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Loe raamatut: «I minatori dell' Alaska», lehekülg 10

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Questi rattenne con una strappata irresistibile il cavallo, facendolo piegare quasi fino a terra, poi con una furiosa speronata lo inalberò, costringendolo a voltarsi sulle zampe posteriori.

Quella manovra prodigiosa fu la salvezza dell’uomo bianco. Nel momento in cui il cavallo, pazzo dal dolore per quei due colpi di sperone, s’alzava quanto era lungo, l’indiano aveva fatto fuoco. Il povero animale, colpito in pieno petto, mandò un nitrito di dolore e cadde di quarto.

Tutti avevano creduto che anche il cow-boy fosse stato colpito dalla stessa palla, ma si erano ingannati. Bennie, con un volteggio mirabile, prima ancora che il cavallo stramazzasse, era balzato a terra tenendo sempre stretto il fucile. Rimettersi in equilibrio, puntare l’arma e fare fuoco, fu cosa di un solo istante. Coda Screziata passava allora dinanzi a lui a una distanza di soli centoventi passi, galoppando furiosamente. La detonazione fu seguita da un urlo a cui fece eco un urrah fragoroso, mandato da Back. L’indiano, colpito in fronte, si era accasciato sul proprio cavallo, tenendosi stretto al collo dell’animale, mentre spruzzava le erbe di sangue. Si tenne così in sella per dieci o dodici passi poi allargò le braccia con un gesto disperato e piombò pesantemente a terra, rimanendo immobile.

Il sackem, Back ed i due minatori si erano lanciati attraverso la prateria, raggiungendo Bennie, il quale pareva più preoccupato della morte del suo bravo cavallo, che di quella del suo mortale nemico.

– Sei un valoroso – gli disse il capo.

– Grazie – rispose il cow-boy.

– La sua capigliatura ti appartiene.

– Non so che cosa farne.

– Potrà servire per il tuo compagno che l’ha lasciata nelle mani dei Grandi Ventri. Il Grande Spirito la riceverà con piacere nelle grandi praterie del cielo.

– Il nostro Grande Spirito non desidera capelli.

– Allora sarà mia.

Il sackem estrasse il coltello, si avvicinò flemmaticamente a Coda Screziata, tracciò attorno al suo cranio un’incisione tanto profonda da tagliare la pelle, poi passando la lama sotto la cotenna, afferrò i lunghi capelli e tirò a sè violentemente Alzò il ributtante trofeo gocciolante sangue, lo guardò per alcuni istanti con compiacenza, poi se ne andò, mormorando:

– Servirà a ornare i mocassini che mia figlia sta ricamando!…

XIX – IL WAPITI

L’indomani Bennie e i suoi compagni, ormai sbarazzatisi dell’ostinato e vendicativo indiano, lasciavano la tribù delle Teste Piatte, impazienti di arrivare alla grande catena delle Montagne Rocciose. Dorso Bruciato, contento di aver guadagnata la superba capigliatura del guerriero di Nube Rossa, e anche per dimostrare la sua ammirazione per la bravura del cow-boy, li aveva forniti di viveri abbondanti, soprattutto di carne secca e di pemmican, e aveva regalato al vincitore il bianco mustano uscito illeso dal combattimento, un magnifico e vigoroso animale che poteva sostituire vantaggiosamente quello rimasto ucciso. Usciti dalla vallata, i quattro cavalieri, sempre seguiti dai due mustani che portavano le provviste e gli attrezzi, piegarono definitivamente verso est, attraversando la grande pianura racchiusa fra il Back e le sorgenti del Peace. La traversata fu compiuta in quattro giorni senza cattivi incontri, e il quinto giunsero ai primi contrafforti delle Montagne Rocciose, le cui alte vette, ancora coperte di neve, si stendevano a perdita d’occhio verso il nord e verso il sud. Quella gigantesca catena, la più imponente dell’America del Nord, si collega con quella delle Cordigliere, e ha inizio nell’Alaska, nella cosiddetta America Russa. Lassù è però piuttosto bassa, e più che una vera catena di montagne, è una serie ininterrotta di colline, tuttavia di passo in passo che scende verso il sud, prende rapidamente proporzioni gigantesche.

