Un camerone bislungo che va un po' restringendosi in fondo. C'è nell'ambiente qualche cosa di claustrale. Le pareti sono bianche e nude. L'alto soffitto è a volta. A destra, una prima porta su cui è scritto: Direzione; e, a sinistra, dirimpetto a questa porta, un corridoio che s'interna nell'edifizio. Poi, un'altra porta a ciascuna delle due pareti laterali. L'angolo sinistro del camerone è tagliato dall'ampio vano ad arco d'una scala che discende. Nel centro della parete di fondo è un largo finestrone dal parapetto basso. Oltre un tavolino di noce che è sul davanti, verso il lato destro, e poche seggiole solide e pulite, nessun'altra suppellettile interrompe quella nuda e serena semplicità. Dal punto mediano della volta pende un ferro che sostiene una sola lampada elettrica sotto un cupolino di porcellana. Una più piccola lampada è nel vano della scala. Un'altra dinanzi all'uscio della Direzione. La chiavetta della luce è alla parete in fondo, presso il vano della scala.
(È il vespero. Le lampade sono spente. Il camerone è nella penombra. Dalla grande finestra aperta si vede, come un quadro in una cornice, il profilo di qualche casa, di qualche terrazza, di qualche campanile, sull'orizzonte che va abbuiandosi e il luccichio tremulo delle prime stelle. Con le spalle voltate alla finestra e poco da essa discoste, sono sedute, formando quasi un semicerchio: Suora Elisabetta, che è una monaca senza connotati speciali; la marchesa Antonucci, che è una signora sui quarantacinque anni dallo aspetto molto signorile; la signora Gilberta Mirelli, giovanissima, esile, con un viso pieno di soavità, vestita a lutto; Adalgisa, dall'età un po' incerta tra i trenta e i trentacinque anni, dall'aspetto ambiguo, ora gaio ed ora malinconico, vestita un po' in disordine, ma non senza una certa grazia bizzarra; Donna Sofia, una vecchia nitida e atticciata dai capelli bianchissimi; Faustina, che indossa una veste grigia arieggiante un'uniforme; e UNA VECCHIETTA decrepita, raccorciata e magra, col dorso curvo, avvolto in uno scialletto nero.)
(Suora Elisabetta sta nel mezzo della schiera, e la sua cuffia monacale biancheggia nella penombra fra le due ali del semicerchio. Ella presiede, fredda, impassibile, quasi macchinalmente, la piccola adunanza, per le preghiere della sera. Il rosario è stato già recitato; ed ora le litanie sono al termine. La sua voce monotona propone. Le voci delle donne raccolte intorno a lei monotonamente rispondono a coro.)
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi…
Parce nobis, Domine.
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi…
Exaudi nos, Domine.
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi…
Miserere nobis.
(Tutte si fanno il segno della croce e si alzano. Soltanto la VECCHIETTA disseccata e curva resta seduta.)
E anche stasera ci siamo lavata la coscienza.
(volta la chiave della luce elettrica. Le tre lampade rischiarano discretamente il camerone. Poi, ella si avvicina alla Vecchietta e le offre il braccio. L'aiuta ad alzarsi e con lei, piano piano, infila il corridoio.)
(a Faustina, che sta per prendere la sedia di lei:) Questa è sedia di mia pertinenza.
(Donna Sofia trascina la sedia sua, a cui sono legati due cuscini che gliela rendono più comoda, fin proprio sotto la lampadina che pende dalla volta, e lì si ferma e siede. Cava fuori un giornale, inforca gli occhiali, si mette a leggere. La Mirelli trascina una sedia qualunque e siede presso il tavolino, su cui sono una scatola e un mucchio di strisce ricamate. Ne cerca una, e continua a ricamare. Faustina, servizievole, accosta al tavolino una seggiola per la Marchesa Antonucci e le altre seggiole ai muri. La MARCHESA prende posto quasi dirimpetto alla signora Mirelli. Ripiglia un libro che aveva lasciato sul tavolino e comincia a scorrere qualche pagina tenendo agli occhi le sue lorgnettes col manico dorato. Adalgisa si è affacciata al finestrone e si allunga, si torce, si volta e si gira per guardare fuori qualche cosa.)
