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Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 4

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Crousaz (Jean-Pierre), professore di filosofia, e di matematica nell'Accademia di Losanna, nel 1714 diè al pubblico Traité du Beau, in 8º, dove dimostra in che consista il bello con degli esempj tratti per la più parte delle arti, e delle scienze. L'autore parla altresì del Bello della musica, che ha qualche cosa che non del tutto dipende dal piacer dell'orecchio. L'ultimo e 'l più lungo capitolo di quest'opera viene da lui impiegato a spiegar da prima fisicamente la natura del suono; tratta quindi da matematico dei tuoni, e delle differenti combinazioni che bisogna farne, per produrre un pezzo di musica, che sia veramente bello, secondo i principj, ch'egli ha premessi. Ma come tale bellezza matematica della musica è da pochi, anzi da niuno compresa, così tolse egli questo capitolo sulla musica dalla seconda edizione del suo trattato pubblicata in Amsterdam nel 1723, e tratta in sua vece della bellezza della Religione. (V. le Clerc Bibl. Anc. et Modern. t. 20).

Descartes. Benchè siasi da noi detto abbastanza in riguardo al suo trattato sulla musica, per onor dell'Italia tutta via crediamo ragionevol cosa lo aggiungere quel che ne ha scritto il dottissimo Andres nel cap VIII del t. 4 Dell'Acustica. “La dottrina musica del Cartesio, egli dice, è tanto conforme a quella del Galileo, che il Cartesio stesso pare che voglia schivare la taccia di plagiario, e cerchi di rifonderla nel Galileo (Ep. XCI, par. II); e il Poisson illustratore della sua musica più uso fa delle ragioni e delle sperienze del Galileo, che di quelle del suo autore Cartesio (Elucid. phys. in Cartes. music.). Sotto l'ombra di questi due sommi filosofi cresceva la musica, e chiamava l'attenzione del Mersenne, del Gassendi, del Wallis, e d'altri chiarissimi scrittori… La dottrina però del Galileo e del Cartesio intorno la musica, le sperienze de' fisici, e le teorie de' geometri sopra il suono non erano che piccioli saggi de' moltissimi argomenti, che offre questa materia, e delle infinite speculazioni, che restavano a fare.” Puossi anche aggiungere all'articolo di Descartes, che nelle sue Lettere trovansi spesso trattati soggetti di scienza musicale, così nell'epist. 75 e 106 della Part. 2 spiega egli meglio che il Mersenne la coesistenza de' suoni acuti col suono fondamentale di una corda, benchè attribuisca esclusivamente questa qualità alle corde irregolari; nell'epist. 72 osserva egli, che l'intensità della propagazione del suono per via di corpi solidi è maggiore di quella, che si fa per via dell'aria a motivo della maggior coesione di questi corpi; nell'epist. 3, spiega assai bene gli effetti delle consonanze e dissonanze sul nostro senso, ec.

Dietz, valente meccanico di Darmstatt è inventore di un nuovo strumento, cui diè il nome di Melodion. Egli si è stabilito in Parigi, ed avendo presentato nel 1810 all'esame dell'Istituto quella sua invenzione, Gossec, Gretry, Mehul, Lacépède, e Charles furono incaricati a farne il rapporto. Quest'istrumento offre la forma di un piano-forte, contenente cinque ottave e mezza, e puossene vedere un'esatta descrizione nell'Archive des découvertes pendant l'an 1811 p. 254. Madamigella Sofia Welsch distinta virtuosa fecelo sentire ai Commissarj dell'Istituto, e Mr. Charles nel suo Rapporto alla classe delle Belle-Arti dice averne essa ben preso il carattere; e che contenendosi in quella cantilena che più gli è propria, osserva sempre i giusti limiti dell'espressione e della grazia.

Dionisio di Tebe, cel. musico dell'antica Grecia fu il maestro di Epaminonda l'uomo forse il più grande che abbia prodotto quella nazione. Fanno di costui menzione Aristosseno presso Plutarco, e Corn. Nepote nella vita di Epaminonda. Pare che il maestro e lo scolare siano ambi stati seguaci di Pitagora. La musica, dice quel biografo, imparata da Epaminonda sotto la scuola del valente musico Dionisio tebano formava il suo divertimento. Suonava eccellentemente il flauto; e ne' banchetti ai quali veniva invitato, cantava accompagnandosi colla lira. Fiorì egli quattro secoli prima dell'era cristiana.

