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XVIII

Per tutta quella notte non potrei chiuder occhio. – Due figure mi stavano sempre dinanzi – un marito ed una moglie – un uomo ed una donna, i quali parevano disputarsi le mie simpatie, provocare una mia determinazione.

Dalla parte di Amelia stavano le seduzioni del sesso e della voluttà – dalla parte di Edmondo le attrattive di un nobile cuore, di uno spirito elevato, di un carattere omogeneo, tutte doti che conciliano benevolenza e rispetto.

Edmondo adorava sua moglie – l'adorava colla fede più ingenua – e quell'amore pieno di tenerezza, quell'amore indulgente e benefico rifletteva una luce sfavorevole sulla frivolezza vanitosa, sulla indifferenza della donna… incapace di comprendere un affetto sì vero e già pronta a tradirlo.

Il mio cuore propendeva per Edmondo – passando dall'una all'altra figura, il mio pensiero si arrestava di preferenza innanzi a quella che era la più degna di benevolenza e di stima. La bellezza di Amelia scoloriva, perdeva il suo fascino seduttore. Quelle forme voluttuose di femmina divenivano trasparenti, e sotto quelle io scorgeva un povero cuore, sterile di affetti e viziato dalla educazione.

Ella!.. disconoscere il nobile carattere di quell'uomo!.. adorata… atteggiarsi a vittima!.. tradirlo!.. Ciò era indegno… era infame…!

E fu proprio su questo atto di accusa che una ipotesi fatale mi balenò nella mente… Mentre io mi sdegnava con lei, mentre io lanciava la tremenda condanna, improvvisamente fui assalito da questa grave riflessione:

«Se il mio marito sapesse!»

XIX

Ebbene: se il marito sapesse, qual sarebbe il più svergognato fra te e quella donna?

Mettiti là, galantuomo – al posto di lui – vicino a questa Amelia, che ora ti apparisce così frivola, così rea, così indegna della tua stima! – Ed egli – il marito che sa – vi giudichi entrambi.

Ieri a sera tu gli stringevi la mano, a quell'uomo leale e simpatico – tu accoglievi i suoi ringraziamenti, le sue profferte amichevoli. Edmondo espandeva il suo cuore nel tuo; ti metteva a parte de' suoi segreti. Ti diceva: io amo quella donna e ne sono riamato – ti svelava il segreto della sua felicità, colla piena fiducia di parteciparla a un cuore onesto e sincero al pari del suo. Meno male s'egli avesse ostentato quell'indifferenza volgare, o meglio quel brutale cinismo che è proprio dei mariti di buon genere – se egli ti avesse ripetuto gli ignobili ritornelli; mia moglie io la considero un arnese, un mobile di casa, nè più nè meno – è forse possibile amare la propria moglie?..

Ma nulla di tutto questo. – Edmondo, il tipo più amabile di galantuomo, era anche l'ideale più adorabile dei mariti. Non vi era pretesto per lei, come per me non vi era scusa possibile. Se non che, da parte mia c'era un altro ritegno alla colpa, c'era un nobile sentimento che resisteva alle attrattive della voluttà – la stima e la simpatia per Edmondo. La piccola mente, il piccolo cuore di Amelia poteva disconoscere le doti eminenti del marito; ma io che a primo abbordo le aveva comprese ed apprezzate, io non poteva senza rimorso e vergogna, farmi complice di Amelia nell'oltraggiare quell'uomo.

XX

Ho riprodotto incompletamente le agitazioni, le lotte, i tormenti di quella mia lunga veglia.

Allo spuntare dell'alba, scesi dal letto, apersi le griglie e mi appoggiai al davanzale della finestra. I colombi uscivano a coppia dalla piccionaia, e svolazzavano nel cortile perseguitandosi, beccandosi spietatamente per gara di amore – i passeri si gettavano a stormi sul gelso, e le foglie agitate esprimevano un immenso tripudio; – il garzone di stalla, uscito ad abbeverare le sue bestie, salutava la giovane lattivendola con occhiate che erano baci e carezze. – Tutti gli animali obbediscono alla legge dell'istinto… Nessuno è tanto stolto… tanto ribelle ai moti della natura che, data una occasione favorevole, si arresti a riflettere i pericoli, a tormentarsi con iscrupoli vani, a calcolare se sia bene o se sia male ciò che alletta lo spirito e il senso. Corriamo all'amore, al piacere, alla donna!.. Che importa, se questa donna così ben disposta a secondarci…

In questo punto udii battere tre colpi alla porta. E provai ancora una volta la scossa, il brivido dell'uomo sorpreso in delitto.

