Morrigan

Tekst
Loe katkendit
Märgi loetuks
Kuidas lugeda raamatut pärast ostmist
Šrift:Väiksem АаSuurem Aa

Appoggiai le mani sui fianchi e mi attaccai più stretta che potevo alla maglia.

Gabriel si girò scocciato. ‹‹Tu non mi ascolti allora››.

Mi prese le mani e se le portò davanti. ‹‹Ora non rischierai la vita. Tieniti forte››, e poi si rivolse alle ragazze gridando ‹‹Possiamo andare››.

Mi ritrovai schiacciata contro la sua schiena. Stavamo andando a una velocità impensabile, tanto che il paesaggio attorno risultava sfocato. Riuscivo a malapena a distinguere le immense praterie e qualche monte in lontananza, ma niente più.

Mi girava ancora la testa, così decisi di chiudere gli occhi.

Il vento mi scompigliava i capelli e con gli occhi chiusi mi sembrava di volare.

Volare!

Gabriel era un angelo, avrebbe dovuto avere le ali. Allora perché non le vedevo? La sua schiena sembrava perfetta. Oltre ai muscoli non notavo nessuna imperfezione. O almeno stando appoggiata a lui era quello che mi sembrava.

Ebbi un flash in cui vidi una sagoma con un paio di ali nere, maestose e terrificanti.

Spalancai gli occhi all’improvviso per lo spavento, e nello stesso istante la nostra folle corsa rallentò.

Attorno a me c’era un paesaggio fantastico immerso nel verde.

Gabriel notò che ero distratta e per richiamare la mia attenzione appoggiò una mano sopra le mie. Passò con delicatezza il pollice sul dorso per avvisarmi che eravamo arrivati.

Mi si fermò il cuore.

‹‹Guarda, Sofia, non è magnifico questo posto?››. La sua voce nascondeva un velo di tristezza, quasi come se quei luoghi gli facessero tornare alla mente ricordi lontani, o forse mi stavo sbagliando. Non l’avrei mai creduto capace di provare sentimenti.

Rispetto al solito, però, sembrava più dolce. Il suo lato angelico era venuto a galla?

No, ma mi sarei goduta quel momento prima che ritornasse il solito, irascibile Gabriel.

‹‹È fantastico››.

E in effetti era vero. Davanti a noi c’era un’immensa distesa d’acqua, così azzurra da dare l’impressione che il cielo si fosse ribaltato. Doveva essere un lago perché lì attorno c’erano solo montagne.

‹‹Questo è il Lago dei tre fiumi. Se guardi bene puoi benissimo capire il perché di questo nome››.

Guardai con attenzione e alla fine capii. Attorno al lago si trovavano tre montagne e da ognuna di esse scendeva un fiume che andava a sfociare direttamente nelle acque cristalline.

‹‹Dobbiamo passare il ponte. Vedi laggiù?››. Gabriel mi riportò con la mente a terra e, con mio grande dispiacere, tolse la mano dalle mie per indicare un punto in lontananza.

Vidi un ponte che sembrava non avere fine. Strizzai gli occhi per vedere meglio. Il luccichio dell’acqua mi impediva di vedere bene. Portai una mano sopra gli occhi per coprirli e alla fine vidi un piccolo rilievo montuoso.

Era strano però, aveva una forma particolare.

‹‹Lassù, in cima a quel monte c’è il castello di Ares. Vi accompagnerò fin là, poi proseguirete il viaggio da sole››, disse Gabriel serrando la mascella.

‹‹Perché non vieni con noi?››

Un lampo di rabbia gli passò negli occhi. ‹‹Non sono il benvenuto››. E bloccò la conversazione.

Con lui non si poteva mai fare un discorso completo, lasciava sempre le cose a metà e questo mi dava davvero fastidio.

Arrivammo al castello nel tardo pomeriggio.

Gabriel se ne andò con i cavalli e disse che sarebbe venuto a prenderci la mattina dopo.

Dove avrebbe passato la notte non ce lo disse, ma quello non era importante. La mia attenzione era stata attirata da qualcos’altro.

Il castello di fronte a me era stupendo, il classico castello medievale con le torri imponenti, il fossato attorno e le merlature nella parte terminale della muratura.

Entrammo scortate da quello che avrebbe dovuto essere un paggio. Era un ragazzo giovane, che scoprii essere l’unico immortale al servizio di Ares. Tutti gli altri erano rimasti con Mefisto, il quale li lasciava marcire fino all’osso in un mare di vizi e corruzione.

