Una visita preoccupante

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Una visita preoccupante
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UNA VISITA PREOCCUPANTE
(UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DI LACEY DOYLE—LIBRO QUATTRO)
FIONA GRACE
VERSIONE ITALIANA
A CURA DI
ANNALISA LOVAT
Fiona Grace

Dalla penna dell'autrice esordiente Fiona Grace, arriva la serie di GIALLI INTIMI E LEGGERI DI LACEY DOYLE, che include ASSASSINIO IN VILLA (Libro #1), UNA MORTE E UN CANE (Libro #2), I CINQUE DEL SALOTTO (Libro #3), UNA VISITA PREOCCUPANTE (Libro #4), e UCCISO CON UN BACIO (Libro #5). Fiona Grace è anche l'autrice della serie di GIALLI INTIMI E LEGGERI TRA I VIGNETI DELLA TOSCANA.

Fiona da molta importanza al rapporto con i lettori, visitate www.fionagraceauthor.com per ricevere ebook gratuiti e scoprire le ultime novità sulle pubblicazioni, o magari anche solo per un saluto.


Copyright © 2020 Fiona Grace. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla legge sul diritto d’autore degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte della presente pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza previa autorizzazione dell'autore. La licenza di questo ebook è concessa solo ad uso personale. Questo ebook non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone. Se si desidera condividere questo libro con un'altra persona, si prega di acquistare una copia aggiuntiva per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne un'altra. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del duro lavoro dell'autore. Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, attività commerciali, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono il prodotto dell'immaginazione dell'autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, vive o morte, è del tutto casuale. Il Copyright dell'immagine di copertina Kishivan, concesso su licenza di Shutterstock.com.

LIBRI DI FIONA GRACE
UN MISTERO AVVOLGENTE TRA I VIGNETI DELLA TOSCANA

INVECCHIATO PER UN OMICIDIO (Libro #1)

BARRICATO PER LA MORTE (Libro #2)

AFFINATO PER IL CAOS (Libro #3)

UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DI LACEY DOYLE

ASSASSINIO IN VILLA (Libro #1)

UNA MORTE E UN CANE (Libro #2)

I CINQUE DEL SALOTTO (Libro #3)

UNA VISITA PREOCCUPANTE (Libro #4)

CAPITOLO UNO

“Come sta andando lassù?” chiese Lacey frettolosamente, sbirciando oltre i piedi di Gina, lungo i pioli della scala di metallo.

Le due donne erano nel negozio di antiquariato di Lacey e stavano disponendo un mucchio di orribili marionette che Gina aveva trovato in magazzino e che aveva insistito che sarebbero andate ‘vendute come dolci’. E nonostante fosse una ventina d’anni più vecchia di Lacey, Gina si era anche presa la briga di arrampicarsi sulla scala per andarle ad appendere tra le travi del soffitto.

“Ho addosso sessantacinque anni di giovinezza, signorinella,” disse a Lacey, che era rimasta di sotto, impossibilitata a fare qualsiasi cosa se non tenerle la scala ferma. “Non sono ancora una fragile vecchietta.”

Improvvisamente, un’inquietante marionetta di legno dondolò verso il basso, facendo sobbalzare Lacey. Aveva le sembianze di un uomo grottesco con il naso adunco e un cappello da giullare, e ora penzolava sopra alla sua testa con il suo sorriso malvagio. Lacey rabbrividì, mettendo mentalmente in questione la capacità di giudizio di Gina. Chi mai sulla faccia della terra avrebbe voluto comprare una cosa di così sgradevole aspetto?

“Allora?” chiese la voce emozionata di Gina dall’alto della scala. “Non hai ancora scoperto dove ti porterà Tom per la vostra fuga romantica?”

Le guance di Lacey si imporporarono quando sentì nominare il suo innamorato. Tom aveva recentemente annunciato che l’avrebbe portata a fare una vacanza romantica, e le stava mandando degli indizi fotografici ogni giorno per aiutarla a indovinare dove. L’ultima foto era stata quella di una scoscesa scogliera bianca con alle spalle un meraviglioso cielo blu.

“Da qualche parte vicino al mare,” rispose Lacey sognante.

