La Fossa Di Oxana

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La Fossa Di Oxana
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La fossa di Oxana

di

Charley Brindley

charleybrindley@yahoo.com

www.charleybrindley.com

Arte di

Charley Brindley

Tradotto

da

Gabriela Gubenco

Copyright © 2019 Charley Brindley tutti i diritti riservati

Copyright copertina libro © 2019 by Charley Brindley tutti i diritti riservati

Prima edizione inglese, febbraio2019

Questo libro è dedicato ad

April Jane Tatta LeCroy

Con un ringraziamento aMarilyn Grandi, la mia buona amica dal Rosario Argentina

Altri libri diCharley Brindley

1. The Last Mission of the Seventh Cavalry

2. Raji Book One: Octavia Pompeii

3. Raji Book Two: The Academy

4. Raji Book Three: Dire Kawa

5. Raji Book Four: The House of the West Wind

6. Hannibal ’s Elephant Girl, Book One

7. Hannibal ’s Elephant Girl, Book Two

8. Cian

9. Ariion XXIII

10. The Last Seat on the Hindenburg

11. Dragonfly vs Monarch: Book One

12. Dragonfly vs Monarch: Book One

13. The Sea of Tranquility 2.0 Book One: Exploration

14. The Sea of Tranquility 2.0 Book Two: Invasion

15. The Sea of Tranquility 2.0 Book Three

16. The Sea of Tranquility 2.0 Book Four

17. The Rod of God, Book 1: On the Edge of Disaster

18. Sea of Sorrows, Book 2: The Rod of God

19. Do Not Resuscitate

20. Qubit’s Incubator

Prossimamente in arrivo

21. Dragonfly vs Monarch: Book Three

22. The Journey to Valdacia

23. Still Waters Run Deep

24. Ms Machiavelli

25. Ariion XXIX

26. The Last Mission of the Seventh Cavalry Book 2

27. Hannibal ’s Elephant Girl, Book Three

Si veda a fine libro per dettagli sugli altri libri.

Contenuti

Capitolo Uno

Capitolo Due

Capitolo Tre

Capitolo Quattro

Capitolo Cinque

Capitolo Sei

Capitolo Sette

Capitolo otto

Capitolo Nove

Capitolo Dieci

Capitolo Undici

Capitolo Dodici

Capitolo Tredici

Capitolo Quattordici

Capitolo Quindici

Capitolo Sedici

Capitolo Diciassette

Capitolo Diciotto

Capitolo Diciannove

Capitolo Venti

Capitolo Ventuno

Capitolo Ventidue

Capitolo Ventitré

Capitolo Ventiquattro

Capitolo Venticinque

Capitolo Ventisei

Capitolo Ventisette

Capitolo Ventotto

Capitolo Ventinove

Capitolo Trenta

Epilogo

Capitolo Uno

Presente, nel profondo dell’Amazzonia

Oxana si era ormai abituata ai suoni dei picconi, delle pale e dell’agonia umana che arrivava da sotto. Al suo tavolo vicino alla ringhiera del portico stava fumando una Marlboro e osservava oltre la fossa il ciglio della foresta pluviale. La fossa era profonda oltre venti piedi e più grande di un campo da football.

Lo scavo cresceva giorno dopo giorno sotto gli occhi di sei guardie armate con pistole e fucili AR-10. Gli alberi torreggianti con le loro chiome di viti intrecciate pendevano oltre il bordo del soffocante buco mentre la terra si staccava dalle loro radici.

Un forte odore di terra arata e vegetazione in decomposizione riempì l’aria.

La sua casa era poco più di una baracca sull’orlo del precipizio.

“Rajindar!” Oxana gridò verso la porta.

La zanzariera si aprì con un cigolio e Rajindar uscì fuori. La guardò sprezzante mentre si puliva le mani con uno straccio sporco. Era di bassa statura e aveva la pelle più scura rispetto all’abbronzatura caucasica di Oxana. La sua testa era sproporzionatamente piccola e i suoi tratti erano delicati, come quelli di una ragazza. Si appoggiò al muro vicino ad Alginon, il domestico di Oxana.

