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Loe raamatut: «Straordinarie avventure di Testa di Pietra», lehekülg 5

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5 – La carica dei tamburi

Il drappello che il brigantino aveva mandato a terra, nonostante il pessimo tempo e i gravi pericoli che presentava la risacca all’approdo, si componeva di sette uomini.

Sei erano marinai di forme gagliarde, biondi, rosei e cogli occhi azzurri, armati di carabina e di sciabole d’abbordaggio, gente che doveva aver veduto già il fuoco e che non doveva temere una sorpresa.

Il settimo invece era un uomo sulla cinquantina. che indossava un costume senza però i gradi d’oro vistosi, come usavano le genti di mare che uscivano da qualche accademia dell’Inghilterra.

Era alto, magro, coi capelli un po’ brizzolati, gli occhi color dell’acciaio.dell’acciaio, il viso un po’ rugoso ed accuratamente sbarbato.

Alla cintura portava due grosse pistole a doppia carica ed una piccola ascia.

Il trafficante si era affrettato a muovergli incontro, dicendo:

«Signor Oxford, fate conto di essere sul brigantino. Come sta il marchese d’Halifax?»

L’uomo magro corrugò la fronte, lanciò un rapido sguardo intorno e vedendo il canadese il quale era sempre seduto dinanzi al fuoco, gli chiese con voce un po’ altezzosa:

«Chi è?»

«Il luogotenente di Davis. Potete parlare liberamente. Sa tutto.»

«Bel servizio che ci hanno reso quei canadesi!… Non sono stati capaci di impadronirsi di quel Testa di Pietra.»

«La tempesta li ha traditi, signore, e la fusta si è spaccata sulle scogliere. Non avete scorti gli avanzi?»

«Sì, ma dovevano essere ben cattivi marinai gli uomini di Davis. E dov’è quell’uomo?»

«Qui non è giunto. Pare che sia annegato con due suoi compagni dopo aver preparata una mina nella prora della barca e averla fatta esplodere. Io ero sulla spiaggia ed ho veduto il lampo e poi saltare in aria il ponte.»

«Sono stati degli imbecilli,» disse il segretario del marchese. «Volevamo prendere vivi Testa di Pietra e il suo compagno Piccolo Flocco. Dei tedeschi traditori che hanno abbracciato la causa americana non ci preoccupavamo affatto. Avevamo però preparato due solidi lacci per appiccarli.»

Spinse col piede una cassa e si sedette presso il camino, accettando un bicchiere di gin che gli presentava Jor.

«Sicché, a quanto ho potuto capire, partita perduta,» disse con voce dura. «Ed il marchese non ha contate le ghinee. Quelle due lettere voi non le avete.»

«Io non ero a bordo della fusta. Il mio posto era qui.»

«Sapete che da quelle due lettere dipende tutto il piano di guerra degli americani di Ticonderoga?»

«Me lo avete infatti detto.»

«E poi noi volevamo sapere se il baronetto Mac-Lellan sarebbe venuto qui. Suo fratello lo aspetta per restituirgli i due colpi di spada che ha ricevuto a Boston prima ed all’Isola Lunga più tardi. Dunque non si sa dove si trovi Testa di Pietra?»

«Qui non è giunto. Si sa però che ha potuto lasciare la fusta prima che avvenisse lo scoppio.»

«Dove si troverà ora? Quelle due lettere sono assolutamente necessarie al marchese.»

«Né io né Jor lo sappiamo.»

«Si sarà rifugiato sotto i boschi con suoi compagni.»

«Gl’indiani Uroni sono stati avvertiti di catturarli?»

«Ci ho pensato io,» rispose Riberac.

«Si sono già mossi?»

«Non devono essere lontani.»

«Chi li comanda?»

«Un sackem già famoso che si chiama Caribou Bianco.»

«Fidato?»

«Mah!… Fidatevi di quella gente.»

«Li avete pagati quegli indiani?»

«Ho distribuito a loro tutte le ghinee che mi avevate dato ed anche le casse piene di armi da fuoco.»

Il signor Oxford fece un gesto di malumore, vuotò un altro bicchiere di gin, subito imitato dai suoi sei marinai, poi batté violentemente il pugno sulla cassa che gli serviva da sedile.

«Mi aspettavo ben altro da voi,» disse poi con collera. «Il marchese ha pagato e come!…»

«Che cosa aspettavate?»

