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»Quale sarà dunque, o fanciulle sventurate, quale il vostro avvenire?.. Faccia il Dio Amore che il mio vaticinio vada perduto – Il vostro avvenire…

»Così belle!.. così giovani!.. così fresche!.. così bianche!.. così morbide!.. Divenir mogli di qualche capraro o fabbricatore di formaggi… di qualche ricco e brutale rivenditore di bottoni e di fibbie… di qualche ripulitore di fucili o di orologi a cilindro – ovvero – ciò che sarebbe ancora più orribile – chiamarvi eternamente le vergini di Nyon!.. (Oh! oh! grida, singulti).

»Signore, signorine: io ho lanciato il gran verbo dell'avvenire; ed ora non mi resta che ritirarmi, augurandovi tutto quel bene, che meritate e che io vi ho coi più vivaci colori rappresentato e dipinto.» (Applausi prolungati – l'oratore scende dalla tribuna, ed esce rapidamente dalla sala per sottrarsi ad ogni dimostrazione).

VIII.

All'indomani, prima ancora che l'alba spuntasse, io partiva infatti da Nyon, scortato fino all'uffizio delle Messaggerie dall'amico Francesco, il quale mi supplicava di rimanere, giurandomi che il mio discorso mi avrebbe procurato tante amanti quante erano le fanciulle del paese. Io stetti fermo nel mio proposito – e presi posto nel coupè fra un vecchio fumista ed una Suora della Carità che dovevano recarsi a Lione.

Ma al momento in cui la Diligenza stava per partire, io accennai all'amico di avvicinarsi, e ponendogli in mano una lettera suggellata: qui dentro c'è il segreto della tua fortuna, gli dissi. Mi prometti che non aprirai questa lettera prima che un mese sia passato?..

– Te lo prometto… sebbene… a dir vero… trattandosi del mio avvenire… della mia fortuna…

Il postiglione sferzò i cavalli e la Diligenza si mosse.

Mi alzai da sedere e volsi indietro lo sguardo. Il povero Francesco era ancora là, impietrito, sulla porta delle Messaggerie e mi salutava colla mano, mentre coll'occhio guardava fissamente la lettera misteriosa.

Fu egli fedele alla promessa? Debbo io credere che egli abbia lasciato passare tutta una lunga mesata (e dico lunga, perchè la curiosità e l'impazienza correggono prodigiosamente la velocità delle ore) senza disuggellare il mio piego?..

Fatto è che un mese dopo, proprio un mese dopo, io riceveva da Nyon la lettera seguente:

«Mio nume e profeta,

»Ho finalmente aperto – oggi soltanto, te lo giuro – il plico fatale, che mi gettasti nella mano il giorno della tua partenza da Nyon.

»Ho letto la tua profezia – l'ho letta nel momento istesso in cui essa riceveva dai fatti la più completa, la più solenne, la più luminosa conferma.

»Questa mattina, il Consiglio comunale di Nyon ha votato una prima somma di L. 400,000 per la erezione di un teatro, ed io venni eletto e nominato, per acclamazione, direttore intellettuale e impresario per dieci anni degli spettacoli che qui si daranno.

»Tutto ciò è dovuto alla tua eloquenza;… alla profonda sensazione che qui ha lasciato il tuo discorso…

»All'indomani della tua partenza da Nyon, una delle dodici vergini fu estratta cadavere dalle onde… Nelle tasche di quel cadavere, come diceva il decroteur della piazza, fu rinvenuto un foglio sul quale era scritto: muoio perchè dispero di poter mai sposarmi ad un uomo di mio genio…

»Un'altra delle vergini tentò, pochi giorni dopo, strangolarsi con una corda da contrabasso, dopo aver scritto sul muro della sua camera da letto: vittima di un ideale impossibile…

»Sopprimo altri episodii lugubri, per non recarti troppo grave dolore.

»La tristezza, la desolazione regnò nel paese per due settimane. Le fanciulle non uscivano di casa… I padri ed i tutori apparivano costernati, e si guatavano torvamente, come a rimproverarsi che l'uno non indovinasse l'idea dell'altro, e non prendesse l'iniziativa di esprimerla.