“Porta gli scorpioni, mon-petit provocateur.” Lanciò la sigaretta fumata a metà oltre la ringhiera. “E anche il nuovo campione.”

Rajindar lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle.

Oxana soppresse un’ondata di rabbia e prese il pacchetto di sigarette, ma questo era vuoto. Lo accartocciò e lo lanciò sul tavolo. La sua mano spostò in modo serpentino un umido ricciolo dei capelli castano ramati dietro l’orecchio. Forzò un sorriso al suo visitatore, Raymond Chase.

Studiò per un momento l’ospite, come qualcuno squadrerebbe una seccatura.

Rigido siciliano di seconda generazione, il suo nome italiano era Giovanni Cherubini, ma gli amichetti delle misere strade di Chicago lo soprannominarono “Chase” a causa della sua abilità di inseguire i bambini sardi e fregare loro il pranzo scolastico. Successivamente aggiunse “Raymond” per darsi un rispettabile nome dal suono anglosassone nonostante sia rimasto un truffatore di strada.

Seduto al traballante tavolo di fronte ad Oxana, le fece un gran sorriso come se si aspettasse che lei facesse qualcosa per lui.

All’età di quarant’un anni, Oxana si considerava snella, quasi atletica. Sapeva cosa avrebbero fatto gli uomini per lei se l’avesse desiderato.

Oxana fissò Raymond con uno sguardo gelido. “Cosa ne pensa di questo glorioso pomeriggio amazzonico?”

“Fa schifo.” Sorseggiò del gin tonic da un bicchiere marrone e si tolse il panama per farsi vento. L’aria pesante sembrava resistesse ai suoi deboli sforzi. Gocciolii di sudore macchiavano il colletto della sua guayabera celeste. Quando appoggiò il bicchiere sul tavolo, pesanti gocce di condensato scesero dai lati per accumularsi sul mogano deteriorato. “Però almeno non sono nella fossa con quei poveri diavoli.” Indicò verso la ringhiera con il mento.

Oxana rise. Si allungò a prendere il suo drink facendo una smorfia al bourbon diluito. “Alginon.” Porse il bicchiere affinché il piccolo ed obediente domestico lo riempisse. Guardò il visitatore. “È al sicuro qui con me, signor Chase.”

Il sorriso svanì dalla sua faccia da schiaffi.

Quanto riuscirebbe a resistere nella fossa?

Aveva la bocca piccola e debole, e gli occhi nascosti da minute palpebre. Sapeva che Raymond Chase era un procuratore per il Museo della Storia Naturale a Parigi, il Museo Theodore Roosevelt nel Wovenbridge, Virginia e per il Novosibirsk a San Pietroburgo.

Si fa pagare in nero da quelle istituzioni elitarie. Denaro sporco dalle mani di quegli snob che non riconoscerebbero mai la sua presenza alle loro altezzose serate.

Gli acquisti di Raymond venivano tenuti fuori dai documenti poiché avvenivano nei mercati neri di qualunque posto in cui fosse possibile acquistare e venderei fossili e artefatti da contrabbando senza l’intervento del governo.

Si considera un collezionista, ma non è altro che un idiota, uno stupido, ignorante e ricco idiota.

Rajindar portò un vassoio coperto, lo mise davanti ad Oxana e fece un passo indietro.

Oxana ripiegò riverentemente la garza bianca.

Chase buttò il suo cappello a terra e poggiò i gomiti sul tavolo.

 

C’erano due oggetti sul vassoio. Il primo aveva le dimensioni del nuovo pacchetto di sigarette che Alginon poggiò silenziosamente vicino la mano di Oxana. Il secondo era molto più grande.

Oxana prese il più piccolo dei due, esaminando il giallo bagliore del sole. Sorrise e lo porse a Chase.