Apersi – Edmondo entrò nella stanza. La sua fronte, i suoi occhi erano sereni come l'alba.

– Ah! non credeva trovarvi in piedi, mi disse – accostandomi all'uscio della vostra camera, sono rimasto in forse per alcuni minuti fra il bussare e l'andarmene tutto solo per la mia escursione campestre.

Io aveva dimenticata sul tavolino la lettera di Amelia – non potei articolare parola prima di averla raccolta e posta nelle tasche del mio soprabito.

– Amelia mi ha dato piena libertà per tutta la giornata, riprese Edmondo – ed io sono molto ben disposto a profittare della sua condiscendenza. Non vorrei obbligarvi ad un sacrifizio superiore alle vostre forze… Via! siamo sinceri!.. La campagna non può avere per voi delle grandi attrattive, sopratutto con questi calori!.. Io non vi tengo obbligato dalla vostra parola, non voglio imporvi un sacrifizio…

– Ma no… vi assicuro al contrario…

– Che serve? Amelia mi ha messo in guardia contro le vostre proteste… Diamine!.. Io posso andar in volta da solo a calunniar la natura co' miei pennelli, ma questa non è ragione perchè un amico debba sudare fra la polvere ed il sole tutta una giornata di luglio!.. Bando ai complimenti! Rimanete!.. Io sarò di ritorno verso le quattro… Pranzeremo insieme… e stassera… nel caso vi sentiate in lena di far qualche passo al chiaro di luna, io mi farò un piacere di accompagnarvi.

– In verità non so comprendere…

E rimasi a mezzo della frase, comechè io riconoscessi di profferire una menzogna.

– Volete che io mi spieghi più chiaro? – soggiunse Edmondo col suo sorriso più amabile. – Non è vero che pochi giorni sono avete confessato a mia moglie che non vi è cosa più detestabile per voi quanto il battere la campagna pel solo gusto di fare dei passi e di ammirare ciò che si vede a tutt'agio dalle vostre finestre? Ebbene: mettete che ella si sia fatta un dovere di avvertirmene, mettete che poco fa, quando io usciva dalla stanza, Amelia mi abbia detto: io ti prego di risparmiare quel nostro povero amico che probabilmente non ha nessuna voglia di seguirti…! E dopo ciò: a parte ogni scrupolo… trattiamoci da veri amici… e a rivederci… alle quattro.

La buona fede, la ingenuità, la schietta natura di Edmondo spiccavano da queste parole siffattamente, che io sentii una vampa di rossore espandersi sul mio volto. Quella donna che si faceva istromento del marito a' suoi disegni colpevoli, che spingeva il più affettuoso, il più tenero degli amanti a rappresentare la parte del mezzano e del complice, mi apparve in quel momento un essere degradato e deforme.

Arrossii per me stesso, per lei, per tutti. – Volli parlare, ma il coraggio mi venne meno. Non potendo smentire quella donna, avrei dovuto sostenere a mia volta la parte dell'ipocrita; dinanzi a quel carattere integro e leale rappresentare una menzogna abbominevole.

Edmondo, interpretando il mio turbamento nel senso che per lui era più verisimile, mi battè amichevolmente sulla spalla – e acceso uno zigaro: Così va bene! – mi disse – vedo che mia moglie ha detto il vero, e che voi siete un amico quale io lo desiderava. – Tenete compagnia ad Amelia, e preparatemi un lieto pranzo.

Dopo queste parole, Edmondo si allontanò. Io gli tenni dietro fino alla scala, e a stento ebbi il coraggio di profferire una mezza frase: «Poichè voi… lo credete…»

Rientrai nella mia stanza coll'animo agitato. Io sentiva che quell'uomo aveva ottenuto una piena vittoria, che io non aveva più il diritto di discutere la mia risoluzione.

In tutta fretta finii di abbigliarmi, discesi nel cortile, e con rapidi passi, come un uomo inseguito, mi allontanai dallo stabilimento.