Dionisio il giovane, re di Siracusa, benchè si sia reso esecrabile per l'abuso del suo potere e la sua tirannide, non era tuttavia sfornito di cognizioni e di coltura. Egli amava passionatamente la musica, e ne possedeve così bene la teorìa e la pratica, che cacciato dal trono e bandito a Corinto gli servì di mezzo a procacciarsi il vitto. Secondo lo Storico Giustino, egli quivi tenevane scuola, esercitava le donne che cantar doveano ne' cori, e disputava seco loro sull'armonia e intorno la maniera di far de' passaggi colla voce (Lib. 21, c. 2). Egli l'accompagnava col flauto, che sapeva suonar assai bene. Aristosseno il musico, al riferir di Plutarco (in Timol.) lo riscontrò in Corinto, e seco si trattenne in famigliari discorsi. Evvi in Siracusa il famoso carcere detto l'Orecchio di Dionisio: dicesi che “il rimbombo che vi fa la voce, avesse dato ai professori della musica occasione di produrre quell'invenzione non prima sentita del Canone, per cui cantando due voci e rispondendo l'eco ne nasce quindi di quattro voci una perfetta armonica concordanza. Il viaggiatore Swinburne (nel t. 3, de' suoi viaggi p. 394), nota una tal particolarità come cosa detta avanti da un autor Siciliano (questi è il Mirabella), essendo stato il primo che ciò inventasse Antonio Falcone nella parte pratica della musica.” (V. Antichi monum. di Sirac. di Gius. Capodieci, t. 2).

Dracone, famoso legislatore della Grecia secondo Aulo-Gellio, o riformatore delle antiche leggi al dire di Clemente d'Alessandria (Stromat. l. 3) era, secondo l'uso di que' tempi, musico e poeta altresì celebratissimo. I precetti di morale, di civile e religiosa educazione cantati in tre mille versi da Dracone lo autorizzarono fra gli Ateniesi a segno, che fu scelto dal senato per compilar un codice di leggi, e crearne delle nuove per ogni caso particolare. Furono queste cantate per la prima volta nel teatro degli Eginesi, e tali applausi riscossero da que' cittadini, che in segno di approvazione gettarongli in seno ed attorno nobili, e grandiosi regali, smaniglie, orecchini, anelli. Non essendo conforme alle nostre usanze il cantare così serj e gravi argomenti, può sembrar strano un tale racconto. Ma Aristotile ne' suoi problemi (cap. 51, quest. 28) ne sarà mallevadore. Essendosi egli proposta la quistione, perchè molte leggi si chiaman cantilene? Risponde: non sarebbe egli, perchè gli uomini avanti l'invenzion delle lettere cantavan le leggi, affinchè non fossero dimenticate: il che a' nostri giorni è ancora in uso fra gli Agatirsi? Dracone visse sette secoli innanzi G. C.

Epimenide di Creta, uomo illuminato, e capace di sedurre co' suoi talenti, fu considerato a' suoi tempi qual uomo ispirato dal cielo. Passò egli i primi anni nella solitudine, dedito interamente alla contemplazione e allo studio della natura: imparò il metro, l'armonia e 'l ritmo, senza il quale non era possibile figurare fra' principi della letteratura. Ei giunse così a tanta fama di saggezza e di santità, che gli Ateniesi al riferir di Platone lo accolsero con trasporto in una pubblica calamità (De leg. l. 1). Compose allora de' cantici per placare gli Dei, e ne insegnò a quel popolo la musica (Stab. l. 10); strettosi quindi in amicizia con Solone, lo istruì nell'armonia e nella scienza de' costumi e della politica, e formar gli fece un nuovo codice di leggi, che fu ammirato da tutta la Grecia. Compose e cantò ancora una teogonia con tanto estro, che gli Ateniesi lo stimarono ispirato da Apollo. La di lui autorità crebbe a tal segno, che riprese in pubblico canto i suoi compatriotti con quelle parole, santificate dipoi dalla bocca stessa dell'Appostolo: Cretenses semper mendaces, ventres pigri, malæ bestiæ: senza che perciò incorresse la nota di maldicenza. Fioriva egli sette secoli prima dell'era volgare.

