Scherzi Del Natale

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Scherzi Del Natale
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MARCO FOGLIANI

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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

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Indice dei contenuti

  LE MINIERE DI BABBO NATALE

  ​UN NATALE DIVERSO

  BUON NATALE, BERNARD!

  SI CHIAMAVA PASQUALE

  UN MESSAGGIO PER BABBO NATALE

  NATALE DI GUARDIA

  LETTERA A BABBO NATALE

  UNA NOTTE MOVIMENTATA

  MIRACOLO DI NATALE IN CASA SPARAPIFFERI

  MICHELA E LO SPECCHIO

  IL REGALO DI NATALE

  IL PANETTONE DI BABBO NATALE

  DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE

  BABBO NATALE, GLI GNOMI RIBELLI … E LA BEFANA!

  SUPER FOOTBALL-MEGASTORE

  IL NATALE DEL PROFUGO

  QUANDO FUFFY SI E' SMARRITO

LE MINIERE DI BABBO NATALE
(2013)

“ Forza, Tommaso, mettiti a dormire. Altrimenti Babbo Natale non viene.”

I due fratellini, nel buio della loro stanza, si preparavano ad affrontare in modo del tutto diverso la Notte Santa. Il più piccolo e saggio, sotto le coperte, già quasi dormiva, sognando di trovare l'indomani mattina sotto l'albero almeno uno dei giocattoli che aveva dettato alla mamma nella sua letterina.

Il più grandicello e discolo aveva tutt'altri pensieri. Girava voce tra i suoi compagni di classe che Babbo Natale non esistesse - che fosse tutta una messa in scena dei genitori o di qualche parente compiacente - e lui quella notte era deciso a verificarlo. In precedenza aveva legato dei campanellini e dei cucchiaini ad alcuni fili, ed ora stava completando la disposizione di quelle trappole in alcuni punti strategici della sua stanza, a circa un palmo da terra, in particolare tra gli stipiti della porta. Se, come ogni Natale, qualcuno avesse portato i loro regali vicino al loro letto, avrebbe per forza dovuto fare un tale rumore da svegliarlo, e lui avrebbe scoperto la verità.

Si mise sotto le coperte guardingo, con la sua torcia elettrica in mano, deciso a restare sveglio il più possibile. E ad un tratto, durante la notte, gli parve di sentire effettivamente dei rumori provenienti dalle scale. Allora Tommaso aprì l'armadio e vi si infilò dentro, lasciando solo una fessura per guardare fuori.

Passò tanto di quel tempo là dentro, che si può dire un miracolo che non si fosse addormentato. E quando accadde ciò che vi sto per dire, Tommaso fu così preso alla sprovvista che proprio non ebbe modo di reagire. Un omone grande e grosso, vestito di rosso e con una lunga barba bianca, aprì l'armadio, sollevò Tommaso come fosse un bambolotto e lo infilò in un grande sacco.

“Eccolo qui, un altro pezzo da novanta della lista dei cattivi. Altro che regali, si merita. Questo mi voleva fare inciampare, e come minimo mi mandava all'ospedale. Un povero vecchietto come me.”

“No aspetta. Non ti volevo fare del male”, obiettò Tommaso.

“E' inutile che urli. Tanto non ti sente nessuno in questo sacco magico. E comunque io non ti credo. Ma sta pur sicuro che devono ancora passare molti anni prima che io diventi così vecchio e rimbambito da lasciarmi fregare da un moccioso come te.”

Tommaso si accorse di non essere da solo dentro quel sacco. “E tu chi sei? Che ci fai qui dentro?”, chiese all'altro bambino compagno di sventura.

“Sono Mirko. Quando lui è venuto a casa mia ho cercato di spingerlo giù dalle scale, ma non ci sono riuscito”, rispose quello. Poi si sentì il sacco che veniva sollevato, e si spostava sempre più velocemente come se fosse su un treno, o addirittura su un aereo.

Ad un tratto i due bambini ebbero la sensazione di precipitare nel vuoto, e poi si sentirono sballottati a destra e a manca e sempre più giù mentre il loro sacco scendeva per una specie di lungo scivolo liscio liscio come quelli di certi luna-park. Quando si fermarono, furono aiutati ad uscire dal sacco da un altro ragazzino alto all'incirca come loro. (Come dite? Se per caso aveva le orecchie a punta ed un vestito o un cappello rosso o verde? Per le orecchie non saprei dirvi, ma un cappello sono sicuro che no, non l'aveva).

