Principi della conoscenza dell'interno e dell'esterno.

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Principi della conoscenza dell'interno e dell'esterno.
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Domenico Petrilli

Principi della conoscenza dell’interno e dell’esterno.

Autore: Domenico Petrilli

2020 Domenico Petrilli – Titolare dei diritti.

Tutti i diritti riservati.

Autore: Domenico Petrilli.

locooscuro@gmail.com

9783969872772 Isbn

Prefazione.

Introduzione.

Principi di conoscenza dell’interno e dell’esterno.

(Nella loro relazione e nella loro individualità)

ETERNO RITORNO , SUO COLLEGAMENTO CON LA REALTA’ MATERIALE, E LE DIFFICOLTA’ DI UNA RICOSTRUZIONE DELLA ATTIVITA’ RAZIONALE PURA.

Sul necessario legarsi di sensi , materia e ragione.

I processi della volizione

Prefazione.

Parlare di materia e forma parte da un presupposto sbagliato, ovvero si potrebbe benissimo parlare solo di forma come forma del materiale, ovvero geometria, e il luogo della geometria è il contingente come spaziale, ovvero ciò chi vi è dietro è la relazione di grandezze o di forme, ovvero la loro combinazione quale possibilità della stessa è geometria ma la loro misurazione è numerica. Dunque parlare di forma equivale a parlare di spazio , ovvero di geometria ma parlare del numero, ovvero del numero di una misurazione equivale ancora ad altro, ovvero presenta una astrazione riduttiva maggiore e differente dal termine che tende a misurare, ovvero è una rappresentazione della parimenti rappresentazione spaziale o geometrica euclidea in quanto correlata al rappresentativo della visione, ovvero la non euclidea è immaginata e ciò ci riconduce al concetto di rappresentativo del rappresentativo stesso come visione. Il numero rientra maggiormente nell’astrarre data la distanza del numero dal rappresentativo e la sua variazione necessaria e continua, ovvero la rappresentazione della idea per la quale si può pensare alla rappresentazione della sua definizione quale scritta ha una dinamica correlata alla astrazione minore del numero e ciò forse è dovuto all’essere gli stessi fonte di due conoscenze, ovvero logiche, la logica del concetto e la logica della idea. Ma ciò non vale per la rappresentazione immaginata ovvero per la rappresentazione della rappresentazione della idea, il suo continuum, la deduzione, ovvero l’allontanarsi della rappresentazione nella catena delle rappresentazioni che possono essere connesse ,ovvero significanti, o meno, immaginarie. E se si parla di immaginario ha un senso ove si tratti della visione della rappresentazione quale geometrica o quale astratta, secondo un processo per cui la immagine è nominata ed individuata, ovvero per cui quella nominazione è visualizzata dalla idea del nome, ovvero il nome scritto, ovvero ancora altro trattandosi di un alternarsi ed una interdipendenza, ovvero una continuità tra rappresentazione