»Ma l'idea, la grande idea, seminata e maturata da tanti sospiri e lacrime di fanciulle – si è tradotta, come già ti dissi, in fatto compiuto – la città di Nyon avrà ben tosto un teatro.

»Questa notizia ha ravvivato la città. – Le ragazze sono ricomparse in sulla spianata presso il lago, coi loro abiti bianchi… E non puoi credere la festa che si danno al solo pensiero che fra dieci o dodici mesi, io condurrò a Nyon una compagnia di cantanti per inaugurare il nuovo teatro.

»Altro non ti dico per oggi, e mi riservo, a giovarmi de' tuoi consigli allorquando si tratterà di formare la compagnia.

Il tuo
Francesco. »

IX

E a me non resta che far notare a miei lettori una cosa già da altri avvertita più volte – ed è: che dietro tutti gli avvenimenti grandi e minimi, che occorrono sotto la cappa del mondo, sieno lotte di imperii o risse di monelli, sieno trafori di montagne o erezioni di campanili, sieno decreti di parlamenti o leggi di municipii, dietro tutti gli avvenimenti umani, ripeto, sta quella leva potentissima e iniziatrice del moto universale, alla quale i poeti danno il nome di amore – e che è, per noi altri materialisti, l'attrazione irresistibile dei sessi.

E siccome la donna fu ognora, ed è, e sarà in ogni tempo sovrana, maestra e direttrice dei godimenti sensuali che avvivano e spingono ad agire la razza umana; così in ogni operazione di individui o di masse congregate si scorgerà sempre, a chi ben consideri, la mano nervosa, elettrica, agitatrice della donna.

Dopo una considerazione così profonda, che alla più parte dei miei lettori non parrà nuova, chiuderò, col porgere ad essi la notizia che la piccola città di Nyon possiede al giorno d'oggi un bello ed elegantissimo teatro – dove ogni anno, nel mese di settembre, si dà un corso di rappresentazioni di opere in musica. – I cantanti, cui toccò la fortuna divenire scritturati per quella città, hanno quivi sposato – posso giurarvelo – delle belle e ricche figliuole. E non vi parlo del tenore Tartini, che a Nyon s'è preso in moglie una giovine ereditiera, la quale gli portò in dote un milione.

Il flauto di mio marito

CAPITOLO I

La marchesa non parve adontarsi del mio epigramma – crollò leggermente la testa, e volgendomi un sorriso di compassione:

»Ragazzo! – mi disse – tu non comprendi per nulla il cuore della donna!.. Iddio ti guardi dal prender moglie! diverresti troppo infelice o troppo ridicolo!»

Io mi accorsi che quella risposta era l'esordio di una confessione generale.

Discostai la lucerna, eclissandola dietro l'enorme mazzo di camelie che stava sulla tavola – e la voce della attempata peccatrice parve sciogliersi più liberamente:

»Sarò sincera con te – ti dirò tutto, onde non abbi più nulla a domandarmi od a rimproverarmi in avvenire… Il Signore ha perdonato alla donna per aver molto amato; e i preti spingono la loro indulgenza fino ad assolvere i peccati di poco amore, purchè il colpevole si confessi con sincerità.

»Le mie debolezze – o colpe, che ti piaccia chiamarle – furono molte. Io non accuso i miei conoscenti ed amici di averle esagerate. Perocchè se io non ebbi mai l'accortezza di nasconderle quando l'occhio maligno dalla società spiava tutti i passi, per non dire tutti i pensieri della mia giovinezza – a che varrebbe ora lo smentirle o l'attenuarle?..

»Il mondo però mi ha calunniata iniquamente, attribuendo a volgare istinto di sensualità certe abberrazioni istantanee, le quali, per quanto variate e molteplici fossero, ebbero nondimeno una origine comune: il più puro, il più nobile, il più costante degli affetti!

»Tutta la mia storia potrebbe riepilogarsi in questo solo motto: ho peccato con molti per aver troppo amato un solo uomo.