Egli esaminò la pietra, che somigliava a un blocco di miele indurito. All’inizio non ne sembrò sorpreso, ma quando la luce la colpì, spalancò gli occhi. Lì, incastonati nell’ambra, c’erano due scorpioni gelati per sempre nell’atto della copulazione.

“Porca miseria,” sussurrò.

“Esattamente.” Oxana prese il bicchiere con bourbon e acqua dalla mano pelosa di Alginon. Gli occhi neri del piccolo uomo dalle gambe storte guizzarono dal suo viso al drink e poi nuovamente al suo viso. “Fossilizzata ambra dorata,” disse a Chase. “Ora trasformata in una pietra preziosa che imprigiona una coppia di scorpioni nell’atto dell’amore.”

Rajindar aveva dato alla pietra la forma di un perfetto prisma rettangolare. Successivamente aveva lucidato la superficie, ottenendo una raffinata finitura satinata.

“Affascinante,” mormorò Chase.

“Conosce il valore di questo pezzo?”

Chase fece spallucce e si mise a studiare gli scorpioni dall’altro lato.

“Lasci che le racconti una storiella,” disse Oxana, “così ne capirà il prezzo. Cento milioni di anni fa, quando il Mesozoico finì e cominciò il Cretaceo – “

“Giurassico,” la interruppe Rajindar. “Non Mesozoico.”

Oxana lanciò un’occhiataccia al suo esperto geologico in pietre semipreziose.

Egli resse il suo sguardo, si appoggiò al muro ed incrociò le braccia. “Cambriano, Ordoviciano, Siluriano, Devoniano, Carbonifero, Permiano, Triassico, Giurassico, Cretaceo. È davvero così difficile ricordarsi il giusto ordine?”

“Non è per niente difficile farlo per un Hindu Brahman esiliato con niente nella sua testa, a parte le ere geologiche e le donne nude.”

Le corde vocali di Rajindar si irrigidirono. “Periodi,” borbottò. “Periodi geologici. Non ere.”

“Quando il periodo Giurassico…” Oxana fece una pausa, dando per un momento un’occhiataccia a Rajindar. “Quando il periodo Giurassico finì,” raccontò a Chase, “e il Cretaceo cominciò, questi due scorpioni si incontrarono e si innamorarono. Nel primo atto della loro passione, persero le loro inibizioni e l’equilibrio. Rotolarono nella fresca resina alla base di uno degli enormi alberi Hymenaea che ricoprivano questa regione in quel periodo. Nonostante fossero bloccati nell’appiccicosa linfa, continuarono i loro rapports sexuels. Mi piace pensare fossero al loro apice quando una fresca goccia di resina cadde e li racchiuse per sempre nei loro ultimi spasmi del godimento sessuale.”

Chase alzò un sopracciglio.

“Il loro esibizionismo fossilizzato vale almeno trenta mila Real brasiliani,” disse Oxana.

Chase fischiò attraverso lo spazio tra i suoi due denti frontali. “Oltre quindici mila dollari?!”

“Grammo dopo grammo, più prezioso dell’oro. Più vicino al diamante per essere precisi.”

Appoggiò l’ambra sul vassoio.

Oxana prese in mano il secondo oggetto. Era grande quando il pugno di un lottatore. La superficie era ruvida, con un latto liscio. Rajindar aveva tagliato e lucidato la superficie piatta, lasciando il resto nello stato naturale. Ammirò il lato levigato per un momento, poi lo consegnò a Chase.

L’uomo trattenne il respiro. Racchiusa nella solida pietra di ambra e preservata in uno stato di sospeso dinamismo c’era una salamandra dalle macchie rosse con gli occhi aperti e la lingua fuori. Lo sguardo pietrificato della splendida creatura resse quello di Chase come se i 110 milioni di anni di prigionia fossero stati compressati in quel singolo istante.

Oxana prese una sigaretta dal suo pacchetto ed Alginon afferrò una scatola di fiammiferi. “Se i fottuti scorpioni mi renderanno trenta mila, allora la deliziosa lucertola dovrà valerne sui cinquanta mila, forse di più.” Inclinò la testa e accese la sigaretta. “Non male per due giorni di lavoro nella schifosa Amazzonia, non è d’accordo, signor Chase?”