visiva e scrittura. Partire dalla forma per arrivare a questo significa intendere anche la materia psicologica e significa proseguire su un terreno non tanto differente da quello della Gestalt non solo a livello della immagine ma anche del concetto, e ciò rende sostanziale la relazione del settore cognitivo al resto del settore di quella che i Greci chiamavano Psiche. Senza soffermarci qua se lo spazio quale Einstein lo concepì ovvero quale relativo, ovvero relativo al tempo e allo spazio, deve essere relativo, la idea è parimenti relativa e spaziale e ciò conduce al concetto di autonomia della idea in chiave e direzione platonica. Ovvero tale è la filosofia la cui branca che meglio si occupa della dinamica rappresentativa è quella kantiana ovvero quella che parla della rappresentazione della rappresentazione, ovvero la critica al materialismo e il fondamento dell’idealismo fino a giungere al mal inteso materialismo di Hegel, ovvero parlando di esistenzialismo della rappresentazione occorre distinguere tra un indirizzo contemplativo ed un altro conoscitivo, l’uno passivo e partecipativo, l’altro attivo e penetrativo, ovvero occorre partire rispetto ad ulteriori del gioco rappresentativo che da un lato collocano le emozione e che da altre angolazioni non collocano nel gioco del rappresentativo le emozioni e ciò ultimo fa parte del razionalismo e del determinismo stesso anche come positivismo, ovvero essendo tale ultimo non solo quello logico ,ma anche etico e scientifico, e si sa che Freud era un determinista e si sa della sua associazione al Padre simbolico, fino a sconfinare in una differente dinamica tra desiderio di sapere, e follia, onnipotenza se non fosse per la formulazione di quel simbolico di Lacan, ovvero che parte dal ruolo del significante del fallo nel linguaggio, e il fallo è la potenza, ovvero la Legge del parlare, ed ancora simbolico come significante ed arte di inserirsi nel significante con la parola, ovvero in ciò deve essere inquadrata la affermazione lacaniana sull’essere Padre simbolico di Freud secondo una affermazione che deriva dal Piccolo Hans. In una terapia e in una cura si pone sempre una divergenza tra il paterno e il possesso patologico del paterno e il terapeuta, ovvero la reazione negativa investe anche tale aspetto, ovvero la sostituzione al padre per via di una necessaria inettitudine o inattitudine del genitore, e su tale linea corre la distinzione tra l’essere del simbolico nella cura e l’essere automaticamente il fallo ovvero il genitore. Ebbene in tal caso si instaura il linguaggio, articolato sul significante del Fallo, e sul suo riconoscimento o sulla sua invidia. A testimonianza di come Lacan non limitasse quello che Freud affermava alla invidia del pene ma alla invidia del Fallo, ovvero nessun segno di maschilismo freudiano ma la necessità di dichiararlo al volgere della vita da parte di Freud.