Qual'era la mia meta? io l'ignorava – il mio scopo era di allontanarmi da una donna, di sottrarmi ad una tentazione. Io camminava per le strade più ignorate e più deserte, mi soffermava sotto un albero, mi sedeva sopra un macigno per asciugarmi il sudore e riprendere lena – poi di nuovo mi gettava nella carriera.

Lettori del mondo elegante: io vi permetto di sorridere – E voi annientatemi sotto il vostro sarcasmo, o tigri dalla pelle di velluto! – Io ve l'ho detto alle prime pagine di questa istoria; non potrò mai arrossire nè pentirmi di avere in quella occasione, ceduto al sentimento dell'onore, anzichè agli stimoli più solleticanti della bellezza.

XXI

Non vi dirò come si passasse per me quella eterna giornata. Verso le quattro ore, mentre io dirigeva i miei passi allo Stabilimento, dal quale ero poco discosto, sentii chiamarmi per nome.

Mi volsi. Era Edmondo che tornava dalla sua escursione artistica.

– Voi vedete ch'io sono esatto, mi disse.

Io mi fermai per attenderlo. – Egli mi narrò brevemente i piccoli episodii della sua giornata – mi mostrò dei graziosi paesaggi schizzati sul suo album– e così, famigliarmente conversando, noi entrammo nel cortile dello Stabilimento.

Vi confesso che il mio cuore tremava. Sì: io tremava come un fanciullo al momento di dover ricomparire innanzi a lei… di dover subire uno sguardo schernitore, un complimento pieno di crudele ironia. Ma il contegno della signora valse ben presto a rassicurarmi. Ella aveva prediposto la scena per quell'incontro – ella aveva contato sovra un artifizio che, in luogo di assicurarle il trionfo, doveva pregiudicarla d'avvantaggio nella mia opinione, e rassodare i miei propositi.

La signora Amelia mosse ad incontrarci festevolmente, tutta vezzi, tutta sorrisi. Non mai l'eleganza della sua toelette mi era apparsa più studiata, più artistica e, diciamolo pure, meglio riuscita. Le dame milanesi, che pure hanno tanta prosa nel cervello e nel cuore, sono tutte poetesse nell'arte di abbigliarsi.

 

Ella appoggiava il suo braccio (e questo era il gran colpo di effetto, questa era la prima strategia delle sue vendette) – sì – ella appoggiava il suo braccio a quello di… Narciso, che voi, lettori, dovete conoscere… quel fatuo pretenzioso e ridicolo, che passava le sue giornate a cambiarsi le cravatte, a ripetere una quindicina di calembours.

Ed ella si abbandonava a quel Narciso colla famigliarità di un'amica, di una sorella – lasciando penzolare la sua testa voluttuosa sulle spalle di lui, e volgendogli degli sguardi che parevano accennare ad una intimità di desiderii e di accordi segreti. Quel Narciso, o tulipano, che aveva preso il mio posto così repentinamente, che in balìa di una frivola donna era divenuto un istrumento di rappresaglie dispettose, di meschine vendette – in luogo di irritarmi mi fece sorridere, m'ispirò compassione. Quanto poi alla donna… tutto l'incanto della sua bellezza, tutto il fascino era sparito. Io mi vedeva dinanzi una artefice scaltrita di menzogne e di intrighi, che ingannava ad un tempo il più affettuoso dei mariti e il più imbecille dei cortigiani, per punire la mia onesta resistenza, per combattere uno scrupolo di lealtà, che in quel momento mi rendeva orgoglioso.

XXII

La mia risoluzione era presa, e oramai nessun artifizio, nessuna seduzione poteva cangiarmi.

Pranzammo tutti insieme nella gran sala. Io seppi dissimulare il mio imbarazzo, portando la conversazione sul tema della letteratura e delle arti, acciò il marito di Amelia avesse campo di sfoggiare tutta la coltura del suo spirito. Narciso ci interrompeva tratto tratto co' suoi vecchi calembours, e la signora mostrava apprezzarli e gustarli enfaticamente con certe risatine prolungate, per le quali ella poteva far brillare due file di denti splendidi e bianchi come perle.