Ovunque fosse, sembrava assolutamente idilliaco. Ma per quanto le importava, poteva anche essere il posto più desolato sulla faccia della terra: lei avrebbe comunque accettato con gioia quella pausa. Dire che si meritava un po’ di tempo libero era un eufemismo. Da quando aveva aperto il suo negozio di antiquariato nella cittadina balneare di Wilfordshire, in Inghilterra, le uniche volte in cui aveva avuto una cosa come due giorni consecutivi senza lavoro erano state per indagare su orrendi omicidi. Quello non contava effettivamente come vacanza, poco ma sicuro!

Proprio allora, un’altra marionetta scese verso il basso, sospesa al suo filo, sopra alla testa di Lacey, risvegliandola così dal suo sogno a occhi aperti. Questa aveva le sembianze di una corpulenta cameriera con fiocco e grembiule. Aveva la stessa faccia grottesca della prima. Lacey arricciò il naso per il disgusto.

“Mi puoi ripetere chi ha avuto l’idea di attaccare questi affari orribili al soffitto?” chiese. “Non so quanto apprezzerò il fatto che mi stiano a guardare tutto il giorno dall’alto.”

Da sopra, Gina ridacchiò. “Ti prometto che le venderemo velocemente. Punch e Judy sono un’istituzione qui in Inghilterra. Non posso credere che tu le abbia tenute nascoste in una scatola tanto a lungo! Almeno le abbiamo tirate fuori giusto in tempo per la calca estiva.”

Lacey non poteva capacitarsi di come quelle brutte marionette potessero considerarsi un’attrattiva, ma su questo si fidava di Gina. In quanto nata e cresciuta a New York, spesso Lacey non capiva le stranezze della cultura inglese.

“Allora, quali erano gli altri indizi?” chiese Gina dall’alto. “Voglio andare a fondo in questo mistero!”

Tenendo la scala con una mano, Lacey usò l’altra per recuperare il suo cellulare dalla tasca dei jeans. Fece scorrere le immagini con il pollice.

“Un castello,” disse. “Un uccello… forse un uccello azzurro, simile a un tordo? Un panino! Una foto in bianco e nero di una signora con in mano uno di quei microfoni anni Quaranta. E un imperatore romano.”

“Un imperatore romano?” ripeté Gina sorpresa. “Magari ti porta in Italia!”

“In Italia? Non è che sia esattamente famosa per i suoi panini, no?” disse Lacey con sarcasmo prima che un’altra marionetta calasse al suo posto, finendo con il suo ghigno proprio davanti alla sua faccia. Questo era un inquietante pagliaccio con vivaci riccioli arancioni. La vernice un po’ scrostata lo faceva apparire ancora più spaventoso. Lacey rabbrividì.

“Attenta con quel sarcasmo, signorina,” le disse Gina. “Vedo che il nostro umorismo inglese si sta impadronendo di te.”

“E comunque sarà una vacanza qui nei paraggi,” continuò Lacey. “Quindi sarà di certo da qualche parte in Ingh… ah!”

Gina aveva lasciato andare un’altra delle sue marionette, solo che questa aveva colpito Lacey dritto in testa. La spostò con una manata e si trovò a guardare in faccia un agente di polizia che sorrideva minacciosamente e teneva un manganello nella sua stupida mano da marionetta. Lacey pensò immediatamente al sovrintendente Turner del Dipartimento di Polizia di Wilfordshire, un uomo con il quale sperava sinceramente di non dover più avere a che fare nel prossimo futuro.

“Quante ne hai ancora là sopra di queste cose orribili?” gridò Lacey, massaggiandosi la testa dolorante.

“Questa era l’ultima,” rispose Gina allegramente, ignara di ciò che era successo di sotto. La scala scricchiolò sotto al suo peso mentre lei scendeva. Quando raggiunse il fondo sana e salva, guardò Lacey in faccia. “Purtroppo non hai la marionetta del cane, e il filo delle salsicce si è staccato.”

Sollevò le finte salsicce. Lacey non voleva neanche sapere che roba fosse.

“Fammi vedere queste fotine allora,” disse Gina, allungando la testa per sbirciare l’immagine sullo schermo del cellulare di Lacey.

Lacey le mostrò le immagini scorrendole con il pollice.

“Oh!” esclamò all’improvviso Gina. “Perché non mi hai detto che erano scogliere bianche? Tesoro, andrai a Dover!”