Prese il fiammifero ardente dall’imbambolato Alginon e spense la fiamma.

Capitolo Due

Presente, New York

Tosh

Cinque mila miglia a nord dalla fossa di Oxana, tra aria fresca e ambientazioni Art Deco, Kennitosh Scarborough si trovava nel corridoio fuori dal suo ufficio e ammirava il nuovo nome della compagnia, Andalusia Publishing.

Si trattava di una serie di uffici nell’Empire State Building, settant’un piani sopra la Fifth Avenue, a New York. Non era affatto un brutto posto per l’inizio, e tutto grazie al patrimonio di famiglia lasciatogli dal padre. Se non fosse stato per quello sarebbe stato bloccato in un logoro ufficio in un palazzo senza ascensore di Brooklyn.

Tosh pensò per un momento a suo padre e si chiese quanto ancora sarebbe durata la sua eredità. Questa era già la sua seconda nuova compagnia, e servirà buona parte del capitale accumulato nel corso del secolo scorso per mandarle avanti entrambe. All’età di vent’otto anni, era l’ultimo di una lunga linea di imprenditori, industriali e finanzieri. Si preoccupava di cosa avrebbe lasciato alla generazione successiva, sempre che ce ne sia una.

Toccò la targhetta di metallo spesso con il nome sulla porta e notò uno sfocato riflesso nell’ottone lucidato. Si girò e fece un passo indietro: si trovò davanti tre giovani donne, fianco a fianco.

Tosh gettò lo sguardo verso l’ascensore mentre con la mano cercava di trovare la maniglia della porta, sperando di non averla chiusa chiave.

Cosa c’è che non va in me? Non c’è niente da temere da tre donne… non è vero?

“Scusatemi, signore.” Si fece da parte tentando di passare a fianco alla terzina.

“Siamo qui per le posizioni nella gestione,” rispose la donna al centro impedendogli di scappare.

Squadrò il suo completo di Armani e poi guardò di traverso il suo azzurro cappellino da baseball.

Il cappellino aveva ricamato sopra ‘Echo Forests’, il nome dell’altra sua compagnia. Se lo tolse e si sistemò i capelli. Le belle donne lo facevano sentire sempre inferiore, e in quel istante ce n’erano addirittura tre.

Tosh passò lo sguardo dall’una all’altra, nel tentativo di trovare delle caratteristiche in base a cui distinguerle. Avevano una ventina d’anni e tutte e tre erano della stessa altezza con i loro tacchi a spillo, poco più basse del suo smilzo metro e ottanta.

Avevano i capelli castani ed indossavano identiche gonne beige con giacche color crema, poco costose, però su misura. Ognuna aveva delle tenui mèches e vivaci boccoli che cadevano sulle loro spalle.

“Sono ancora aperte le candidature?” chiese la donna a destra.

Aveva lo stesso tono impetuoso di quella al centro, solo meno imponente. Forse voleva mitigare la sfrontatezza di sua sorella con un tocco di precauzione. Prima che abbassasse gli occhi, Tosh notò che il loro colore castano-miele creava un bel contrasto con la carnagione chiara.

La terza non aprì bocca, ma tutte parevano ansiose.

“Sì. Le candidature sono ancora aperte, però la signora Applesauce, cioè la signora Applegate –” storpiò il nome della consulente di proposito, nel tentativo di creare una crepa nella loro apparenza glaciale. Ridacchiò, ma quando vide che nessuna delle tre accennò il minimo sorriso, arrossì e si aggiustò il colletto della camicia, che sembrava essere diventato troppo stretto. “Umm, la signora Applegate è già andata via. È lei che segue i colloqui. Potreste tornare in mattinata?” Fece un passo verso l’ascensore. “Devo proprio andare.”

“No,” rispose la donna al centro. “Non è possibile.”

“Dobbiamo essere assunte per domani alle 9,” aggiunse quella alla destra con tono più debole.