Eschilo, poeta musico, e padre della tragedia, benchè nato nell'Attica, appartiene ancora alla Sicilia, ove dimorò lungamente, e vi terminò i suoi giorni. In età di 25 anni concorse con Pratina, e Cherilo al premio della tragedia, ed oscurò la gloria de' suoi rivali. Egli fu il primo a provvedere il teatro di macchine, e lo abbellì con decorazioni (Vitruv. præf. ad l. 7): vi fece sentire il suono delle trombe; esercitava egli stesso quasi ogni giorno i suoi attori, e prese perciò in suo compagno un bravo maestro di cori per nome Teleste: introdusse nella tragedia modulazioni sublimi, e il ritmo impetuoso di certe arie, o nomi, atti ad eccitare il coraggio. Non mai però s'indusse a far uso delle innovazioni, che cominciavano a disfigurare l'antica musica: il suo canto, dice Plutarco, era pieno di nobiltà e di decenza, sempre nel genere diatonico; il più semplice e 'l più naturale di tutti (Dial. de Musicâ). Abbandonò la patria, perchè accusato a torto di avere rivelati in un suo dramma gli Eleusini misteri, potè a gran stento sottrarsi ai furori d'un popolo superstizioso, qual si era quello di Atene. Passò in Sicilia, dove il re Jerone colmollo di beneficenze, e di distinzioni, e quivi morì di 70 anni, circa 456 innanzi G. C. (Plutarc. in Sympos.). Fu scolpito sulla di lui tomba il seguente epitaffio, ch'egli stesso aveva scritto: Quì giace Eschilo figlio di Euforione, nato nell'Attica, morì nel paese fertile di Gela, ecc. (Pausan. l. 1, Athen. l. 14).

Eser (Carlotta), nata tedesca, è oggidì in Italia una delle più rinomate cantanti per la sua bellissima voce, non che per la profondità del suo sapere nella musica. Ella ha cantato in Milano, in Vienna, in Napoli e a Roma, d'onde non le si è permesso mai più di partire, non solo per la magia della sua voce, e la superiorità del suo canto, ma sibbene per una decente e virtuosa condotta, che fa l'ammirazion de' Romani. Sposò ella quivi un de' primi e de' più ricchi avvocati, il quale essendosi dovuto portare in Vienna a difendere in quel Parlamento una causa rimarchevole di un Principe romano, condusse seco la moglie per servirgli d'interprete nella sua aringa. Attualmente dimora ella in Roma, e non sorpassa gli anni ventisette di sua età.

 

Eumelo nacque a Corinto otto secoli prima dell'era cristiana. Di questo celebre cantore fa onorevol menzione Pausania (in Eliac.), e qual testimonio di vista e di udito, ci narra di avere inteso un armoniosissimo inno di questo compositore, solito ad intuonarsi in Corinto allorchè i pubblici magistrati presentavansi in corpo alle porte del tempio a farvi l'adorazione. Morì questo cel. musico in età di ventiotto anni, lasciando di se molte, e scelte memorie del suo ameno, e vivace spirito, mentre in così brevi anni lavorò da fisico un leggiadrissimo canto sulla generazione delle api. (Euseb. Chron.). Eumelo fu il primo, che compose un inno notato in musica col ritmo prosodiaco; e a suo esempio quanti inni si cantarono di quella fatta, chiamaronsi prosodiaci. Il che vuol dire, che Eumelo dilatò le severe leggi del ritmo nel canto, aggiungendo a questo della vaghezza con la moltiplicità de' piedi. Il ritmo prosodiaco ora componevasi di tre piedi diversi, or di quattro, or di più; la quale cosa variava di molto il tempo nel suono e nel canto (Requen. Saggi ec. t. 1).