I nostri amici, stanchi di quella corsa durata quattro giorni, non volendo stremare i cavalli sui quali contavano per attraversare rapidamente il tragitto, ancora assai considerevole, che li divideva dalla frontiera anglo-americana, decisero di riposarsi qualche giorno, desiderando anche di provvedersi di un po’ di carne fresca. Per accamparsi scelsero l’estremità di un bellissimo vallone che s’inoltrava, serpeggiando, fra le alte vette della grande catena, un vallone ricco di acque e di boscaglie, e che prometteva anche, di non essere sprovvisto di selvaggina. Dopo il pasto Bennie e il suo inseparabile amico, il giovane Armando, provvedutisi abbondantemente di munizioni, lasciarono l’accampamento, affidandone la guardia al meccanico e al messicano e s’inoltrarono nel vallone decisi a non tornarsene a mani vuote. Avendo trovato un corso d’acqua, forse un affluente del Back, decisero di risalirne la sponda destra con la speranza di abbattere qualche grosso cigno o qualche aquila dalla testa bianca, in caso non avessero potuto trovare qualche capo di selvaggina da pelo. Le due rive del fiume erano boscose, ma le piante non erano così fitte da rendere malagevole la marcia. I due cacciatori camminavano in silenzio da un’ora, girando con precauzione attorno ai tronchi per non allarmare la selvaggina, quando udirono echeggiare, verso il fondo della valle, dei lunghi ululati.

– I lupi!… – esclamò Armando. – Cattiva selvaggina che non fa per noi, è vero, signor Bennie?..

– No, ma farebbero per noi le costolette della selvaggina che inseguono, – rispose il cow-boy, dopo aver ascoltato per alcuni istanti.

– Credete che caccino qualche animale?…

– Non urlerebbero in questo modo in pieno giorno. Non udite come i loro ululati ora si avvicinano e ora si allontanano?…

– È vero; che inseguano qualche bisonte?…

– Oh!… Qui i bisonti!… Non lasciano le grandi praterie.

– Allora, qualche daino o qualche montone di montagna?…

– Credo si tratti d’altro – disse Bennie che, da qualche istante, osservava attentamente alcuni salici.

– Di qualche animale più grosso?…

– Di un wapiti.

– Che specie di bestia è?…

– Un cervo molto più grande di quelli comuni.

– E da che cosa lo arguite?…

– Da quei rami di salice che hanno perduto le loro gemme e da solo poche ore poiché la linfa cola ancora.

– Si nutrono di quelle gemme?…

– Sì Armando… Ehi!… Gli ululati si approssimano a noi; forse il wapiti si dirige da questa parte per salvarsi a nuoto.

– Sono abili nuotatori?…

– Possono attraversare i più larghi fiumi senza correre il pericolo di annegare.

– E i lupi non lo seguiranno?…

– Uhm!… Ci pensano poco a prendere un bagno. Toh!… Udite come gli ululati s’accostano sempre di più?

– Saranno molti i lupi?…

– Qualche dozzina.

– Allora non sono da temere.

– Lo spero. Imboschiamoci in mezzo a questi nocciuoli selvatici e vediamo se si tratta veramente di un wapiti o di un daino mangiatore di legno.

– Un altro animale che non conosco.

– Ne troveremo dei branchi più a settentrione. Ascoltate?… I lupi urlano più forte che mai e ciò significa che la preda sta per essere raggiunta.

Si cacciarono sollecitamente in mezzo alla macchia di nocciuoli che s’alzava intorno a un gigantesco olmo e attesero la comparsa dell’animale cacciato dai feroci carnivori, tenendo il dito sul grilletto dei fucili.

Gli ululati dei lupi s’avvicinavano sempre. Certamente il povero cervo, o daino che fosse, invece di mantenere una direzione costante, rompeva di frequente per guadagnare qualche passo sui suoi inseguitori o cercava una traccia a lui nota che lo guidasse al fiume, il solo asilo per sfuggire ai denti dei suoi ostinati cacciatori. Non erano trascorsi quindici minuti, quando Bennie udì in mezzo alla foresta un galoppo furioso, accompagnato da un fruscio di foglie.

– Eccolo!…-esclamò, alzandosi rapidamente.