«Di trovare qui Testa di Pietra e Piccolo Flocco ben assicurati.»

«Se non sono giunti io non potevo fare nulla. E poi, andate a misurarvi con quegli uomini.»

«Lo so. Se Washington avesse avuto diecimila di quegli uomini, già da tempo noi avremmo perduto tutte le nostre colonie. Eppure Testa di Pietra bisogna catturarlo.»

«Dove trovarlo ora?»

«All’inferno non sarà andato di certo,» disse il signor Oxford.

«Qualche orso potrebbe averlo divorato. Voi non conoscete le nostre foreste che sono piene di animali ferocissimi.»

Il segretario del marchese alzò le spalle.

«Bah!… Non sono uomini da farsi mangiare come bistecche.»

Guardò Jor il quale continuava a sturare bottiglie ed a versare ai marinai, che si erano pure accomodati su delle casse e su dei barili.

«Credi tu che Davis sia perito nel naufragio?»

«Lo ignoro, signore. Io non l’ho più veduto. D’altronde ero saltato nel lago prima di lui per non farmi accoppare dai bretoni che lavoravano a colpi d’ascia.»

«Vi può essere dunque qualche speranza che si sia salvato anche lui. Era un abilissimo nuotatore.»

«Poteva gareggiare coi castori, signore,» rispose Jor. «Il lago però era pessimo ed eravamo circondati dalle scogliere. Potrebbe essergli toccata qualche grave disgrazia.»

«Era conosciuto dagli Uroni?»

«Sì, perché tra quei guerrieri ha parecchi parenti. Come sapete, Davis è un mezzo sangue indiano.»

«E poi, se si fosse salvato, sarebbe venuto subito qui,» disse il trafficante. «L’aspettavo da parecchi giorni.»

Il segretario del marchese tracannò un altro bicchiere poi chiese:

«Sicché che cosa si fa? Testa di Pietra ci è assolutamente necessario.»

«Fate sbarcare una compagnia di soldati e mandateli a perlustrare i boschi. Io non vi saprei dare nessun altro consiglio.»

«Farò la proposta al marchese. Degli americani avete avuto notizie?»

«E poco rassicuranti per voi. Si dice che delle bande distaccate dal Ticonderoga siano sbarcate con delle fuste e con dei grossi canotti non molto lungi da qui.»

«Chi ve l’ha detto?»

«Un cacciatore di orsi che ho incontrato tre giorni or sono.»

«Sicché possiamo correre il pericolo di essere sorpresi da quegli straccioni da un momento all’altro?…»

«Ciò è possibile.»

«Voi rimanete qui con Jor. Già non vi faranno del male anche se vi cattureranno. Io vado ad avvertire subito il marchese di quanto succede.»

«Gli americani non fucilano i prigionieri,» rispose Riberac. «E poi guarderemo di non farci prendere.»

«Ah!… Quel Testa di Pietra!… Eppure bisogna che quell’uomo finisca sotto le nostre unghie!… Egli solo deve sapere se il baronetto Mac-Lellan giungerà per aiutare Amold e Saint-Clair.»

«Finché non lo si troverà non ne sapremo nulla, signor Oxford.»

«Quando tornerò a bordo il marchese mi farà una scenata, giacché lui credeva di avere ormai in mano quelle due lettere. Farà tempesta sul brigantino: tempesta grossa.»

Fece segno ai sei marinai di alzarsi.

«Andiamo,» disse poi, «Non desidero affatto farmi prendere dagli americani, se è vero che sono già giunti fino qui.»

«Io mi aspetto di vederli giungere da un momento all’altro,» disse Riberac. «La notte scorsa, in lontananza, ho udito rullare un tamburo.»

In quel momento tre o quattro grosse balle di pelli precipitarono al suolo, rimbalzando poi perfino sui barili e le casse.

Il segretario del marchese era diventato livido ed aveva rapidamente impugnato le pistole.

«Vi sono altre persone qui?…» chiese con voce minacciosa al trafficante.

«Che io sappia, no. Le volpi entrano sovente e mi gettano in aria tutto per depredarmi. Mi fanno dei gravi guasti e non ho mai saputo da quale parte possano entrare.»

«Non vi è un’altra porta laggiù in fondo?»

«Io non l’ho mai veduta.»

«Che abbiano scavato qualche galleria rosicchiando i tronchi del vostro magazzino?»