Tosh si girò senza prestare alcuna attenzione alla terza, in fin dei conti non aveva ancora detto nulla. “Perché?” chiese alla donna al centro.

Sfacciato, dirà qualcosa di sfacciato, però sembra lei quella al comando.

Diede un’occhiata alle sue scarpe alte e aperte sul davanti, poi lasciò vagare gli occhi sul suo corpo, fermandosi di qua e di là.

La gonna è troppo lunga però belle gambe. Peccato appartengano al corpo di una bulla.

“Perché,” la terza parlò per la prima volta. La sua mano andò ai bottoni d’avorio della sua abbottonata giacca color caffelatte. “Se entro le cinque del pomeriggio di domani non abbiamo un lavoro retribuito, perderemo il nostro appartamento.” Guardò la sorella che stava al centro.

Ah, una crepa nell’armatura della loro imperscrutabilità. Cos’è che abbiamo qui? Tre giovani donne che sono palesemente ambiziose e ardenti nella loro determinazione. E lei non è né maleducata né brusca. Diplomatica è un aggettivo migliore. Sì, signorina Diplomazia. I suoi riflessivi occhi incoraggiano la comunicazione, al contrario di quelli di quella in mezzo, che assorbe meccanicamente i dettagli visivi e calcola le sue mosse come un ufficiale militare.

“È lei il manager?” gli occhi di signorina Impudenza incontrarono i suoi senza esitare.

“Si potrebbe dire. Il mio nome è Kennitosh Scarborough.” Non era mai sicuro se dare o meno la mano alle donne,nonostante lo volesse. Quando tese loro la mano, nessuna delle tre offrì la propria, così finì con il far cadere la sua, mettendola nella tasca dei pantaloni.

Perché non offrono i loro nomi?

Si decise a chiederlo però non ne ebbe l’occasione.

“La signora Applegate fa rapporto a lei?” signorina Prudenza chiese da destra.

Come lo fanno?Com’è che riescono a continuare i pensieri l’una dell’altra? Hanno una mente condivisa in tre corpi diversi?

“Sì, lo fa.”

“Quindi potrebbe farci lei il colloquio.” Era una richiesta, non una domanda da parte di quella al centro.

“Questo non è possibile.” Signorina Impudenza è troppo insistente.

Di solito Tosh assecondava le persone maleducate, almeno finché non riusciva ad andarsene educatamente. È stata però una giornata lunga, ed era atteso a cena per le 18:30. Poi doveva tornare a lavorare sulla situazione nell’Amazzonia.

Perché non me ne sono occupato prima di cominciare a lavorare sull’Andalusia Publishing? In fondo avrebbe potuto aspettare un altro mese finché l’Amazzonia –”

“Non ci vorrà molto” insistette signorina Prudenza.

Tosh mise a terra la sua ventiquattrore e diede un’occhiata all’ora, quasi le 18:00. Per sbaglio cliccò su un bottone sul lato dell’orologio. Partì il lettore. MP3 e dalla piccola cassa suonò Withces, Bitches and Brides di Carma Merit.

Signorina Impudenza guardò il suo orologio e scrollò le spalle, signorina Prudenza piegò la testa corrugando la fronte, mentre signorina Diplomazia sorrise. Il suo sorriso aprì una finestra nella sua personalità.

A signorina Impudenza probabilmente causerebbe dolore provare a sorridere.

Premette il tasto per silenziare Carma, ma lei continuò a cantare lo stess0. “All’inizio era un strega, poi diventò una…” Spinse più forte il pulsante, signora Merit disse “stronza,” poi perse la voce.

Arrossì. “Tasto delicato.”

Gli occhi di signorina Diplomazia seguirono ogni sua mossa, guardando con apparente interesse ogni suo gesto e movimento, come se tentasse di trovare un briciolo di intelligenza in tutto quello che Tosh faceva.

Che trio, così identiche eppure così diverse.

