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Garibaldi e Montevideo

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Capitolo Quinto

L'ordine degli avvenimenti ci ha per poco allontanati dall'armata di Rivera, che lasciata Montevideo, non era rimasta inoperosa.

Il nemico, forte di 6,000 fanti e 900 cavalieri, avea messo l'assedio alla città; sulle traccie di Rivera erasi spedito il resto delle sue forze. Allora ebbe principio una lotta ammirabile, dovendo Rivera co' suoi talenti, colla conoscenza de' luoghi, col coraggio de' suoi soldati, forte appena di 5,000 cavalieri, tenere a bada un nemico che contava 6,000 uomini di cavalleria, un battaglione di fanti, ed una batteria di cannoni.

Ma per colmo di sventura la marcia di Rivera si facea di giorno in giorno più faticosa e più grave, essendochè i paesani impediti di rifugiarsi a Montevideo, traevano a lui numerosi, facendo così del suo piccolo esercito una tribù, che negli ultimi tempi contava da ben quattrocento carri ingombri di donne e fanciulli, oltre un numero maggiore di fuggitivi, che privi dei mezzi di trasporto tenean dietro all'armata a piedi o cavallo.

Come una tal gente inabile alta guerra, d'inciampo negli accampamenti, di ritardo nelle marcie, li esponesse a un totale esterminio, era noto a Rivera e a' suoi soldati, che nullameno fedeli a un tal dovere, durarono nella lotta due anni in cui sempre battuti, non vinti, rendeano le vittorie del nemico peggiori d'una sconfitta.

Venne infine Rivera completamente battuto nella funesta giornata di Paso de la Paloma; tali però erano i mezzi di quest'uomo, tale era l'aura popolare che lo circondava, tanto insomma l'amor della patria che infiammava gli orientali tutti, che la vittoria di Solis gli rese quel prestigio ch'egli aveva per un tratto perduto.

Ma Urquisa alla testa di 4,000 uomini venne a trar d'impaccio il nemico, e sconfisse Rivera a Malbajar ed a Aréquita, il quale ad onta di tali rovesci, volle il 28 marzo 1845 nelle pianure d'India-Muerta presentar la battaglia ad Urquisa.

Le forze erano eguali d'entrambe le parti. Avanti di venire alle mani, il generale Rivera comandò che i carri che trasportavano le donne e i fanciulli si avvicinassero alle frontiere del Brasile, per guadagnarle nel caso d'una sconfitta. Si perdè la battaglia, e fu così salva questa errante tribù, insieme a una parte dell'esercito stesso.

Da quel giorno famiglie ed esercito hanno stanza in Rio-Grande; nè le reiterate promesse di Rosas ebbero peranco il potere di far loro traversar la frontiera che li divide dalla patria. Tanto è l'odio inspirato da Rosas, che al suo dominio preferiscono l'esilio e la miseria.

L'armata della campagna, distrutta alla battaglia d'India-Muerta, avea fatto più del dovere, lasciando sul campo i tre quarti delle sue forze. Questi gloriosi combattimenti vennero illustrati dal sangue di tanti martiri, e l'istoria del popolo orientale ricorderà con amore i nomi d'Aguar, di Silva, di Cuadra, di Blanco e di Luna che primi tra' capitani di quest'armata caddero per la indipendenza della patria. E la storia fedele dirà pure che i disastri toccati non vanno attribuiti alla truppa od a' capi, sibbene al solo generale Rivera, che mai volle organizzar militarmente le sue forze, ed a uomini disciplinati fece una guerra non di soldato, ma d'avventuriere.

Dopo la battaglia d'India-Muerta, allorchè il resto dell'esercito passò la frontiera di Rio-Grande, un solo tra i capi, cui la morte in patria era certa, sdegnò trar la vita in esilio. Egli era il tenente colonnello Brigido Silveira. Con una mano di prodi decisi a morire con lui volle continuare la lotta, e ritiratosi nel distretto di Maldonado16 traendo partito dal terreno ineguale, cominciò una guerra d'imboscate, e di attacchi notturni, cui il nemico non si attendeva.

Da quel punto non vi fu distaccamento dell'armata di Oribe, non vi fu avanguardia che si avventurasse alla campagna, che non venisse attaccata da questi infaticabili soldati cui era nota ogni sua mossa. Quando poi infuriava la tempesta, Brigido Silveira, cogliendo il destro dal cozzar degli elementi, si cacciava persino tra le tende nemiche a levare il suo grido di guerra.