Appena levati da mensa, io posi in campo un pretesto per ritirarmi nella mia stanza. Salutai cortesemente gli amici, stesi la mano ad Amelia, e quand'ella mi porse la sua, io la strinsi senza affettazione, senza darle alcun indizio che potesse in qualche modo rivelare i miei divisamenti. Appena fui solo, mi posi al tavolino, e scrissi queste poche linee:

«Gentile Signora,

»Quando riceverete questa mia, io sarò in viaggio per Milano. Vi prego di perdonare e di obbliare. Il vostro Edmondo mi ha fatto l'onore di chiamarmi amico; in poche ore egli ha saputo guadagnarsi la mia stima e il mio affetto più vivo. Rimanendo, io correrei pericolo di demeritarmi la sua amicizia, di tradire la nobile fiducia che egli ripone nel mio carattere. È un uomo adorabile vostro marito, ed io per mia parte, sento di aver già dei gravi torti verso di lui. – Io spero che a Milano ci rivedremo tutti, e potremo stringere una intimità più degna di noi. Scrivo due linee ad Edmondo per dirgli che una lettera giuntami da Milano questa sera fu causa della mia repentina partenza. Nuovamente vi chieggo perdono, e mi raccomando alla vostra buona amicizia.»

Suggellata la lettera, uscii nel corridoio per confidarla ad Angiolina, ond'ella il mattino seguente la recasse alla signora.

Poi scrissi ad Edmondo – chiamai il cameriere per aggiustare i miei conti ed ordinargli di svegliarmi di buon'ora. – Lo pregai di tenermi il segreto per quella sera, e di attendere l'indomani per consegnare la mia lettera ad Edmondo.

All'alba del giorno seguente, io saliva sulla vettura che doveva condurmi a Milano.

XXIII

Lettori: voi non vorrete astenervi dagli epigrammi – voi avete riso, e forse ridete tuttora della mia dabbenaggine, ma pure dovete confessare che il mio racconto fu pieno di moralità… Ohimè!.. Vorrei pure lasciarvi questa buona impressione – ma pur troppo quella ch'io vi ho narrato è una istoria vera – e la verità non può sempre modificarsi a benefizio della morale.

Io rividi il signor Edmondo a Milano – io rividi anche lei… la quattordicesima stella del nostro Olimpo celebrato.

Orbene: credete voi che la mia condotta onesta e leale mi abbia giovato a qualche cosa?

Misteri del destino coniugale! – Edmondo ed io abbiamo cessato di chiamarci amici… Il nostro saluto, incontrandoci, è quasi glaciale – è il saluto di due cilindri e non più di due cuori.

Alla Scala, nel palco di Amelia, veggo ogni sera il mio bel Narciso, che ostenta la famigliarità pretenziosa del seduttore soddisfatto. – Nell'alta società corrono… delle dicerie un po' equivoche. Per parte mia, ho motivi di credere che, nel caso di Amelia e di Narciso, la malignità si mostri anche troppo discreta.

Cosa avrebbe perduto quell'ottimo Edmondo, se io avessi preoccupato la piazza?..

Nulla…

Conclusione desolante! – Il solo che veramente abbia perduto sono io!

Ho perduto le buone grazie di una elegantissima donna – ho perduto l'amicizia e fors'anche la stima di un uomo eccellente – ed ora ho perduto il mio tempo a proporre un esempio di virtù e di abnegazione, che non troverà imitatori.

La chiave di tutto l'enigma è codesta: – Io mi sono arrestato per paura che il marito sapesse – ma appunto perchè mi sono arrestato innanzi tempo, il marito ha saputo. – Ed ha saputo dalla moglie, che è quanto dire a tutto mio danno e a maggior comodo altrui.

Un uomo colla coda

CAPITOLO I.
Due dita di coda

Il contino crollò leggermente la testa, e proseguì di tal guisa:

– Non c'è che dire: Lodovico Albani è un perfetto gentiluomo. Avvenente della persona, giovane, ricco, elegante… Peccato ch'egli abbia quel difettuccio! Un difetto da nulla… – tanto è vero che infino ad ora qui nella borgata nessuno si è accorto?..

– Che! il signor Lodovico Albani avrebbe dunque… un difetto?