«Non mi sono mai preoccupato di verificarlo.»

«O che gli americani si siano aperti un passaggio per sorprendervi?»

«Tutto è possibile. Per i miei traffici coi pellerossa, io mi assento sovente per delle settimane. To’!… Altre balle che cadono!… Che le volpi, spinte dalla fame, vogliano rovinarmi diecimila dollari di mercanzia?… Altro che le ghinee del marchese! Io me ne sarei già andato da tempo mettendo in salvo tutto.»

«Il lord è generoso e saprà ricompensarvi.»

«Uhm!…» fece il trafficante.

«Ne rispondo io. Marinai, andate un po’ a vedere se ci sono delle volpi o degli uomini nascosti qui. Le vostre carabine sono cariche`?»

«Sì,» risposero i sei inglesi i quali si reggevano malamente sulle gambe per il troppo gin bevuto.

«Muovetevi, ubriaconi!…» gridò il segretario del marchese. «Quando vi trovate dinanzi a delle bottiglie diventate stupidi e non sapete più far nulla.»

«Eh!… Avete bevuto anche voi, signore.» disse un marinaio che portava qualche gallone rosso sulle maniche.

«Non tanto come voi. Obbedite o vi farò impiccare tutti!… Sapete che il marchese non scherza.»

«E se gli americani fossero nascosti dietro quella specie di barricata e ci abbattessero tutti con una scarica a bruciapelo?»

«Ci sarebbero già saltati addosso, e poi, là in fondo, non vi è nessuna porta, è vero o non è vero, signor Riberac?»

«No.«No, nessuna,» rispose il trafficante il quale con Jor si era seduto nuovamente dinanzi al camino.

«Allora andiamo,» disse il marinaio gallonato. «Accontentiamo il signor Oxford per evitare più tardi un pezzo di canapa stretta per bene intorno al nostro collo.»

Quantunque fossero assai malfermi in gambe, i sei uomini si accostarono all’alta barricata tenendo le dita sui grilletti delle carabine, pronti a rispondere a una possibile scarica, ma, fatti pochi passi, si fermarono guardandosi l’un l’altro con ansietà.

Altre balle di pelli erano cadute dall’alto, rotolando all’impazzata per l’ampio magazzino.

Il signor Oxford era diventato pallidissimo.

Si volse furioso verso il trafficante dicendogli:

«Voi nascondete qui della gente!…»

«Né io né Jor abbiamo veduto entrar nessuno,» rispose Riberac.

«Eppure dietro quella barricata deve nascondersi qualcuno.»

«Veramente anch’io non so spiegarmi come quelle balle, che erano state ben accomodate fra le casse e i barili, possano cadere.»

«Andate a vedere voi.»

«Io sono un trafficante e non un uomo di guerra.»

«Sì, ché avrete battagliato chissà quante volte con gl’indiani per salvarvi la capigliatura.»

«Sono amico di tutte le tribù e non ho bisogno…»

Si era bruscamente interrotto chiedendo poi al segretario del marchese:

«Avete udito?»

«Un grugnito?»

«Che può essere il fremito di qualche grosso orso.»

«Entrato da dove?»

«Quello lo sapremo. Dalla porta del magazzino no di certo.»

I sei marinai, che avevano pure udito quella specie di grugnito, avevano dato indietro bestemmiando.

Il signor Oxford mandò un grido di collera:

«Siamo in nove e stiamo qui a chiacchierare. Bisogna dunque che mi metta io alla vostra testa.»

«E credo che farete bene,» disse il trafficante fingendo di armare il grosso archibugio. «Andate avanti e noi tutti vi seguiremo.»

«E se ci trovassimo improvvisamente addosso qualche gigantesco orso grigio? Voi sapete che quei bestioni non hanno paura nemmeno di venti uomini e che resistono a tutte le palle mercé la loro corazza di grasso.»

«È impossibile che si tratti di un orso. Il tetto non è stato sfondato e la cinta nemmeno: come avrebbe potuto introdursi?»

«È a voi che lo domando.»

«Ed io lo domando a voi,» disse Riberac. «Io dico che a quest’ora ci avrebbe assaliti.»

«E qualcuno di noi non sarebbe più vivo,» aggiunse Jor.

«Eppure dobbiamo andare a vedere,» disse il segretario. «Il marchese mi aspetta e non è uomo da pazientare.»