Indarno Oribe a dar la caccia a questi prodi spingeva tremila de' suoi cavalieri ora stretti in un corpo, ora divisi a drappelli. Due lunghi anni durarono a sterminarli, non però d'un sol colpo, ma quando dal primo all'ultimo caddero tutti, solo Brigido Silvera miracolosamente sorvisse, ed ebbe modo di rientrare in Montevideo, ove vive tuttora.

La battaglia di Balbajar, anteriore a quella d'India-Muerta, avea luogo nel gennajo del 1844. Un pugno di cinquecento uomini, sfuggiti al disastro, concepito il progetto di aprirsi una strada sino a Montevideo, giunse inatteso dietro le linee dell'assedio, le ruppe, e sui cadaveri nemici entrò trionfante nella fortezza del Cerro.

Alla testa di questi prodi erano i colonnelli Flores ed Estibao, che presentatisi al governo colle spade alla mano ancor tinte di sangue, «l'armata, dissero, della campagna è battuta, e noi, incerti se potrà rialzarsi, siam venuti a dividere la sorte dei difensori di Montevideo.»

E per vero fu provvidenziale un tale rinforzo, poichè la guarnigione scemata ogni giorno non poteva rimettersi, mentre il nemico tenea da Buenos-Ayres sempre nuovi aiuti di truppe.

Diffatti le file dei difensori di Montevideo erano diradate di molto, sommando a più di tremila i soldati che erano caduti, coi colonnelli Sosa, Torres, Neira e buon dato d'altri capi e ufficiali.

Sosa, che ben a ragione può dirsi l'Ettore della nuova Troia, era un di quegli uomini per cui non esistono pericoli di sorta. Al pari di Nelson, potea chiedere, non a dodici, ma a trenta anni: che cosa è la paura? Lo avresti detto disceso dagli antichi Titani, nulla essendovi per lui d'impossibile.

Fu visto un giorno con soli quattordici cavalieri attaccare ben cento Baschi spagnuoli e metterli in fuga.

Fu visto altra volta in mezzo a quattordici cavalieri che gli erano sopra, certi di farlo prigione, aprirsi strada una uccidendone due, e ritornare al corpo onde era stato disgiunto.

Un altro giorno che aveasi a fronte un distaccamento nemico, il capo di Sosa avendo esternato il desiderio di alcuni schiarimenti che solo potea dare un prigioniero, Sosa cacciatosi sopra il nemico, afferrò il primo uomo che gli venne fatto di raggiungere, e messolo a traverso sul cavallo lo presentò a lui dicendo:

«Ecco, mio colonnello, ciò che voi avete richiesto.»

Così parea che la morte rispettasse quest'uomo che seco lei avea tanta dimestichezza.

Diffatti un giorno uno dei più prodi uffiziali dell'armata nemica incontratosi con Sosa nel caldo della mischia, appunta contro di lui la sua pistola e fa fuoco. Ma il colpo non parte, ed egli invece cadde trafitto da Sosa.

Conversando una volta con cinque de' suoi soldati presso d'un bosco di frutti, diè in un agguato che gli tese il nemico nel bosco vicino. I suoi cinque soldati cadono a terra dai colpi di fucile tratti a un quarto di tiro, solo Sosa rimase illeso. Egli allora invece di darsi alla fuga o battere in ritirata, si caccia nel bosco, e cinque minuti dopo ne sorte sano e salvo colla spada insanguinata.

Le prodezze di Sosa erano il soggetto del conversare d'ogni brigata in città, come del pari egli era il terrore del nemico.

Perciò il giorno 8 febbraio 1844, fu giorno di lutto per Montevideo. Essendo egli in tal dì agli avamposti, fu colpito come Turenne e come Brunswick da una palla di cannone; ma non cadde com'essi da cavallo, quantunque per la ferita perdesse quasi tutte le viscere. Scese a terra dicendo a' suoi soldati: «Io credo d'esser ferito.» Ma fatto accorto che non solo era ferito, ma ferito a morte; Amici, diss'egli, io mi muoio, ma voi, voi restate a difendere e salvare la patria.