Un bellissimo animale, dalle forme eleganti e slanciate, molto alto, dal pelame bruno rossiccio e fitto e il capo adorno di corna ramose, di una tinta grigiastra che aveva i riflessi del velluto e che parevano composte di una materia membramosa piuttosto che di osso, si era slanciato, con una agilità e una grazia straordinarie, fuori da un folto cespuglio, balzando in mezzo a una piccola radura erbosa. Il disgraziato animale pareva però che, in quell’ultimo salto, avesse esaurito tutta la sua forza, essendosi subito fermato con la testa bassa e le corna tese. Era grondante di sudore e coperto di bava sanguigna; aveva gli occhi dilatati per lo spavento e ansimava fortemente, mentre le sue gambe tremavano, come se stessero per piegarsi da un momento all’altro.

Era appena apparso, quando si vide sbucare un grosso lupo grigio dal pelo irto e le fauci aperte che mostravano i lunghi e acuti denti. Senza spaventarsi per l’attitudine minacciosa del povero cervo, gli si scagliò contro con un grande balzo, mandando un ululato di trionfo e lo azzannò ferocemente alla gola.

– Ah!… Carogna!… – Urlò Bennie, levandosi furioso.

Un colpo di fucile echeggiò in mezzo ai cespugli e il lupo colpito nel cranio dalla palla dell’abile cacciatori e, ruzzolò a terra fulminato. Disgraziatamente per il wapiti, quell’aiuto era stato troppo tardivo. Assalito in quel modo, era caduto al suolo mandando bramiti lamentosi, mentre dalla gola aperta dai formidabili denti, il sangue colava a fiotti. D’altronde gli altri lupi erano vicini. Senza preoccuparsi della morte del loro compagno e senza spaventarsi per quella detonazione, si scagliarono rabbiosamente sul cervo, azzannandolo da tutte le parti e coprendolo con la massa dei loro corpi.

Armando e Bennie erano balzati fuori dai cespugli. Con due spari abbatterono altri due predoni, poi piombarono audacemente sull’orda affamata, picchiando a destra e a manca coi calci dei fucili. I lupi, accortisi finalmente della presenza dei due cacciatori, i quali battevano con un vigore tale da fracassare teste e costole, presero frettolosamente il largo, ringhiando e mostrando i denti. Uno di loro, il più grosso, non volle andarsene senza protestare e si voltò contro il cow-boy tentando di balzargli alla gola, ma ebbe una tale mazzata da cadere dieci passi lontano, con la groppa sfracellata.

– Ah!… Luridi ghiottoni!… – urlò Bennie. – Osate mostrare i denti a me?… A voi prendete!…

Cinque colpi di rivoltella sparati l’uno dietro l’altro e che fecero cadere altri due animali, decisero gli altri a prendere il largo con la coda fra le gambe e al più presto.

– Povero animale! – disse Armando, che si era curvato sul cervo – È stato scannato di colpo. Hanno denti di acciaio quei ghiottoni. Perché questo wapiti non si è difeso a colpi di corna?

– Perché correva più pericolo di farsi male, che di ferire i lupi.

– In realtà si direbbero di velluto grigio attraversato da vene rossicce.

– Sono corna membranose, attraverso le quali scorrono dei vasi sanguigni e che spesso costituiscono, anziché una buona difesa, un vero pericolo per il povero cervo. Percuotendolo con un grosso bastone, si possono causargli tali ferite da ucciderlo.

– Sono dunque di puro ornamento?

– No, Armando. In autunno queste membrane cadono e l’interno acquista allora una tale durezza da sfidare l’osso, ma nel gennaio e febbraio si staccano e il wapiti rimane allora inerme, in balìa dei lupi e delle altre fiere. In autunno, però, fa uso delle sue armi e si difende con molto vigore, anzi in quell’epoca i maschi impegnano fra loro dei mortali combattimenti.

– È buona la loro carne?

– Uhm!… È un po’ coriacea, però molto nutriente. Noi, che non abbiamo proprio bisogno di viveri ci accontenteremo della lingua, che costituisce la parte migliore; il resto lasciamolo pure ai lupi.

– Attendono il cadavere, signor Bennie. Non vedete che ci spiano?…

– Ah sì!… Ebbene noi gliela faremo guadagnare questa carne.