(torna dal corridoio, e, con passo svelto, si avvia verso la scala.)
Avete fretta, suora Elisabetta?
Ho da fare, giù, al primo piano.
Volevo mostrarvi la telegrafia che organizza a quest'ora una nostra vicina.
Non andate a guardare, suora Elisabetta!
(senza intendere) Ma che è?
Non è mica il diavolo. È una bella ragazza che dal suo terrazzino fa il telegrafo dei fiammiferi con un giovanotto dirimpetto.
Avete buon tempo, signora Adalgisa. Per cento anni! Per cento anni! (Va via per la scala.)
A due passi di distanza da un ospizio come questo, è uno scandalo!..
(divertendosi della collera di Faustina, ride e la stuzzica) Come portinaia dell'ospizio, voi potreste ricorrere alle autorità contro quella ragazza.
Io ricorrerei contro quell'impostore del giovanotto! Avete capito?
(continuando a stuzzicarla) Ditelo, ditelo a donna Sofia ciò che ne pensate degli uomini.
Ciò che io penso degli uomini, se non temessi d'essere udita dalla signora Giulia che è qui accanto a far l'infermiera alla Ferrucci, lo griderei a voi con parole rotonde così! (Fa il gesto.)
(levando un po' gli sguardi dal giornale) Ma proprio non vi vanno a genio gli uomini?
(con una smorfia di ribrezzo) Maria Santa!.. (Scappando via per la scala con le mani in alto) Alla larga! Alla larga!.. Libera nos, Domine!
(con un languore di noia, facendo cadere il libro sul tavolino e guardando con le lorgnettes la signora Mirelli) Più veloci del solito, stasera, le vostre dita di fata.
Vorrei terminare questo ricamo, marchesa, prima di lasciare l'ospizio.
Domani la partenza?
Sì, nel mattino. Sono aspettata a Roma dall'avvocato che mi ha fatto recuperare il piccolo patrimonio del mio povero Ferdinando.
(sospirando) Non più indigenza per voi!
Non sarò ricca, ma il beneficio di questa casa non mi spetta più.
Voglio regalarvi, per mio ricordo, un prezioso pizzo d'Inghilterra. È l'ultimo avanzo… dei miei tempi felici! Lo accettate?
Siete molto buona, marchesa… Ma perchè privarvene?
(con tristezza) Per me, oramai!.. Voi state per riavvicinarvi al mondo; mentre io so bene che non uscirò mai più da questa prigione dello spirito. (Mutando) Desidero che del mio pizzo sia guernito il primo abito da festa che dovrete indossare.
Io mi ritiro in campagna, marchesa, e indosserò l'abito nero finchè campo.
(alzandosi) Chi lo sa! Avete ventidue anni. È ancora l'età degli equivoci sentimentali.
(con tranquillo e semplice convincimento) Oh no! Per me, equivoci non ce ne sono.
(sorridendo d'incredulità) Vedrete, vedrete! Torno sùbito. (Esce per la seconda porta a destra.)
(dal finestrone, vivacemente) Donna Sofia!
Che volete?
Stasera, oltre i fiammiferi, abbiamo anche una candela accesa.
(senza levare gli occhi dal giornale) Candela accesa, amore che consuma.
(entra dalla porta a sinistra. Indossa un abito severo, ma garbato, quasi grazioso. – Negli occhi una cupezza di mistero. Il viso un po' emaciato. Sulla fronte come una luce di alterigia. – Appena entrata, si ferma. Nessuna delle tre donne la vede. Ella guarda più specialmente la signora Mirelli, che le volge le spalle. Atteggia le labbra a una vaga sorridente dolcezza, e, pian pianino, senza farsi sentire, le si accosta, le mette le mani sugli occhi e, cangiando un po' la voce con grazia affettuosa, domanda:) Chi sono?
(si volta, si alza e tace per non guastare il giuoco.)
(si volta anche lei, e tace e aspetta.)
(senza esitare, risponde) La nostra benefattrice, il nostro angelo…
Niente, niente!
La nostra direttrice…
Nemmeno.
L'amica nostra, l'amica mia…
(togliendole le mani dagli occhi) Ora sì.
(alzandosi) Cara!
Felice sera, signora Giulia!
