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CAPITOLO III

»Il mio amore per Adolfo era un segreto fra me e Dio… proseguì la imperturbabile donna – ma desso non mi fece dimenticare che fra me ed il marchese era seguito un atto pubblico e solenne – ed io promisi rispettarlo, e corrispondere all'affetto di mio marito con una fedeltà irriprovevole!..

»Sa Iddio se quel voto era sincero!.. Giuro per quanto vi ha di più sacro sulla terra, per la memoria di Adolfo, per le ceneri della mia dilettissima madre, che, per circa due mesi, nessun uomo, fuori di mio marito, potò vantarsi di avermi toccata una mano…

– Caspita!.. due mesi di fedeltà!.. Permettete, marchesa, che io vi esprima la mia ammirazione!..

– L'ironia è fuori di proposito, Eugenio! Noi ci avviciniamo all'episodio culminante, nel quale si racchiude la spiegazione di tutta la mia vita…

»Il marchese non ebbe che un solo rivale – il fantasma di Adolfo. – Qual colpa ebbi io mai, fragile creatura, se il destino mi pose al fianco un marito, il quale non cessò mai, finchè visse, di evocare in proprio danno una larva irresistibile? Io non ho mai ceduto alle insistenze dei miei adoratori, se non quando essi vennero a me colle sembianze di Adolfo – presentati, condotti, introdotti dal… flauto di mio marito! – E dire che quel povero dabben uomo sceglieva sempre, per soffiare nel flauto, i momenti più pericolosi… alla sua sicurezza coniugale!

»Due mesi erano trascorsi dalle nostre nozze. Eravamo alla campagna, in un magnifico casino a poca distanza da Varese. Un amico di mio marito, il conte Smilza, venne a trovarci – mio marito lo pregò di rimanere con noi qualche giorno. A quell'epoca tutto il mondo fu scandolezzato della avventura. – La mia relazione col giovane conte fu, pei due mesi di autunno, il pascolo più ghiotto della malignità villeggiante… Tutte le apparenze m'accusavano. Qual altri fuori di me, avrebbe potuto sapere, che il solo, il vero colpevole di quella sciagurata avventura, era… il flauto di mio marito?

»Il conte Smilza era ciò che nel mondo elegante suol chiamarsi un bel giovane – vale a dire: una figura simetrica e suscettibile di quella distinzione artifiziale, che i ricchi possono procacciarsi a buon prezzo dal sartore e dal parrucchiere!

»Io non comprendo come alcune donne possano innamorarsi per la semplice attrazione della bellezza fisica. Le doti personali del conte non avrebbero prodotto nell'animo mio veruna impressione, se non avessi riscontrato nel di lui volto qualche rapporto di somiglianza con un tipo adorato… Il conte Smilza aveva le sopraciglia, il naso, e i mostacchi di Adolfo!.. Tanto bastò, perchè in vederlo la prima volta, io provassi una viva commozione. I miei occhi si fermarono a contemplarlo con simpatia… Sentii una leggiera vampa di rossore salirmi alle guancie – e il contino, illudendosi sulle cause del mio turbamento, si credette in obbligo di farmi la corte…

»Ferma ne' miei propositi di onestà, io mi studiava di evitarlo, di imporgli soggezione col mio freddo contegno – sopratutto io sfuggiva tutte le occasioni di trovarmi sola con lui. Lo scellerato poneva altrettanta costanza nel perseguitarmi! Per lui il progetto di conquista, in pochi giorni, era divenuto passione, amore irresistibile… Mio marito, il buon uomo!.. favoriva tutti i piani strategici dell'ospite amico…

»Due settimane trascorsero senza gravi conseguenze… Qualche volta, per simpatia di ricordanze, i miei sguardi indugiavano troppo espressivi sulle sembianze del conte. Egli ringalluzziva… prendeva coraggio – ma tosto la mia indifferenza e la mia austerità gli imponevano nuovo freno. Non aveva egli ragione di trovare inesplicabile la mia condotta?

»Le apparenze erano tali, ch'egli poteva credermi una civettuola capricciosa ed altera, il tipo di quelle donne di marmo, che si piacciono di veder liquefare gli amanti!