Indossava una calzamaglia aderente alle gambe lunghe e snelle, simili a quelle di un cerbiatto, e una camicia bianca. Sopra aveva un gilet nero con gli orli in oro chiuso da un semplice cordino marrone.

Come se non fosse abbastanza ridicolo, in testa aveva uno di quegli strani cappelli di foggia spagnoleggiante, in feltro nero, con una piuma di struzzo che ricadeva sui capelli biondi e ricci.

Non riuscii a trattenere una risata quando vidi i pantaloni corti bombati, marroni a strisce argentate. Era come se si fosse messo due palloncini sulle gambe.

Ci accompagnò fio alla porta del salone, l’aprì e annunciò a gran voce: ‹‹Sua Altezza l’immortale Ares è pronto a ricevervi››.

Entrammo in fila, prima Sonia, poi Sara e poi io.

Il salone era più grande di come l’avevo immaginato. Enormi dipinti occupavano sia la parete destra che la parete sinistra.

Erano elfi nobili, lo si capiva dal portamento fiero e dalle elaborate coroncine di foglie posate sul capo.

‹‹Chi sono?›› Chiesi sottovoce a Sara, che ancora mi guardava con uno sguardo torvo.

‹‹La prima stirpe di elfi che regnò ad Naostur, i Nuropegues››.

‹‹Ma qui non ci sono elfi››, le feci notare. ‹‹Finora ho visto solo mezzelfi. Che fine hanno fatto?››

Sara mi inchiodò con lo sguardo. ‹‹Sono storie antiche, è bene lasciare il passato dove sta››.

Perché tutta questa rabbia improvvisa? Ero solo curiosa di sapere un po’ di più della storia del luogo in cui mi trovavo.

Decisi di non indagare oltre, anche se non riuscivo a togliermi dalla testa la bellezza di quel re elfico.

Ritornai a guardarmi attorno.

Quel castello era immenso! Dall’alto della sala scendevano tre grandi lampadari, tutti alimentati da candele. Alla fine del salone, sia a destra che a sinistra, si trovavano due enormi scalinate che portavano alle stanze del piano superiore. Erano in marmo bianco e formavano una specie di ferro di cavallo.

Io e le mie sorelle acquisite camminavamo in fila sul grande tappeto rosso. Mi sentivo una regina scortata dalle sue damigelle.

Arrivate alla fine del salone, Sonia si dispose a destra, Sara a sinistra e io rimasi al centro. Vidi le ragazze portarsi la mano con le dita incrociate sul cuore e inchinarsi.

Io le imitai.

‹‹Gloria e Onore a Voi splendide fanciulle››, disse una voce sconosciuta alle mie orecchie.

Sbirciai, curiosa di sapere chi aveva parlato.

Mi ritrovai a fissare il corridoio che passava sotto le scalinate. Non c’era molta luce e l’unica cosa che riuscivo a distinguere era una figura poco definita, un contorno nero.

Nient’altro.

‹‹Gloria e Onore a Voi Ares››, dissero Sonia e Sara.

Io, invece, rimasi a bocca aperta a cercare di dare un senso all’ombra davanti a me. Non dissi nulla e mi guardarono entrambe, come se avessi appena fatto la peggior figura della mia vita.

Ares rise. ‹‹Non importa, è nuova nel nostro regno. Imparerà››.

‹‹G- Grazie››, balbettai un po’ impacciata.

Mi rialzai e i miei occhi incontrarono quelli di Ares.

Era uscito dall’ombra e un fascio di luce lo illuminò.

5
ARES


Le grandi pareti dipinte apparivano un tutt’uno con il pavimento. Un vortice di grigio, rosso e giallo sembrava volermi avvolgere.

Udii un ronzio indistinto, un po’ come quando si cominciano a perdere i sensi prima di svenire e questo lo avevo imparato a mie spese.

Poche ore prima ero svenuta ed ero morta.

E poi ero svenuta ancora.

Ma stavolta era diverso perché davanti a me solo una cosa era chiara e ben impressa nella mia mente: il viso di Ares.

Non sapevo se definirlo un ragazzo o un uomo.

Non aveva età.

Si presentò davanti a noi solamente con indosso un paio di jeans. I suoi muscoli erano ben scolpiti, ma non esagerati. Il suo viso sembrava quello di un angelo, uno di quelli che nei dipinti sono solitamente rappresentati in adorazione del Signore.