“Forza, dobbiamo raccogliere quanta più roba e il più in fretta possibile, altrimenti alcuni bambini non troveranno dolciumi da mangiare nella calza e sotto l'albero. Quest'anno siamo in forte ritardo.”

E aggiunse - mentre consegnava a ciascuno di loro un grosso cesto, una lanterna a lucciole e delle specie di scalpelli:

“In questa zona ci sono torrone e cioccolata, là in fondo il carbone di zucchero. Ma se non ce la fate, in quelle altre gallerie trovate roba più morbida: biscotti, pandoro e panettone. I punti di raccolta sono ben segnalati. Ah, dimenticavo: più raccogliete, e prima si torna a casa.”

Mirko aveva subito cominciato a sternutire:

“Scusami ma devo allontanarmi. Sono allergico al cioccolato, e qui deve essercene davvero tanto”, spiegò.

Tommaso, ancora incredulo, si era già messo all'opera prima con le mani nude, poi aiutandosi con martello e scalpello, per staccare dalla parete un pezzo di torrone al pistacchio.

“Mmmm, davvero buono”, confidò ad una bambina che si trovava da quelle parti e che aveva già quasi riempito il suo cesto. “Senti un po': ma tu è da tanto che ti trovi qui?”

“Non so esattamente, ma direi di no. Però se vuoi sapere quanto ci rimarremo non saprei dirti. Qualcuno dice che stanotte torniamo tutti quanti a casa; ma quel ragazzo laggiù mi ha detto che si trova qui da mesi. Io però non gli credo. Secondo me è un burlone.”

“Sai che ti dico?” le disse Tommaso mentre il rumore di un altro sacco annunciava l'arrivo in miniera di un altro bambino. “Io non ho poi tutta questa fretta di tornare a casa. Qui ci sono delle cose buonissime, e non vedo perché debba affaticarmi per farle avere ad altri bambini. Intanto comincio a farmi un bel giro e ad assaggiare tutto quello che trovo. E poi vedrò il da farsi.”

E così fece.

Aveva già esplorato diversi cunicoli, assaggiando svariati tipi sia di torroni che di cioccolate. Ad un certo punto si era anche fermato là dove il torrone bianco era più duro, e si era cimentato per diverso tempo con martello e scalpello provando a fare una scultura, a riprodurre il volto di Babbo Natale.

“Mi ci vorrebbe un po' di rosso”, aveva detto quasi tra sé pensando di abbozzare il cappello.

“Se vai là in fondo ci trovi le gelatine di frutta”, gli aveva detto un altro ragazzo che passava di lì col cesto quasi pieno. E Tommaso alle gelatine di frutta, che erano la sua passione, non seppe resistere. Se ne mangiò a non finire, di tutti i gusti e colori, e smise solo quando non ne poteva più. Ma ormai era troppo tardi.

Aveva iniziato a raccoglierne nel suo cesto, pensando che in qualche modo avrebbe potuto portarsene via o farne avere a suo fratello e così mangiarsene più tardi a casa; oppure regalarle a qualche suo amichetto. Ce n'erano così tante! Ma proprio quando erano cominciati questi suoi pensieri generosi, aveva anche iniziato a sentire un forte mal di pancia.

Dapprima Tommaso cercò di far finta di niente; ma presto il dolore fu così forte che non gli fu più possibile fingere di ignorarlo. Si piegò in due dal dolore; si buttò a terra. “Ahi, che male! Che mal di pancia!”

Qualcuno se ne accorse. Purtroppo ogni tanto succedeva, e la prassi era che in questo caso i bambini venissero riportati indietro, restituiti alle cure ad all'affetto della loro mamma. E Tommaso non fece eccezione. In pochissimo tempo, senza neanche accorgersi come e da chi, fu riportato nel suo letto. Sembrava già tutto quasi un ricordo lontano: l'attesa nell'armadio, il viaggio nel sacco con Mirko, la miniera. Solo il mal di pancia era rimasto, più forte e terribile che mai.

“Ahi, ahi che male!”

“Tommaso! Che ti succede?”, chiesero la mamma ed il papà accorsi ai suoi lamenti.