State comoda, donna Sofia. Non interrompete la lettura del vostro giornale.
Grazie! (Per condiscendenza si rimette a leggere.)
(alla signora Mirelli:) E restate seduta anche voi, piccina mia.
Ma no. Avevo finito.
(avanzandosi gaiamente) Voi mi direte che vi ho già baciate le mani venti volte da stamattina, ma i baci dati… sono sempre perduti! Io ve le voglio ribaciare. (Le piglia le mani quasi a forza e glie le bacia.)
Eccola qua la rosa d'ogni tempo!
(indicando la Mirelli con affettuoso rancore) Ma a voi piacciono di più i salici piangenti.
(carezzando i capelli della signora Mirelli) Poverina! Non si distacca mai dal suo dolore questa piccola silenziosa.
Come farete quando sarà andata via la vostra prediletta? Sembra che per respirare abbiate bisogno del suo respiro.
(celiando) Gelosa!
(con enfasi sinceramente malinconica) «Amore e gelosia m'hanno il cor tolto!..» (Poi, di nuovo in tono allegro e chiassone) Addio, addio! Per questa sera vi lascio tutta a lei. (Tornando di corsa al finestrone, dà una strappata al giornale che donna Sofia ha in mano, sicchè questo casca a terra.)
Siete stata battezzata col pepe, voi! (Raccoglie pazientemente il giornale.)
Mi credete, signora Giulia, se vi dico che avrei preferito di continuare ad essere poverella per rimanere con voi?
Io vi credo.
E mi terreste come vostra segretaria, come vostra collaboratrice? Con quel po' di quattrini che liquido, potrei contribuire a mantenere questa casa di consolazione.
No, creatura mia buona. No! (Sovraeccitandosi dolorosamente) Io sola devo mantenerla, perchè soltanto a me è veramente necessaria. Io sola devo alimentarla. Io sola, io sola devo amarla più di ogni altra cosa al mondo, perchè a me null'altro è concesso!
(ritornando con fra le mani un merletto) Finalmente ho trovato… Oh! la signora nostra è qui.
Un merletto?!..
Un regaluccio per la signora Mirelli. Come un nastrino da mettere al collo della colombella che sta per prendere il volo. (Lo porge alla Mirelli.)
(prendendolo) Che ho da dirvi? Vi sono grata.
(a Giulia) Io le ho augurato di potersene adornare un abito da festa.
(con meraviglia e curiosità, alla Mirelli) Un abito da festa, voi?!
(con un sorriso gentile, si stringe nelle spalle e posa il merletto sul tavolino.)
(in tono d'allarme scherzoso) Signora Giulia, vi denunzio Faustina! Profitta della penombra per discorrere in istrada con un uomo! E poi finge di essere stata sempre… astemia.
Poveretta! Starà a fare quattro chiacchiere con Don Lorenzo il farmacista.
Nossignora! Don Lorenzo ha tanto di pancia, e quell'ometto lì non ne ha punto. Zitte! Zitte!.. L'ometto resta davanti alla portineria, e Faustina viene su. E come corre! Si arrampica per le scale coi piedi e con le mani.
(con un'espressione di meraviglia e di fastidio) Chi può essere a quest'ora?!
(dalla scala, con la sua voce pettegola) Gesù! Gesù! Se quello non è uscito da un manicomio, io voglio perdere un occhio! (Entra tutta scalmanata.)
Che c'è, Faustina? Che c'è?
Un pazzo, signora mia! Un vero pazzo!
Ma che dici?!
(Tutte circondano Faustina per ascoltarla.)
Ero a prendere una boccata d'aria fuori del cortiletto, perchè, dentro, quest'afa di caldo non mi faceva respirare, quando un giovane ben vestito, a una certa distanza, si è messo a gironzarmi intorno. La strada era solitaria, la notte calava, ed io cominciavo ad aver paura.
(ansiosissima) Ebbene?