Sarebbe potuto essere uno di loro. O un serafino, nemmeno loro avevano età.

I capelli, biondi e ricci, gli ricadevano perfettamente lungo il viso, un po’ sopra le spalle. Il naso greco era perfetto, gli occhi piccoli erano di un verde intenso come le immense distese che avevo visto poco prima di arrivare al castello. Il mento poco pronunciato e a punta e la bocca sottile e poco carnosa erano molto attraenti.

Non sapevo se di fronte a me ci fosse una divinità o un immortale.

Mi resi conto di essere rimasta a fissarlo a bocca aperta per un bel po’ di tempo solo quanto Sara mi diede un pizzicotto.

‹‹Era ora che ti decidessi a tornare fra noi››, disse sottovoce. ‹‹Che diavolo ti è preso?››.

‹‹I-Io…›› balbettai.

Che avrei potuto dire?

Per fortuna Ares mi salvò da quella situazione imbarazzante. ‹‹Perdonatela, è la prima volta che si trova faccia a faccia con un immortale››, e mi fece l’occhiolino.

 

Le mie guance avvamparono di colpo.

‹‹Piacere di conoscerti, Neman. Benvenuta nel nostro regno››. Ares s’inchinò davanti a me, mi prese una mano e la baciò delicatamente, come un vero signore d’altri tempi.

‹‹Il piacere è tutto mio, Ares››.

A giudicare dall’espressione di Sonia, che alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, capii che avevo fatto l’ennesima brutta figura.

Mi girai, e a bassa voce chiesi ‹‹Che dovevo dire?››.

L’unica risposta che ebbi fu una risatina a stento trattenuta. Quelle che dovevano essere le mie sorelle mi stavano prendendo in giro.

Io non ci trovavo nulla di divertente e le fulminai con lo sguardo.

‹‹Seguitemi››, disse Ares che sembrava non aver notato nulla.

Lo seguimmo per gli immensi corridoi del castello illuminati da grossi candelabri d’oro appesi alle pareti. Entrammo in uno stanzino che sembrava troppo piccolo per quel posto così grande. Doveva essere una specie di ufficio, con una scrivania grezza in legno al centro e un immenso armadio che occupava tutta la parete in fondo allo stanzino.

Davanti alla scrivania c’erano tre sedie in legno decorato, all’apparenza scomode.

Non c’erano quadri appesi e nemmeno finestre che davano all’esterno. Soltanto un enorme lampadario di candele accese sopra le nostre teste.

Sopra la scrivania c’erano delle carte ordinate. Da una parte notai dei fogli con scritto qualcosa e dall’altra dei fogli bianchi con vicino un calamaio con inchiostro e penna piumata per scrivere.

‹‹Bene››, cominciò Ares, ‹‹questa stanza è la più sicura che abbiamo. Come sapete, sanno che è arrivata. Si mormora che stavolta è diverso, che stavolta potrebbe essere Lei e non solamente Neman. Che mi sapete dire a proposito?››.

Sara cominciò a raccontare tutto come un fiume in piena. Dal mio risveglio a quello che successe di fronte al popolo del Regno di Elos.

Finalmente capii perché mi guardava con sospetto. Ero entrata in trance e avevo cominciato a parlare con una voce che non era la mia. Anch’io, come lei, avrei sospettato qualcosa. A dire la verità, me la sarei data a gambe. Il pensiero di un qualsiasi tipo di possessione mi faceva rivoltare lo stomaco.

‹‹E così sospetti che possa essersi manifestata la Dea in persona in quel momento. Ho capito bene, Sara?›› concluse Ares.

‹‹Ne sono convinta. Per un istante ho visto un lampo nei suoi occhi, una luce diversa, e il mio corpo ha percepito una presenza forte, potente e…›› deglutì prima di continuare. ‹‹E famigliare››.

‹‹Capisco. Ma se fosse veramente la reincarnazione della Dea, di Morrigan…sapete che significa questo, vero?››.

Sara e Sonia si scambiarono uno sguardo. Guardarono me. Guardarono Ares, fecero un cenno e si misero a fissare il pavimento.

Che cosa significava?

Trattenni il respiro. Lo stomaco mi si stava contorcendo dall’ansia.

Aspettai, sperando che qualcuno mi spiegasse qualcosa.