Nel frattempo aveva iniziato a farsi giorno, ma nonostante questo Tommaso, preso dai suoi dolori, non fece neanche caso al pacco regalo appoggiato vicino al letto del fratellino.

Più osservatrice fu la sua mamma che, stringendo la mano di Tommaso tra le sue, la vide sporca di cioccolato e la sentì appiccicosa di miele e zucchero.

“Ma che cosa hai fatto alle mani? Ah, adesso capisco! Hai fatto indigestione di dolci. Chissà da dove li hai presi.”

“Certo oggi dovrai mangiare in bianco. E niente dolci”, aggiunse il papà. “Peccato. Babbo Natale aveva portato un sacchetto di gelatine di frutta, proprio le tue preferite.”

 

“Le regalo tutte a mio fratello”, rispose Tommaso, provocando nei suoi genitori, con questa risposta inaspettatamente generosa, una ulteriore preoccupazione per il suo stato di salute. “Ma per me Babbo Natale non ha portato niente altro?”, chiese Tommaso preoccupato.

Gli rispose il papà, che il giorno prima non era riuscito a trovare il regalo che aveva in mente e non sapeva con esattezza quando avrebbero riaperto i negozi. “Ha lasciato scritto che, per motivi tecnici, il tuo pacco arriverà con almeno un giorno di ritardo. E sempre che ti comporti bene, naturalmente!”,

E fu così che quell'anno Tommaso, incredibile a udirsi, non solo si limitò nei dolci e regalò tutte le sue gelatine di frutta al fratello, ma si può dire che, almeno fino alla fine delle vacanze di Natale, si comportò come un bravo bambino.

​UN NATALE DIVERSO
(2009)

"Signor Maggi, ancora qui a quest'ora, la vigilia di Natale?"

Il mio capo si era affacciato nel mio ufficio. Dall'abbigliamento sembrava in procinto di uscire.

"Si", gli dissi, "ma non sto facendo straordinari. Sto solo aspettando che ci sia meno traffico per andare a casa."

Lui mi guardò nel modo in cui era solito far capire a qualcuno che non la beveva. Dovetti confessare.

"Il fatto è che il Natale è la festa in cui si sta in famiglia … Anzi, è proprio la festa della famiglia, se vogliamo. E la mia situazione familiare in questo momento non è affatto felice. Mia moglie vuole la separazione. Per me sarà un Natale abbastanza difficile, sicuramente il più brutto della mia vita."

"Capisco", mi disse lui comprensivo. "Stasera lo passerà coi tuoi genitori."

"No. Loro non lo sanno ancora, e non voglio rovinargli le feste con queste notizie. Glielo dirò poi con calma, quando lo riterrò opportuno. Per fortuna vivono lontano, in un'altra città."

"Se non ha prospettive migliori può venire a cenare con noi stasera, se vuole. Sarà il benvenuto."

"La ringrazio di cuore, ma penso che non ce ne sia bisogno. Mi ospita un amico, ci terremo compagnia. Lei tutto bene in famiglia, vero?"

"Si. Oggi mia moglie è andata a fare shopping. Ogni anno per Natale le regalo una ricarica di mille euro sulla carta prepagata, da spendere come vuole, e la faccio felice. L'anno scorso ci si è comprata un cappello ed un collo di pelliccia, ed era così contenta dell'acquisto che ha voluto che andassimo alla messa di mezzanotte solo per farlo vedere a tutto il vicinato. Le donne sono fatte così: spesso non è proprio facile capirle. Nessuno sa bene come vadano gestite. Beh, se cambia idea e vuole passarmi a trovare durante le feste, il mio telefono ce l'ha. Mi raccomando, cerchi di trascorrere il Natale il meglio possibile."

Mi strinse la mano ed uscì. Dopo un paio di minuti il rombo della sua Alfetta che usciva dal garage, poi l'ufficio tornò nel silenzio.

La sera della vigilia passò mestamente, le uniche emozioni furono la telefonata di mia figlia e quella coi miei genitori. Con mia figlia anche la cospirazione per fare in modo che i suoi nonni non sapessero che non ero a casa: ero uscito per comprare non so cosa. Alla fine, con mio stupore, mi sembrò che non sospettassero di nulla, non so se perché troppo vecchi e rimbambiti, o perché troppo sensibili e comprensivi.