Il discorso della spazialità ideativa, ovvero quanto corrispondente al generico di materia e forma, conchiusione, definizione, circoscrizione, e finitezza si deve tenere presente quanto afferma Russell in realtà con ciò allacciandosi ad una definizione di un universale introdotto da Hegel, che

poi verrà usato addirittura da Heidegger, e differentemente, ovvero l’ubi hegeliano, il dove, la collocazione , il posto che è il posto della prospettiva e il posto del razionale, il suo trovarsi in un luogo rispetto cui cambia la forma del conoscere a seconda della prospettiva prescelta, ovvero tale può anche essere la articolazione delle premesse e delle conseguenze, ovvero la logica, e tale è la spazialità ideativa per chi riesce ad intendere la concatenazione differente dalla profondità e dunque dalla modalità visiva, la sua profondità, la differenza di un modo di intendere lo spazio in modo meno astratto ed attaccato al reale. La visione è condizionata dal materiale e sempre se il materiale esiste, ovvero se esiste il materiale la stessa architettura dei componenti un paesaggio incide sulla modalità in cui eserciteremo la vista nella sua funzione ricostruttiva del reale e nel suo essere plastica, quanto avviene nella invenzione di un paesaggio, ovvero la manipolazione della forma. Ovvero se il materiale non esiste esiste comunque uno strutturale,ovvero lo strutturale come determinativo dell’esterno a livello dello strutturale interno, e ciò è vero a prescindere, ovvero anche nel caso della presenza della materia, ma accanto tale strutturale vi sono da porsi i due termini che sono o piccolezza o grandezza o misura, ovvero rapporto, dato che in entrambi i casi la vista non consente l’andare al di là di un dato grado del finitamente piccolo e del finitamente grande, ed in esso risiede quello spazio geometrico quale indefinizione in cui si inserisce il parallelo alla astrazione. La migliore delle ipotesi che esista sia lo spazio inteso come l’oggettivo, ma comunque e necessariamente un oggettivo che non è un oggettivo, per svariate ragioni, ovvero non è l’oggettivo reale, sia il tempo, ovvero la altra è dire la materia non esiste o è uno e immutabile, e ciò risulta dalla necessità del grado di piccolezza o grandezza onde percepire, ovvero fa parte dello strutturale all’essere il dividere in un ottica spaziale, rappresentativa o meno.