Impugnò le pistole e mosse animosamente verso la barricata, tirandosi dietro i sei marinai che parevano più ubriachi che mai, forse per il gran caldo che regnava nello stanzone, il trafficante e Jor i quali ridevano silenziosamente sapendo già bene di quale orso si trattava.

Si era inoltrato nel passaggio aperto dai due assiani per trasportare le due grosse botti, quando la barricata, formata fortunatamente soltanto di balle di pelli, gli si rovesciò addosso coprendolo completamente.

«L’orso!… L’orso!…» avevano gridato i marinai che saltavano indietro, mentre precipitavano anche delle casse e dei barili.

Spararono a casaccio alcuni colpi, poi si precipitarono verso il centro dello stanzone, barricandosi dietro la tavola che avevano prontamente rovesciata insieme alle due grosse botti che erano piene di tamburi.

Riberac e Jor erano rimasti soli.

«Testa di Pietra è stato degno della sua testa.» disse il primo.

«Ha rapito il segretario del marchese proprio sotto i nostri occhi.» rispose il secondo.

«E con che maestria! Nessuno di noi ha veduto. Quell’uomo è un vero diavolo ed il suo compagno non lo è meno.»

«Come sbarazzarci ora di questi marinai»»marinai?»

«Gin ce n’è. Li ubriacheremo se non se ne andranno.»

«Mi pare che abbiamo più voglia di scappare a bordo del brigantino che di rimanere qui,» rispose Jor.

«Andiamo a vedere che cosa è successo del segretario.»

«Portato via, signor Riberac.»

«Lo so. Testa di Pietra lo avrà trasportato nel passaggio segreto. È uomo di azione, quel bretone, e non esita mai.»

Per rassicurare un po’ i marinai, i quali apparivano in preda ad un vivo spavento, varcarono la barricata e videro, all’entrata del passaggio segreto, Piccolo Flocco il quale rideva a crepapelle.

«Testa di Pietra ne ha fatto una delle sue?» gli chiese Riberac.

«Ha rapito il segretario del marchese.»

«E cosa vuole farne?»

«Che ne so io?… Farà battere la carica e s’impadronirà della scialuppa che a lui è assolutamente necessaria e fors’anche a voi. Ormai da queste parti spira cattiva aria, ora che gl’inglesi si preparano ad invadere il Champlain. Se non ci rifugiamo più che in fretta a Ticonderoga correremo pericolo di finirla.»

«È quello che penso,» rispose il trafficante. «Mi rincresce una cosa sola: lasciare tutte le mie ricchezze in mano agl’indiani i quali non hanno mai conosciuta la riconoscenza.»

«Qualcuno pagherà: il baronetto è ricco quanto il marchese.»

«Ohé!…» gridò in quel momento il capo dei marinai. «Avete trovato il segretario?»

Riberac e Jor saltarono sopra la barricata, dopo aver fatto a Piccolo Flocco un gesto che voleva significare di attenderlo; poi il primo disse:

«È scomparso: qualche orso deve averlo divorato.»

«Avete veduta la bestia?»

«No: dev’essere fuggita subito.»

«Da quale parte?»

«Abbiamo trovato una specie di sotterraneo,» disse il trafficante. «Deve essere stato scavato a mia insaputa, o dagli indiani o dalle bestie feroci attirate dall’odore dei miei prosciutti.»

«Ah!… Voi avete dei prosciutti!…» gridarono i marinai.

«E squisiti.»

«Portatene qui una cassa. Giacché il segretario è scomparso facciamo baldoria,» disse il graduato. «Il marchese ci aspetterà. Noi non siamo poi sempre i suoi schiavi.»

«Ho anche dei salsicciotti affumicati, veri di Heidelberg, e della birra veramente ottima.»

«Niente birra!…» urlarono i marinai. «Gin!… Gin!…»

«Come desiderate,» disse il trafficante. «Ne ho una buona provvista che contavo appunto di vendere agli equipaggi inglesi.»

«Ma noi non pagheremo nemmeno uno scellino,» gridò il graduato. «Siamo in sei e voi non siete che due.»

«Io regalo,» disse Riberac.

«Voi siete un vero padre.»

«Jor, porta delle casse e dà da mangiare a questa gente.»

«Un momento, signore,» disse il graduato. «E se l’orso ricomparisse? Il signor Oxford doveva avere ben poche polpe intorno alle sue ossa ed un orso grigio si sarà appena guastato un dente.»