Eunomo di Locri, famoso citarista, di cui rapporta Strabone esservi stata in quella città della Magna-Grecia una di lui bellissima statua tenente in mano una cetara, su cui era una cicala. Timeo, presso quell'antico geografo, racconta che Eunomo venne a competenza nei giuochi pizj con Aristone altro musico di Reggio, e ne riportò il premio per un fortunato accidente. Poichè essendosi rotta una corda della sua lira prima di terminare il concorso, una cicala venne così opportunatamente a muoversi su di essa, che supplì al difetto della corda. Ecco una di quelle favolette de' Greci, che M. Banier cerca di spiegare inutilmente colla fisica (Explic. de la Mytholog. l. 8). Più naturale, e più semplice è la spiegazione che ne dà il Signorelli, cioè che la statua fu eretta, non per accreditare un'inverisimile avventura senza conseguenza, come congettura il Banier, ma per conservar memoria del trionfo di Eunomo; e che vi si aggiunse una cicala sulla lira, non perchè avesse miracolosamente supplito alla corda rotta, come narrò Timeo, ma ad oggetto di specificare la patria del musico vincitore con un segno noto a' vicini, e tratto dalla storia naturale del paese, essendo che in Locri abbondano le cicale. (Vicende della Coltura delle due Sicil., tom. 1).

Euripide di Salamina, uno de' più gran poeti drammatici, e detto il filosofo della scena, perchè sparge ne' suoi drammi le massime della morale di Socrate suo amico, e della filosofia di Anassagora, di cui fu discepolo. Verso la fine de' suoi giorni ritirossi presso Archelao re di Macedonia, il quale radunato aveva in sua corte tutti quei che distinguevansi nelle lettere, e nelle arti. Euripide vi trovò Zeusi, e Timoteo, il primo de' quali aveva fatta una rivoluzione nella pittura, come l'altro nella musica. Complice delle innovazioni fatte da Timoteo nell'antica musica, adottò quasi tutti i modi, e specialmente quelli che per dolcezza, e mollezza si accordavano col carattere della sua poesia. S'intesero per la prima volta sul teatro con istupore suoni effeminati, e talvolta replicatamente poggiati sopra una sola sillaba. Gli autori di commedie, tra quali Aristofane il più maledico di tutti, cercarono di screditarlo: costui nella sua commedia delle Rane, lo rappresentò come uno scrittore tragico senza vigore, che aggiungendo ariette a piccole strofe, procurava di supplire al difetto di bellezza cogli ornamenti, e alla mancanza di forza coll'artifizio: Facciamo cantare Euripide, quivi egli dice, prenda una lira, o piuttosto un pajo di nacchere, che tale è il solo accompagnamento, che possono sostenere i suoi versi (Ranæ, v. 1340). Ma l'uomo di genio sa dispensarsi all'uopo della severità delle regole, e colla novità delle sue grazie trionfa sempre della pedanteria, e della satira. L'innovazione stessa di Euripide servì maggiormente a distinguerlo da quelli, che lo avevano preceduto. Egli morì in età di 76 anni, cinque secoli prima di G. C.; il re di Macedonia, non volle cedere alle premurose istanze degli Ateniesi le sue ceneri, e fecegli costruire presso alla capitale un magnifico monumento. La sua memoria fu altresì onorata in Atene con un superbo cenotafio presso al Pireo, e non vi si pronunziava il suo nome che con istima e trasporto, malgrado le prevenzioni, che Aristofane cercò di spargere contro di lui.

Fantastici (la Signora), celeberrima improvvisatrice di Firenze. La sua casa è frequentata da' più ragguardevoli Signori forestieri che visitano la Toscana, e dai più colti ingegni del paese per godere delle belle accademie di musica e di canto estemporaneo ch'ella dà frequentemente per suo divertimento e per quello de' suoi amici. L'accademia degli Arcadi in Roma si è fatto un pregio di annoverarla fra' suoi membri. La di lei figlia maggiore maritata a Trieste improvvisa e canta anch'essa con molta eleganza, e un'altra più piccola, che può avere al più 15 o 16 anni fa ammirarsi per gli stessi talenti. (V. Pananti, t. 1, note p. 326).