»Ho impiegato la mia vita, come una antica sacerdotessa di Vesta, a custodire la sacra fiamma del primo amore. E ci sono riuscita!.. Quand'anche la mia giovinezza, oramai spenta, avesse per incanto a rianimarsi e a prolungarsi rigogliosa fino alla consumazione dei secoli, io non amerei che lui… non potrei amare che lui… lui solo…

– Il fu marchese vostro marito?.. domandai sorridendo.

– Oltraggerei la memoria di quel degno e rispettabile compagno della mia giovinezza – rispose gravemente la marchesa – se affermassi di averlo amato… d'amore. Mio marito fu il primo prodotto di quella sublime passione, che non avendo potuto esaurirsi nell'essere adorato, corse dietro per tanti anni ai fantasmi di una dolce reminiscenza…

»Perchè tu mi possa comprendere, è d'uopo che risalga al principio…

»Evochiamo l'angelo della rivelazione, il Prometeo della luce, il Dio agitatore di tutta la mia vita!..

»Crederesti?.. nel profferire il nome di Adolfo, io risento una commozione sì viva, che mi sembra, come l'antica fata Morgana, uscire ringiovanita dalla vasca miracolosa.

»Egli dunque si chiamava Adolfo…

»Io lo vidi per la prima volta nel giardino della nostra villeggiatura di Medolago. Figurati una sera di maggio, fresca, olezzante e tranquilla come il mio cuore di sedici anni… Sì! compievo appunto i sedici anni la sera in cui mio cugino Adolfo mi fu presentato.

»Un bel giovane, di media statura, bruno di capelli – presso a poco i tuoi capelli, Eugenio; più crespi più vigorosi, direi quasi fiammeggianti di giovinezza…

»Ma che giovano le descrizioni? La bellezza giovanile ha dei segreti che la parola non può rilevare, nè la tela riprodurre…

»Fra Adolfo e me corse un'occhiata fuggitiva – due correnti elettriche si stabilirono fra i nostri giovani cuori. – Adolfo arrossì – io tremai – ci ricambiammo i complimenti della presentazione con voce fioca e convulsa…

»Mia madre disse: – Eccoti, Ortensia, un egregio dilettante di flauto, che verrà, noi vogliamo sperarlo, a deliziare qualche volta il nostro soggiorno campestre!

»Sarò ben felice, rispose Adolfo senza guardarmi in volto, di fare un poco di musica con voi, amabile cugina… Tutti vi dichiarano prodigiosa al pianoforte… Suoneremo dei duetti!..

 

»Io risposi con un'occhiata affermativa e un inchino da collegiale… Poi, per nascondere la mia viva agitazione, mi allontanai da Adolfo e da mia madre, facendomi a percorrere tutta sola i viali del parco…

»Quella notte non potei prender sonno… La bruna capigliatura di Adolfo, il suo sguardo di fuoco, il bianco e profumato sorriso, la voce insinuante, magnetica – tutto si rifletteva, come una iride voluttuosa, nel vivo cristallo della mia vergine fantasia…

»Io lo vedeva… io gli parlava come ad un amico lungamente aspettato…

»Al biancheggiare del mattino, dopo i lunghi affannosi vaneggiamenti, le mie ciglia si chiusero al sonno – ma l'anima vegliava tuttavia, nelle dolci illusioni di una musica celeste.

»Erano le note di un flauto lontano – era il canto misterioso dell'amore – era la risposta di un'anima sorella, che poche ore innanzi si era identificata colla mia… Nel sonno le mie membra si cullavano dolcemente, secondando le voluttuose cadenze… Ebbrezza salutare dei sogni! Qualche volta non sei che un riflesso, una larva sbiadita dei gaudi trascorsi… Per me, giovinetta inesperta della vita, fosti una rivelazione di ignote delizie!..

»Eugenio, cominci tu a comprendere per quale associazione di idee voluttuose e sublimi, il flauto abbia potuto esercitare tanto fascino su tutta la mia vita?..

»I miei rapporti con Adolfo – rapporti brevi pur troppo, ma esuberanti di ogni dolcezza – non furono che un duetto di flauto e pianoforte, deliziosamente prolungato nella vicenda di interruzioni e riprese gradevolissime.

