Я в Петербурге умереть хочу… Стихи о любви к Восточной Европе и матушке России

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Я в Петербурге умереть хочу… Стихи о любви к Восточной Европе и матушке России
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Я в Петербурге умереть хочу…

Стихи о любви к Восточной Европе и матушке России

Алессандро Далль’ Ольо

Рисунки: Памятник Отечеству в Волгограде, статуя Георгия Волкова, сохранившаяся на некатолическом кладбище в Риме, то есть кладбище Тестаччо или художников и поэтов Рима.



© Алессандро Далль’ Ольо, 2023



ISBN 978-5-0055-7807-5



Создано в интеллектуальной издательской системе Ridero



Алессандро Далль’Ольо



Я в Петербурге умереть хочу…



Стихи о любви к Восточной Европе и матушке России.



Alessandro S. Dall’Oglio



Voglio morire a Pietroburgo…



Poesie d’amore per l’Europa Orientale e la grande Russia.



Статуя Георгия Волкова, сохранившаяся на знаменитом



Hекатолическом Kладбище в Pимском районе Тестаччо



Памятник Отечеству в Волгограде



Эта книга посвящена всем территориям Восточной Европы и великой России, наполненным красотой, историей, культурой и чудесами.



Questo libro è dedicato a tutti i territori dell’Europa orientale e della grande Russia, straripanti di bellezza, storia, cultura e meraviglie.



Prefazione

Prof. Corrado Veneziano

Erodoto scrive che «viaggiare» significa una cosa precisa: andare a Est.



Per il più antico e fascinoso storico dell’età classica, a Est ci sono i territori che più di tutti gli altri meritano di essere guardati: che portano nuove «storie», e nuove «teorie», e nuovi «teatri»: tre termini che contengono la stessa radice etimologica: «guardare».



Alessandro S. Dall’Oglio ha molto viaggiato a Est, e ha guardato-visto-ammirato (preso «di mira») oggetti, soggetti sensazioni; e subito dopo ha «scritto». Scrivere: il tentativo più complesso, analitico e articolato di restituire ad altri (e fissare per altri, che forse mai incontreremo) ciò che si è visto e meditato.



Per Alessandro, l’Est comincia con la mitologia dell’antica Grecia. E dunque dalla «visita» (un doppio vistare, con i suoi occhi e con il suo viso. Qui (nel suo vagare fantastico) si intrattiene in conversazioni dense e allo stesso tempo effimere persino con Psiche. Qui Alessandro è felice, e dunque celebra un momento puro, un attimo astratto e corposo, consegnandolo (consegnandosi) all’assoluto, finanche alla morte.



Alessandro S. Dall’Oglio vuole viaggiare a Est, e vuole vagare intensamente nella Città del (dove nasce il) Sole: il luogo più adatto alle sue ultime giornate di esistenza. Una città necessaria, in cui la purezza delle forme si concilia con quella delle idee e delle geometrie dei luoghi. Qui (tra utopie,

u-topoi

, e altre astrazioni), Alessandro trova una dimensione soffice e leggera in cui poter percepire, con meno angoscia, quel destino che ci rende transitori, viaggiatori, finiti.



È un Est puro, quello di Alessandro, ma è anche un Est immanente, storico, che ancora soffre ed esibisce le ferite di cui (come ogni territorio, nelle foreste del suo passato) è stato artefice e vittima: è l’Est di Auschwitz in cui non si vede la luna («o si è vista soltanto a metà, mai piena, semmai vuota e buia, nell’angolo inverso; o forse si è intravista da troppo lontano o percepita senza il tempo»), ed è l’Est delle Grandi Guerre che mostrano ancora la nostalgia verso un equilibrio statale (e psicologico) ormai non più proponibile (superato? cancellato? rimosso?): un nome per tutti a testimoniarlo, Marienbad.



E l’Est è anche contemporaneamente Sud-Est, laddove (nel giardino di Silistra) le stratificazioni di resti, tracce, archeologie, mettono in luce l’età romana e quella Tracia. La geografia si fa storia; il ritmo dei polsi fa da sponda a quello dei baci, e tutto questo, sapientemente orchestrato diventa poesia: «forse sarà nel giardino del Danubio, dietro o sotto gli alberi castani. Penso che avverrà a Silistra che attraverso l’ostacolo udirò una voce soave, la riconoscerò come tua». E ancora: «ascolto i polsi tremare muti e sogno l’attesa di te mio amore accompagnata dai baci nel giardino».



Tra Est e Sud Europa tutto è mobile e dialettico, e all’interno di ogni fluttuazione c’è ovviamente un fiume (culla sempiterna di ogni primo insediamento). E qui, in questi luoghi, il fiume privilegiato è – anche – il Danubio: quel «Danubio, che forse non è più blu» e ci ricorda «quando ci trovavamo tra bosco e rupe, sottosopra, e tutto era leggero, facile rovistare tra le nuvole sparse…”. Ed è sempre il Danubio, in un’altra poesia, a parlarci di quel «cemento armato che scalfiva le dune, nei ricordi di innocenti paesaggi, ormai dispersi», forse perché «troppi sogni maturi hanno ribaltato le verità, dei coscienti».



E il Danubio nel suo viaggiare e vedere evoca (invoca? dà voce? ad) altri fiumi, e tra questi il più ampio, ingombrante, presente Volga che «nessuno osa fermare o affrontare». E Alessandro S. Dall’Oglio paradossalmente però l’affronta; ci dialoga, gli parla: in un colloquio che rende paritari osservatore e osservato. In cui è la poesia che conversa in modo amichevole e saggio con il flusso universale che il Volga testimonia: «hai visto guerre e paci, principi e altri sovrani. Col tuo ritmo hai respinto il vile invasore, che non si è immerso a battezzo in Te, ma tu lo hai ricoperto per tre volte sprigionando portata di maggio: Madre Volga, Padre Volga».



Non ha remore, Alessandro, a parlare di Madre, di Padre, perché da essi la vita sboccia e verso essi ritorna, tornando ancora una volta a sovrapporre viaggio-piacere-estasi-morte: giacché il viaggiare è anche la ricerca di un punto estremo in cui assopirsi e placarsi, in cui immaginare un futuro senza un dopo: una dolcissima stasi assoluta.



Tutto questo Alessandro lo cerca tra smarrimenti, fughe, ritrovamenti. E, tra i tanti (tantissimi luoghi che fanno ricco l’Est), compare Praga, a ricordargli che «trovare e perdere fossero contrari». Ma poi «conobbi Praga, sintesi e scissione. Mi accorgo solo adesso che sbagliavo, perché trovare è sinonimo di perdere. Ci siamo trovati per vivere subito persi».



Insomma luoghi, città, villaggi nazioni. E poi quartieri, vicoli, laghi, corsi d’acqua. E inevitabile, gli approdi possibili sono forse due: da un lato un luogo purchessia che gli consenta di vivere, come lui scrive, «percorsi semieterni», scortato da «tramonti e albe», in cui non temere «cambi», «bagagli ben ricolmi di speranze intrecciati a sogni rigidi quanto l’inverno»: in cui poter essere apolide, «cosmopolita». E in cui «nessuna carta di soggiorno potrà mai schedarti».



Dall’altro lato, tra tutti gli infiniti luoghi

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