Introduzione.

Quanto affermato vuole anche essere il dimostrare il parallelismo tra materia e forma, ovvero quello che malamente fu intesto il materialismo dialettico, a partire dal suo fondatore il quale fu Hegel e non Marx seppure Marx ci vede bene in tale dinamica della dialettica della società e del mezzo di produzione, ovvero in quella dialettica di una organizzazione della produzione che incide sul sociale e sulla costruzione del sociale. Ed anche ciò fa parte dell’essere e non essere della storia che diviene un essere al mondo e un non essere al mondo, ovvero una socialità e una relazione della socialità anche con la materialità che perciò diviene storia, e un non essere al mondo anche come storia espressione di una antisocialità, di un non voler essere al mondo. E fuori dal mondo possono esservi date cose sia metafisiche e soprattutto metafisiche sia reali. Un incidere sulla persona come dialettica del sociale determinativa il costrutto morale soggettivo ci riconduce ad una visione meno passibile di eresia quale quella espressa dalla logica del profitto, ovvero dalla sua condanna. Siamo sempre su un piano cognitivo come quello di un sociale che insegna ad una massa che fare l’attore, fare il politico, fare il filosofo equivale a determinate situazioni, ovvero una rappresentazione incidente su tale ideale egoico del Sé, in cui la rappresentazione individuativa di tale Sé si traduce in un riconoscimento, fino ad arrivare ad un riconoscimento insignificante e non significativo, ovvero il carattere fasullo di tale rappresentazione, il suo dileguare come nella impressione mnemonica, ovvero una logica del profitto che si estende alla immagine e all’uso della immagine a rappresentazione del cotal dottore che non è dottore per essere dottore ma per la immagine del dottore che equivale alla sua consumazione, ovvero alla negazione autoerotica di sé e di quella immagine autoerotica desiderata, desiderata per via della sua relazione al fallo, alla potenza e dunque al fottere e sapete cosa vuol dire fottere nel reale, solo che è un fottere senza essere in grado ed abile a fottere , un fottere finto, e se un fottere è finto anche tutta la propria dinamica del fallo è finta. E’ questo il gioco del rappresentativo quale incidente sull’ideativo di una persona, su una logica distorta, è questo il gioco del materialismo dialettico rispetto cui la dinamica disegnata da Marx si pone in termini differenti ovvero quelli di una alienazione differente coincidente con la ripetitività con l’automatismo che nega l’essere ed afferma il proprio non essere, il nichilismo , ovvero cosa che avviene anche in relazione a tale dinamica della immagine riprodotta sopra ovvero l’affermare di essere dottore senza essere dottore presuppone un sapere di non essere dottore che porta ad una negazione di sé quale dottore che si sa non essere dottore, e la dinamica non è quella universitaria, del circolo in cui viene consegnato il circolo del dottore e dello scienziato, da parte di un sistema del profitto che insegna questo, ovvero la immagine dell’essere dottore senza esserlo, della compravendita di lauree onde essere la immagine del dottore, ovvero onde guadagnare e conoscere tante belle donne o altro. E qui si colloca la dinamica anticapitalistica che si oppone al vendere ovvero che parla di servi ed puttane, nel senso che vi è sempre qualcosa che può non vendersi e una di questa è la capacità. Ma tutto questo che si crea e si determina parte dalle maglie della incidenza della idea su una strutturazione malsana della persone, ovvero parte dal godimento, e dove vi è godimento vi è consumazione e profitto,vi è nichilismo, vi è materialismo dialettico, e magari fosse il nichilismo del tempo, quello reale e non quello fasullo, quello necessario e non quello costruito come nullificazione di tutto, la differenza tra Eraclito e Nietzsche, che viene decostruita nel nichilismo dionisiaco e ricostruita nella logica del superamento od evolutiva. Ovvero per esservi evoluzione deve essere una dinamica della idea della possibilità della evoluzione, ovvero la stessa viene posta dall’essere del possibile come facoltà del tempo, ma affinchè una cosa deve essere possibile deve essere possibile, ovvero possibile per il fatto dell’appartenere ad un definito entro cui tale essere possibile si esplica, e tale definito può essere parimenti una limitazione della possibilità e dunque della forma ideativa e materiale, ma anche nel senso di un materiale del possibile incidente sull’ideativo. Il nichilismo è insito nello stesso essere possibile della forma ideativa e della forma materiale, ovvero nel tempo quale principio di forma che partecipa dello spaziale e dell’ideativo, ed il possibile si inserisce nel tempo ma un possibile per essere possibile deve distruggere l’altro possibile o il preesistente, ovvero lo devo corrodere, lo deve corrompere, e tale è la dinamica del nichilismo quale distruzione e quale corrosione, ovvero la dinamica della potenza quale ripresa