Figuratevi l'impressione mia nel momento in cui quell'individuo mi si è avvicinato. Aveva gli occhi che parevano di fuoco e la faccia che anche all'oscuro si vedeva ch'era più bianca della carta. «Ohe, chi volete?» – gli ho domandato sùbito, scansandolo. E lui, con la voce che gli tremava nella gola, ha balbettato: «Si può vedere la signora Artunni?» «Sono più delle otto – gli ho risposto io, pronta a non dargli quartiere – : è difficile che la Direttrice vi riceva. Essa può farlo quando vuole, s'intende; ma io le conosco le sue abitudini. Qui, le ore del parlatorio sono da mezzogiorno alle due, e anche lei, per dare il buon esempio, soltanto in queste ore riceve».
(profondamente turbata) E lui?!..
Signora mia, io non ci ho capito niente. Prima si è appoggiato al muro come se avesse avuto un colpo di mazza in capo; e poi, appena che ha preso fiato, un poco a pregarmi che corressi da voi, un poco a scongiurarmi per non farmici venire, e tanto si torceva, tanto smaniava e così pieni di lagrime aveva gli occhi, che, credetemi sulla parola, (commossa) per la prima volta da che campo… un uomo mi ha fatto pietà!
(mal celando l'angoscia e l'impazienza) Ma il suo nome non glie lo hai domandato?
Si chiama Sarnieri… Varnieri… Poco o niente me l'ha fatto sentire. Ma insomma somiglia al casato di quella signora che viene a trovarvi qualche volta.
(impallidendo, trema dentro, e rivolgendosi alle donne cerca di dire qualche cosa per mostrarsi disinvolta.) Deve essere il dottor Luciano Marnieri: un discepolo di mio marito. Egli è figlio precisamente… di quella signora con cui sono in rapporti d'amicizia…
Quella signora coi capelli grigi, che ha un'aria così buona?
Sì… Che suo figlio, tornando a Napoli dopo cinque anni d'assenza, abbia avuto il pensiero di farmi una visita, me lo spiego perfettamente. Quello che non mi spiego è questo suo contegno… Del resto, tu, Faustina… gli confermerai, con cortesia, la risposta che già gli hai data.
(resta incerta, interrogandola con gli sguardi un po' pietosi come per ottenere un ordine diverso.)
(un po' duramente) Va, Faustina.
Vado. (Esce.)
(riafferrandosi, con vivacità eccessiva, alle occupazioni dell'ospizio) Ma, a proposito!.. Faustina ha detto che sono più delle otto, e suora Elisabetta non ha ancora portato il brodo alla Ferrucci?! Glie l'ho avvertito sin da oggi.
Volete che scenda un po' in cucina?
No, no: la suora se l'avrebbe a male. (Andando verso la scala, chiama:) Suora Elisabetta! Suora Elisabetta!..
Vengo, signora Giulia. Io so perchè mi chiamate. Preparavo appunto per la Ferrucci.
Sì, per questo vi chiamavo. Vi ringrazio.
(Le quattro donne secondano la sua animazione, ma, impressionate, affettuosamente la osservano.)
Le date del brodo alla vostra ammalata?
Vuol dire che sta meglio.
Un miglioramento prodigioso! Un miglioramento che rasenta il miracolo! (Esaltandosi) Ah, io ne sono così lieta!.. Ne sono così felice! (Nello sforzo della finzione, la vista per un istante le si confonde, il suo volto si copre d'un pallore spettrale.)
Signora Giulia!..
Che avete?!..
(Adalgisa e la signora Mirelli vanno a lei come per sorreggerla, l'una a destra, l'altra a sinistra.)
(fra le due donne, vincendosi) Niente.
Siete diventata livida, benedetta!
(seguendo l'impulso di giustificarsi) Forse, un po' l'emozione di poco fa… Il nome di quel giovane, che mio marito trattava come un figlio, mi ha rimesso davanti, all'improvviso, tutto un mondo di tristezze e di dolori… e ciò non poteva lasciarmi indifferente… Ma vi assicuro che sto benissimo…
(entra recando un vassoio coperto d'una salvietta con sopra una gran tazza fumicante) Ecco, signora Giulia.