Fanzago (l'abate Francesco), rettore del collegio di Padova sua patria circa 1780, è stato scelto, come uno de' bravi oratori italiani, a far l'elogio di due grand'uomini nella musica il Tartini e il Vallotti. Nel 1770 pubblicò egli Orazione delle lodi e di Giuseppe Tartini, recitata nella chiesa de' RR. PP. Serviti in Padova li 31 di marzo, in 4.º in fronte alla quale vi ha il ritratto di quel celebre virtuoso. Nel 1780 pubblicò ancora Orazione ne' funerali del R. P. Franc. Ant. Vallotti, recitata nella chiesa del Santo in Padova, in 4º.

Fenzi da Torino, virtuoso distinto sul violoncello, vien creduto oggigiorno da tutti gli intendenti il più bravo professore sì per la bellezza de' suoni, che per l'esecuzione della più gran difficoltà. Nel 1807 fecesi egli sentire a Parigi ne' pubblici concerti, e vi ottenne il più brillante successo: il suo nome è celebre ancora in Germania, e in Italia. Il di lui minor fratello, tuttocchè abilissimo sullo stesso strumento, non giunge tuttavolta alla stessa di lui celebrità.

Ferrein (Mr.), nelle Memorie dell'Accademia delle scienze di Parigi 1741, e 1745 vi sono di lui alcune osservazioni fisiche sulla voce dell'uomo nel canto, che sembrano contradir quelle di M. Dodart. (V. Chladn., Acoustiq. p. 68).

Fortis (l'ab. Cesare), nato in Padova di nobil famiglia, per la sua letteratura e le doti del suo spirito veniva onorato dall'illustre Cesarotti col titolo di suo caro e fedele amico (V. Epistolar. tom. 5). La di lui madre Francesca Capodilista donna di coltissimo ingegno e di cuor nobilissimo divenir fece la sua casa un'accademia di Letterati; in sul far della sera i più specchiati di Padova vi si radunavano. Conoscenza degli uomini e degli affari, intelligenza, bontà, discrezione e per colmo finezza di gusto, agilità di spirito, passione del bello, rendevano questa donna l'anima di quella dotta compagnia. Dai talenti e dalle virtù di tal madre puossi ben argomentare la coltura del figlio. “L'abate Fortis è buon improvvisatore (scriveva nel 1808 il D. Pananti), buono scrittore e grandissimo naturalista. Credo che attualmente sia in una gran carica nell'Università o nell'Instituto di Bologna.” (Poet. di teatr. t. 1, note p. 326). Oltre a più opere scrisse egli sulla musica de' Morlacchi, popoli vicini della Dalmazia, di cui può vedersene un lungo estratto presso M. de la Borde. V. Essai etc.

Frichot è inventore di un nuovo stromento, cui diè il nome di Basse-cor, o Basso di corno di caccia. Ha egli l'estensione di quattro ottave e mezza: il che forma un compiuto sistema di suoni, che cromaticamente procedono dal suono il più grave al più acuto. M. Frichot nel 1811 presentò al Conservatorio di Parigi questo nuovo strumento, la di cui invenzione dee far epoca per il grand'utile che recar può all'arte musica. (Achiv. des Découvert. tom. 2, p. 265). Nel Giornale Enciclopedico di Sicilia n. VI mal si annunzia col nome di Tromba.

Garsia (Alessandro), nativo Spagnuolo, uno de' più celebri cantanti di Tenore e compositore sensatissimo, ha scritto la musica di più drammi per i teatri di Napoli, e cantò per più anni nel teatro privato della corte di Francia con incredibil successo. La dolcezza e la grazia, con cui sa modular la sua voce, rapisce i cuori; la sua musica fa sentirsi con tale trasporto, che non vi ha teatro in Europa dove non si sia ricercata ed eseguita sempre con felicissimo incontro. Oggidì trovasi egli stabilito in Napoli in servigio della R. Cappella. Non sorpassa gli anni trenta di sua età. La sua passione per il vino gli ha cagionato de' disgusti: dicesi ch'egli attualmente si occupa a far de' negozj di quadri de' migliori artisti.