Nessuno disse niente.

‹‹Io non so che significa››, esplosi. ‹‹Qualcuno si degna di spiegarmi che diavolo significa?››.

‹‹Sofia, tesoro, calmati››, disse Ares. ‹‹Non succederà nulla di male, tutto dipende da te. Vedi, sono anni che Morrigan non si fa vedere. L’ultima volta è stata quando è morta››.

‹‹Com’è successo?››.

Cercai disperatamente di tranquillizzarmi.

‹‹Morì durante una battaglia. Si era innamorata dell’ufficiale dell’esercito del Regno di Elos, un immortale. Morrigan è famosa per essere la Dea della guerra. Il suo aiuto sarebbe stato prezioso per vincere contro il Regno di Tenot e sconfiggere il Re, Mefisto. Quel bastardo! Ma Lugh non volle coinvolgerla, l’amava troppo. Morrigan però non sopportava l’idea di perderlo e lo seguì in battaglia trasformandosi in corvo. Quando vide che Mefisto lo stava per uccidere si trasformò nella vecchina dai lunghi capelli argentati portatrice di morte. Purtroppo la persona che morì fu quella sbagliata. La vecchina non apparve al re, apparve a Lugh››.

‹‹E lei sparì col cuore spezzato››, concluse Sonia al posto suo. ‹‹Si dice che dichiarò di volersi vendicare con Mefisto non appena ne avesse avuto l’occasione››.

‹‹Quindi che succederà se sono davvero la reincarnazione della Dea? Dovrò combattere contro questo spietato Re?››.

Ero veramente preoccupata.

Non volevo combattere, era come firmare la mia condanna a morte.

Cos’avrei potuto fare contro un immortale, poi?

Nulla!

‹‹No, tu puoi scegliere da che parte stare. Puoi stare dalla parte dei buoni, vendicandoti di Mefisto e del suo esercito››, cominciò a spiegare Ares.

‹‹E salveresti noi e il nostro regno››, aggiunse Sara con gli occhi sgranati, come per implorarmi di aiutarli.

‹‹Oppure puoi schierarti dalla parte dei cattivi che useranno il tuo potere per portare morte e distruzione. Si dice che Mefisto stia tramando qualcosa da anni, ma nessuno ha mai trovato qualcosa per poterlo provare››. Ares fissò un punto nel vuoto e strinse i pugni.

Erano due scelte assurde!

Mi sembrava logico che mi sarei schierata dalla parte del bene. Primo, perché chiunque farebbe quella scelta per salvarsi la pelle e secondo, perché conoscevo un bel po’ di persone che mi sarebbero state d’aiuto.

‹‹Scelgo la parte dei buoni, ovvio››, esclamai io.

‹‹Non è così semplice. Dovrai guardarti alle spalle, sarai messa alla prova. E per quanto ne so io qualsiasi persona che ti è vicina potrebbe non rivelarsi per quello che è in realtà. Potrebbe lavorare per il Regno di Tenot e pugnalarti alle spalle costringendoti a schierarti con loro››.

Chi avrebbe potuto fare una cosa del genere?

Né Sara né Sonia avrei pensato fossero in grado di tradirmi sotto il naso e forse nemmeno Gabriel.

No! Ripensandoci, forse lui ne sarebbe stato capace.

Mi aveva avvisato che aveva una missione da portare a termine e in più c’era quella storia del io-faccio-del-male-alle-persone-che-mi-stanno-accanto.

Già, lui sarebbe stato un ottimo candidato.

‹‹Gabriel!›› Mi sorpresi a dire tra me e me.

‹‹Gabriel? Pensi che lui possa esserti contro? Perché?››. Ares si portò una mano pensosa sul mento.

‹‹No, veramente… era solo un mio pensiero››.

Cercai di giustificarmi muovendo le mani come per voler cancellare ciò che avevo detto.

Sara, con la sua aria da bambina innocente, si girò verso di me. ‹‹Gabriel non farebbe mai del male a nessuna di noi, non è cattivo, ti stai sbagliando››.

‹‹È l’angelo della morte, non sta né da una parte né dall’altra. Sta dove gli conviene stare››. Un lampo di odio passò negli occhi di Ares.

Quel guizzo rosso contrastava con la sua figura da serafino che mi ero fatta pochi minuti prima.

Un brivido mi fece accapponare la pelle e all’improvviso una serie di immagini affiorò nella mia mente.