La nuova ne giunse alla città quasi portata dal colpo di cannone che avealo ferito. Il ministro fu a vedere il morente, la cui faccia era appena suffusa d'un leggiero pallore. Al vederlo, sollevatosi alquanto, gli stese la mano, e gli diè conto dell'operato con una sì tranquilla serenità da non parere toccasse al suo fine. Ascoltavalo il ministro a capo chino, come quei che in Sosa perdeva non solo un de' più prodi capitani dell'esercito, sibbene uno de' suoi più teneri amici.

La voce di Sosa venne meno d'un tratto. Egli era morto. L'armata tutta vestì il lutto, non per comando, ma per potente bisogno del cuore; essendochè a ciascuno parea colla sua morte aver perduto un fratello o un amico.

A tanta virtù era poca la riconoscenza degli uomini, onde il governo non fe' che emanare il seguente decreto:

Ministero di Guerra e Marina
Montevideo, 10 febbraio 1844.

Il governo non dee ricompense a quei che combattono per la patria; essi non fanno che il debito loro; ma deve alla gloria nazionale l'onorare i nobili fatti a pro della Repubblica, eternando la memoria dei valorosi, e circondandoli della riconoscenza generale, che è la più bella corona dell'eroe.

Per tale motivo, memore che il colonnello Marcellino Sosa, morto il giorno 8 di questo mese, ha consacrato con eroica abnegazione tutta la sua vita al servizio della patria; ch'ei fu in guerra primo tra i prodi, in pace cittadino integerrimo; che in ogni tempo bene meritò della patria;

Il governo ha deciso e decreta:

Art. 1. Il primo reggimento di cavalleria della guardia nazionale prenderà in avvenire il nome di reggimento Sosa, e porterà queste parole nella sua bandiera: Marcellino Sosa, prode tra i prodi. La patria lo perdè l'8 febbraio 1844.

 

Art. 2. Non si provvederà mai al grado di colonnello di questo reggimento, in cui Marcellino Sosa figurerà come colonnello effettivo, dovendo la di lui famiglia toccare gli appuntamenti cui egli ha diritto, ed ove questa non li riceva in uniformità della legge del 12 marzo 1829, saranno devoluti alla casa degli invalidi dell'armata.

Art. 3…

Art. 4. Quando l'esercito che assedia la capitale sarà distrutto, la spoglia di Sosa sarà recata al luogo in cui fu ferito, e s'innalzerà alle spese del tesoro un monumento semplice che porti il suo nome, il giorno della sua morte e le sue estreme parole:

Compagni, salvate la Patria!
Firmato; Suarez;
Pacheco y Obes.

Il ministro della guerra disse le lodi del gran cittadino. Involto della bandiera del suo squadrone, Sosa fu chiuso nella tomba della famiglia Pacheco y Obes. Tra coloro che ne portarono la salma al sepolcro, era il colonnello Tajes, che dall'armata è ora tenuto in quel pregio che prima Sosa.

Sosa era un bell'uomo grande, robusto, eccellente cavaliere, d'una generosità eguale al coraggio. Cavalcava di solito un superbo cavallo nero, la cui bardatura era tutta d'argento. Nell'ora poi della pugna, si spogliava dell'uniforme, e rimboccate le maniche, impugnata la spada o la lancia lo avresti detto un eroe d'Omero, od un paladino del secolo di Carlomagno.

Così era egli circondato da degni e prodi soldati, avvegnachè ogni giorno dell'assedio di Montevideo sia una pagina di gloria per i capi degli assediati.

Ieri, era il colonnello Munnoz che con un pugno di ottanta uomini attaccava una posizione fortificata e 400 soldati i quali devono la libertà ai rinforzi sopraggiunti.

Oggi è il colonnello Solsona che con un battaglione resiste a tutta l'ala dritta nemica. Tra coloro che combattono sotto i suoi ordini, sono i tre suoi fratelli; l'uno de' quali, il capitano Miguel, ferito alla testa da un colpo di fucile cade per terra; ma rialzatosi afferra uno schioppo, e continua a battersi, quasi non fosse caduto che per raccogliere un'arma.

Domani, Lezica e Batlle che al Pantanoso con soli 300 soldati resistono a cinque battaglioni nemici.

Quindi il maggior Carro che con trenta dragoni attaccando trecento nemici, resta con vent'otto de' suoi sul campo di battaglia.

Poscia il colonnello Tajes che alla testa di ottanta uomini distrugge il secondo reggimento di Rosas; e il colonnello Vilagran, che nell'età di sessantacinque anni, alla testa di pochi cavalieri carica ogni giorno il nemico, sempre in numero quattro volte maggiore. Onde può dirsi a ragione che Montevideo sarebbe salva, se a tanto avesse bastato l'abnegazione e il coraggio.