“Supponiamo, per esempio, che io abbia già due candidati in mente che sono pienamente qualificati per le posizioni nella gestione e che mi serva solo un’altra persona. Chi di voi si candiderebbe per la posizione libera?” Non aveva nessuno in lista, però pensò di sapere già la risposta a questa domanda.

“Impossibile” rispose signorina Impudenza.

“Abbiamo letto tutti gli annunci di lavoro nel giornale.” Lo sguardo di signorina Prudenza lo abbandonò non appena egli guardò nella sua direzione.

“Inoltre,” intervenne signorina Diplomazia mentre si aggiustava la tracolla sulla spalla, “abbiamo chiamato tutte le agenzie chiedendo di compagnie che avessero tre posizioni disponibili nella gestione. Vogliamo lavorare nella stessa azienda così possiamo rimanere insieme.”

Tosh notò la cucitura sul polsino della sua giacca.

 

È una cucitura a mano? Mi chiedo se si sono fatte fare i vestiti su misura.

Signorina Prudenza fece un cenno verso la targhetta sulla porta, incisa di recente. “Andalusia Publishing e altre due compagnie sono le uniche in tutta la città che facevano i colloqui per tre manager in grado di lavorare insieme.”

“Quali sono le altre due compagnie?”

Guardò le loro mani. Nessuna portava l’anello di fidanzamento. Non importava se fossero sposate o meno, era solo curioso di sapere se conducessero le loro vite in modo simile. Signorina Impudenza portava un semplice anello sull’indice. Aveva un’irregolare pietra color miele, piccolina però abbastanza profonda da catturare la luce.

Perché si concede quest’unica espressione di individualità quando apparentemente si impegna così tanto a comunicare un’aura di arrogante identicità.

Le altre due sorelle non portavano anelli. Avevano le orecchie bucate, ma niente orecchini.

Tatuaggi?

Tosh scommise che signorina Impudenza avesse una vedova nera tatuata sul fondoschiena.

Ecco una scommessa che non salderò mai.

Signorina Impudenza fissò di sbieco il suo sorriso, poi intercettò la sua domanda. “Abbiamo deciso di concedere a voi la prima occasione per averci.”

Questo spianò il suo sorriso. Non poteva intenderlo nel modo in cui l’ha detto.

Oppure sì?

Guardandole dall’una all’altra, considerò la sua difficile situazione. Aveva un disperato bisogno di personale nella gestione. Dopo due settimane di colloqui, la signora Applegate non aveva ancora trovato nessuno di suo gradimento. Voleva i suoi manager a lavoro prima di assumere gli altri impiegati. Successivamente i supervisori avrebbero potuto aiutare nel riempire le altre posizioni: grafici, editori, operatori, e altri dipendenti. Forse potrebbe considerare il trio per i posti di lavoro da manager. Erano molto attraenti, il che era solo che un più per quanto lo riguardava. Di sicuro, signorina Impudenza poteva essere domata. Il suo intuito non aveva sempre ragione, ma questa volta… sì, aveva preso la sua decisione.

“Avete dei piani per la serata, signorine?” chiese a signorina Prudenza. “Mi farebbe piacere avervi a cena – c-c-cioè intendo avervi come mie ospiti.”

Signorina Impudenza lo guardò di traverso e aprì la bocca probabilmente per una risposta brusca, ma signorina Prudenza la interruppe. “Nessun piano e stiamo morendo di fame.” Signorina Diplomazia sorrise in accordo.

Aha! Signorina Impudenza battuta due a uno.

“Aspettate un secondo.”

Mentre prendeva il telefono da una tasca interna della giacca, notò signorina Diplomazia guardargli le mani, poi il cellulare e infine gli occhi. Selezionò un numero dalla rubrica e spostò lo strumento al suo orecchio. Dopo un momento qualcuno gli rispose.