 

da Jung nell’archetipo di Dio, ovvero nella costruzione archetipica della creazione e della

distruzione, dell’alfa e dell’omega, con tutto il principio dell’essere vano della parola intaccata dal possibile, la dinamica della parola che si consuma, ovvero che non è parola, ma finitezza, ed eventualmente profitto. E tale dinamica del possibile che ci fa capire la levatura di un pensatore quale Albert Camus, e ve ne sono altri di Arabi capaci di insegnare e proferir parola, ovvero se il possibile diviene il reale ciò rende possibile ciò che non è reale, ed in tale condensazione è racchiusa anche la definizione della follia e del suo circuito per quanto riguarda il possibile ideativo, ovvero anche il possibile onnipotente, ovvero parlando nella ottica della rivoluzione e della rivolta, la differenza è data dal fatto che la rivoluzione mira a realizzare il possibile che apre ad un altro possibile che non è l’effettivo reale, e ciò è assurdo oltre il fatto di istituire ciò che si contesta, ovvero questo era Bakunin, ed in ciò è il senso della rivolta nella sua relazione alla autonomia e alla logica nietzschiana, fino a giunge al possibile ideativo e all’assurdità della assenza di familiarità che si estende dal politico al sociale, ovvero in ciò si sostanzia la filosofia dell’assurdo, e la sua ribellione è la rivolta, quella romantica, quella solitaria, quella quotidiana , quella assurda. E questo è il rapporto tra la materia e la forma ideativa, basata sulla necessità di una separazione ed anche Hegel parla di apparenza, ma la apparenza è un qualcosa differente dall’essere dell’oggetto e del soggetto, ed ad apparire può essere qualunque cosa anche quella che diluita nel tempo contraddice se stessa e ciò non è contraddizione proprio per via della mediazione della diluizione del tempo, ovvero essa è Legge, come anche Legge del significante, quale rappresentativo attorno ad un buco, ad un NebenMensch che non è solo quello del folle che si ferma alla fase orale o a quella anteriore alla orale, ma anche quella di qualunque persona normale posta di fronte alla essenza di un buco, divoratore, di una mancanza, di una assenza di conoscenza e di una paura della conoscenza, ovvero incidente sull’Ideale dell’Io senza alcuna possibilità di soluzione tranne la congruità della persona con tale fattualità da cui vuole fuggire, rispetto cui tale voler fuggire sostanzia la patologia ad un livello religioso e psichiatrico.

Principi di conoscenza dell’interno e dell’esterno.