»Quel duetto cominciò all'indomani della presentazione. Adolfo, come aveva promesso, mi portò una raccolta di composizioni musicali per flauto e pianoforte, che noi prendemmo a studiare in presenza di mia madre…

»I concerti divennero quotidiani; l'arte e la passione progredirono del pari – mia madre si compiaceva, e batteva le mani, e si entusiasmava del nostro accordo perfetto…

»Così trascorrevano i giorni, le settimane, i mesi. Nè mai fra Adolfo e me ci eravamo scambiati una parola, una lettera, una stretta di mano, che equivalesse ad una franca dichiarazione. Noi ci intendavamo colla scelta dei pezzi, cogli accenti della esecuzione, col capriccio delle varianti, coll'arbitrio dei crescendo e dei rallentando, colla foga e la significante rilassatezza dei tempi…

»Qualche rara volta – per accidente – la estremità del flauto aveva sfiorato leggermente la mia spalla – il mio gomito, nelle volate ascendenti sulla tastiera, toccava… e trasaliva al contatto dell'istromento… Queste eventualità del concerto erano un eccitamento fortunato, e da esse la musica ritraeva maggior nerbo. Le fibre irritate galvanizzavano il cembalo – la voce del flauto pareva gonfiarsi… E allora nasceva quella fusione di armonie, che provocava gli applausi di mia madre…

»Mia madre era sempre là, in mancanza di altri ammiratori. La sua presenza incoraggiava l'arte e sorvegliava il buon costume… Sia pace all'anima di quella santa donna! Ma vi è un destino, un angelo, un demonio, un Dio – chiamalo come ti piace…: – io preferisco di crederlo un Dio, perocchè ebbi molte prove di sua onnipotenza… orbene, questo Dio non permette che le anime fortemente innamorate si consumino nello sterile desiderio. – Il nostro duetto a flauto e pianoforte si era prolungato tre mesi… e la vicenda delle interruzioni e delle riprese aveva affrante le nostre forze. Adolfo dimagrava… Al finire dei concerti due solchi profondi gli scendevano dal cavo dell'occhio fino all'estremo delle guancie… Scomponendo lo strumento per rimetterlo nell'astuccio, mi guardava, e pareva dirmi: fino a quando?

»Era tempo che il Dio degli innamorati venisse in nostro soccorso…

»Il duetto ebbe finalmente una soluzione, rapida… concitata… intensa… E la scossa fu tale che io ne rimasi impressionata per tutta la vita…

»Quel giorno ripassavamo una fantasia di Rabboni sulla Straniera… Il flauto di Adolfo era più inquieto che mai… Più volte io aveva sentito la canna di ebano scivolare sotto le mie treccie – l'alito di Adolfo mi infuocava le guancie…

»Cominciava il cantabile: Meco tu vieni!.. Mia madre stava ad udirci appoggiata alla finestra che guardava il giardino…

»A un tratto ella si alza – passa dinanzi al cembalo in punta di piedi, e, accennando a noi di continuare la nostra musica, esce pian piano dalla sala.

»Mia madre – lo seppi più tardi – scendeva in giardino per sorprendere la cameriera, la quale era entrata col guattero nella serra dei limoni…

»Per la prima volta, dopo tre mesi di febbre amorosa, Adolfo ed io ci trovammo soli… I preliminari erano già esauriti… La musica aveva supplito eloquentemente alla parola… Fra noi erano stabiliti da un pezzo tutti gli accordi della passione, ripetuti e confermati in tutti i toni musicali…

»Non appena la porta si chiuse dietro i passi di mia madre, la sala fu sconvolta da improvviso cataclisma – Adolfo, il flauto, il pianoforte, il meco tu vieni… tutto fu travolto in un caos delizioso e terribile…

»Oh! se qualcuno fosse entrato in quel momento!.. Fortunatamente il pianoforte si smosse, percorse la sala come una locomotiva a vapore… e andò a piantare la coda nel vano del caminetto.

»All'urto del mobile io mi riscossi… compresi il pericolo della situazione… mi svincolai dalle braccia di Adolfo – e balzai dalla tastiera, sulla quale inavvertentemente mi era seduta!.. Noi fummo in tempo prima che mia madre rientrasse, di riparare all'immenso disordine…

»Quando la buona donna si affacciò alla porta della sala, Adolfo ripigliava il meco tu vieni!»