«Abbiamo chiuso il passaggio con due grosse botti e più nessun animale potrà ormai entrare. Sono botti cariche di farina che pesano due quintali ciascuna.

Jor stava per portare una cassa contenente dei prosciutti, quando verso il passaggio segreto si udirono dei tamburi rullare una carica furiosa.

«Gli americani!…» gridò Riberac. «Fuggite!… Hanno preso il mio magazzino per di dietro!…»

«Scappa!… Scappa!…» urlarono i marinai i quali non avevano nessuna voglia d’impegnare una lotta e che avevano già dimenticato il segretario del marchese.

Saltarono attraverso la tavola e i barili e si diressero verso la porta ch’era rimasta aperta, bestemmiando.

Intanto i tamburi continuavano a rullare furiosamente, con un fracasso assordante.

Pareva che guidassero all’attacco una grossa compagnia di americani.

Riberac chiuse e sprangò la porta. Poi disse a Jor:

«Andiamo a vedere che cosa fa Testa di Pietra.»

«Testa di Pietra è qui,» disse il bretone, comparendo improvvisamente e scaraventando contro la parete il grosso tamburo. «Se ne sono andati?»

«Tutti,» rispose Riberac.

«Prima di tutto lasciate che vi ringrazi della vostra lealtà.»

«Non era necessario: e il segretario del marchese?»

«L’ho portato via dopo averlo mezzo soffocato perché non gridasse. Quell’uomo può diventar prezioso in mano nostra.»

«E la scialuppa?»

«Ora penseremo anche a quella. Diavolo!… Lasciatemi un po’ respirare.»

Vedendo su una cassa un bicchiere di gin ancora pieno, lo vuotò, poi disse:

«Spegnete il fuoco e andiamocene.»

I tamburi avevano cessato di rullare. Piccolo Flocco e i due assiani dovevano aver lasciato il passaggio segreto portandosi dietro il segretario.

«Andiamo,» disse Testa di Pietra. «Qui non c’è più nulla da fare.» Con due secchie d’acqua spensero la fiammata per evitare che qualche scintilla si comunicasse alla cinta, poi, prese le armi, attraversarono di corsa lo stanzone e si slanciarono attraverso il passaggio segreto.

«Piccolo Flocco,» gridò Testa di Pietra, uscendo.

«Ti aspettavo,» rispose il giovane marinaio, facendosi avanti.

«E i due assiani?»

«Portano il segretario del marchese che è più morto che vivo.»

«Ci siamo tutti?»

«Sì,» disse Riberac.

«Alla conquista della scialuppa, ora!… Ci prenderemo delle cannonate, forse, ma si sa che quelle grosse bestie giungono difficilmente a destinazione. Avanti!…»

6 – A palle infuocate

Testa di Pietra aveva appena pronunciato quel comando, quando vide comparire a corsa sfrenata i due assiani i quali trascinavano il disgraziato segretario, tenendolo ben saldo per i polsi.

«Patre,» disse Wolf, «gl’inglesi! Non andare avanti o ci faremo uccidere tutti.»

«È giunta un’altra scialuppa?» chiese il bretone facendo un gesto d’ira.

«E montata da non meno di due dozzine di marinai con mastri e ufficiali.»

«Sono già sbarcati questi uomini?»

«Sì, avanzano attraverso la foresta e pare si dirigano verso il magazzino.»

«Per tutti i campanili di Bretagna!… Siamo giunti troppo tardi!… dove possiamo rifugiarci ora?»

«Nel pino scavato,» disse Jor. «Nessuno verrà a cercarci là dentro.»

«E intanto perderemo la scialuppa!…»

«La riprenderemo più tardi,» disse Piccolo Flocco. «Ora non è il momento di mostrare i denti agl’inglesi. E poi.poi, penso che ve ne sono altri sei a terra, più o meno ubriachi e che faranno anche loro buon numero.»

Testa di Pietra si strappò parecchi peli della barba arruffata.

«Non lasciamoci prendere,» disse Riberac. «Noi non siamo in grado di resistere a trenta e più uomini.»

«Avete ragione, signore. La partita per ora è perduta. Piccolo Flocco, prendi i quattro tamburi.»

«Che ci possano ancora servire?» chiese il giovane marinaio.

«Vedrai: la carica fa sempre un certo effetto sugl’inglesi.»