Nel giugno del 1844, il generale Paz, chiamato al comando delle armi di Corrientes, lasciò Montevideo. Allora il colonnello Pacheco y Obes unitamente al ministero della guerra prese il comando delle truppe e giunse a dominare il nemico che in due brillanti fatti d'arme ei batteva.

Era quindi facile a credersi che la lotta toccasse al suo termine, e a ciò conseguire apprestavasi una battaglia finale, quando l'8 ottobre, un accidente imprevisto mutò la faccia alle cose, ed ebbero origine le sventure di Montevideo.

Sulla piccola squadra governata da Garibaldi, aveano, a di lui insaputa, cercato ricovero due disertori brasiliani. Ora l'ammiraglio del Brasile che avea nelle acque di Montevideo quattro corvette, senza previo riclamo, mosse verso la squadriglia orientale, con una goletta seguita da molte imbarcazioni. Giunto a tiro di pistola, gettata l'áncora, intimò si rendessero i due disertori, minacciando far fuoco ad un rifiuto.

Inteso un tale procedere, il ministro della guerra rese noto agli altri membri del governo: portarsi egli stesso a bordo della squadra a provvedere all'onor nazionale, rispondere di tutto, nè potersi transigere colle brutali esigenze del brasiliano. Ma venuto a bordo ebbe l'ordine dal governo di rilasciare i due disertori, e, cosa strana, un tale ordine gli fu intimato da un officiale d'ordinanza dell'ammiraglio brasiliano. Egli vi si rifiutò, e insistendo il governo, diè la sua dimissione, dichiarando ad un tempo che non lascierebbe il suo posto, se prima le forze nemiche non cessassero dal minaccioso contegno. Ritiratisi allora, Pacheco y Obes mise piede a terra.

Il governo accettava la dimissione del ministro della guerra, perchè antiche ire tra il colonnello e il generale Rivera veniano dagli amici di quest'ultimo suscitate, sì perchè le rozze maniere del primo aveano ferito alcuni membri del governo, e specialmente coloro che vili interessi moveano ad accostarsi a Rivera il quale, come dicemmo, facea getto del pubblico denaro.

L'armata, istrutta della dimissione del colonnello Pacheco y Obes, prese le armi e si ribellò. Per ben tre giorni fu un'ansia incessante in Montevideo di vedere l'orrendo spettacolo d'un governo rovesciato dalla forza militare. Pacheco y Obes che avea le simpatie del soldato, seppe resistervi, e sortito dal paese ritirossi a Rio-Janeiro. Egli rese immensi servigi alla sua patria, e fu de' più caldi alla difesa di Montevideo; l'odio che gli portano i nemici del paese, è un titolo incontestabile alla riconoscenza de' buoni cittadini.

Giunto al potere, era stato suo primo studio introdurre la probità nell'amministrazione, stabilire in principio i diritti della nazione ai sacrifici d'ogni cittadino, distruggere infine, coltone il destro dalle condizioni di Montevideo, le personali influenze, e sostituirvi l'imparziale impero delle leggi.

Intorno a lui avea fatta corona un'eletta di uomini nuovi zelanti d'amore al paese; onde venne meno il potere del generale Rivera, potere che riebbe alcuni momenti di vita alla caduta del colonnello Pacheco y Obes dopo la rivoluzione di aprile; ma che dovette cedere all'eccellenza del sistema dell'ex-ministro della guerra.

Nulladimeno, è duopo convenirne, il colonnello Pacheco y Obes spinse troppo oltre le sue idee di riforma, o non ne colse il tempo opportuno; poichè essendo Rivera il vero capo del partito nazionale, non doveasi attaccare la di lui influenza, nel momento stesso che durava la guerra contro il dominio straniero; ond'è che, lui caduto, ne nacque la divisione e lo scompiglio. D'altra parte l'estrema ostinatezza del carattere del colonnello Pacheco y Obes che mai non piegava a consigli, staccò da lui molti uomini egregi, che ebbero poi tanta parte alla sua caduta. Ma egli ebbe sempre l'amore del popolo e la riconoscenza del soldato in premio delle cure operose nel migliorarne la sorte.