Gerbini (la Signora) da Torino, abilissima suonatrice di violino, fu per alcun tempo virtuosa di camera nella corte di Baviera, e quindi in quella di Francia. Avendo percorso la Moscovia, la Germania, la Francia e l'Italia, la sua delicata maniera, la sua agilità, il suo bello stile nell'eseguire sul violino ritrasse non che ammirazione ed universale applauso, ma doni considerevoli ancora da più Sovrani e Signori, sicchè divenne agiatissima, e posseditrice d'immense ricchezze. Non oltrepassa ella i 40 anni di sua età, e non ha abbandonato ancora il suo strumento.

Gibelin (Mr.): tra le opere presentate alla classe delle Belle-Arti dell'Istituto nazionale di Francia nel 1803, vi ha di lui: Discours sur la necessité de cultiver les arts d'imitation.

Gougelet (Pierre Menie), nato a Chalons, fu da Monsignor Vescovo suo padrino posto a servire in età di sei anni come chierico corista nella cattedrale. Egli fece de' rapidi progressi non solo nella musica, ma anche nelle lingue dotte, e nelle mattematiche. Compose alcune messe in musica, e nel 1744 a diciott'anni della sua età i suoi talenti gli meritarono il posto di maestro di cappella, ma il vescovo di Chalons, che voleva farlo entrare nel seminario, vi si oppose. Il giovine Menie non sentendosi del gusto per lo stato ecclesiastico, portossi a Parigi presso un suo zio assai ricco, che voleva fargli abbandonare la musica per il commercio, e le finanze. Gougelet impiegava il giorno in questa nuova occupazione, e la notte nell'esercizio dell'arte sua favorita. Compose allora molta musica per chiesa, che fu eseguita più volte a Versaglies, e ricevuta sempre con applausi. Egli possedeva con la musica il talento della poesia, e scrisse parole e musica di più graziose canzonette: fornito di spirito, di vivacità e di grazie veniva ben accolto nelle più colte società, ma la morte venne a rapirlo assai presto all'arte ed agli amici. Egli finì i suoi giorni in Parigi nel 1768 di 42 anni. Poco prima aveva dato al pubblico: Méthode, ou Abrégé des règles d'accompagnement de clavecin, Paris.

Grimaldi (Carlo, e Paolo), fratelli nati in Messina da onesta famiglia nell'ultima metà del diciassettesimo secolo, ed i più celebri costruttori di cembali a que' tempi in Europa. Di Carlo si sa, ch'egli viaggiò in Italia, in Francia, in Inghilterra, e che lasciò in que' paesi de' monumenti illustri della sua arte. Somma esattezza nelle misure, una singolar nettezza ed insieme un'aggradevele pienezza ne' suoni, una squisitezza di lavoro e solidità di costruzione formavano il singolar pregio de' cembali di questi due virtuosi fratelli, che vengono ricercati tuttora specialmente dagli esteri. Nell'ultimo tasto de' loro strumenti vedesi scritto il loro nome, e l'anno della costruzione. Eglino sopravvissero a' primi anni dello scorso secolo. Il cembalo è oggigiorno così in abbandono che uno di quelli costruiti da Grimaldi, che trent'anni prima compravasi per 300 e più ducati, a stento ha oggidì il prezzo di trenta scudi.

Grimaldi (Emmanuele), nato in Catania ma dalla più tenera età educato in Palermo nel Conservatorio di musica, mostrò in quest'arte quanto può il genio secondato dalla cultura e dallo studio. Apprese la composizione dal bravo Niccolò Logroscino, che erane allora il maestro, ma applicossi soprattutto al violino, nel quale istromento riuscì valentissimo. Egli formossi una maniera sua propria con l'assiduità d'uno studio profondo sulle composizioni del gran Boccherini: eseguiva con singolare espressione i di lui quartetti, e ne' larghi giunse più volte a muover le lagrime degli ascoltanti. Un'immatura morte il rapì all'arte nel 1773, compiti appena gli anni 35 di sua età. Il disgusto, ch'ei risentì per aver perduto l'occasione di guadagnare un'ingente somma al lotto, ne fu cagione per consiglio di uno di quegli impostori, che si vantano di possederne la scienza, egli aveasi ritirato un biglietto, in cui ritrovavansi tutt'i cinque numeri di quella estrazione. Lasciò morendo un sol figlio nella tenera età di cinque anni, di cui parleremo nel seguente articolo.