CAPITOLO II

La marchesa chinò il volto mestamente, e si tacque. Poi, rialzando la fronte con un movimento un po' vivo, quasi volesse cacciare una dolorosa ricordanza: – Ebbene? riprese – cominci tu a comprendere qualche cosa?..

– Oh!.. senza dubbio!.. Io comprendo che, all'età di sedici anni e pochi mesi, voi eravate già iniziata ai più intimi misteri dell'amore… E non posso a meno di congratularmi con voi! Nessuno vorrà rimproverarvi di aver sprecato il vostro tempo!..

– A sedici anni la donna soccombe per inesperienza – la sua stessa onestà, il pudore, la timidezza tutte le doti più sante dell'anima concorrono a tradirla… Quando una fanciulla di sedici anni può resistere alle violenze di una prima passione, vuol dire ch'ella è già pervertita…

»In un delirio sublime ho sacrificato ad Adolfo la mia innocenza… Abbandonandomi all'amplesso fatale io diedi a quel primo, a quell'unico amante la maggior prova della mia virtù…

»Non descriverò le terribili angoscie che seguirono la breve estasi di paradiso. – Non voglio far pompa di sentimento. Io ti svolgo i segreti dell'anima mia, per ajutarti a comprendere un paradosso oltremodo dilicato – altro scopo non hanno le mie confessioni.

»Quindici giorni dopo la scena che ti ho narrato – il mio povero Adolfo moriva di terribile malattia…

La marchesa fece una breve pausa – e portò la mano agli occhi, per spremere una lacrima che tardava a spuntare.

»All'annunzio di quell'immensa sventura, corsi nella mia camera – mi gettai sul letto, piansi disperatamente, e giurai, che tutta la mia vita sarebbe un olocausto d'amore alla memoria di quell'uomo adorato…!

»Due anni passarono – anni di lutto, di vaneggiamenti segreti, di sconsolati desiderii… L'immagine di Adolfo non si partiva dal mio cuore… Nelle veglie e nei sogni egli mi era sempre presente… Io lo vedeva, lo sentiva rivivere, ascoltava la sua voce nei miei esercizi musicali, riproducendo le divine melodie, che un tempo erano il nostro colloquio d'amore… Tutta l'anima mia era piena di lui!

»Puoi immaginare, Eugenio, di qual'occhio io mirassi gli eleganti giovanotti che frequentavano le nostre sale; come io accogliessi le banali galanterie e i facili omaggi!

»In quel tempo il marchese D… mi fu presentato.

– Povero marchese! Nobile, eccellente creatura! – Vera pasta da marito. – Egli prese a corteggiarmi con assiduità; – vedendosi il meglio accolto di quanti mi ronzavano intorno con pretesa di conquista, egli fu primo ad illudersi. – Più tardi ebbi anch'io la sventura di dividere quella fatale illusione! In un momento di esaltazione magnetica, il mio labbro promise… E il marchese divenne il primo anello di una lunga catena di mistificazioni, delle quali entrambi fummo vittime.

»Egli suonava il flauto… come Adolfo. – In udire quei suoni, credetti che un nuovo amore si rivelasse all'anima mia – invece era un flauto che rinfocava un amore antico!

A questo punto la marchesa mi vibrò di sbieco una occhiata diffidente, come temesse di sorprendere un sorriso di ironia. L'espressione del mio volto parve rassicurarla, ond'ella ripigliò con coraggio:

»Qual disinganno per l'orgoglio e la fatuità degli uomini, se la donna fosse meno abile nel dissimulare le ragioni dei suoi trasporti! Fortunatamente gli uomini non possono leggerci nel cuore! e noi medesime prendiamo talvolta degli equivoci molto strani sul nostro proprio conto!

»Il marchese era un distinto dilettante di flauto… Ecco il segreto della effimera simpatia!

»Io lo accompagnava col pianoforte… senza volgere il capo… I suoni mi beavano l'orecchio – lo strumento qualche volta mi sfiorava la pelle – un tremito mi scuoteva le fibre – tutti i miei sensi aspiravano la voluttà di un amplesso desiderato.