Il ritiro del colonnello Pacheco y Obes segnò la decadenza della difesa. Avendo egli costituito un'autorità forte cui tutto cedeva e obbediva, questa, dopo lui, venne ad essere raccolta da uomini deboli, e mancò così quella mano potente che avea dato l'impulso alla pubblica cosa. La guerra si continuò allora fiacca, non vigorosa, lo stesso entusiasmo per la difesa venne meno, e per colmo di sventura, quattro mesi dopo l'armata di Rivera fu distrutta a India-Muerta.

Gli orientali erano allora soli all'impresa, e la nuova d'una tale sconfitta, che toglieva ogni speranza di trionfo, fu quasi un colpo di fulmine agli assediati.

Il ministero che in tali frangenti si fè attorno al vecchio presidente Suarez era composto di Vasquez, di Bausa, e di Santiago Sayago. Mosso da nobile inspirazione, smessa ogni idea di una capitolazione, che pareva inevitabile, fè un appello all'armata, ed esposto lo stato delle cose, le ordinò di combattere o morire.

«Noi non possiamo scendere a patti col nemico, diceva la nota officiale al comandante, e noi dobbiam dunque, se non puossi la nazionalità, salvare almeno l'onor del paese.»

Scosso l'esercito a queste parole, comprese ciò che doveva alla patria, e si accingeva ad una battaglia estrema, disperata, quando i legni, che recavano la nuova dell'intervento anglo-francese, gettarono l'áncora innanzi a Montevideo. Gli incaricati delle due nazioni instavano presso il governo a procrastinare, impegnando la fede, che la Francia e l'Inghilterra non domandavano che il tempo necessario ad imporre ed esigere la pace da Rosas; che nel caso d'un rifiuto del dittatore, Montevideo avrebbe le due nazioni alleate.

Il governo si arrese, e l'armata rientrò nei quartieri, e da quest'epoca, 5 aprile 1845, la Repubblica orientale aspetta indarno si compiano le fatte promesse.

Per ben cinque volte fu presentato a Rosas un ultimatum con minaccia di annientarlo ove si ponesse sul niego; altrettante egli rispose con maggiore insolenza. Un tale insulto non fu vendicato, e la Repubblica orientale, costretta all'inazione, sfinita da inutili e lunghi sacrifizi, ha toccato l'estremo delle sventure politiche e della miseria privata.

Egli è vero altresì che al primo rifiuto di Rosas le potenze mediatrici risposero con fatti che accennavano alla volontà ferma di proteggere Montevideo. Le forze anglo-francesi penetrarono nel Paranà, Buenos-Ayres fu stretta di blocco, Rosas fu battuto ad Obligado dagli alleati che si internarono nel Paraguay.

Si soccorse anche con mezzi al governo orientale, che richiamato Pacheco y Obes al comando dell'esercito, erasi posto in grado di riprendere vigorosamente la guerra. Già prima d'ora una divisione agli ordini di Garibaldi e di Batlle veniva mandata ad occupare Colonia, e fortificare il Salto, posizione importante, che, per essere vicina alle frontiere del Brasile, era un punto d'appoggio e di rannodamento agli emigrati, un migliaio dei quali aveano a poco a poco ingrossate le file dell'armata nazionale.

Invano il nemico tentò con ogni mezzo scacciare Batlle dalla Colonia, Garibaldi dal Salto, il numero cesse al valore.

Stretto da tutta l'armata d'Urquisa avanti di essersi fortificato, Garibaldi sostenne per ben sei ore un attacco in cui 4000 uomini irruppero disperatamente contro 500 soldati, e vennero con perdite enormi respinti. Mosse più tardi Servando Gomez all'assedio della città. Ma Garibaldi, anzichè aspettarne l'assalto, veniva di continuo ad attaccarlo, ed ogni sortita era per lui una vittoria. Da ultimo ebbe luogo il celebre fatto di S. Antonio, in cui 200 Italiani stettero a fronte in aperta campagna contro 1200 soldati di Servando Gomez, tra' quali contavansi 500 fanti. Abbiamo già tenuto parola di questa giornata, in cui dopo cinque ore di combattimento Garibaldi perdeva la metà delle sue forze, e il nemico 400 uomini. Padrone del campo di battaglia dopo un'ora di sosta e di disfida, si ritirava con tutti i feriti al Salto. In premio di tanto valore, la legione italiana ha la dritta nell'armata orientale.