»Io aveva già provata la mia virtù negli intimi e solitari colloqui, ed ero uscita vittoriosa. Mi tenevo sicura di me stessa, forte a qualunque attacco. Da ultimo mi abbandonai improvvidamente al pericolo, non sospettando, che il poco formidabile adoratore dovesse avere quandochessia un alleato irresistibile… onnipotente – il flauto di mio marito…

»Sull'imbrunire di una tepida giornata, il conte mi offerse il suo braccio per accompagnarmi ad una passeggiata in giardino. Mi opposi dapprima, quasi presaga del pericolo – poi cedetti alle insistenze di mio marito, che promise raggiungerci. – Il marchese era predestinato! – Obbedii… Scendemmo in giardino… percorremmo un lungo viale… ci internammo in una specie di labirinto… alla fine, ci trovammo assisi sovra un banco di pietra circondato di mirti. – Sul nostro capo un padiglione di fiori – sotto il piede un tappeto di muschio e di timo selvaggio…

»Il conte non aveva proferito parola durante la passeggiata – e frattanto la mia mente fantastica si era smarrita nel prediletto sentiero delle rimembranze… Io dimenticava di aver al fianco un nemico, un cospiratore, il quale spiava il buon momento per aprirsi una breccia nella mia virtù!.. Troppo tardi me ne sovvenni, quando, seduti nel misterioso boschetto, il conte prese la mia mano, la portò con violenza alle labbra, e gettandosi alle mie ginocchia…

»Egli tentò un assalto da vero maestro – senza proferire parola – con quella audacia, che è propria delle grandi passioni.

»Feci uno sforzo per respingerlo… per levarmi in piedi – ma in quel punto un suono fatale… giunse al mio orecchio… mi turbò i sensi… mi paralizzò le forze… ed io rimasi soggiogata dal fascino melodioso… Mio marito, da una finestra del casino, salutava il sorgere dalla luna cornuta, intuonando sul flauto l'aria del meco tu vieni!»

La marchesa interruppe il racconto con un sorriso un po' equivoco, quasi a lasciarmi dubitare ch'ella parlasse per celia. La ipocrisia ebbe un lampo di pudore, ed io seppi frenarmi, e contrapporle la dissimulazione più perfetta.

CAPITOLO IV

»Questa prima infedeltà coniugale – proseguì la marchesa – e colla parola riprese tutta la serietà di chi confida nella altrui dabbenaggine – questa prima infedeltà spiega tutte le altre, anzi le giustifica tutte. – Io non intendo narrarti i cento episodii di questo dramma, che durò ventidue anni, fino alla morte del marchese. Le sembianze di Adolfo e il flauto di mio marito non cessarono mai dal perseguitarmi. Gli uomini, sempre ingrati e crudeli colla donna che si abbandona, anche involontariamente, alle loro seduzioni, dopo aver profittato dei miei deliqui, mi carpirono nuovi favori colla minaccia dello scandalo. Quante volte io dovetti sacrificarmi alla pace di mio marito, al decoro della famiglia, ai pregiudizii del mondo!.. Quante volte, rialzandomi da una fatale caduta, io mi trovai in potere di un despota appassionato, il quale usufruttando i miei terrori, non si vergognò di impormi il sacrifizio della mia virtù, a patto di mantenere il segreto! E credi tu, Eugenio, che io sia riuscita a salvarmi dalla pubblica maldicenza? La più parte de' miei fatui adoratori violò ignobilmente la promessa; io fui disonorata, infamata dalla calunnia, quale una Messalina! Manco male che le accuse vigliacche non giunsero all'orecchio di mio marito… Il buon uomo portò nella tomba la miglior opinione della mia onestà, come avviene ordinariamente a tutti i buoni mariti!

»Ed ora – esclamò sospirando la marchesa – la mia confessione è finita… Tu sai come io abbia molto amato… e amato un sol uomo!.. Vediamo se il tuo giudizio vuol essere inesorabile come quello del mondo!..»

– No! la vostra confessione non è finita, risposi dopo breve silenzio. Voi mi parlaste della vostra vita coniugale – e quand'anche io fossi tanto buono da ammettere il flauto di vostro marito come circostanza mitigante, vi resterebbero ancora non poche debolezze da giustificare – quelle che appartengono alla vedovanza. Il flauto magnetico avea già cessato di suonare, allorquando, or fanno pochi anni, in una sola giornata…

– Vedo… vedo… a che si riferiscono le nuove accuse, interruppe la marchesa con qualche imbarazzo. – Tu alludi alla battaglia di Magenta… all'ingresso delle truppe alleate!.. Io aveva dimenticato che quella istoria si è fatta di ragione pubblica, per l'indiscrezione di uno sciaguratissimo turcos, il quale osò pretendere… l'impossibile!