– Mi sono espresso con poca esattezza… Non è propriamente un difetto… sibbene un accessorio… un ornamento, un vezzo, che la prodiga natura ha voluto accordargli per una di quelle bizzarie che essa talvolta si permette… onde variare la specie umana…

– Via signor contino… voi ci fate morire d'impazienza…

Il parroco e il coadiutore ingrossavano gli occhi e allungavano il collo come avrebbero fatto dinanzi ad un cappone arrostito con ripieno di salsiccia.

È d'uopo sapere che don Cecilio Speranza e don Domenico Crescenzio, parroco l'uno, e l'altro coadiutore nella borgata di L… detestavano con fervore cattolico il cavaliere Lodovico Albani.

Quali erano i torti del cavaliere Lodovico Albani rispetto ai due uomini di Dio? – Molti e gravi.

Lodovico Albani era cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro, e aveva acquistato il titolo onorifico coi suoi talenti, colle sue opere letterarie e scientifiche, con generosi sacrifizi di patriottismo. – I preti hanno poca simpatia pei cavalieri dei SS. Maurizio e Lazzaro, per gli uomini di spirito, e meno ancora pei patrioti.

Dippiù, il signor Lodovico, venuto di recente ad abitare la borgata, si era introdotto nella casa di donna Fabia Santacroce, ed era riuscito ad istillare nella antica bigotta qualche idea libertina. A dispetto dei due reverendi, la marchesa aveva accordata al signor Lodovico la mano dell'unica sua figliuola. Già s'erano fatte due pubblicazioni; il fidanzato era ito a Milano per provvedere i regali da nozze – al di lui ritorno la cerimonia dovea compiersi senza indugio.

Tutte le pratiche del parroco e del coadiutore onde impedire questo pericoloso connubio, erano riuscite vane.

Lodovico Albani, colla sua condotta incensurabile, avea completamente trionfato delle cabale e dei raggiri… In paese egli era citato a modello di onestà. Generoso coi poveri, affabile, modesto, anche in casa della marchesa, egli sapeva uniformarsi alle pratiche devote, alle abitudini alquanto rigide della vecchia bigotta, adoprandosi però lentamente a combatterne i pregiudizi. Dietro consiglio del futuro genero, la marchesa aveva già introdotte nella famiglia non poche riforme. I due reverendi non eran più invitati a prendere la cioccolatta ogni mattina… I pranzi divenivano meno frequenti… Don Cecilio e don Domenico in casa della marchesa perdevano ogni giorno qualche residuo del loro potere temporale.

Guardati, o lettore, dall'odio di un prete: dall'odio di due preti non può guardarti che Dio!

Dopo tali premesse, è facile comprendere con quale ansia, con quale impazienza febbrile, il parroco ed il coadiutore attendessero le rivelazioni del contino Tiburzio.

Ed ora mi chiedete; chi è il contino Tiburzio?

In poche parole ve lo presento.

Il contino Tiburzio è un nobile della massa, mediocremente brutto, mediocremente ignorante, mediocremente maligno. Un bel giorno egli credette amare la marchesa Virginia, la chiese in moglie a donna Fabia, ma in grazia del signor Lodovico, egli ebbe una chiara e formale ripulsa

La marchesina consultata del suo voto, avea recisamente ricusato colla sentenza inappellabile: è troppo brutto.

Il contino Tiburzio si sentì trafitto nel profondo del cuore… e giurò vendicarsi.

Bisognava perseguitare il rivale… combatterlo… schiacciarlo… perderlo nella opinione del mondo…

Pensa, medita, studia. Che si fa? L'arte cattolica dei due reverendi aveva abortito… Che poteva sperare un uomo del secolo?

Ma l'amore è più scaltro, più maligno dell'odio. Questa volta la fantasia del contino ebbe un lampo di ispirazione. Scoperta la breccia, e concepito il piano d'attacco… egli scelse i due preti per alleati.

Io credo che il lettore non abbia d'uopo d'altre spiegazioni… Ripigliamo il dialogo interrotto.

– Dunque, signor contino; questo difetto?..