L’idea che mi propongo è portare alla luce, in quanto sottesa ad ogni discorso sulla materia ,e quindi connotante la materialità, ma anche il procedimento di elaborazione razionale ,che potrebbe essere considerato specchio o riflesso della diversificazione della materia ,o molteplicità esteriore, portare alla luce l’importanza e la necessità della distinzione, quale reale possibilità di estrinsecazione della realtà, quale diversificazione, ed inoltre per quanto possibile ricostruire le modalità con cui essa opera ,sia esternamente ,come diversificazione della materia, e quindi oggettivamente e fisicamente ,sia come molteplicità di sensazioni, che confluiscono a determinare il senso interno ,originando la attività razionale ,che si esplica attraverso la molteplicità delle idee ,costituenti in una dinamica circolare il riflesso e la conseguenza della percezione del dato materiale, a cui deve essere attribuita la sua importanza ,senza scadere nella pura e semplicistica esaltazione del materialismo meccanicistico. Preciso che distinguere potrebbe significare dividere il tinguere, secondo leggi di significazione, ovvero dividere metaforicamente il colore, e ciò ha un aspetto distruttivo ed onnipotente dei quali si è parlato. La scissione tra la percezione del dato materiale e la genesi della idea costituiscono il contatto da cui deriva la opposizione tra trascendenza materialistica e trascendenza metafisica. La prima caratterizza e fissa il fluire e il contatto che è il punto determinante tale oscillazione dello spirito tra materia e psiche ,mentre la seconda potrebbe assurgere a denominazione di logica non sillogistica, e non materialistica. La definizione non sillogistica serve a sottolineare la necessità del distacco da qualsiasi legame materiale onde individuarla . La distinzione trova conferma nella definizione materiale ,e nella volontà ,che l’istinto di conservazione pone, ossia nella volontà desiderativa dell’oggetto, ed ancora una volta aspetti distruttivi ed onnipotenti. L’istinto di conservazione pone la separazione di quella parte che viene individuata nell’esistenza dell’Io dalla totalità esterna ,ma separandosi dalla totalità esterna si pone esso stesso come totalità, più o meno marcata, dalla volontà di affermazione o potenza che contraddistingue soggettivamente il flusso che va dal senso interno all’appropriazione- conoscenza dell’esterno, ponendosi paradossalmente come una sintesi in cui da un lato la molteplicità si acquieta in un ideale , tranne gli aspetti nutritivi e sessuali, e come insegna Freud anche quelli, e da cui dall’altro sgorga da quella fonte che è l’Io la molteplicità idealistica o delle idee che si scinde in fantastica e obiettiva, caratteristiche queste ultime che vanno a connotare la soggettività, e la personalità del soggetto che incontriamo. Dalla scissione che porta alla formazione dell’Io, attraverso la separazione dall’esterno ,che l’istinto di conservazione stesso pone ,deriva la percezione della coscienza come specchio di tale separazione, la scissione hegeliana nel senso della dialettica del materialismo dialettico. La coscienza forse non si strutturerebbe se non vi fosse tale separazione per lo meno ideale tra essere e non essere , tra tutto e parte ,in quanto è attraverso il non essere che si pone l’essere, e attraverso la parte che si ha la percezione del tutto, finitamente e finalisticamente. L’istinto di conservazione ponendo la separazione tra l’Io che l’istinto medesimo afferma, e lo spazio ideale esterno, pone l’Io stesso come totalità ideale cui l’Io stesso aspira come ideale, attraverso lo sviluppo della coscienza ,che si narcisizza nella proiezione io sono io ,che è il punto per lo affermarsi della volontà di potenza, che si esplica nell’operato della libido ,che caratterizza il prorompimento e la penetrazione dell’esterno. Vi è molto del concetto della sanità del patologico a livello del mentale. Ed è questa la ragione per cui l’istinto di conservazione confluisce a realizzare la affermazione con la libido, in quanto i prorompimenti di questa ultima che vanno a caratterizzare tutte le pulsioni, ma in particolare la pulsione sessuale ,sono una conseguenza e il completamento della volontà di affermazione di tale istinto ,che attraverso il processo appropriativo libidico, pone la sua affermazione ,che deriva come un riflesso dalla appropriazione ,ossia dalla demarcazione-opposizione io-spazio esterno, la cui conseguenza è l’autoerotismo dell’istinto di conservazione ,che gode di sé proprio in tale separazione che gli rimanda la sua esistenza, come scisso. Tale procedimento di scissione determina la infelicità della coscienza hegeliana, scissa in un rapporto servo- padrone soggetto-oggetto, il cui superamento è la coscienza universale ,che mira senza riuscirci