Brava, brava suora Elisabetta! Aspettate, che andiamo insieme. (Alle quattro donne:) Voialtre, non fate complimenti. È l'ora in cui solete ritirarvi nelle vostre cellette. Io vi saluto, e vi prego di non stare in pensiero per me. (Quasi temendo l'affettuosità attenta di quelle donne, alla quale le tarda di sottrarsi, con una vibrazione nervosa esagera la dissimulazione.) Ma perchè, ma perchè quelle facce smorte?.. Non sono poi così fragile. Su! Su! Allegre! Allegre! Allegre! (Apre l'uscio della Ferrucci, e, ostentando una solennità scherzosa, annunzia:) Signora Ferrucci, la cena è servita! (Esce.)
(la segue.)
(Le quattro donne restano impensierite, perplesse, in silenzio.)
(è più pensosa delle altre, afflitta, riconcentrata, immobile, presso il tavolino. Adalgisa in un canto, con gli occhi quasi lagrimosi, nervosamente tortura un nastro che ha al collo.)
(chiamando a sè in disparte la Marchesa, le dice sottovoce, con precauzione:) Sentite, marchesa. Il nome di quel giovane, io l'ho letto nel giornale di ieri.
(ugualmente sottovoce) Di che si parlava?
Si parlava… che so?.. dell'Africa… Si parlava d'un viaggio pericoloso… e poi del deserto… della scienza…
Ebbene?
Che ve ne pare? Devo dirglielo alla direttrice?
Dov'è il vostro giornale di ieri?
Se lo prese proprio lei.
(con un piccolo sorriso significativo, quasi maligno) E allora… non vi date pena. (Allontanandosi) La buona notte a tutte.
(restando lì ad arzigogolare) Altrettanto a voi, marchesa.
(badandole poco) Buona notte.
(assorta, non risponde.)
(un po' impermalita) A domattina, non è vero, signora Mirelli?
(scotendosi) Sì, marchesa. Ci diremo addio domattina.
(si ritira nella sua stanza.)
(trascinandosi dietro, lentamente, la sua sedia, borbotta tra sè:) Serata nera! Meglio non salutare. (Sparisce nel corridoio.)
(si accosta alla Mirelli, e, molto commossa, le dice pianamente:) Non era vero che si sentisse bene. Aspettatela qui, voi. Le farete piacere.
(con mesta dolcezza) Grazie, Adalgisa. Ci pensavo anch'io.
(s'inoltra nel corridoio, e via.)
(rimasta sola, per indugiare, rimette ad una ad una le strisce ricamate nella scatola.)
(entrando e vedendola, corre a lei ansiosamente come ad un rifugio.) Sapevo di ritrovarvi!
E io sapevo che mi avreste voluta.
Sì, statemi vicina, statemi vicina. In quest'ultima sera, non mi abbandonate.
Lo vedo che avete dei tormenti.
Ma non è già per parlarvi dei miei tormenti che io ricorro a voi, piccina mia. Quello che io desidero, invece, è che voi parliate a me. Mettetemi a parte dei vostri progetti. Ditemi tante cose. Che farete, che farete della vostra vita, voi che siete tanto bella e tanto giovane?
E l'ignorate voi, forse? Cercherò altrove la pace che voi cercate qui.
Per me, è tutt'altro. Io ho qui dei doveri che voi non avete.
Ve li siete creati voi stessa per trarne un conforto. Io tenterò d'imitarvi in quello che posso. Farò un po' di bene, e vivrò appartata, solitaria, tranquilla…
(con nella voce una lentezza intensa) Senza felicità?.. Senza gioia?..
Io credo che ciò diventerà per me una gioia.
La gioia della rassegnazione, la gioia dell'eroismo arido e immobile, che vi darà la misura della vostra resistenza; ma è poi questa la gioia che la vostra giovinezza chiederà gridando nella solitudine? No, no, Gilberta. Non lo fate! Non lo fate! Lasciate che liberamente la vostra giovinezza scelga la sua strada; lasciatela correre, lasciatela correre con l'unica guida del vostro istinto, sin dove vorrà, sin dove potrà!
Ma appunto il mio istinto non mi consentirebbe di distaccarmi dai miei ricordi. Non c'è nulla che mi costringa.
Nemmeno una promessa fatta a lui?
No.
Nemmeno un suo desiderio segreto?
No! No! Egli anzi mi esortava a non illudermi sull'eternità del dolore. Mi esortava a disporre sinceramente del mio avvenire. Ma le sue parole generose, che ho ancora qui nell'orecchio, non potranno mai distogliermi dalle esigenze del mio cuore.
