia; egli sostenne poco dopo nel Paranà un combattimento accanito contro forze superiori tre volte alle sue, ma veduta di poi l'impossibilità di resistere, fece naufragare, noi non diremo le sue navi, ma le sue barche, appiccandovi fuoco; e ritirandosi alla testa del suo equipaggio sul territorio della repubblica presentossi uno dei primi per la difesa di Montevideo.

Il ministro della guerra Pacheco y Obes, comprese il proscritto. Questi due uomini non ebbero che a vedersi per intendersi e strinsero fin dal primo abboccamento una di quelle amicizie assai rare nell'epoca attuale.

Montevideo, stretta d'assedio dalla parte di terra, venne pure bloccata dalla flottiglia di Rosas. Il ministro della guerra volle allora organizzare sul mare una resistenza eguale a quella che egli aveva improvvisata per terra, e benchè la Repubblica non disponesse che di piccoli bastimenti, aiutato da Garibaldi, egli venne a capo di realizzare il suo progetto. Prima ancora di due mesi quattro piccoli bastimenti, portanti la bandiera orientale, prendevano il mare e combattevano le forze marittime di Rosas, comandate da Brown. Questi quattro bastimenti dovevano portare i nomi di Suarez, Munnoz, Vasquez e Pacheco y Obes; ma Pacheco cangiò il nome del suo legno in quello di Libertà. I due più forti tra questi, che erano quelli di Suarez e Libertà, portavano ciascheduno due cannoni, gli altri due non ne avevano che un solo. Allora si vide il singolare spettacolo d'una lotta nella quale 60 marinai, 4 barche e 6 pezzi di cannone andavano ad attaccare 4 bastimenti con 100 pezzi di grosso calibro e più di 1000 uomini d'equipaggio. Garibaldi n'era comandante, e la sua voce ben conosciuta al nemico tuonava, nella pugna, comandando la morte, assai più forte de' propri cannoni.

Ora, a chi fosse vago di conoscere quale soldo ricevesse in premio della sua vita esposta tutti i giorni, quest'uomo che i giornali francesi hanno chiamato un Condottiero, e che fummo lieti di trovare a Roma perchè egli dasse colla sua eroica difesa il ridicolo a questa spedizione, noi lo diremo.

Nel 1843, Don Francisco Agell, uno tra i più rispettabili negozianti di Montevideo, s'indirizzava al colonnello Pacheco y Obes per dargli contezza che nella casa di Garibaldi, nella casa del capo della legione italiana, del comandante della flotta nazionale, dell'uomo sempre pronto a versare il proprio sangue per Montevideo, in quella casa non s'accendeva di notte il lume, perchè nella razione del soldato – unica cosa sulla quale contava Garibaldi per vivere colla sua famiglia – non erano comprese le candele. Il ministro della guerra mandò per mezzo del suo aiutante di campo, José Maria Torres, cento patacconi (500 franchi) a Garibaldi; ma egli, presa solo la metà della somma, restituì l'altra onde fosse recata ad una vedova ch'egli indicava e che, a suo parere, versava in maggiori strettezze.

Cinquanta patacconi (250 franchi) ecco l'unica somma che Garibaldi ha ricevuto dalla repubblica nel corso dei tre anni che la difese13.

Come parte di bottino, spettavagli un giorno la somma di mille patacconi, cioè 5,000 franchi. Il ministro delle finanze, fatto invito a Garibaldi di toccar quella somma, ebbe alla sua lettera d'avviso tale una risposta, che stimò opportuno ragguagliarne il suo collega, il ministro della guerra. Allora Pacheco y Obes, come amico di Garibaldi, s'incaricò di chiamarlo a sè onde capacitarlo. Venuto a lui Garibaldi, col suo cappello bianco rasato, i suoi stivali in pezzi, ad informarsi di ciò che volesse il ministro; appena sentì di ciò che era questione, poco mancò non si stizzisse col suo amico quasi gli fosse stato straniero; e a lui che instava togliesse quella somma almeno per la legione italiana, Garibaldi rispose: «La legione non pensa diversamente da me, tenete ciò per i poveri della città14

 

Egli conosceva a fondo i generosi esuli che aveva sotto i suoi ordini, perchè nel medesimo anno il generale Rivera avendogli fatto dono di parecchie leghe di terreno e di qualche migliaia d'armenti, ricevuti a capo del suo stato-maggiore i titoli di proprietà dal colonnello Don Augusto Pozolo, e interrogata cogli occhi tutta la sua legione, li stracciò dicendo: «La legione italiana dà la sua vita a Montevideo, ma essa non la scambia con terre e bestiami; ella dà il suo sangue in cambio d'ospitalità e perchè Montevideo combatte per la sua libertà.»

Nel 1844 un'orribile tempesta flagellava la rada di Montevideo; eravi nel porto una goletta a bordo della quale stavano parecchie famiglie, tra le quali quella dei sigg. Carril che andava a Rio-Grande; la goletta stava affidata ad una sola áncora avendo perdute le altre; informato del pericolo Garibaldi si getta in una barca con sei de' suoi marinai, porta seco un'altra áncora, e la goletta è salvata.