a superare le scissioni ,che la distinzione radica nella innata e necessaria scissione tra io e lo spazio esterno ,

da cui deriva la scissione che determina e struttura la percezione ,con l’apporto della sensibilità. La coscienza infelice deriva anche dalla constatazione della impossibilità di superamento nella fusione logica della totalità delle caratteristiche come del concetto che determinano la possibilità di fusione, ovvero la sintesi e la dialettica attraverso la determinabilità dei termini ,che si oppongono comunque prima di fondersi. Da tale incontro con lo spazio ideale esterno ,e con la non necessità- contingenza della materia a seconda della soggettività del soggetto si esplicano due atteggiamenti contraddittori, contraddittori ed altamente soggettivi ,che possiamo enucleare come voglia di annullamento e voglia di dipendenza dall’altro. Dalla voglia di dipendenza deriva l’influenzamento che l’altro esercita nello sviluppo del nostro io, nelle sue modalità e centralità appropriative dello spazio esterno, nostro e non solo, e voglia di dipendenza che connota e legittima una situazione di potere nei confronti del soggetto da cui si dipende, ovvero si potrebbe parlare di forme del rispecchiamento, interiorizzazioni e successive tendenze anche sociali, le dialettiche del potere e della dipendenza. Una caratteristica dell’Io è la sua plasmabilità, in assonanza alla sua capacità di comprensione o presunta comprensione, posto che una comprensione quando anche presunta ,implica per lo meno la coscienza della possibilità di non fallibilità. La modificazione dell’Io rispetto alla posizione posta da una comprensione presunta rivelatasi errata determina un conflitto con l’Io ,da cui consegue una instabilità ,che rallenta e rafforza , in opposto e contemporaneamente a livello intero-soggettivo, la sintesi posta dall’Io penso ,che governa lo stato di coscienza. Una situazione di dipendenza implica un divario tra il soggetto che dipende, e il soggetto che esercita il potere, anche in virtù di un dialogo linguistico incentrato sulla capacità di comprensione dell’esterno, e dell’interno, come anche entrambi, includendo nella qualifica e nell’aggettivo sostantivizzato interno ,anche l’altro, inteso come sintesi di molteplicità ideale, difficilmente carpibile ,in quanto non esprimentesi in dinamica figurativa, o non solo in essa ,e tale è la posizione sadica dell’analista fermo restando la dialettica sadica e forse reattiva dell’analizzando, e tale ancora tutto il teorema sulla identificazione al luogo, psichico, ideale anche come formativo e conformativo il carattere, analisi. Paradossalmente la possibilità dell’ annullamento proprio della posizione di dipendenza è esplicita nella psiche del soggetto, ed è derivante dalla innata suzione, e mercè la morte, anche come fuga, come resistenza. La dipendenza stante la attuale cognizione, e la modalità di conservazione del soggetto, che è di materia postula la materia stessa unita alla forza appropriativa che ci determina alla ingestione di tale materia attraverso la assunzione di cibo, e perdura nella esplorazione ponendo un interrogativo sul ruolo della cura del curante come colui che ci autorizza ad una esplorazione che non è esplorazione ma dipendenza, ovvero è totalmente differente dalla capacità di ritrovare la rotta senza bussola, significazioni e critiche. La dipendenza del saggio, quella materiale, è intimamente connessa alla sola soddisfazione di bisogni materiali di vita ,e quindi detto esplicitamente ciò per quanto riguarda la materia, ovvero è distacco e fuga dalla dipendenza materiale fermo restando la dipendenza assoluta che è vita ma nella Legge, e con ciò riprendo Lacan anche a proposito del significante. Tale discorso tende ad escludere finora il sentimento del bello. E’ il sentimento del bello che struttura perdizione e morale allo stesso tempo. Ma se il bello come giustamente definito è soggettivo ,la morale finisce per diventare altrettanto soggettiva, e la oggettività deriva dalla condivisione del mos che implica relazioni io - l’altro che strutturano l’ulteriore dipendenza del soggetto da colui che sa. L’ignoranza che caratterizza lo stato dell’uomo secondo Kierkegaard prima che egli peccasse, e dunque prima dell’incontro del tempo con l’eternità ,è altrettanto caratterizzato dalla perdizione, che insidia la possibilità di vita. E’ la possibilità per Kierkegaard che ci schiude la infinità ,o la sua vista, che è un proseguimento dell’eternità. Il sentimento del bello dunque infinitizza la esistenza, dando impulso alla sua ricerca al pari del brutto secondo la logica della soggettività del bello, e si dischiude dunque al pari del bello e del bene la possibilità del male e della perdizione, trascendenza trascendente o ascesi nel primo caso e materialistica nel secondo in cui la perdizione indica l’essere legato alla terra , il dionisiaco, e alla sua vicenda secondo Nietzsche. Con la classificazione sentimento del bello ,che va al di là della fisicità per contestualizzarsi in simbiosi con la bellezza fisica ,che si esplica in forma e colore, anche il bello espresso dalla virtù, che sostanzializza l’etica, che come precisato è una elaborazione e sostanzializzazione di quella espressione interna dell’anima, che sgorga dal sentimento prodotto da relazione e contatto , anche il bello del virtuoso culmina promuovendolo e sollecitandolo ( in ciò trovano completamento le mie teorie sulla importanza della libido, che prescinderebbe dai connotati sessuali che assume materialmente) nella elaborazione razionale, da cui deriva il parto della idea, appropriazione ed estroiezione in relazione alla nutrizione .