 

Grimaldi (Andrea), figlio del precedente, nato in Palermo nel 1768, può dirsi con verità l'allievo favorito della natura, che a man piena versò su di lui tutti i talenti, che si richieggono per riuscire eccellente in quest'arte. Egli dee il suo singolar valore sul violino alla felicità del suo genio, piucchè all'assiduità dello studio: più al naturale suo istinto, anzicchè agli insegnamenti del maestro. La vivacità del suo temperamento non soffriva ne' suoi giovani anni il giogo d'uno studio seguìto, metodico, e la superiorità del suo talento il dispensò dal calcare il battuto sentiero. Ragazzo di nove in dieci anni, dopo di avere avute alcune poche lezioni dal Signor Pietro Morici, buon professore di que' tempi, cominciò tosto a suonar sull'orchestre con tale franchezza di esecuzione, con tale esattezza d'intonazione e di tempo, che destava maraviglia non che alla comune degli uditori, ma sino ai più bravi professori. Nel monastero di S. Martino de' PP. Cassinesi, per divertire nel carnovale i giovani in quella trista solitudine, permettevasi l'esecuzione di alcuni drammi in musica del Metastasio in un teatrino di burattini, eseguita da una scelta, benchè poco numerosa, orchestra. Quivi fu chiamato a far da primo violino il Grimaldi di così piccola età, che faceva mestieri porre uno sgabello ben alto sotto alla sua sedia, perchè giunger potesse a veder la sua parte: ma egli eseguiva e dirigeva anche gli altri nella esecuzione della delicata, difficile, e allora nuova musica del famoso Schuster con tal maestria e destrezza, che diè ben a divedere quel che sarebbe un dì divenuto con più maturità di anni, e di studio. Una distinta articolazione di note, una chiara e piacevole robustezza di voce, cosichè il suo violino fra cento altri agevolmente distinguasi: esattezza e verità di suono, somma agilità e franchezza nell'esecuzione; gusto, e quel che più vale, giudizio negli abbellimenti, ecco il distintivo carattere della maniera di questo bravo suonatore, ch'egli da se solo si è formata, senza che appresa l'avesse da alcuna scuola particolare. Egli conosce a fondo tutt'il difficile e 'l bello del suo instrumento; e sa farne uso quando gli abbisogna: non ha chi l'uguagli nella celerità, nell'espressione, e nella perfetta intonazione de' suoni più acuti. Il gran Lolli, venuto essendo in Palermo, non isdegnò di farne l'elogio. Finalmente egli ha formato e perfezionato il suo gusto sulle inarrivabili composizioni di Haydn, di Pleyel, di Mozart, di Beethoven, ch'egli ha eseguite a primo colpo d'occhio perfettamente sin dalla prima volta che giunsero sino a noi. A tanta abilità e valore nell'arte sua unisce egli quella modestia, e quel basso sentimento di se stesso, che distinguono dalla comune l'uomo di genio, e d'uno spirito e d'un cuore ben fatto. Vi sono di lui alcuni concerti di violino, e notturne con accompagnamento di piena orchestra sul gusto de' moderni tedeschi.

Helta (Vincenzo de), palermitano, fu maestro della real cappella palatina su i principj del sec. 17, per la quale compose la musica di molti salmi ed inni di vespro a 4 e 8 voci con il basso continuo per l'organo, che pubblicò per le stampe del Veneziani in Palermo 1636, in 4º. (Mongit. Bibl. Sic.).

Hofmann, costruttore di organi e piano-forte è l'inventore del Piano à archet, ossia di un clavicembalo a corde di budello sulle quali fa egli muovere circolarmente un arco di crino, che produce l'effetto de' violini, della viola e del contrabbasso. Se ne trovano i dettagli nel Journal der fabriken, und manifacturen, cahier de novembre 1808. (V. Archiv. des découvert. p. 372).