E detto questo, si lanciò un una canzone. La sua voce acuta e squillante riecheggiò in tutto il negozio, raggiungendo le travi del soffitto. Lacey contorse il viso in una smorfia.

There’ll be bluebirds over – ironia vuole, ovviamente, che gli uccelli azzurri non siano originari dell’Inghilterra”, aggiunse frettolosamente, prima di lanciarsi nel verso successivo della canzone, “– the white cliffs of Dover.” Riprese poi il discorso: “La devi conoscere questa canzone! È un vecchio classico dei tempi della guerra.”

“Conosco la canzone,” disse Lacey. Poi schioccò le dita. “La foto in bianco e nero della cantante con il vecchio microfono!” Fece scorrere le immagini sul telefono e la mostrò a Gina.

“Oh sì! Questa è Vera Lynn, giusto,” confermò la donna annuendo.

Gli uccelli azzurri. Le scogliere. L’imperatore romano.

“Tom mi porterà a Dover,” disse Lacey con grande meraviglia.

“Che affascinante,” commentò Gina, dandole una giocosa gomitata nelle costole.

Lacey si sentiva tutto il corpo pervaso da un brivido di emozione. Era già stata di per sé contenta di quella romantica fuga segreta. Poi Tom aveva iniziano a imboccarla con dei piccoli indizi sulla loro meta e il suo entusiasmo era man mano cresciuto. Ora che aveva scoperto dove sarebbero effettivamente andati, era davvero deliziata.

 

Gli mandò rapidamente un messaggio: “Ho capito!” e guardò attraverso la vetrina del negozio, verso la sua pasticceria dall’altra parte della strada, vedendolo prendere il telefono e iniziare a ridere.

Ma proprio mentre Lacey stava guardando il suo innamorato attraverso la finestra, una figura si portò improvvisamente davanti a lei, rovinandole la visuale. Quando si rese conto di chi la stava fissando, l’eccitazione che aveva provato solo pochi istanti prima la abbandonò in un colpo solo, come una candela improvvisamente spenta da una folata d’aria. L’emozione fu sostituita invece da un inquietante sensazione di timore. Taryn.

La proprietaria della boutique della porta accanto era sempre pronta a impicciarsi nella vita di Lacey, nel tentativo di farla andare via dalla città. Perché avesse un tale senso di astio nei suoi confronti, Lacey non l’aveva mai capito del tutto, a parte l’ovvio fatto che la donna era uscita con Tom per un breve periodo diversi mesi prima. Era molto probabile però che fosse gelosa del suo successo, o che nutrisse dei forti pregiudizi nei confronti di un’americana che secondo lei andava a rovinare la loro via principale, altrimenti perfettamente britannica. Probabilmente erano un po’ tutte quelle motivazioni messe insieme.

Il campanello del negozio suonò con forza mentre Taryn entrava in fretta e furia e attraversava il pavimento di legno con i suoi tacchi a spillo neri e il suo solito tubino addosso. Le sue spalle spigolose e ossute erano scoperte.

“Oh, guarda, ci sono i Grim Reaper,” mormorò Gina sottovoce, mentre tutte e due guardavano Taryn che si teneva a debita distanza dalla loro collezione di brutte marionette, facendo una faccia disgustata e quasi calpestando Chester, il cane. Il pastore inglese mugolò contrariato per essere stato improvvisamente ridestato dal suo torpore. Poi riabbassò il muso a terra e se lo coprì con le zampe anteriori, cosa che avrebbe fatto molto volentieri anche Lacey, se le convenzioni sociali lo permettessero.

La donna, totalmente accigliata, si fermò bruscamente di fronte a Lacey e Gina.

“Come posso aiutarti, Taryn?” chiese Lacey con voce sommessa e in nervosa attesa.

“Sei consapevole del fatto,” iniziò Taryn con arroganza, “che un PICCIONE ha fatto il NIDO sopra alla tua porta? Il suo costante cinguettio mi sta facendo impazzire! Devi chiamare la disinfestazione. SUBITO.”

“Prima cosa, non è un piccione,” ribatté Lacey.

“Si chiama Martina,” aggiunse Gina con tono di scherno.

Lo sguardo di pietra di Taryn si spostò da una donna all’altra. Incrociò le braccia. “Avete dato un nome a un piccione?”