Piangevo, ero sola in un bosco.

Avevo paura.

Era un ricordo sfocato. Non avrei saputo dire se fosse successo realmente o fosse stato solo un vivido sogno che mi era rimasto impresso nella memoria.

Chiusi gli occhi per potermi concentrare meglio e una voce risuonò nelle mie orecchie, forte e chiara.

“Retan ni stequo pocor”.

Poi qualcosa nel ricordo attirò la mia attenzione.

Una sagoma che avanzava verso di me. Due occhi che splendevano giallastri nella notte, come quelli di un gatto.

E le immagini si bloccarono lì.

Aprii gli occhi. Nessuno sembrò fare caso a quello che mi era appena successo.

Ares stava cercando qualcosa nei cassetti della scrivania. Tirò fuori un piccolo sacchettino in cotone di un rosso talmente intenso da sembrare nero alla luce soffusa delle candele.

Lo aprì e ne tirò fuori una collana.

Era stupenda.

La alzò in modo da farla vedere a tutte e tre.

La debole luce delle candele si rifletteva nel cuore di cristallo rosso intenso emanando bagliori scarlatti per tutto lo stanzino. Ai due lati del cuore c’erano due dragoni, uno bianco e uno nero, con le ali spiegate e le code intrecciate nella parte inferiore.

‹‹Indossala sempre, Sofia, il Cuore del Dragone ti proteggerà e ti aiuterà a domare i tuoi poteri››. Ares si alzò in piedi e avanzò verso di me.

Raccolsi i capelli e li spostai da un lato per permettere ad Ares di agganciarmi la collana.

La sentivo fredda al contatto con la pelle e potevo percepire il potere che portava in sé quel piccolo cuore rosso.

‹‹Credo che sia ora di accompagnarvi alle vostre stanze››, disse Ares, accarezzandomi i capelli. ‹‹Sarete stanche››.

Non mi ero resa conto che fosse tardi. Il sole era leggermente meno forte, ma pur sempre acceso in quel cielo azzurro. Sperai che nelle stanze ci fossero dei tendoni abbastanza pesanti da impedire al sole di disturbarmi mentre dormivo.

Da sempre ero abituata a dormire nell’oscurità totale.

Non volevo nessuna luce che mi disturbasse e sapere che il sole non lasciava mai il posto alla luna mi preoccupava un po’.

Le mie sorelle uscirono prima di me e io per ultima, come al solito.

Ares mi afferrò di scatto per un braccio appena le ragazze furono abbastanza distanti e mi riportò dentro lo stanzino.

I capelli mi caddero davanti agli occhi e l’immortale li riportò delicatamente dietro l’orecchio accarezzandomi il viso.

‹‹Sei diventata una splendida donna, Sofia››.

Cosa volesse dire non lo so e non mi importava.

Ci avrei pensato più tardi.

Ero completamente ipnotizzata dai suoi occhi verdi e, visti così da vicino, notai che avevano delle pagliuzze dorate attorno alle pupille.

Avrebbe potuto manovrare le mie azioni come un burattinaio. Infatti non mi accorsi neanche quando avvicinò il mio corpo al suo.

Con una mano mi sorreggeva la schiena e con l’altra mi accarezzava i capelli.

‹‹Tu appartieni a me, e a nessun altro››.

Poi bisbigliò parole a me sconosciute e incomprensibili e le sue pupille si dilatarono. Il lampo rosso ricomparve e un brivido mi passò su per la schiena.

Ero in pericolo, lo percepivo in ogni singola particella del mio corpo, ma non potevo muovermi né urlare.

Ero sua!

Ero stata rapita da quel serafino immortale e non avrei potuto fare nient’altro se non arrendermi al suo volere.

Chinò la testa su di me e mi baciò.

Non fu un bacio appassionato, bensì un flusso di potere dalle sue labbra alle mie.

Il cuore non pulsava più solamente sangue, ma anche qualcosa di magico che faticai a riconoscere.

Fu proprio in quel preciso istante che capii due cose.

Ero sicura di essere Morrigan, la somma Dea della guerra e del cambiamento.

Ed ero riuscita a dare un nome alla figura sfocata dei ricordi che mi erano venuti in mente pochi istanti prima.

Sapevo chi mi voleva fare del male.

Da quel momento in poi avrei studiato ogni sua mossa.

Teised selle autori raamatud