Per Natale, però, mi aspettava una giornata speciale. Mi svegliai con entusiasmo, sapendo quello che mi attendeva. Quando, pronto per uscire di casa, accesi il cellulare, mia figlia mi chiamò, come se fosse stata lì a spiarmi.

"Ciao papà, sono Chiara. Posso venire a stare con te oggi?"

"Certo, volentieri", le risposi entusiasta. "Io però ho in programma di fare alcuni giri, e sono già quasi in ritardo. Se ti va di venire con me passo a prenderti tra venti minuti: fatti trovare pronta con scarpe da ginnastica e abiti comodi."

"D'accordo. Allora a tra poco."

Naturalmente si fece un po' aspettare, ma per la sua compagnia valeva la pena che facessi un piccolo cambiamento di programma.

"Dove stiamo andando?", mi chiese Chiara.

"Verso le colline. Hai mai sentito parlare del paese di S. Vittorino?"

"Dove abitavi tu da ragazzo, se non sbaglio."

"Esatto. Adesso che tutto quanto ho costruito con tua madre viene messo in discussione, ho sentito l'esigenza di un ritorno al passato, a quello che per me da giovane era importante. A S. Vittorino una volta c'erano una casa di riposo ed un gruppo di volontari che almeno due volte a settimana si organizzava per andare a trovare quei vecchietti, a portar loro un po' di compagnia e di affetto. Fortunati loro, ma soprattutto fortunati noi, che avevamo modo di vivere e conoscere un po' l'amore, il lato migliore di noi stessi. Quei volontari e quei vecchietti ci sono ancora, anche se ovviamente sono altre persone. E l'esigenza di riscoprire il lato migliore di me stesso è ritornata. Potrebbe essere una bella esperienza anche per te, vedrai. Conoscerai gente simpatica, e in gamba."

Chiara rimase impassibile. Trovavo in lei qualcosa di strano, senza riuscire a capire esattamente cosa.

"E poi c'è un altro motivo per cui vado a S. Vittorino, sempre legato alla mia adolescenza. Ma te ne parlerò al ritorno, così avrai modo di capirlo meglio."

Pochi giorni che non vedevo mia figlia, e già mi sembrava cambiata. Più adulta, direi. Sicuramente era lei a risentire di più della mia lontananza da casa.

"E tu come hai passato la Vigilia? Come ti trovi con quell'amico di tua madre?", le chiesi.

"Niente di speciale. Ha un sacco di soldi, e mi riempie di regali. Credo che se dicessi che voglio il motorino lo troverei pronto in garage il giorno dopo. Mi dà un po' fastidio. Mi dà come l'impressione che cerchi sempre di comprare il mio favore."

"Non devi biasimarlo troppo. Ognuno usa i mezzi che ha, e lui ha quelli. E poi dietro questo atteggiamento c'è tua mamma. Non è che voglia parlar male di lei, intendiamoci: ma la conosco bene. Io non credo che lui abbia conquistato tua mamma comprandola, ma che sia lei ad essersi venduta. Sono convinto che se avessi avuto uno stipendio doppio di quello che ho, non mi avrebbe lasciato. Ma purtroppo sono quello che sono."

In fondo, pensai tra me, questa situazione per me un domani avrebbe potuto avere i suoi vantaggi: magari non mi sarei dovuto svenare per gli alimenti, come succede a tanti.

"Si, anch'io ho avuto l'impressione che ci fosse mamma dietro ad alcuni regali. Vuoi una gomma da masticare?", mi chiese.

"Sai che detesto le gomme da masticare. E soprattutto detesto vedere te che le mastichi in continuazione", risposi così d'istinto.

Lei rimise dentro le gomme, anche la sua, senza fiatare. Si, mia figlia era davvero cambiata. Forse avevo dato la risposta sbagliata: magari un domani Chiara per poter masticare liberamente non avrebbe più voluto vedermi. Però rimasi sulla mia posizione, e non dissi nulla.

Arrivammo alla salita di S. Vittorino e trovai parcheggio. Salimmo a piedi fino alla piazza principale, dove si concentravano gli edifici più importanti del paese, tra cui la chiesa principale.

"In genere vado coi ragazzi alla messa delle undici, ma oggi ho fatto molto tardi. E' inutile entrare a quest'ora."