– In che modo?…

– Vedrete – rispose il cow-boy, ridendo.

Impugnò il bowie-knife e con un colpo maestro scucì il ventre del povero cervo, facendogli un’apertura così ampia da fare uscire gli intestini.

– Andate a lavarli in quella pozza d’acqua – disse ad Armando.

– Volete mangiarli?…

– Non ne abbiamo bisogno, – rispose il cacciatore. – Serviranno a spaventare i lupi.

– Volete scherzare, Bennie?…

– Obbedite e poi vedrete.

Il giovane prese quell’ammasso di budella e le trascinò fino ad un piccolo stagno, facendo entrare acqua in abbondanza attraverso l’orifizio. Intanto il cacciatore si era accostato ad una pianta e aveva reciso un ramo. Con la bacchetta del fucile forzò la midolla ad uscire, operazione che riuscì facile, essendo tale sostanza quasi spugnosa, e ottenuta una piccola canna, chiamò Armando il quale aveva già terminata la pulizia degli intestini.

– Chiudete uno degli orifizi con qualche pezzo di corda – gli disse Bennie.

– È fatto – rispose Armando.

– Benissimo: preparatevi a turare anche l’altro quando vi farò un segno.

Ciò detto, introdusse il bocchino nell’orifizio rimasto aperto e si mise a soffiarvi dentro con tutta la forza dei suoi polmoni. Le budella si gonfiarono rapidamente contorcendosi, ma Bennie continuò fino a quando le vide così piene d’aria da correre il pericolo di scoppiare. A un suo cenno Armando strinse anche il secondo orifizio, legandolo per bene.

– Ecco un bellissimo spauracchio per i lupi – disse il cacciatore, ridendo.

Prese gli intestini e andò ad appenderli a un ramo basso, che si stendeva sopra il cadavere del cervo. Al soffio di una leggera brezza, le budella si misero a dondolare, brillando sotto i raggi del sole. I lupi, che si trovavano sempre a breve distanza, aspettando che gli uomini si fossero allontanati, per gettarsi ingordamente sulla grossa preda, si misero a ringhiare e a urlare ferocemente.

– Hanno paura, – disse Bennie.

– Di quel budello? – chiese Armando, con stupore.

– Ve lo assicuro, e non oseranno accostarsi al cervo per molto tempo. Quando noi cacciatori vogliamo salvare la nostra selvaggina dai denti di quei bricconi, facciamo così e siamo sempre certi di ritrovarla intatta anche dopo molte ore. E ora mio caro Armando, torniamo all’accampamento a far colazione.

Con pochi colpi di coltello spaccò la gola del cervo, s’impadronì della lingua, l’appese alla canna del fucile e diede il segnale della partenza. Desiderando esplorare i dintorni, invece di seguire la stessa via, i due cacciatori si misero a rimontare un altro vallone, il quale doveva, secondo i loro calcoli, condurli all’accampamento. Quella seconda vallata, che si addentrava serpeggiando fra le Montagne Rocciose, era più selvaggia dell’altra e anche più impervia. In fondo, crescevano giganteschi abeti e pini, lanciando le loro cime a cinquanta metri di altezza Le loro basi, però, non erano visibili, essendovi intorno degli ammassi di cespugli assai fitti, ottimi rifugi per la selvaggina. Bennie, temendo che vi si trovasse qualche animale pericoloso, qualche orso grigio, ad esempio, aveva staccata la lingua appendendosela alla cintura, per avere il fucile a portata di mano.

– Non si sa mai chi si può incontrare – disse ad Armando. – Le Montagne Rocciose sono preferite dagli orsi grigi.

– Non si spingono fin qui i cacciatori di prateria? – chiese il giovanotto.

– Uhm!… Le pelli dei grizzly valgono molto meno di quelle dei bufali e perciò non si arrischiano a venire qui; e poi non calcolate i pericoli? I bisonti si lasciano uccidere con la miglior buona grazia, senza protestare, mentre gli orsi grigi si difendono e in che modo!… Lo so io, che per poco un giorno non lasciai la pelle fra le zampe di uno di quei pericolosi animali.