“Ciao, Miriam.” Sorrise a signorina Diplomazia. “Sono già arrivati gli Henderson e i Melenkov?” Aspettò risposta. “Quando arriveranno offri loro dei martini e falli sentire a loro agio. Arriverò appena possibile. Ho avuto un imprevisto. Fai le solite scuse per il mio ritardo.” Dopo aver ascoltato Miriam dirgli che non sapeva che altre giustificazioni trovargli le rispose, “Sì, lo so che hanno già sentito tutte le mie scuse per essere in ritardo. Sei un tesoro, però questo lo sapevi già.” Tutte e tre le donne lo guardarono attentamente. “Andrà bene, ci vediamo più tardi.”

Spense il telefono e lo mise via, prendendo la sua ventiquattrore.

“Da questa parte, signorine.”

Quando raggiunsero il parcheggio, Tosh premette un tasto sul suo mazzo di chiavi. Si accesero le luci nella sua lunga e lucida decappottabile blu notte. Schiacciò di nuovo unpulsante e la macchina cinguettò due volte mentre le due portiere si aprivano. Non c’era mai il pericolo di colpire un’altra macchina; possedeva tre spazi adiacenti.

Andò dal latto del passeggero e piegò in avanti la sedia per permettere a due di loro di sedersi dietro. Dopo che si accomodarono si rese conto di aver perso traccia di chi fosse chi. La terza salì davanti dopo che egli fece tornare a suo posto il sedile. Non aveva la minima idea di come avessero deciso chi si sarebbe seduta davanti, ma non ebbero alcuna discussione o confusione a riguardo.

Tosh mise la valigetta nel bagagliaio e si sedette al volante, poggiando il cappellino sulla console tra i sedili. Premette un bottone sul cruscotto, e il motore di otto cilindri prese vita con un rombo.Rombo che scemò poi in un potente ronzio.

Collegò il cellulare al Bluetooth dell’auto elo appoggiò sulla console al centro.

Quindi si immerse nel pesante traffico e girò a ovest verso il sole che stava tramontando, qualcuno da dietro chiese, “Può abbassare il tettuccio?”

“Se riuscite a sopportareil vento.” Aggiustò lo specchietto retrovisore per capire chi avesse parlato.

“Possiamo farlo,” le due da dietro risposero nello stesso momento. La sorella seduta davanti rimase in silenzio.

“Va bene.” Si mise il capellino azzurro. “Ve la siete cercata voi.” Cliccò su un pulsante mentre si fermò al rosso del semaforo.

Quando il tettuccio dell’auto si sollevò e si ripiegò nel portabagagli, la donna sedutagli di fianco chiese, “Che macchina è?”

Guardò in modo stortol’incisione nell’acero del cruscotto di un uccello in volo e il morbido cuoio dei sedili, braccioli, e panelli delle portiere.

Il semaforo divenne verde mentre il tettuccio si sistemò al suo posto e Tosh premette l’acceleratore.

“Una Jaguar” rispose. Salve, signorina Impudenza.

Il suo cellulare squillò e il numero apparì sul display della macchina. Era uno dei direttori del consiglio di amministrazione della Echo Forests. Lo indirizzò al suo telefono di casa, dove Miriam avrebbe risposto.

La signorina Impudenza lo fissò poi si girò ad osservare il traffico.

Dopo un paio di minuti si fermò davanti La Fontaine, al limite del distretto finanziario di New York. Dopo che scesero sul marciapiede, Tosh buttò il suo capellino sul sedile del passeggero e un parcheggiatore portò via l’auto.

Decorato nello stile di uno Château francese, il ristorante serviva uomini e donne facoltosi che conducevano i loro affari davanti a cibo eccellente, vino costoso e servizio raffinato. Delicate sfumature di ambra e giada risplendevano attraverso i paralumi di Tiffany. Le morbide note della Sonata per pianoforte n. 14 di Beethoven si fondevano alla perfezione con la soffice luce e le silenziose conversazioni.

Il maître avvistò Tosh alla porta e fece un cenno con la mano a lui e alle sue ospiti oltre la lunga linea di clienti che stava aspettando un tavolo.

Tosh seguì le tre donne e vide come la gente osservava il trio. Apparivano seccati dalle quattro persone che superavano la fila, ma non riuscivano comunque a staccare gli occhi dalle tre donne identiche.