Vicino alla chiesa un gruppo di ragazzi chiacchierava attorno a una chitarra.

"Vieni, ti presento alcuni dei volontari. Loro sono quelli che non credono, o meglio che credono a qualcos'altro."

Chiara fu accolta con simpatia. A prima vista mi parve che si trovasse a suo agio, e che riscuotesse un certo successo. Poi la gente cominciò ad uscire dalla chiesa, ed il nostro gruppo si accrebbe di nuovi elementi, alcuni dei quali vestiti nel modo tipico degli scout. Qualche saluto, poche chiacchiere ed in breve tempo furono composti gli equipaggi delle poche vetture e moto disponibili. Vista l'assenza dei mezzi pubblici per il Natale, qualche macchina avrebbe fatto due volte il percorso fino alla vicina casa di cura per poter accompagnare tutti.

Al nostro arrivo si può dire metaforicamente, come di consueto e per quanto l'età e le loro capacità fisiche lo consentissero, che il personale ed i malati ci corsero incontro a braccia aperte.

La domenica in genere è giorno di visite di amici e parenti, e il nostro arrivo garantiva un minimo di affetto ed attenzione anche agli ospiti meno fortunati, che di fatto sembravano non avere nessuno, fuori della casa di cura, che si interessasse a loro. Inoltre il sostegno puntuale e costante dei volontari consentiva alla direttrice un risparmio economico non banale, garantendo al personale effettivo il rispetto del loro sacro riposo settimanale senza troppi costi aggiuntivi.

Ciononostante mi presi anche stavolta il giusto rimbrotto dalla direttrice:

"Ti sei ricordato della dichiarazione dell'associazione? O vuoi che se arriva la finanza ci faccia chiudere perché trova dei lavoratori in nero?"

Comprendevo perfettamente le sue esigenze, ma con la mia situazione ed i miei problemi mi era completamente uscito di mente.

"Non solo ho dimenticato, ma se verrà la finanza ti accuseranno anche di sfruttamento del lavoro minorile. Ho portato mia figlia. Però adesso ne parlo col capo scout, che è più giovane e giudizioso di me e di certo non si dimenticherà. Dammi giusto il tempo di salutare Lara."

Qualcuno scherzando diceva che Lara era la mia ragazza. Lo era stata, in gioventù; e in particolare adesso, se qualcuno mi avesse chiesto chi ritenessi la mia anima gemella, avrei detto lei. Il primo amore, si sa, non si scorda mai, anche se una brutta malattia te lo porta sulla sedia a rotelle sin da giovane. Non mi sentivo un vigliacco. Non ero stato io a lasciarla, ma la sua famiglia mi ci aveva costretto, per il mio bene. E ora, guardando mia figlia quasi adulta, capivo quanto avessero avuto ragione.

Andai dentro a prendere Lara, appisolata o ipnotizzata insieme ad altre in salone davanti al televisore acceso, e la portai fuori in giardino, al sole vicino ai gelsomini, che era il posto che preferiva.

"Ciao Lara", le dissi. "Ti ricordi di me?"

"Vagamente", mi rispose guardandomi con quei suoi occhioni buoni e sorridenti. Le avevo posto la stessa domanda la settimana prima, e lei candidamente aveva detto no. Ma non me ne ero dispiaciuto.

"Ti tengo un po' compagnia finché non arrivano tua sorella e i tuoi nipoti. E' questione di poco, presto saranno qui."

Cominciai a parlarle, ricordando alcuni episodi ed alcune gite che avevamo vissuto insieme da giovani. Chissà che parlandone non le tornasse in mente qualcosa. Avrei dovuto cercare a casa qualche foto di quei tempi, di noi due insieme; ma trovarle adesso, con la mia attuale situazione familiare, mi sembrava una cosa assai improbabile.

I ragazzi, come al solito, si erano divisi in tre gruppi: uno in cucina ad aiutare per il pranzo, e gli altri due, vista la bella giornata, in giardino, alcuni a sistemare le piante e tutti gli altri ad intrattenere gli ospiti (quasi tutte donne) parlando e a volte suonando. Chiara durante la giornata ebbe modo di partecipare a ciascuno di questi gruppi, cominciando da quello del pranzo: strano a dirsi, per lei che a casa sua non si dedicava mai alla cucina se non per lo strettissimo necessario.