“Te l’ho detto,” disse Lacey. “Non è un piccione. È un balestruccio.”

“E Martina è un nome perfetto per un balestruccio,” disse Gina, offrendo il suo pieno supporto a Lacey.

“Ha fatto tutto il tragitto in volo dall’Africa per venire a crescere i suoi piccolo sopra la porta del mio negozio,” aggiunse Lacey.

“E siamo entrambe onorate di averla qui,” concluse Gina, terminando così la loro performance a due.

Lacey faceva fatica a trattenere le risate.

Taryn sembrava furiosa. Le sue narici erano dilatate. “Se non ve ne sbarazzate, la disinfestazione la chiamo io,” minacciò a denti stretti.

Gina ridacchiò. “Non penso che troverai niente di utile al riguardo, mia cara. Nessuno sarà disposto a rimuovere un nido durante il periodo della cova!”

Sembrava che a Taryn stessero per esplodere le vene in corpo. “E quando finisce questo periodo della cova?” chiese a denti stretti.

“Novembre, suppergiù,” disse Gina.

Taryn serro la mandibola con furia. “Tipico!” tuonò, prima di ruotare sui tacchi e partire, andando a sbattere contro le marionette. Lanciò un urlo e se le sbatté via dalla faccia. Con un’ultima occhiataccia verso Lacey e Gina, uscì di gran carriera da dove era venuta.

Nel momento in cui se ne fu andata, Lacey e Gina scoppiarono a ridere. Lacey rise così forte che le lacrime le scorrevano lungo le guance.

“Non c’è mai un momento di tregua,” disse, asciugandosi gli occhi. Ma poi esitò. “Aspetta un minuto. Chester non ha ringhiato a Taryn.”

Normalmente, il suo pastore inglese emetteva un sommesso brontolio per tutto il tempo che Taryn era in sua presenza. Dato che le era arrivato insieme al negozio, a dire il vero conosceva Taryn da molto prima di lei, e tra i due c’era ancora più astio che tra lei e la donna! Chester trattava Taryn come se fosse la sua versione di Crudelia de Mon.

“Forse adesso non gli dà più fastidio?” suggerì Gina, passandosi la manica sotto agli occhiali rossi fiammeggianti per asciugarsi a sua volta le lacrime.

Lacey non era convinta. “Ne dubito fortemente. Cioè, lo ha praticamente quasi pestato! No, c’è dell’altro.”

Si avvicinò velocemente a Chester e gli spostò delicatamente le zampe da sopra la testa. Lui parve notarlo appena, quindi Lacey gli sollevò il muso, tenendogli una mano sotto al mento. Era pesante, come se il cane fosse troppo debole per tenersi su da sé. Quando lo guardò negli occhi, Lacey vide che li aveva umidi e arrossati. Il cane mugolò sommessamente.

“Oh, tesoro,” gli disse, il cuore che le si fermava quasi nel petto. “Sei malato?”

Chester gemette come a voler confermare i suoi sospetti e lo stomaco di Lacey si strinse per la preoccupazione.

“Gina, sarà meglio che lo porti dal veterinario,” disse frettolosamente, voltandosi a guardare l’amica. “Te la cavi da sola con il negozio?”

“Certo,” disse Gina facendo un gesto di noncuranza con la mano. “Nessun problema, come sempre.”

Lacey mise il guinzaglio a Chester e lo accompagnò fuori dal negozio, la mente colma di preoccupazione per il suo povero amico peloso ora malato.

CAPITOLO DUE

“Chester!” esclamò la donna alla reception.

Lacey aveva passato un breve ma ansioso periodo d’attesa nella sala d’aspetto del migliore studio veterinario di Wilfordshire, dopo aver percorso a tutta velocità, con la sua malconcia auto di seconda mano, le contorte stradine di acciottolato che vi conducevano.

Si alzò dalla scomoda sedia di plastica e diede al guinzaglio di Chester una leggera tiratina. Lui sbuffò scocciato – decisamente una cosa non da lui, notò Lacey con ulteriore ansia – e la seguì trascinandosi a fatica nella stanza.

La veterinaria, Lakshmi, sollevò lo sguardo quando entrarono. Era una donna asiatica di bassa statura, che quasi scompariva nel suo camice verde. I tratti infantili del suo volto la facevano apparire troppo giovane per aver completato il percorso di studio richiesto dalla sua professione.