XX – L’ASSALTO DELL’ORSO GRIGIO

Bennie e il suo giovane amico si trovavano allora nella parte più selvaggia di quello stretto vallone, o meglio, di quella lunga gola. Anche se era appena mezzogiorno, una luce scialba, tetra, scendeva fra le due alte pareti rocciose che calavano quasi a picco, rivestite di piante rampicanti, di muschi e di cespugli spinosi inzuppati di umidità.

Ai lati dei due cacciatori, sotto l’orlo delle pareti, ammassi di piante si stendevano formando macchie fittissime e tenebrose. Querce, pini e betulle secolari, dai tronchi nodosi o quasi lisci e rivestiti di muschi ammuffiti per l’umidità, si rizzavano, rendendo cupa la gola con la loro ombra. Non si udiva alcun cinguettìo d’uccelli, nè grida di falchi, nè di avvoltoi; solamente in distanza un rombo sordo e continuo annunciava una cascata d’acqua, che precipitava nel margine superiore della parete rocciosa. Bennie e Armando, coi fucili puntati, ascoltavano, trattenendo il respiro. Una vaga inquietudine, causata dalla selvaggia maestà di quella gola e dalla solitudine, si manifestava sui loro volti di solito così calmi di fronte al pericolo. Alla loro destra, in mezzo a un macchione di pini giganti che lanciavano le loro cime a sessanta metri, ad intervalli si udivano frusciare delle foglie secche, come se un animale cercasse di avanzare con precauzione.

– Che cosa sarà? – chiese Armando, dopo alcuni istanti di silenzio.

– Non vedo nulla – rispose il canadese.

– Pure qualcuno si avvicina.

– E cerca anche di non fare troppo rumore – aggiunse Bennie.

– Qualche animale, forse?

– È probabile.

– Non ci sono indiani in questa regione?

– Sì, però sono rari; preferiscono le pianure settentrionali. Eh!…

– Che cosa avete, Bennie?

– Giurerei di aver udito un grugnito.

– Allora laggiù c’è un orso.

– Può essere anche un carcajou; questi animali sono numerosi nelle gole delle Montagne Rocciose.

– Che bestie sono?

– Dei veri predoni, voracissimi, sanguinari, però non sono da temere, quantunque si dica che possono lottare vantaggiosamente contro gli orsi neri ciò che però non credo.

– Volete che ci cacciamo in quella macchia?…

– A quale scopo?… Non ho nessuna voglia di gettarmi fra le zanne di qualche pericoloso animale. Non sentite più nulla. Armando?

– No, – rispose il giovanotto.

– E nemmeno io.

– Che la bestia ci spii?

– È probabile, – rispose Bennie. – Poiché non si decide a mostrarsi, lasciamo che si diverta a suo comodo; noi riprendiamo la marcia.

Dopo essersi rassicurati che nessun altro rumore si udisse, i due cacciatori si misero in cammino, voltandosi però di frequente per vedere se erano seguiti. La gola cominciava in quel punto ad allargarsi un po’, e anche le due pareti di granito raddolcivano a poco a poco la loro china.

Degli olmi, splendide piante che in quelle regioni acquistano quasi sempre un’altezza di cento e più piedi e una circonferenza da quindici a venti, apparivano ai due lati della valle, frammischiati a frassini bianchi, lauri verdi, ippocastani e macchioni di cornioli e di mortelle. Il terreno diventava umidissimo e ai due lati delle pareti rocciose si udivano scorrere, mormorando, dei torrentelli, i quali serpeggiavano sotto quegli ammassi di verzura. Il canadese e l’italiano avevano ripresa la loro conversazione, quando il primo la interruppe nuovamente, esclamando:

– Che sia dannato se m’inganno!…

– Che cosa avete, Bennie? – chiese Armando.

– Sapete che la cosa comincia a diventare noiosa?…

– Non vi comprendo.

– C’è qualcuno che ci segue ostinatamente.

– E dove?

– È la terza volta che, in trenta passi, ho udito smuovere le foglie.

– Dove? – chiese Armando.

– Alla nostra destra.

– Ancora? Che sia l’animale che ha mandato quel grugnito?

– Sì, Armando, deve essere lui, e se ci segue significa che non ha buone intenzioni. Cerca di sorprenderci, ne sono certo.

– Che cosa avete intenzione di fare, Bennie?