Verso mezzogiorno arrivò la sorella di Lara con la famiglia. Il suo affetto, la sua cordialità e la sua simpatia si erano mantenuti immutati rispetto a quando era ragazza, prima della comparsa della malattia di Lara, e si erano trasmessi anche ai suoi due figli, ormai anch'essi maggiorenni. Ed anche con suo marito, che avevo conosciuto prima del loro fidanzamento, ero in ottimi rapporti. Perciò il loro arrivo fu una gran gioia anche per me, oltre che per Lara.

"Ragazzi, ho una sorpresa per voi. Voglio presentarvi mia figlia, Chiara, che oggi ha deciso di passare il Natale con me."

Andai a prelevarla dalla cucina per le presentazioni. Che strano effetto!

Che strani scherzi può fare la vita! Se vent'anni prima mi avessero predetto quanto stava succedendo, non ci avrei creduto per nessun motivo.

Non nascondo il fatto che sia in quella occasione che altre volte durante la giornata feci un grandissimo sforzo per non scoppiare a piangere davanti a tutti. Più di una volta con una scusa mi appartai per sfogare i miei sentimenti in un angolo del giardino o in bagno, lasciando che le lacrime sgorgassero in silenzio così come venivano, cercando solo di fare in modo che i miei singhiozzi e le mie lacrime non attirassero l'attenzione di nessuno.

 

Non volevo che mia figlia vedesse piangere suo padre così, come un bambino, e al tempo stesso avrei voluto che lei capisse. Capisse cosa era stata la mia vita: la mia gioia ed il mio dolore da giovane; la mia tristezza per l'attuale situazione sia mia che di Lara. Speravo che intuisse, magari solo lontanamente, quello che è l'amore con le sue diverse facce; la sua forza che ti riempie la vita e ti fa capire quello che puoi e devi fare, contro tutto e contro tutti, e con cui liberi la tua esistenza dalle banalità. Magari qualcosa quel giorno Chiara l'avrebbe intuito: ma mi sembrava così piccola!

Nel tardo pomeriggio, quando io e Chiara ci accomiatammo, eravamo stanchissimi tutti e due, cotti dal sole di una giornata trascorsa quasi completamente all'aperto, e provati dalle emozioni: soprattutto lei, che di certo aveva sperimentato tante sensazioni nuove in un giorno solo.

Avrei voluto conoscerle, le sue emozioni, sentirmi raccontare da lei le nuove esperienze che aveva vissuto: il pranzo "partecipato", in cui spontaneamente ciascuno faceva la sua parte secondo le sue attitudini e capacità, chi in cucina chi a preparare e sparecchiare la tavola e chi aiutando i vecchietti; la gara di allegria e improvvisazione, in cui ogni mezzo era valido per provocare il sorriso e la serenità natalizia negli ospiti ricoverati; le prime esperienze legate alla cura di un giardino e della preparazione dal nulla di un pranzo; tutta quella strana gente solo apparentemente senza pensieri al mondo, tra cui, guarda caso, c'era anche suo papà.

E invece, data la nostra stanchezza, il viaggio di ritorno passò senza che ci dicessimo una sola parola. Un silenzio che non volli rompere neanche per darle quelle spiegazioni che le avevo promesso, e che riguardavano la vecchia storia tra me e Lara. Le dissi soltanto, una volta fermi sotto casa sua:

"Spero che abbia passato una bella giornata".

Lei annuì, ma esitò ad uscire.

"Papà, ti devo confessare una cosa. E' stata anche mamma a spingermi a venire con te oggi, perché pensava che tu avessi un'altra donna e voleva saperlo".

Ecco, lo squallore del mondo quotidiano tornava ad affacciarsi nella mia vita, cercando di rovinarmi il Natale, pensai.

"E tu cosa le dirai?"

"Non lo so esattamente, ci devo pensare. Di certo le dirò che è proprio una stupida." Mi abbracciò a lungo, forte: poi, prima di uscire, cercò di cancellare le lacrime dal suo volto. Figlia mia, resterai sempre la mia bambina, pensai tra me, anche se stai davvero diventando grande.

Olete lõpetanud tasuta lõigu lugemise. Kas soovite edasi lugeda?