Tornarono verso il passaggio segreto, presero i quattro strumenti, poi partirono rapidi attraverso la foresta per giungere al gigantesco pino.

In lontananza si udivano i marinai del brigantino chiamare a gran voce il segretario e i loro sei camerati i quali invece non davano segno di esser vivi.

Probabilmente, vinti dal gin, erano caduti sul margine di qualche macchia e russavano tranquillamente senza nemmeno ricordarsi che dovevano ritornare a bordo per avvertire il marchese della disgrazia toccata al suo segretario.

Jor si era messo alla testa del drappello dei fuggiaschi essendo il solo che conoscesse veramente dove si trovava la caverna legnosa, poiché i due bretoni si sarebbero trovati incapaci di giungervi, non conoscendo i luoghi, né avendo fatto alcun segno sui tronchi delle piante, per potersi poi dirigere.

Attraversarono parecchie macchie foltissime composte per la maggior parte di betulle delle cui scorze gl’indiani si servono per fabbricare dei bellissimi canotti resistenti anche ai salti delle rapide e finalmente si trovarono dinanzi al rifugio, che, come sappiamo, era capace di contenere anche venti persone.

«Per il momento siamo al sicuro,» disse Testa di Pietra. «Noi però abbiamo commesso una grossa sciocchezza. Voi, signor Riberac, non avete pensato ai viveri.»

«Non ne ho avuto il tempo,» rispose il trafficante. «Avevo troppo da fare con quei sei ubriachi che minacciavano di mettere a sacco tutto il magazzino.»

«Credevo che quest’affare dovesse andare molto meglio,» disse il bretone. «Senza scialuppa e senza viveri!…»

«Eh, Piccolo Flocco, mi pare che il Canada non sia un paese troppo favorevole per noi.»

«Sembra anche a me,» rispose il giovane marinaio. «I bretoni però sono sempre bretoni, teste dure che finiscono per spuntarla comunque.»

«Sì, quando non vengono tagliati a colpi d’ascia oppure fucilati a bruciapelo. Jor!…»

«Mastro,» rispose subito il marinaio della fusta.

«E gl’inglesi non scopriranno le nostre tracce? È vero che abbiamo con noi il segretario del marchese che ci servirà per tenere indietro quei signori.»

«Lo pensavo anch’io in questo momento,» disse Jor. «La terra è ancora umida e sarebbe loro facile seguire le nostre orme. Vado a cancellarle.»

«Non ti farai sorprendere?»

«Non temete: questa foresta la conosco troppo bene e, se gl’inglesi vorranno darmi la caccia, li farò correre fino a sfiatarli completamente. Buoni sulle antenne e pessimi camminatori a terra.»

«Pensa che ti aspettiamo, e tutt’altro che tranquilli. È un altro uragano che si abbatte su di noi e questo sarà a base di colpi di carabina.»

«Lasciate fare a me, mastro. Fra mezz’ora, e fors’anche prima, io sarò qui,» rispose il compagno di Davis.

Prese il suo fucile e si allontanò scomparendo ben presto in mezzo alle piante.

«Non cancella le tracce,» disse Piccolo Flocco un po’ inquieto.

«Lo farà nel ritorno,» rispose Testa di Pietra. «E ora, signor Oxford, si può chiedere vostre notizie?»

Il segretario del marchese, il quale si era seduto su un ammasso di polvere legnosa, sempre ben guardato dai due assiani, gli lanciò una occhiata feroce.

«È inutile che straluniate gli occhi in quel modo, mio caro signore,» disse Testa di Pietra. «Ci vuole ben altro per spaventare dei corsari.»

«Che cosa volete da me?» chiese il segretario con voce quasi strozzata.

«Sapere prima di tutto da voi quanti uomini si trovano a bordo del brigantino.»

«Io non li ho contati.»

«I vostri occhi erano malati per caso?»

«E molto.»

«E sono subito guariti quando il marchese vi ha lanciato sulle mie tracce?»

«Infatti, sbarcando qui, ci ho veduto subito benissimo. Sarà stata l’aria resinosa di questi boschi.»

«Quest’aria, caro signore, cura i polmoni e non gli occhi. Non crediate di aver a che fare con uno sciocco.»

«Ho tanto piacere di saperlo.»

«Perché il marchese è tanto accanito contro di me?»

«So che desidera avervi nelle sue mani insieme a Piccolo Flocco. Ha dei vecchi conti da regolare con voi, dovete ben saperlo.»