– Cercare un rifugio e aspettare che l’animale si faccia vivo. Là!… Guardate, Armando, c’è un crepaccio che fa per noi.

A quindici passi da loro, alla base della parete rocciosa, si apriva una larga apertura, la quale pareva si addentrasse profondamente nel fianco della montagna. Poteva essere un ottimo rifugio, ma c’era pericolo che fosse la tana di qualche animale. Il canadese, senza pensare a quest’ultima supposizione, si slanciò da quella parte scostando i rami dei cornioli e delle mortelle, e fece atto di entrare. Un rauco brontolio che veniva dall’interno lo arrestò di colpo.

– Diavolo!… – esclamò, facendo subito un salto indietro. – Andavo a gettarmi fra le unghie di qualche pericoloso animale. Benissimo!… Eccoci fra due belve: quale sarà la meno feroce?

Si curvò, per vedere che cosa poteva nascondere quella specie di caverna, e vide due occhi scintillare nell’oscurità.

– Armando, è pronto il vostro fucile? – chiese.

– Sì, – rispose il giovanotto.

– Guardatemi alle spalle.

– E voi?

– Io cercherò di scovare questa bestia. La sua tana ci è necessaria.

– Non commettete imprudenze, Bennie.

– Anzi, cerco di salvarci. L’animale che ci segue deve essere più pericoloso di questo poltrone, che non si decide a mostrare il suo muso. Le foglie si muovono sempre?

– Vedo dei rami agitarsi.

– Avremo forse da sostenere un doppio assalto. Sangue freddo e mirate bene.

Il canadese, che ormai sapeva con quale nemico aveva a che fare, spezzò un grosso ramo e lo introdusse nell’apertura, agitandolo fortemente. Il proprietario della oscura dimora rinculò, mandando dei sordi brontolii.

– Ora so chi è l’inquilino, – disse Bennie, – voi siete curioso di vedere un carcajou?

– In questo momento rinuncerei al mio desiderio, Bennie. Sapete che animale ci perseguita?…

– No davvero.

– È un orso.

– Grigio? – chiese il canadese, con apprensione.

– Un vero grizzly.

– Corna di bisonte!… Allora la tana ci è necessaria, o verremo fatti a pezzi.

Senza attendere altro, introdusse rapidamente la canna del fucile dentro il crepaccio. L’animale che lo abitava vi si avventò contro, stringendola fra i denti e tentando di stritolarla. Era quanto attendeva il canadese. Uno sparo sordo rintronò riempiendo la caverna di fumo, seguito da un rantolo.

– Bennie, ecco l’orso che avanza!… – gridò in quel momento Armando.

Senza occuparsi di sapere se l’animale che aveva inghiottita la scarica del suo fucile fosse vivo o morto, si gettò risolutamente dentro la caverna, seguito subito da Armando. I suoi piedi urtarono in un corpo villoso che si dibatteva ancora al suolo, scosso dalle ultime convulsioni dell’agonia.

– Vattene al diavolo! – esclamò, rialzandosi prontamente, e volgendosi verso l’apertura per vedere se l’orso li aveva seguiti.

Guardò di fuori e non vide nulla. Che cosa era avvenuto del grizzly? Si era rintanato, o si era nascosto dietro alle rocce per avventarsi sui due cacciatori appena si mostrassero all’apertura della caverna? Benché il canadese fosse coraggioso, a quest’ultimo pensiero si senti bagnare la fronte da alcune stille di sudore freddo.

– Comincio a credere che noi siamo entrati in una vera trappola, – mormorò.

Si volse verso Armando. Il giovanotto, inconscio del grave pericolo, stava osservando l’animale ucciso.

– Lasciate i morti e pensiamo ai vivi, – disse il cow-boy.

– Che cosa desiderate, Bennie?

– Sapete che non vedo il grizzly?

– Meglio per noi, Bennie.

– Peggio.

– E perché, mio bravo cacciatore?

– Deve essersi nascosto dietro la parete esterna con le zampe alzate, pronto a piombarci addosso appena ci mostriamo. Avrei preferito un assalto di fronte.

– Lasciate che aspetti.

– Corna di bisonte!… – gridò Bennie. – Volete rimanere qui dei giorni, in questa lurida tana?

– Si stancherà di aspettarci.