L'8 febbraio 1846 il generale Garibaldi, alla testa di 200 Italiani, viene attorniato da 1,200 uomini di Rosas comandati dal generale Servando Gomez, fra i quali sono 400 d'infanteria. Che farà Garibaldi? Forse ciò che avrebbe fatto il più coraggioso in tale frangente, mettersi in luogo a meglio secondar la difesa? No certo. Garibaldi e i suoi 200 legionarii attaccano i 1,200 soldati di Rosas, e dopo cinque ore di combattimento accanito, l'infanteria è distrutta, la cavalleria demoralizzata si ritira dal combattimento, e Garibaldi resta padrone del campo di battaglia.

Sempre il primo al combattimento, Garibaldi lo era egualmente a raddolcire i mali che portava la guerra. Se talvolta compariva nelle sale del ministero, era per chiedere la grazia d'un cospiratore, o soccorsi a qualche infelice; ed all'opera di Garibaldi, Don Miguel Molina y Haedo, condannato dalle leggi della repubblica, dovè la vita nel 1844. A Gualeguaychu fa prigioniero il colonnello Villagra, uno dei più feroci capi di Rosas, e lo rilascia in libertà con tutti i suoi compagni fatti con lui prigionieri. A Ytapevy mette in fuga il colonnello Lavalleja, la cui famiglia resta in suo potere; egli forma a questa famiglia una scorta composta di prigionieri stessi e la rinvia al colonnello Lavalleja con una lettera tutta cortesia e generosità.

Noi lo ripetiamo ancora una volta, in tutto il tempo che Garibaldi fu a Montevideo, egli visse, in un colla sua famiglia, nella più estrema povertà. Egli non ebbe mai abiti diversi da quei del soldato, e molte volte i suoi amici si appigliarono a sutterfugii onde sostituire a' suoi laceri panni, un nuovo vestito. Scrivete a Montevideo, signori pubblicisti, che avete trattato Garibaldi da condottiero e d'avventuriero, scrivete agli uomini del governo, scrivete ai negozianti, scrivete alle persone del popolo, e voi sentirete che mai un uomo fu più universalmente stimato ed onorato di Garibaldi in questa repubblica di cui voi repubblicani predicate l'abbandono. Ma è vero che il governo che ha abbandonato la causa dell'Alemagna per il re Guglielmo, l'Austria e l'Italia per l'Imperatore Francesco, Napoli e la Sicilia per il re Ferdinando, questo stesso governo ci può ben predicare l'abbandono di Montevideo e l'alleanza di Rosas. Ma ponete un istante Garibaldi l'uomo che egli calunnia in faccia a Rosas che egli esalta, e giudicate.

Ora che per noi si è detto alcun che del primo, l'ordine vuole si vegga ciò che facesse allo stesso tempo il secondo.

Noi leggiamo negli stessi rapporti fatti a Rosas dai suoi officiali ed agenti; nè ci dimentichiamo queste tavole di sangue, pubblicate dall'America del Sud e sulle quali, come una madre addolorata del presente ed una dea vendicatrice dell'avvenire, ella ha registrato diecimila assassinii.

Il generale Don Mariano Acha, che serve nell'armata nemica a Rosas, difendeva San-Juan, ma il 22 agosto del 1841 è costretto ad arrendersi dopo 48 ore di resistenza; Don Josè Santos Ramirez, officiale di Rosas, trasmette allora al governatore di San-Juan il rapporto officiale di quell'avvenimento. Si trova in esso questa frase scritta testuale: – Tutto è in nostro potere, ma col perdono e colla garanzia per tutti i prigionieri, tra loro si trova un figlio di La Madrid. – Pubblicisti dell'Eliseo, prendete il N. 3067 del Diario de la Tarde15 di Buenos-Ayres, del 22 ottobre 1841, ed a comparazione del rapporto officiale di José Santo Ramirez, che dichiara il perdono e la garanzia della vita a tutti i prigionieri, voi potrete scrivere dall'altro lato questo paragrafo.

13Ecco a questo proposito che cosa dice di GARIBALDI il generale Pacheco: Le géneral GARIBALDI placé a Montevideo à la tête d'une legion QUI N'A JAMAIS REÇU UN SOU DU PAYS QU'ELLE DEFENDAIT, a été le soldat le plus subordonné, l'ami le plus prononcé de l'ordre et le defenseur le plus ardent de la liberté; car c'est pour la liberté et la civilisation que l'on combat à Montevideo.
14Tutti gli stranieri fanno giustizia alla rigidezza dei principii di GARIBALDI, Lord Howden, ministro inglese, inviato per la pacificazione delle Repubbliche della Plata, nella tornata dei Pari in Londra del mese di luglio 1849 pronunciava queste solenni parole: «Il presidio di Montevideo era quasi per intero composto di Francesi e d'Italiani, ed era comandato da un uomo cui son felice di poter rendere testimonianza che solo era disinteressato fra una folla d'individui che non cercavano che il loro personale ingrandimento. Intendo parlare d'un uomo dotato di gran coraggio e di alto ingegno militare, che ha il diritto alle nostre simpatie per gli avvenimenti straordinarii accaduti in Italia, del generale GARIBALDI.
15Diario de la tarde. – Giornale della sera.