Benissimo!
Marmo autentico!
Non si muova. Farò un capolavoro.
Senza macchina, non è vero?
Ma con qualche cosa d'invisibile che mi consentirà di presentarle tra un istante la sua immagine ben fissata sulla carta... del mio cuore. Ferma! (Le volge le spalle e si allontana solennemente. Indi si arresta di botto.)
Perchè mi volge le spalle?
Lasci fare. È pronta?
Pronta.
(Si dà tre pugni sullo stomaco, e subito si volta. Con la cortesia stereotipata dei fotografi di professione, accenna un inchino.) Grazie.
E la mia immagine?
È già riprodotta nel mio cuore. (Cava un ritratto da una saccoccia della coda del frac e glielo porge.) Questo è il suo ritratto.
Lei il cuore ce l'ha nella coda del frac?
Ce l'ho un po' dovunque, signora.
(mirando il ritratto) Mi somiglia pochino, ma sono sbalordita lo stesso.
E non è tutto. Quante copie ne desidera? Dodici? Venti? Cinquanta? Cento?
Faccia lei.
Cento copie a sua disposizione.
È il prodigio dei prodigi! Il suo nome diventerà mondiale.
Mio Dio... lo è da tanto tempo!
A proposito: come si chiama?
Non lo sa? Mi chiamo Armando Falconi.
Il marito di Tina di Lorenzo?
Proprio lui!
Ma se sono io Tina di Lorenzo!
In verità, me n'ero accorto.
Sicchè, lei è mio marito?
Glie lo giuro!
Scusi tanto che non l'avevo riconosciuto.
Non se ne preoccupi. Sono cose che accadono.
E le cento copie?
Non c'è che da cercarle in tutte le saccocce della mia esistenza. Senonchè, non capisco che ne farà di tante copie.
Voglio offrirle a queste indulgenti signore e signorine, affinchè si ricordino di Tina di Lorenzo e affinchè sappiano bene che il ritratto d'una donna può essere infedele... come un marito...
Protesto!
Non si dia pena... Tutti sanno che un marito può essere fedele se è (indica Armando)... un originale.
(Applausi prolungati. Alle signore e alle signorine vengono distribuiti i ritratti di Tina di Lorenzo.)
rappresentato per la prima volta al teatro Argentina di Roma nel 1905.
Salvatore
Graziella
Francesca
Uno stambugio: non lurido, ma sguernito. Un letto di ferro per due, con i cuscini puliti e una coperta decente. Una tavola di legno grezzo. Un paio di sedie. Una panchetta. Una credenza. Qualche altra suppellettile indispensabile. In mezzo alla stanza: un gran braciere, spento. Un piccolo crocifisso a capo del letto. Niente altro ai muri e niente sulle scarse suppellettili. Si ha l'impressione del vuoto e del freddo. Una sola porta a due battenti in fondo, la quale dà in un vicolo recondito. In uno dei due battenti è praticato un alto finestrino angustissimo, per cui non può passare neppure una testa. Ha una griglia di ferro come se fosse il finestrino d'un carcere e uno sportello di legno. La porta e il finestrino sono chiusi. È notte. Lo stambugio è nel buio fitto.
(avvolta in uno scialle, dorme supina sul letto. Nell'oscurità sembra una morta.) (Dopo un po' di silenzio, giunge, lento dalla strada, il canto «a dispetto» d'una comitiva di nottambuli sinistri.)
Tu stai dormendo
e non lo sai che noi stiamo svegliati,
e siamo dieci
a cantare per te che ci hai lasciati.
Che ci hai lasciati.
(si sveglia, erge il torace, rabbrividisce, e mormora:) Maria Vergine! (Silenzio. Poi di nuovo il canto.) (Ella, immobile, ascolta.)
Ti sei scordata
che quando stavi al vicolo Schiavone
noi passavamo
e ci chiamavi tu, dal tuo balcone.
(alzando il tono per farsi sentire, dice strascicatamente:) Questa è una porta che non si riapre più.
(piano, come se la persona che ha parlato le stesse vicino) Possiate morire in galera!
Uno solo è il santo che sa fare il miracolo.
E il santo che lo sa fare questo miracolo... sta venendo.