– Ah!… Ecco, voi non conoscete la cocciutaggine di quei bestioni.

– Avete dimenticato che abbiamo due fucili e una rivoltella oltre i nostri bowie-knife?….

– I fucili!… Uhm!… Ci vorrebbe il cannone per demolire quella massa.

– E così? – chiese Armando, con voce tranquilla.

– Siamo presi, giovanotto.

– Cioè bloccati, – corresse l’italiano.

– Sia come si vuole, non possiamo uscire senza cadere fra le unghie del dannato animale. Quanto durerà quest’assedio?

– I viveri non ci mancano, Bennie.

– Sì, abbiamo la lingua del cervo.

– E poi quest’animale.

– Puah!… Mangiare un carcajou? Il diavolo mi porti se toccherò questa carne puzzolente. Nemmeno gli indiani, che sono così poco schizzinosi in fatto di alimenti, lo mangerebbero.

– Bennie, che cosa facciamo?

– Nulla, per ora; si aspetta che il mostro si degni di mostrare il muso per mandargli una palla nel cranio.

– State voi a guardia dell’apertura?

– Sì, Armando.

– Allora approfitterò per conoscere meglio questo animale che avete accoppato.

Il canadese alzò le spalle e sorrise, ammirando il sangue freddo, davvero ammirevole, del suo giovane compagno. Armando, senza più preoccuparsi del terribile grizzly, accese un pezzo d’esca e si curvò sul carcajou, osservandolo con curiosità. Quell’animale, che dai cacciatori di prateria viene chiamato anche wolverene, aveva il corpo massiccio, coperto da un pelame foltissimo, arruffato, che gli dava un aspetto tutt’altro che attraente.

La palla del canadese lo aveva colpito in bocca fracassandogli la testa in modo così orribile, da non essere più riconoscibile.

Armando, soddisfatta la sua curiosità, si era avvicinato nuovamente a Bennie, il quale pareva fosse occupato ad ascoltare attentamente i rumori che venivano dal di fuori.

– Nulla? – gli chiese.

– Sì – rispose il cacciatore, a voce bassa.

– È dunque vicino il grizzly!

– È nascosto presso l’uscita di questa caverna. L’ho sentito respirare.

– Non c’è modo di sloggiarlo?

– Come fare? Appena uno di noi mette fuori la testa, l’orso si slancia. Aspettiamo questa sera.

– E i nostri compagni, Bennie?

– Ci aspetteranno al campo.

– Saranno inquieti per la nostra assenza

– Oibò!… Back sa che io non sono uomo da farmi divorare come una bistecca. Carichiamoci, tenendo i fucili pronti, e armiamoci di pazienza, giovanotto mio.

Si sdraiarono sul corpo ancor tepido del carcajou per sottrarsi alla umidità di quella tana, e attesero che un incidente qualunque decidesse l’orso a forzare il passaggio. Vana speranza. Il grizzly, sicuro del fatto suo e per niente frettoloso di guadagnare quelle bistecche umane, non si fece vivo. I due cacciatori, però, erano più che certi che si teneva in agguato, poiché di tratto in tratto lo udivano brontolare e soffiare. Certamente anche il mostro trovava che la cosa andava un po’ troppo a rilento. Molte ore, lunghe come secoli per i due cacciatori, trascorsero, e le tenebre piombarono nella stretta valle. Bennie e Armando aprirono bene gli occhi, temendo che il grizzly approfittasse dell’oscurità per tentare un improvviso assalto.

– Che notte eterna ci si prepara! – disse Armando, sbadigliando.

– E senza poter riposare un solo istante – aggiunse Bennie. – Chi oserebbe chiudere gli occhi con un vicino così feroce?…

– Situazione poco invidiabile, Bennie.

– Cattivissima, Armando.

– Eppure bisogna fare qualche cosa.

– Insegnatemi come.

– Bennie, siete proprio certo che il grizzly sia sempre in agguato?

– Lo sospetto.

– Costringiamolo a muoversi.

– In che modo?

– Credo di averlo trovato.

– Suvvia, parlate; volete farmi morire d’impazienza, tiranno?

– Il mezzo è semplicissimo.

– Continuate.