»Una sera, mentre il marchese preludiava sul flauto diversi temi di Bellini, mia madre mi condusse in un gabinetto attiguo alla sala – mi fece sedere sovra un divano, e accarezzandomi con insolita tenerezza, mi annunziò, che il marchese le aveva chiesto formalmente la mia mano. Dal volto, dalle parole di mia madre, dalla eloquenza ch'ella impiegava per prevenirmi favorevolmente, compresi che un mio rifiuto l'avrebbe grandemente rattristata. – Il marchese era un eccellente partito!

»Io non osava rispondere – la mia agitazione e le mie lagrime rivelavano abbastanza chiaro la mia avversione al matrimonio. Le esortazioni, i consigli, le preghiere di quell'ottima donna non avevano forza sul mio cuore… L'anima mia era tutta assorta in Adolfo, nell'uomo, cui la mia fede era vincolata in un segreto patto d'amore. E mentre mia madre tentava sedurmi colle promesse di un avvenire beato, io vaneggiava colle illusioni, io colmava quell'eliso di delizie, collocando il mio Adolfo al posto del marchese – mi perdeva voluttuosamente in quella vita ideale, che egli solo – il mio Adolfo – avrebbe potuto realizzare.

»Io era assorta in quell'estasi divina, allorquando dalla prossima sala si partirono le note di una melodia inebbriante, che da gran tempo io non aveva più udita! – Quel suono diede l'ultima scossa alla mia sensibilità, mia madre e il marchese trionfarono della povera affascinata – ed io dentro una nebbia profumata, deviai dal sentiero prefisso.

»Il marchese suonava l'aria del meco tu vieni– quell'aria, che era stata l'ultima espressione di amore e di piacere nelle braccia di Adolfo. Mia madre, interpretando a suo modo la mia commozione, insisteva per ottenere da me una formale risposta… Il tremendo mi uscì dal labbro… Ella uscì precipitosa per recarlo al marchese… Fatalità della vita!.. Io aveva promesso ad Adolfo: e il marchese raccolse la fatale promessa…

»Due mesi dopo io mi chiamava la marchesa D…

La vecchia dama fece una pausa, aspettando una obbjezione. Io volli compiacerla:

– Perdonate, marchesa: io trovo un punto di inverisomiglianza nel vostro racconto… Se il consenso non era, come voi dite, che una espansione involontaria dell'anima in delirio, come avvenne che non abbiate più tardi rivocata la vostra parola, anzichè sacrificare i vostri nobili e santissimi affetti, ingannando un dabben'uomo, che pure aveva tutto il diritto alla vostra schiettezza?

La marchesa parve alquanto sconcertata, ma riprese bentosto:

– Era tanto felice mia madre!.. Era tanto innamorato quel povero marchese!.. Ed io era… timida tanto a quei tempi, e tanto devota a mia madre!.. La tua frase non poteva essere più esatta quando dicesti, che io ho sacrificato i miei nobili affetti!.. Non lo doveva io forse, trattandosi della sola creatura che io amava al mondo, della ottima madre mia? – In chiesa, dinanzi all'altare… quando il sacerdote mi volse la terribile domanda, alla quale io non poteva rispondere senza mentire, ti confesso che fui sul punto di levarmi, strappare dal capo il velo e la corona, e proclamare alla presenza di Dio e degli uomini che io non dovea.. non poteva amare che… Adolfo! – La presenza di mia madre, la paura dello scandalo, ed anche.. – vedi se il mio cuore era buono! – il pensiero di addolorare e coprir di ridicolo un uomo che sinceramente mi amava, paralizzò quell'impeto di passione, e il sì irrevocabile fu proferito!.. Eugenio, tu non puoi ideare quanto costi ad una misera donna il doversi prestare ai trasporti di uno sposo… giovane… ardente… impetuoso!.. La mia virtù mi sostenne… Il matrimonio dava al marchese dei diritti, e mi imponeva dei doveri… io ebbi l'eroismo del sacrifizio – mi sottomisi!

 

»Che ti pare, Eugenio, della mia annegazione, del mio coraggio?..

– Vi trovo sublime!.. continuate!..

E presi l'atteggiamento del credenzone stupefatto.