«Infatti noi gli abbiamo giocato parecchi pessimi tiri, ma eravamo in piena guerra e si trattava di non fare l’ultima danza alle estremità dei pennoni del suo vascello. Voi avreste fatto altrettanto.»

Il segretario rispose con un’alzata di spalle.

«È vero che il marchese sa che dal generale Washington e dal baronetto Mac-Lellan mi sono state date due lettere per i comandanti del forte di Ticonderoga.»

«Io non so nulla.»

«Mentite,» disse Riberac, «l’avete detto a me poche ore fa nel mio fortino.»

«Avete capito male,» rispose il segretario.

Poi, guardandolo fisso:

«Ci avete traditi, è vero? E il mio signore contava tanto su di voi!…»

«Io sono canadese, che è quanto dire francese, e non già inglese. Oggi combatto per la libertà americana.»

«E anche il vostro compagno Jor?»

«È canadese anche lui.»

«Avete ben giocato il mio signore. Ci saranno delle corde anche per voi, non dubitate.»

«E quelle saranno grosse come le gomene delle ancore di speranza,» disse Testa di Pietra ironicamente. «E non pensate, signore, ad una possibile vostra impiccagione? Ci sono migliaia e migliaia di alberi in questa foresta che non si romperanno sotto il vostro magro corpo. Un pezzo di gherlino, noi marinai, lo abbiamo sempre in tasca.»

«E osereste?» gridò il segretario impallidendo.

«Signor mio, noi oseremo tutto se il marchese non ci lascia il passo libero per andare al forte.»

«Lui cedere dinanzi a sei uomini?»

«Lo si vedrà più tardi. Io spero che ci terrà a salvar la vostra pelle,» rispose il bretone.

«Dunque, vorreste impiccarmi!…»

«C’è tempo, signore,» disse Testa di Pietra. «Noi non abbiamo mai fretta.»

In quel momento sul brigantino rimbombarono alcune cannonate alle quali fecero subito eco alcune scariche di carabine sparate certamente dal secondo drappello di marinai.

«Il marchese deve chiedere vostre notizie,» disse Testa di Pietra.

«Sarà certamente inquieto per la vostra scomparsa.»

Il segretario stava per rispondere, quando Piccolo Flocco si precipitò verso l’uscita della caverna legnosa gridando:

«Ecco Jor che ritorna correndo. Mi pare che sia inseguito.»

«Corpo d’una cannonata!…» esclamò Testa di Pietra alzandosi rapidamente. «Che si sia lasciato sorprendere? Non avrà più il tempo di cancellare la nostre tracce e gl’inglesi non tarderanno a scovarci. Fortunatamente abbiamo il signor Oxford ed i nostri tamburi.»

Aveva raggiunto Piccolo Flocco il quale era già uscito con la carabina armata, pronto a far fuoco.

Jor si avanzava correndo come un cervo, spiccando dì quando in quando dei gran salti per guadagnar terreno: anche lui teneva saldamente fra le mani il fucile.

«Sì, dev’essere inseguito,» disse il vecchio mastro, il cui viso si era molto rannuvolato. «Bel merlo bianco a lasciarsi cogliere!… Ed è un marinaio e, per giunta, un canadese.»

«Resteremo qui o fuggiremo?»

«Aspettiamo, Piccolo Flocco. Sai che io non ho mai fretta e che pure giungo sempre in tempo per salvare le situazioni difficili.»

Anche Riberac era uscito seguito da Wolf. Hulrik era rimasto a guardia del prigioniero.

Jor, il quale avanzava sempre velocissimo, in pochi minuti giunse dinanzi al pino gigante. Malgrado il freddo intenso, sudava come un cavallo che avesse percorso d’un fiato quattro leghe.

«Sei inseguito?» gli chiese Testa di Pietra.

«Sì,» rispose il marinaio della fusta. «Ho alle mie calcagna dodici marinai guidati da un ufficiale. Stavo per entrare nel fortino per portarvi dei viveri quando fui veduto ed inseguito attraverso il passaggio segreto. Fortunatamente, ho avuto il tempo di aprire la porta che immette sul piccolo ponte e di slanciarmi attraverso la foresta.»

«Saranno lontani gl’inglesi?» chiese il bretone.