– Mi levo la giacca, la metto sulla canna del mio fucile e la sporgo fuori dalla tana. Se l’orso si trova ancora imboscato, vi si getterà sopra senza esitare, e voi approfittate per mandargli una palla nel cervello.

Il canadese guardò il giovane con sorpresa.

– Corna di buffalo!… – esclamò. – Ecco un’idea splendida che mai mi sarebbe venuta, ve lo assicuro. Giovanotto, siete furbo e farete molta strada, ve lo dice un vecchio cacciatore di prateria.

– Allora non perdiamo tempo.

Armando si spogliò rapidamente della giacca e la appese all’estremità della canna del fucile, mentre il canadese, dopo essersi messo davanti il coltello e la rivoltella, si inginocchiava tenendosi pronto a far fuoco sul feroce grizzly.

– Siete pronto, Bennie? – chiese Armando.

– Ho il dito sul grilletto del fucile.

Il giovanotto strisciò verso l’apertura, e reggendo l’arma con la destra, la sporse fuori, agitando vivamente la giacca da destra a sinistra. Il canadese si aspettava di vedere l’orso gettarsi su quella stoffa, mettendo in opera le lunghe unghie e i denti, ma, con sua grande sorpresa, la bestia non si mosse.

– Oh!… Diavolo?… – mormorò. – Che il grizzly se ne sia andato? Se si trovasse in agguato, non avrebbe esitato a slanciarsi.

– Che cosa vuol dire questo?

– Giovanotto, ritirate il fucile e rimettetevi la giacca, prima che vi colga una costipazione, – suggerì il canadese. – Presto, andiamocene da questa lurida tana.

– E l’orso?

– Il diavolo se lo sarà portato via.

Armando ritirò l’arma, indossò la giacca, poi si alzò.

I due cacciatori rimasero alcuni istanti immobili, trattenuti da un po’ di diffidenza, poi Bennie si spinse risolutamente innanzi, tenendo un dito sul grilletto del fucile. Con un ultimo salto si slanciò all’aperto, gettando un rapido sguardo all’intorno.

– Nulla – disse, respirando liberamente.

Armando lo aveva subito raggiunto, pronto ad aiutarlo in caso di pericolo.

– E l’orso? – chiese.

– Scomparso, – rispose Bennie.

– E forse sono parecchie ore che se n’è andato.

– Chi può dirlo?

– Quante angosce ci avrebbe risparmiate!

– Confessate di aver passato delle brutte ore? – chiese Bennie, ridendo.

– Ora sì.

– E anch’io, Armando. Si può essere coraggiosi e anche provare dei brividi di paura.

– Dove sarà andato quel dannato animale? – chiese il giovanotto guardando con inquietudine le macchie vicine.

– Forse a dissetarsi.

– Che cosa facciamo, Bennie?

– E me lo chiedete? Si giuoca di gambe, giovanotto.

– Non chiedo di meglio.

– Andiamocene.

I due cacciatori, dopo aver dato un nuovo sguardo sui macchioni, si gettarono in mezzo alla valletta, a passo di corsa. La luna era allora sorta a mostrare la sua rotondità sulla cima di un’alta montagna tagliata a cono. I suoi raggi, d’una limpidezza perfetta, cadevano quasi a piombo nella cupa e selvaggia gola, proiettando sul terreno ineguale larghe chiazze biancastre, e facendo scintillare, come rivoletti d’argento fuso, i torrentelli che scorrevano, mormorando, lungo i pendii. Un silenzio profondo regnava in quel paesaggio, rotto soltanto dall’eterno rombo della cascata che precipitava all’estremità della valletta. Bennie e Armando, tenendosi celati sotto la tetra ombra dei pini, delle betulle e dei grandi olmi, procedevano con passo sempre più rapido, ansiosi di lasciare quel brutto luogo e di arrivare all’accampamento. Di tratto in tratto, però, si arrestavano per riprendere lena e per ascoltare, temendo di essere sempre seguiti dal feroce grizzly. Già non distavano più di trecento passi dal luogo dove si vedeva precipitarsi la cascata, con un salto immenso, quando ai loro orecchi giunse improvvisamente un grido che pareva umano.

Vanusepiirang:
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Ilmumiskuupäev Litres'is:
30 august 2016
Objętość:
360 lk 1 illustratsioon
Õiguste omanik:
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