(quasi timidamente, quasi mortificata) E allora… ciò che vi ho detto vi sarà sembrato odioso.
Come potete supporlo?! Voi mi avete detto, in fondo, le stesse cose che egli mi diceva; ma, intanto, avete già fatto quello che farò io.
(abbassa un istante gli sguardi, ma tosto li rialza, ravvivandosi febbrilmente) Sì, senza dubbio, io ho già fatto quello che voi farete, e continuerò a farlo; ma io vi chiedo, Gilberta, che non cessiate mai mai di essermi più che sorella.
Questo s'intende!
Mi scriverete spesso, non è vero?
Spessissimo.
Io voglio che mi scriviate delle lunghe lettere, delle lunghe lettere, e voglio leggere in esse tutto ciò che accade in voi giorno per giorno. Anche da lontano, qualunque sia la lontananza, voglio l'assistenza della vostra anima semplice e sicura di sè. Io voglio, giorno per giorno, sapere, come se io stessi dentro di voi, ciò che pensate, ciò che sentite, ciò che amate: ciò che amate, soprattutto, e in che modo sapete amare.
(con profonda tenerezza) Ve lo prometto, signora Giulia. Io vi scriverò minutamente come sarà fatta la mia vita; e d'ogni moto del mio cuore, d'ogni più piccolo e d'ogni più grande avvenimento della mia piccola esistenza cercherò di rendervi conto. Va bene così?
(con uno scatto di scoraggiamento) Ah, se ciò bastasse a proteggermi, Gilberta!
Ma da quali pericoli siete minacciata? E poi, come potrei difendervene io, che valgo tanto meno di voi?
Sono i pericoli che voi non conoscete e non conoscerete mai, creatura mia. Ma non per questo dovete credere di non potermene difendere. Proteggetemi, proteggetemi col pensiero, proteggetemi con la preghiera, se avete fede in Dio: proteggetemi offrendomi sempre l'esempio di voi. I vostri occhi sono così limpidi! La vostra fronte è così serena!.. Abbracciatemi forte… tenetemi stretta fra le vostre braccia… Datemelo davvero il vostro respiro!
(compresa da una grande commozione, la tiene strettamente abbracciata, e, un po' smarrita, la contempla.)
(con la testa piegata sulla spalla di lei, piange.)
(viene dalla camera della Ferrucci.)
(come la porta si apre, drizza il capo ricomponendosi d'un sùbito.)
Signora Mirelli, perdonate se vi disturbo. La signora Ferrucci, avendo saputo che partite domani di buon mattino, ha espresso il desiderio di stare con voi qualche minuto prima che suoni l'ora del riposo.
Andateci, Gilberta.
Devo smorzare, signora Giulia?
(dissimulando il bisogno di attardarsi) No… Smorzo io.
Devo chiudere il finestrone?
(cercando un pretesto per non farlo chiudere)… L'aria è così calda stasera… Meglio lasciarlo aperto.
Santa notte.
Buon sonno, suora.
(con passo lieve ed affrettato, infila la scala.)
(alla Mirelli:) Domani, all'alba, sarò levata, e ci rivedremo.
Sì, a domani.
A domani.
(va nella camera della Ferrucci, e chiude l'uscio.)
(inquieta, palpitando, come attirata da una forza magnetica, lentissimamente si accosta al parapetto del finestrone. – Appena sporta la testa, in un violento sussulto, esclama:) La signora Marnieri! (Poi, in preda a una confusa concitazione:) Perchè viene?!.. Perchè viene?!.. Che cosa accade?!..
(giungendo trafelata e angosciosamente vibrante) Devo parlarvi di urgenza. Non ho potuto fare a meno di forzare la consegna. Devo parlarvi d'urgenza!
Dio mio!
Luciano è andato ad imbarcarsi sul piroscafo che parte questa sera per l'Africa. Sono io che l'ho spinto a chiedere di voi prima che si fosse recato a bordo. M'illudevo, m'illudevo ancora!.. Ma voi non avete voluto riceverlo, e ogni mia illusione è svanita. Al più tardi fra un'ora, il piroscafo si distaccherà dallo sbarcatoio, e lo porterà via per sempre!