«Non tarderanno a giungere. Mi stringevano troppo da vicino, seguendo le mie orme quand’io scomparivo in mezzo ai macchioni.»

«L’affare è grave.»

Rifletté un momento, poi disse:

«Che Hulrik rimanga dentro il pino a guardia del prigioniero e noi prendiamo i nostri tamburi e andiamo a imboscarci a poca distanza.

Qui le grandi macchie non mancano e possono nascondere anche cinque o seicento uomini. Proviamo.»

«Avete tanta fiducia nei miei poveri strumenti?» chiese Riberac un po’ ridendo.

«Ah, molta!… Batteremo furiosamente ancora le pelli d’asino e vedrete che otterremo un bel successo. Su, lesti, e tu, Hulrik, tieni fermo il segretario del marchese. Non temere: saremo pronti a venire in tuo aiuto.»

«Sì, patre,» rispose il buon assiano. «Io restare anche se giungere palle.»

«Lo so che tu sei coraggioso.»

Si caricarono dei tamburi e si gettarono dentro una folta macchia di betulle e di pini, prendendo subito posizione dietro il tronco enorme di un albero caduto per decrepitezza.

«Corpo di tutti i campanili della Bretagna!…» esclamò Testa di Pietra, facendo schioccare le dita. «Abbiamo trovato perfino una barricata. Che cosa si poteva desiderare di più? Fra tante disgrazie qualche colpo di fortuna giunge sempre in tempo. Ah, eccoli!… Sono tredici!… Brutto numero per loro.»

Un piccolo drappello di marinai, guidati da un ufficiale e che doveva aver seguite le orme di Jor, eraera sbucato a trecento metri dal gigantesco pino, dopo aver attraversato una macchia piuttosto fitta. Si avanzavano cautamente con i fucili in mano, temendo certamente qualche brutta sorpresa.

Forse gli altri si erano fermati al fortino per cercare il segretario del marchese.

«Signor Riberac, sapete battere il tamburo?»

«Bene o male picchierò sulla pelle d’asino,» rispose il trafficante.

«E tu, Jor?»

«Passabilmente. Sono stato soldato,» rispose il marinaio della fusta.

«Wolf e Piccolo Flocco conoscono pure queste pelli d’asino e suoneranno per i primi la carica. Aspettate però prima il mio comando.»

«Dove vai?» chiese il giovane marinaio vedendolo saltare la barricata.

«A fare quattro chiacchiere con quei signori,» rispose il vecchio bretone. «Lascia fare a me. Vedrai che saprò cavarmela senza che una palla mi buchi le carni.»

«È un’imprudenza.»

Il bretone non l’ascoltava più. Si era fatto avanti, tenendo sempre la carabina armata, e aveva lasciata la macchia.

Gl’inglesi si erano allora arrestati per rilevare le piste di Jor.

«Miei signori!…» gridò. «Si può sapere dove andate? Dovreste pur sapere che queste rive del Champlain sono state ormai conquistate dagli americani. Siamo in mille pronti a farvi a pezzi se non vi arrendete.»

L’ufficiale, un giovanotto biondo, si era subito risollevato da terra, fissando i suoi occhi azzurri su mastro Testa di Pietra.

Anche i suoi marinai erano balzati in piedi radunandosi dietro il loro capo.

«Chi siete voi?» chiese l’ufficiale.

«Il famoso mastro Testa di Pietra che il marchese conosce molto bene, sapete: sono quello che vi cannoneggiava dalla Tuonante e che vi spaccava alberi e pennoni.»

«Voi!…» esclamò l’inglese dopo una lunga esitazione.

«Sì, sono io alla testa di mille americani che sono nascosti nella foresta.»

«Voi scherzate.»

«Se abbiamo già fatto prigioniero il signor Oxford!…»

«Ah, lo tenete voi!…»

«È strettamente sorvegliato e con una corda al collo per poterlo impiccare al più presto se voi tenterete di avanzarvi.»

«Il signor Oxford nelle vostre mani!…» esclamò l’ufficiale.

«Ve lo faremo vedere.»

«Avanti, miei marinai!…» gridò l’ufficiale. «Abbiamo i compagni alle spalle pronti ad aiutarci.»

«Non vi arrestate?»

«No: non sono cosi stupido da credere che qui vi siano tanti americani.»

«La carica!… La carica!…» urlò Testa di Pietra rifugiandosi lestamente dietro il grosso tronco del pino che formava la barricata.