Jacquier (il Padre), francese dell'ordine de' Minimi, professore di matematica nel loro collegio della S. Trinità de' monti in Roma, nel suo Corso di filosofia (tom. 3 part. 2, 131, edit. rom.) spiega il sistema musicale dell'Eulero, e lo abbraccia rigettando quello del Galileo. Egli con altri filosofi deriva il piacere dell'armonia dall'esatta ragione e proporzione, che si trova in alcune corde musicali. Musica, dice il metafisico Leibnizio, est exercitium arithmeticæ occultum nescientis se numerare animi… Errant enim, qui nihil in animâ fieri putant, cujus ipsa non sit conscia. Anima igitur etsi se numerare non sentiat, sentit tamen hujus numerationis insensibilis effectum, seu voluptatem in consonantiis, molestiam in dissonantiis inde resultantem. (Epist. ad divers. t. 1, ep. 154). Descartes ha proposto gli stessi principj nel suo Tratt. de homine, p. 3, § 36, e nel Compendio di musica. L'Eulero, il Diderot, e il P. Jacquier li hanno adottati; ma il dotto Eximeno sulle tracce del d'Alembert, li ha tutti seriamente confutati nel secondo capitolo del suo primo libro a carte 75. “L'insegnare a dilettare l'udito per le proporzioni delle corde è lo stesso, che insegnare a convincere l'intelletto per il numero delle parole, e lo stesso ancora che voler condire i cibi per regole di geometria.” Il P. Jacquier viveva ancora nel 1781. Ne' suoi commentarj a Newton, ch'egli compose insieme col suo confratello il P. le Seur, per supplire al difetto della teoria de' suoni del matematico inglese, ha fatto de' calcoli così complicati, che non puossi pienamente restar affidati nelle loro conclusioni, e i posteriori geometri, dice l'ab. Andres, non hanno infatti abbracciata la dottrina del Newton.

Janide, antichissimo musico della Grecia, inventò il modo frigio contenuto entro il diapason ossia, secondo il Requeno, il sistema armonico più usitato da' Greci detto eguale, o equabile (V. Plutarc. de Mus.). I marmi arundelliani non solo confermano il detto di Plutarco, ma aggiungono che Janide lo inventò a Celene, e che fu egli il primo, che con regolata armonìa facesse delle cantilene alla gran madre. Lo fanno eziandio inventore non del flauto, come dei scrittori poco accorti hanno stampato più volte, ma del canto tibiale: la qual cosa non vale a dir altro, se non che Janide applicò al flauto il ritrovato della divisione della corda armonica, e il modo frigio da lui inventato.

Lampillas (ab. Saverio), exgesuita spagnuolo nato nell'Andalusia nel 1739, e morto a Genova nel 1798 dopo l'espulsione del suo ordine passò in Italia, si diè alla letteratura, e indegnato della maniera con cui i suoi confratelli Bettinelli e Tiraboschi giudicato avevano nelle loro opere del merito letterario di sua nazione, attribuendo alla medesima il dicadimento e la corruzione del gusto dell'antica Roma, e della moderna Italia, e della loro letteratura, diè al pubblico per le stampe di Genova la sua opera in italiano idioma col titolo di Saggio storico apologetico della letteratura spagnuola contro le pregiudicate opinioni di alcuni moderni scrittori italiani, in 6 vol. in 8º, 1778-1781. Egli ebbe delle onorevoli e lucrose ricompense dal re Carlo III, per avere vendicata con quest'opera la nazione spagnuola. Siccome l'apologista percorre tutte le scienze, e i rami tutti della letteratura, così nel 2º tomo (Part. 2, diss. 3, § 5) parla egli della scienza musica degli Spagnuoli, e parecchi di loro ne accenna, che stabiliti in Italia furono impiegati a tenervi cattedra di musica, o ad esercitarla con distinzione.

Leris (Antoine de), nato a Montlouis nel Rosciglione, è autore di un Dictionnaire portatif historique et littéraire des théâtres, 1754 in 8º; la seconda edizione è del 1765. Egli ha avuto parte eziandio come editore al libro intitolato: Sentiment d'un harmoniphile, 1756. De Leris è morto sul principio di questo secolo (V. l'artic. Laugier).