 

L’idea del parto implica una scissione, e una separazione dall’idea, che sostanzializza ciò che Platone

chiamò Iper- Uranio, di cui il soggetto può anche appropriarsi ed anche per immedesimazione, e ciò indica una possibilità, ed è ciò che è poi sintetizzato nella reminiscenza che implica il ricordo sia di ciò che si è creato sia di ciò che si è udito o visto. La simbologia dell’inconscio poi racchiude la probabilità di espressione linguistica nel senso palesato dalla geometria ,come una forma delle forme ,e dunque visiva, in condizioni non esclusivamente materiali, e non parlo di genetica del linguaggio come concetto ma come rappresentazione. Di qui il mio riferirmi in un senso che esula dalla materialità quale figurativa per concentrarsi in una qualifica ideale e ideativa che determina ,da un lato ,la confutazione aristotelica alla vista , quale organo materiale ,della qualifica di organo dell’intelletto (affermazione aristotelica che sicuramente Platone non condivideva) e la fondazione della geometria, come connotante anche il procedimento di elaborazione pura, in quanto prescindente dalla materialità, e dunque in un senso comunque greco. Il sorgere del concetto della quantità deriva dalla percezione esterna ,e tattile, spazio esterno- io , ovvero deriva dall’essere l’io una parte o unità, conseguenza dello stimolo e della sua azione, ma tale ultima affermazione è confutabile, e in ciò sta il carattere del suo carattere innato. Legata alla quantità è la categoria della relazione, che Hegel traduce attribuendole una connotazione matematica in rapporto con la proporzione. Ma la categoria acquisisce con ciò le caratteristiche della fisicità ,decentrando una considerazione ideale dell’idealismo hegeliano, seppur dal materialismo stesso lo spirito hegeliano parte, secondo un ottica condivisa. Quella del rapporto è l’unica categoria hegeliana che rivela la considerazione che Hegel attribuisce allo spazio esterno, e tranne le appropriazioni eventuali dell’Ich bin Ich, sostenute però da Schelling e riprese da Marx e dalla dialettica del materialismo, ed è l’unica categoria possibile in una logica assonante alle sue teorizzazioni sulla fusione degli opposti, o logica degli opposti, sempre marxista, applicate usualmente e esclusivamente alla sua logica, che diviene a-logica per il suo essere il contesto della totalità ideale e materiale, ovvero per essere il contesto di x e non x, secondo uno spirito, ovvero un modo di vedere, per la cui esenzione della follia, risulta ancora una volta dialettico, come Jung indovinava ed applicate quindi alle sue statuizioni sull’apparire sia pur oggettivo della soggettività da lui scissa nel conflitto- dipendenza- relazione- diluizione coscienza-autocoscienza, l’interno- oggetto e il materialismo dialettico in psicoanalisi. La categoria della relazione invece scelta da Kant appare più assonante al presunto carattere innato di tale concetto della rappresentazione ideale. Di tutte va detto che fra tutte la categoria della esistenza è la primordiale ,e differente da tutte, in quanto è quella che pone attraverso l’istinto di conservazione l’Io andando con ciò oltre la filosofia consueta. Sembra dunque che invece le categorie della quantità e della relazione derivino dal contatto, in un senso non idealistico, ma tale contatto vi è comunque, ed il rapporto è sempre una relazione di termini, ovvero si può presumere che con il rapporto Hegel dicesse altro. La relazione potrebbe interpretarsi come quel flusso che pone in contatto sia la molteplicità ideale scissa da Hegel ,la relazione come categoria che non si occupa della funzione ma della struttura, ovvero molteplicità ideale pluralizzata da Freud e Jung con il concetto di plurideterminismo, e sia la fenomenologia dell’operare fisico inteso come caratteristico sia della presenza di una materia che opera ,o è plasmata , e sia le modalità operative strutturali e funzionali con cui la materia si diversifica che sembrerebbero rientrare nella esatta costruzione classificatoria hegeliana di rapporto, in un senso non puro, ovvero puro se si guarda al materialismo dialettico e demarcandone e sottolineandone con ciò la forte composizione numerica, in un senso matematico e dunque puro , ovvero kantiano, ovvero nell’esplicitarsi della quantità visto che la materia diversificandosi in piccola e grande, pone una quantità numerica , o spaziale, di misurazione, da cui deriva equilibrio e conflitto, e quindi di nuovo la stessa terminologia rapporto. Di qui la necessità dell’assoggettamento della fisica alla matematica, che è connaturale alla capacità di esplicitare la filosofia, visto che il linguaggio esprime un rapporto dei termini ,da cui ne deriva la significatività. Donde a ragione si potrebbe considerare che il linguaggio sia una potenzialità significativa, al pari della rappresentazione della cosa che muovendosi comunica e trasmette sensazioni tattili , uditivi, sensoriali che prescindono dal contatto tattile e sensorio stesso, ovvero che si basano sul sentimento di cui tali sensazioni rappresentano l’evoluzione di una tipologia primordiale sentimentale i cui attributi si esplicitano nel campo presumibilmente tattile, olfattivo e uditivo, ma non visivo, ovvero visivo per via di relazione e parliamo di tipologia primordiale sentimentale. Sembra quasi che l’esercizio della vista prescinda dalle qualità sensibili , ovvero nel senso di porsi differentemente ,essendo la rappresentazione delle deformazioni prodotte dalla materia ,ma non solo sugli organi di percezione. Di qui la importanza di esami accurati dell’esplicitarsi delle visioni nei sogni, la cui esistenza