“Santo cielo,” esclamò dopo aver dato una semplice occhiata alla figura arrancante di Chester. “Cosa succede qui?”

Lacey deglutì in totale apprensione mentre Chester saliva obbediente sul tavolo per farsi esaminare. “Non è lui,” spiegò. “Sembra estremamente sonnolento. È come se avesse perso il suo solito brio.”

Lakshmi iniziò a dargli un’occhiata, mettendogli un termometro nell’orecchio, osservandogli gli occhi con una piccola torcia in miniatura. Chester si fece fare, evidentemente a suo agio con quello che Lakshmi stava facendo, oppure troppo stanco per tentare di opporre resistenza.

“Penso che qualcuno stia soffrendo di un caso di influenza canina,” disse Lakshmi, spegnendo la torcia e rimettendola nel taschino del camice. “Hai altri animali a casa?”

“Non a casa, ma lui passa quasi tutto il giorno con la sua migliore amica Boudicca,” spiegò Lacey. Poi si affrettò a chiarire: “Che è un cane anche lei.”

“Bene, in questo caso potrebbe essere una buona idea tenerlo qui per evitare che possa contagiarla. Lo posso tenere sotto stretta osservazione e prescrivergli dei diuretici per prevenire la disidratazione.”

Lacey si sentì spezzare a metà il cuore. Il suo povero cucciolo!

“Ma non ho mai passato una notte senza di lui da quando ce l’ho,” disse tristemente.

I tratti del viso di Lakshmi si ammorbidirono in segno di comprensione. “Puoi venirlo a trovare ogni volta che vuoi. In effetti, ti incoraggio a farlo. Vedere un volto noto può davvero aiutare a ridurre il livello di stress.”

Lacey si morse il labbro. Il pensiero di Chester rinchiuso in una delle gabbie là fuori, tutto solo e confuso, stava iniziando a renderla ansiosa. “Per quanto dovrà restare qui?” chiese.

“L’influenza canina è un po’ come quella umana,” spiegò Lakshmi. “Quindi potrebbe durare anche due settimane.

“Due settimane!?” esclamò Lacey. Poteva sentire un nodo di dolore in gola.

“So che sarà dura,” disse Lakshmi con gentilezza, “ma è per il meglio. Sarà in buone mani. Vuoi procedere e firmare il ricovero?” Le porse una cartellina sulla quale era pinzato un modulo rosa e le fece un cenno di incoraggiamento.

Nonostante l’agonizzante dolore al petto, Lacey prese la penna e firmò sulla riga tratteggiata. Poi abbassò il volto tra il pelo arruffato del collo di Chester, lasciando discretamente cadere le proprie lacrime tra la sua pelliccia.

“Andrà tutto bene, amico,” gli mormorò.

Chester mugolò tristemente.

Poi Lacey si raddrizzò e uscì velocemente dallo studio veterinario prima di cedere completamente. Solo quando fu al sicuro in auto permise alle sue lacrime di scendere liberamente.

Chester era stato al suo fianco ogni singolo giorno da quando si era trasferita a Wilfordshire. Era la sua ombra. La sua metà. Il suo compagno di merende. No, il suo braccio destro nel risolvere i crimini. Come avrebbe fatto a gestire due settimane senza la sua confortante presenza al proprio fianco?

“Oh no!” esclamò all’improvviso sussultando. Tra due giorni avrebbe dovuto partire per la sua fuga segreta con Tom. Ora non avrebbe più potuto andarci. Lakshmi le aveva detto che delle visite frequenti da parte di qualcuno di familiare avrebbero aiutato Chester a gestire lo stress. Non poteva lasciarlo in questo momento di bisogno. Era davvero delusa e amareggiata: aveva aspettato con tanta trepidazione questa pausa romantica insieme a Tom.

Con un profondo sospiro di tristezza, Lacey prese il cellulare dalla borsa in modo da poterlo chiamare e dargli la notizia. Ma prima di poterlo fare, notò un messaggio che le era arrivato da Xavier Santino.