(tra sè) Deve essere Salvatore che viene. (Allibita) Se gli dicono qualche cosa, che accadrà?! (In fretta, scende dal letto, a tentoni cerca sulla credenza un piccolo lume di ottone, lo accende, corre al finestrino, lo apre un poco e spia.) Si allontanano... (Rassicurata) Madonna mia cara, ti ringrazio! (Chiude lo sportellino, si accerta che è ben chiuso, e resta intenta, aspettando il segnale di Salvatore.)
(animandosi molto) È lui! è lui! (Aspetta ancora.)
(Si ode un'altra volta lo stesso fischio più vicino.)
(si affretta ad aprire la porta.)
(comparisce.) (Cappello a cencio e giacca col bavero alzato.)
(gli si aggrappa addosso come una bambina.)
Sono stato così in pensiero! È una notte come non me ne ricordo. Non sembra di stare a Napoli. C'è un'aria di ghiaccio che intirizzisce le midolla. E sapevo che tu non avresti potuto comprare nemmeno un poco di carbonella... come, pur troppo, non ho potuto comprartene io.
Verso il tramonto, me ne ha regalato uno spizzico il tavernaio qui accanto. Per un'oretta mi sono riscaldata. Ma poi...
Ti ho pregato di non accettare mai regali da nessuno.
Soffrivo tanto! Ho dovuto accettare. Ma guarda la cenere nel braciere: era proprio uno spizzico. (Un silenzio. Va per chiudere la porta. Sporge la testa fra i battenti) Salvatore...
Che è?
Comincia a nevicare.
(gettando via il cappello) Vorrei che facesse tanta neve da seppellirci! (Siede.)
(gli si accosta affettuosamente) Mi avevi promesso di avere coraggio.
Dove lo trovo più il coraggio? Sono stato licenziato.
Che mi dici?!
Questo ti dico. Alle dieci di stasera, chiudendo il negozio, il signor Alberto mi ha fatto sapere che s'era provveduto d'un altro contabile.
È una canaglia.
Non è una canaglia, no. Il mese scorso, mi dette due mensili in anticipo, e me li ha condonati. Perchè canaglia? Chi paga ha il diritto di essere servito; e io non ho saputo servirlo. La volontà non basta. Si ha da avere l'abitudine al lavoro. Ero arrivato sino all'età di trentaquattro anni stando fra le case di malaffare, dove ti ho conosciuta, e le case da giuoco, e non m'era mai passata neppure per l'architrave del cervello l'idea di lavorare. Giuocavo con astuzia e avevo anche fortuna; e così mi trattavo da signore e non avevo bisogno di nessuno. Ma abbiamo voluto liberarci tutti e due da questa bella roba, che intanto non ci metteva dinanzi la faccia della miseria, e adesso divertiamoci a fare la guerra senza fucili. Ci siamo già ridotti in questo canile; e finiremo sul lastrico della strada.
Vedrai, invece, che a poco a poco...
Chi è fatto di gesso non diventa di ferro. Mettiti bene in mente che io non sarò mai buono a guadagnarmi un soldo col lavoro.
Sei tanto istruito. Sei stato a scuola. Mi dicesti che sei stato perfino in un collegio, lontano da Napoli.
Perbacco se ci sono stato! Ed ero il primo della classe, come suol dirsi! Un portento! Un fenomeno d'intelligenza! I maestri, per non farmi troppo insuperbire, mi ammonivano: «dovete ringraziare il babbo che vi ha dato tutto questo ingegno». E siccome mia madre mi aveva lasciato credere che un padre lo avevo avuto sul serio e che era morto prima che nascessi, io... gli spedivo i ringraziamenti in paradiso. Già!.. E che medaglini sul petto!.. Che uniforme stringata! (Ride con amarezza) Eh eh!.. Un collegio di nobili, ti dico, perchè lei... li aveva i quattrini per farmi stare insieme con i figli dei galantuomini. Quella poveretta ci aveva pensato ad attaccarmi addosso la scorza del galantuomo. Il sangue me lo aveva dato cavandolo dalle lordure più ributtanti; ma la pelle, ah! la pelle me la voleva fare con l'oro di zecchino.