– Per carità, don Domenico, non mi fate parlare…! Temo aver già detto di troppo… Non dimentichiamo che Lodovico è alla vigilia delle nozze… Poichè finora il difetto è rimasto occulto… lasciamo correre l'acqua al suo mulino… ed usiamo prudenza… I maligni credono che io mi abbia in uggia quel bravo giovine, perchè madamigella Virginia ebbe il capriccio di accordargli una preferenza che io non ho mai desiderata… nè sollecitata… Egli mi ha salvato da un abisso, ed io gliene son grato di cuore. Che altro infatti è il matrimonio se non un abisso coperto di fiori, ove l'uomo precipita inavvedutamente… e per sempre?

– Signor contino… voi sapete con chi avete a fare… Noi siamo avvezzi a serbare scrupolosamente il segreto in casi ben più gravi che non quello di cui ora si tratti… Questo difetto del signor cavaliere Lodovico non sarà di tal natura da portargli pregiudizio, ove fosse divulgato. A quanto pare si tratta di una imperfezione fisica, che certo non è molto rilevante, s'egli ha potuto nasconderla fino ad ora.

– Ah! gli abiti ne celano molte delle magagne!.. e delle mostruosità. Se le fanciulle, prima di scegliersi un marito, potessero penetrare collo sguardo il fitto velame degli abiti, sono d'avviso che più tardi non avrebbero luogo tante delusioni, tanti scandali coniugali, tanti divorzi! Io vi giuro, signor don Domenico, che se alcuno susurrasse all'orecchio della marchesina il segreto che io solo conosco, queste nozze andrebbero in fumo, e il mio povero amico dovrebbe allontanarsi da L… come ebbe già ad allontanarsi da Pavia…

– Il caso è molto più grave che io non avrei immaginato, disse don Domenico fiutando una enorme presa di tabacco.

– Gli è un caso di coscienza! soggiunge gravemente don Cecilio Speranza. Perdonate s'io mi permetto di farvi un po' di morale, signor contino; ma io credo che nella vostra qualità di uomo d'onore, nella vostra qualità di amico della marchesa, voi siate in obbligo di impedire gli scandali, di salvare una povera innocente creatura dall'abisso in cui sta per cadere, di impedire una unione fatale…

– Vi confesso che qualche volta mi è passato per la mente uno scrupolo di tal genere… disse il contino Tiburzio, coll'accento della più viva compunzione… Povera marchesina! sì ingenua! Sì bella…! Sì buona! Vi giuro che io ne sento pietà.

– Signor conte!.. disse don Domenico, levandosi in piedi…

– Signor don Tiburzio! soggiunse don Cecilio, andando a chiudere la porta…

– Bisogna salvare questa povera fanciulla.

– Voi lo dovete.

– Voi non potete esimervi…

– La chiesa parla chiaro: Chi sapesse esservi fra' contraenti, impedimenti, ecc., ecc., è tenuto a notificarlo a noiquanto prima

– In caso diverso, incorrerebbe la pena della scomunica.

– Fidatevi a noi, signor conte.

– Rimettetevi al nostro arbitrio…

Il contino esitava:

– Se, come dite voi, signori reverendi, io sono tenuto per dovere di coscienza…

 

– E per dover di religione…

– E per ingiunzione dei sacri canoni…

I due preti si fecero a brontolare vari testi latini. Don Tiburzio ad ogni parola, ad ogni frase, inarcava le ciglia, ed annuiva col capo in segno della più profonda venerazione.

Le argomentazioni e le citazioni sacre e profane dei due reverendi erano troppo incalzanti… Il contino Tiburzio si lasciò strappare dalle labbra il terribile segreto…

– Ebbene! la responsabilità della mia indiscrezione ricada su voi, che mi avete istigato! sclamò il contino, atteggiandosi da vittima… Il nostro ottimo amico cavaliere Lodovico Albani, ha… nel… fondo… della schiena…

– Nel fondo della schiena? ripetono i due preti spalancando le bocche…

– Nel fondo della schiena il nostro amico ha una escrescenza anormale…

– Una escrescenza anormale!.. ripetè don Cecilio, enfiando le gote…

– Un'appendice osseo-muscolosa, ricoperta di pelo, e lunga circa due dita…

– Una coda!!! sclamano ad una voce i due reverendi, rizzandosi sulla punta dei piedi…

– Voi l'avete detto! conclude il contino ripiegando la testa all'indietro. Il cavaliere Lodovico Albani… il fidanzato della marchesina Virginia Santacroce… ha la coda lunga circa due dita!