Esitò, corrucciando le labbra costernata. Lo spagnolo era un suo contatto del mondo dell’antiquariato. Affermava di aver conosciuto il suo padre scomparso, Francis. Ma ipotizzando che dietro ai tentativi dell’uomo di restare in contatto con lei c’erano altre motivazioni più romantiche, Lacey aveva suggerito di allentare un po’ le loro comunicazioni. A quel punto Xavier le aveva risposto sostenendo di sapere dove si trovasse Francis. Lacey aveva riflettuto per ore se rispondere o meno. Non poteva essere certa che l’uomo non stesse solo usando suo padre come esca per attirarla a sé. Alla fine l’attrattiva si era rivelata troppo forte per potervi resistere. Il mistero della scomparsa di suo padre era come un enorme nuvolone nero che stava sospeso su di lei ovunque andasse. Ogni pista sembrava una cima di salvataggio, anche se in questo modo stava dando il benvenuto nella propria vita a ulteriori possibili problemi. E quindi aveva mantenuto il contatto con Xavier, che le aveva fornito il successivo criptico pezzo del puzzle: Canterbury. A quanto pareva suo padre era stato avvistato piuttosto recentemente nella cittadina inglese di Canterbury…

Lacey non aveva avuto idea di come elaborare quella notizia. Per anni si era rigirata nella testa almeno cento diversi possibili scenari. A volte trovava conforto nell’idea che lui fosse morto poco dopo aver lasciato, senza alcuna spiegazione, la sua famiglia, e che non aveva realmente deciso di andarsene, o che magari stava addirittura tornando a casa quando era successo. Poi, non appena si era messa il cuore in pace con l’idea che fosse morto, la sua testa cambiava corsia e le diceva invece che aveva deciso di scappare perché non sopportava sua moglie, Shirley, e le sue figlie, lei e Naomi. La verità era che, anche se nessuna risposta sarebbe mai stata soddisfacente, qualsiasi risposta era pur sempre meglio che niente.

Prima di aprire il messaggio di Xavier, Lacey cercò di ricordare quale domanda da parte sua avesse potuto indurlo a scriverle. Quanto recentemente? Sì, quello era stato l’ultimo messaggio che lei gli aveva inviato. Perché c’era una grossa differenza tra un avvistamento vecchio di dieci anni o accaduto l’anno scorso, anche se entrambi l’avrebbero gettata in un vortice da cui non era certa di come sarebbe uscita.

Si preparò mentalmente e premette il piccolo simbolo a forma di busta. Le parole Non lo so riempirono lo schermo. Lacey si sentì svuotata. Alla fine sembrava che Xavier l’avesse solo illusa.

 

Amareggiata e delusa, uscì dalla schermata, solo per accorgersi che c’era una fervente attività nel gruppo di messaggistica che condivideva con sua madre e la sorella più giovane. C’erano una dozzina di luminosi avvisi di notifica che reclamavano la sua attenzione. Sua madre e sua sorella erano note per la loro vena melodrammatica, ma questo non impediva a Lacey di temere sempre per il peggio.

Aprì la app e vide che tutte le notifiche riguardavano messaggi di Naomi. Sembrava aver inviato una raffica di domande. Domande molto strane…

Quanto dista Wilfordshire dalla Scozia?

In Inghilterra c’è una stagione dei monsoni?

Ci sono le zanzare in estate?

Lacey socchiuse gli occhi, le sopracciglia ancora umide di lacrime. Era profondamente perplessa. Perché Naomi era così improvvisamente e stranamente interessata al Regno Unito?

Rispose:

La Scozia è a 500 miglia da qui.

Non ci sono monsoni, ma piove un sacco.

Sì, ci sono zanzare.

Poi aggiunse alla fine:

Va tutto bene?

La risposta di Naomi fu immediata. Era come se la sorella fosse stata lì con il telefono davanti agli occhi ad aspettare la risposta di Lacey alla sua bizzarra lista di domande.

Ci sono montagne a Wilfordshire?

Lacey alzò le mani in aria, frustrata. Ma di cosa diavolo stava blaterando Naomi? Perché quell’improvvisa curiosità?

No, le rispose. Ci sono scogliere. Perché lo chiedi?

Lacey non poté fare a meno di chiedersi se Naomi avesse scoperto qualche genere di pista riguardante loro padre – la foto di una montagna piovosa, per esempio – ma forse quello era solo un pensiero alimentato dalle sue speranze. Naomi, di suo, preferiva fingere che loro padre non fosse mai esistito. Era molto più probabile che sua sorella stesse partecipando a un quiz per beneficienza al pub.