Il maître li condusse intorno ad una fontana scolpita in travertino al centro del salone principale. L’acqua scorreva sulle superfici patinate, cadendo nella piscina. Un insieme di cigni koi tricolori nuotava pigramente su una luccicante superficie di monete di rame ed argento.

La terzina non prestò alcuna attenzione alle persone che si fermavano a metà pasto per osservarle.

Il maître li condusse in uno spazioso separé con soffici sedute in pelle e braccioli che si aprivano a tendina. Porse poi loro i menù e fecce un cenno con la testa ad un cameriere vicino, che immediatamente si avvicinò al tavolo. Dopo aver augurato loro bon appétit, il maître si affrettò a tornare all’entrata del ristorante.

“Buona sera, signor Scarborough.” Il cameriere sorrise ad ognuno di loro mentre accendeva la candela al centro del tavolo. “Gradireste dei drink stasera?” Appoggiò sul tavolo un cestino con caldi croissant e un fresco piatto con medaglioni di burro. I medaglioni erano arrangiati a modo di perfette spirali di petali di rosa, su un letto di croccante crescione.

“Signorine?” domandò Tosh, passando lo sguardo dall’una all’altra. Era seduto da un lato del tavolo ovale, con le tre sedutegli di fronte.

“Zinfandel,” disse quella a sinistra.

Tosh e il cameriere guardarono quella a fianco.

“Zinfandel,” rispose quella al centro.

L’uomo aspettò risposta dalla terza, un sorrisetto sulla sua faccia.

“Avete la Budweiser?” chiese lei.

Tosh nascose il suo sorriso dietro il menu.

“Umm… sì, certo,” rispose il cameriere.

“Allora prendo quella.”

“Tè ghiacciato per lei, signor Scarborough?”

“Sì, Herman. Grazie.”

Le donne si guardarono tra loro. Una aggrottò la fronte, mentre un’altra si allungò a prendere il tovagliolo, facendo cadere una forchetta nel grembo.

Il cameriere stette per un momento, guardando le tre donne. Alla fine, aggiunse, “Molto bene, signore,” prima di inchinarsi lievemente alla terzina ed allontanarsi.

“Allora,” Tosh lasciò cadere il menù sul tavolo, “perché dovrei assumere voi signorine?”

“Abbiamo una laurea nella gestione aziendale” rispose quella a sinistra.

Voleva chiedere loro se tutte e tre avessero studiato per una sola laurea ma ci ripensò. Signorina Impudenza non l’avrebbe trovato divertente.

Si saranno sistemate nello stesso modo in cui si erano fatte trovare nel corridoio fuori dal suo ufficio? Guardò quella che aveva ordinato la Budweiser. Ella sorrise.

No, questa deve essere signorina Diplomazia.

Gettando lo sguardo dall’una all’altra, Tosh non riusciva comunque a trovare qualcosa per distinguerle. Il loro abbigliamento e le acconciature erano coordinati, ed i loro visi erano gradevoli ed identici, con precisione matematica. Con l’eccezione di signorina Diplomazia, che sembrava essere l’unica in grado di sorridere, le loro labbra presentavano identiche curve. Si ricordò poi dell’anello che aveva visto al dito di signorina Impudenza e diede un’occhiata alle loro mani.Era sparito! Stava sulla sua mano destra prima, ne era sicuro, e poteva vedere tutte e tre le mani destre.

Che strano. Che signorina Impudenza si stia prendendo gioco di me?

“Esperienza lavorativa?” chiese a quella in mezzo.

“Ci siamo laureate solamente la scorsa settimana,” rispose quella a sinistra. “Dalla NYC.”

Tosh brontolò e si mosse sulla sedia. “Oh.” Fece scorrere le dita sul lato della testa. I suoi capelli marroni erano stati tagliati di recente, ed era ben rasato, anche se per quest’ora della sera, i baffi potevano già notarsi al di sopra del suo labbro superiore.