In quel torno il governo innalzava al grado di generali Pacheco y Obes e Garibaldi, che sdegnosi di ricompensa, piegarono ciò nondimeno alla volontà degli amici.

Intanto Pacheco y Obes dava opera alla riorganizzazione dell'esercito, e dividealo in due corpi; era scopo dell'uno vegliare alla difesa di Montevideo; egli alla testa dell'altro tener la campagna, unirsi a Garibaldi, e reggere la somma della guerra. Sventuratamente Rivera tornò a Montevideo; la rivoluzione d'aprile 1846 scoppiò, per cui Pacheco y Obes chiesta la sua dimissione ebbe a successore Rivera.

Il quale partito per la campagna, ottenne sul bel principio felici successi: ma si trovava alla testa di un'armata che avea rotto ogni vincolo di disciplina, e di cui un battaglione si ribellava al primo sinistro. Egli volea disarmarlo; era appunto il momento che il nemico movea grosso a vendicare le toccate sconfitte. Rivera non accettò la battaglia, e s'internò nel paese; fu di bel nuovo battuto, riparò a Maldonado; e in tal modo vennero meno la preconcette speranze di salvare il paese.

La rivoluzione d'aprile fu l'ultimo lampo della popolarità di Rivera; l'ultimo tentativo de' suoi partigiani è la sola macchia della difesa di Montevideo, poichè in quel giorno nefasto si sparse il sangue dei più generosi propugnatori della Repubblica.

Le terribili scene del capitanato del porto lascieranno una ricordanza indelebile a Montevideo. In uno di questi tumulti, il colonnello Giacinto Estibao venne assalito da 800 ribelli. Egli non era uomo da arrendersi e lottò per due ore. Tutti i suoi fidi gli caddero al fianco, ed ei restò solo con un aiutante di campo. Allora, grondanti sangue dalle molte ferite, guadagnarono un terrazzo, ove dopo una resistenza inaudita, disperata, ambedue furono uccisi.

Estibao veniva a buon diritto tenuto in conto tra i più begli ingegni della Repubblica Orientale. Giovane, prode, scrittore elegante, di ottimo cuore, d'una fede inconcussa nel bello e nel buono, eran per lui nomi vani la doppiezza, la menzogna, il tradimento. Egli era fratello d'armi al generale Pacheco y Obes. Nella lotta che per lui fu l'estrema, gli ammiragli francese ed inglese lo persuasero, onde salvarlo, a lasciare il suo posto, essendovi a poca distanza un distaccamento di 300 marinai delle due nazioni. Ma Estibao rispondeva: «il generale mi troverà vivo o morto al posto che mi ha assegnato.»

 

Quando più non gli restavano che 8 soldati superstiti, uno di questi avvicinatosi a lui, colonnello, gli disse, noi non possiam più resistere. Allora egli, comecchè già avesse rotto il braccio diritto, afferrata colla mano sinistra la canna della sua pistola, schiacciò col calcio la testa a quest'uomo che non sapeva, che quando non si potea più resistere, bisognava morire.

Si pianse pure in quel giorno a Montevideo la morte del maggiore Bedia, giovane di belle speranze, prode officiale, che, le ore tolte alla guerra, consecrava allo studio; talchè all'età di 24 anni potea dirsi matematico eccellente.

Egli avea cinque fratelli tutti soldati. Il maggiore, Gioachino, era luogotenente colonnello, e comandava in secondo l'artiglieria orientale alla battaglia d'Arroyo-Grande.

Allorchè sinistrarono le sorti della giornata, gli artiglieri volsero in fuga. Condottogli da un soldato il cavallo, invece di profittarne, lo ferì della spada. Il cavallo, strappato il freno, fuggì mandando per dolore acutissimi nitriti. Allora, come l'infanteria nemica irrompeva a masse compatte, fattosi presso ad un cannone ancor carico, vi mise il fuoco, e tirò così l'ultimo colpo della giornata. In quel punto egli cadeva di venti colpi di baionetta.

Gli altri quattro superstiti fratelli hanno fama di prodi e intelligenti ufficiali. L'un d'essi comanda uno squadrone d'artiglieria a Montevideo.

Nello stesso giorno la Repubblica perdeva pure il capitano José Batlle, fratello del colonnello, giovane di merito sommo.

16Maldonado è una delle città che si trovano nel territorio della Repubblica Orientale, ed ha porto di mare come Montevideo che ne è la capitale.