Il suo telefono continuò a trillare e vibrare, man mano che altre strane domande arrivavano da parte di Naomi. Lacey sospirò e mise via il cellulare. Era stata una breve distrazione dal dolore per Chester, ma non poteva stare tutto il giorno nel parcheggio del veterinario: aveva un negozio da mandare avanti.

Lacey tornò al suo negozio ed entrò.

Gina diede un’occhiata al suo volto rigato di lacrime ed esclamò: “Hanno soppresso Chester!”

“No!” esclamò Lacey. “Sta male. Deve stare per un po’ sotto osservazione dal veterinario.”

Gina si portò una mano al petto. “Grazie al cielo. Mi hai spaventata.”

Lacey si lasciò cadere sulla sedia dietro al bancone, affondando la testa tra le mani. Fu solo allora che si rese conto che i messaggi di Naomi l’avevano completamente distratta dal chiamare Tom e cancellare il viaggio a Dover. Guardò fuori dalla vetrina, in direzione della pasticceria dall’altra parte della strada, osservandolo mentre si muoveva indaffarato nel suo negozio. Sorrise mestamente. Aveva voluto così tanto passare una breve vacanza romantica con lui.

“Adesso dovrò cancellare il viaggio a Dover,” disse Lacey con un profondo sospiro. “Non posso abbandonare Chester mentre è malato. Lakshmi ha detto che delle visite gli farebbero bene.”

“Posso andare io a trovarlo,” le disse Gina.

Lacey esitò. Sollevò la testa e incrociò lo sguardo di Gina. Poi scosse la testa. “Non potrei chiederti di fare una cosa del genere. Fai già così tanto.”

“Esatto. Cosa vuoi che sia un’altra commissione da aggiungere alla lista?”

Lacey era reticente. A volte aveva l’impressione di caricare Gina di troppe responsabilità e richieste. Non aveva la minima intenzione di diventare il genere di boss che si aspetta dai suoi dipendenti un comportamento da soldatini, proprio come era stata la sua severa capa a New York.

Scosse di nuovo la testa. “No. Non sarebbe giusto. Non puoi stare dietro al negozio, prenderti cura di Boudicca e andare a controllare Chester ogni giorno.”

“E tu non puoi continuare a lavorare tutti i giorni senza una pausa,” contestò l’amica. Si mise le mani sui fianchi e la guardò con espressione severa. “Quand’è stata l’ultima volta che ti sei presa un giorno libero?”

Lacey iniziò a calcolare mentalmente, ma Gina la interruppe prima che potesse arrivare alla risposta.

“Esatto!” esclamò la donna. “Non riesci neanche a ricordarti quand’è stato, da tanto tempo è passato. Senti, signorinella, ti ordino di andare a fare il tuo viaggio. Se non ci vai, io mi licenzio.”

Lacey sentì un debole sorriso incurvarle le labbra. Dove sarebbe stata se non avesse trovato Gina? “Ti porterò un regalo di ringraziamento,” le disse docilmente.

“Non serve!” tuonò lei con tono plateale. “Il tuo regalo sarà vederti tornare rilassata e felice.”

“Sono stata piuttosto nervosa ultimamente, vero?”

Gina annuì con decisione.

Lacey rifletté che erano successe un sacco di cose da quando si era trasferita in Inghilterra. Anche se la maggior parte di queste erano state positive, quel bene si era mescolato con un sacco di aspetti negativi. E tutto aveva lasciato un certo segno su di lei. Lacey aveva bisogno di premere il pulsante reset, ripulire la mente dalle ragnatele.

“Davvero non ti dà fastidio?” le chiese.

Gina si mise una mano sul cuore. “Sinceramente, al cento per cento: non mi dà fastidio.”

Lacey provò uno slancio di gioia. Saltò in piedi dalla sedia e fece cenno a Gina di avvicinarsi al bancone, in modo da poterla abbracciare. Ma prima che potesse farlo, il campanello sopra alla porta suonò, annunciando un qualche cliente. Voci americane molto forti riempirono il negozio.

Voci americane molto forti e molto familiari…

La testa di Lacey si girò di scatto verso la porta. Da lì stavano entrando nel suo negozio di antiquariato nientemeno che sua sorella Naomi, suo nipote Frankie… e sua madre.