»Poichè mi ricordi quell'episodio, ti dirò che esso non ha nulla a fare colla mia vita, co' miei sentimenti, colle mie passioni di donna. A quell'epoca io aveva già cessato di appartenere ad un sesso…

»Dopo la morte di mio marito – cessati gli eccitamenti quotidiani del flauto – disingannata dalla società – insterilita da una sequela di sfortunate emergenze – nel mio cuore si spensero le ultime faville della sensibilità. – Perfino la imagine di Adolfo cominciò a presentarsi sbiadita nelle mie ricordanze!

»Una crisi terribile è questa nella esistenza della donna, quando in lei inaridiscono i più nobili affetti!.. Molte sconsigliate, a questa epoca della vita, trabordano in ridicole civetterie; talune si danno al giuoco altre a tiranneggiare la gioventù, a tormentare la famiglia col pretesto di educare; moltissime si consacrano alla devozione, offrendo ai preti un logoro avanzo, e a Dio il rifiuto dei preti!

»Meglio ispirata, io mi infervorai di patriottismo, e presi parte alle agitazioni politiche del momento!

»Era giorno di festa per Milano!.. I Tedeschi scappavano a rompicollo… entravano i Francesi, i Piemontesi, i nostri!.. Inebbriata di entusiasmo, apersi la mia casa ai liberatori, e il primo dei miei ospiti – uno zuavo, tutto ancor polveroso e schiumoso per le fatiche della marcia – non mi lasciò tempo da esprimergli la mia riconoscenza, e fece un assalto di sorpresa, che… per mia sbadataggine… gli riusciva a meraviglia. Che poteva io, debole donna, contro un espugnatore di Malakoff? Da qualche tempo non ero più abituata a simili assalti… nè avrei osato sperare… cioè… temere, che per me sussistessero ancora di tali pericoli!

 

»Or vedi fatalità! – Un bersagliere piemontese… si accorse, od ebbe sospetto, della buona fortuna toccata allo zuavo, e il giorno istesso mi fece delle proposte, che la mia virtù non poteva a meno di respingere fieramente. – «Oh!.. sta bene!.. esclamò il bersagliere con accento desolato: tutto pei Francesi… e niente per noi… Quale disgrazia chiamarsi soldati italiani!..

»Quelle parole mi trafissero l'anima; – io compresi che il povero figliuolo si teneva umiliato dalle mie ripulse… Era offeso dalla preferenza accordata allo zuavo… Mi credette avversa al Piemonte… Era mio dovere disingannarlo – e lo feci con tutto il cuore.

»Una scena poco dissimile mi accadde più tardi con un povero soldato di linea, il quale parimenti si lagnava che i bersaglieri, in grazia della uniforme più elegante e bizzarra, venivano di preferenza festeggiati. Quel ragazzo mi fece pietà; volli consolarlo… E se io non mi fossi ribellata al quarto pretendente – un turcos dall'aspetto terribile – avrei forse evitato una rissa fra soldati, nella quale il mio patriottismo fu rivelato ed esposto agli ignobili commenti de' miei concittadini!.. Non importa! Io perdono ai giornalisti la indegna interpretazione di quel fatto! Ho agito per patriottismo, e col massimo disinteresse… La mia coscienza è tranquilla!

»Or bene, Eugenio; posso io sperare che tu mi abbia compresa?..

CAPITOLO V

– Sì: vi ho compresa perfettamente, risposi con qualche vivacità – forse meglio che voi non comprendiate voi stessa.

»Io non vi accuserò di ipocrisia… Qual'è la donna tanto abbrutita nel vizio, che, alla sua volta, non sappia creare un sublime sofisma, per coonestare la propria condotta? – Ciò è nella stessa natura del sesso – e voi, marchesa, oltre all'esser donna, appartenete ad una classe sociale, dove suol farsi uno inverecondo abuso di cotali sofismi!

»Io mi guarderò bene dal turbare la vostra coscienza con degli scrupoli inopportuni. Solo mi permetterò di farvi notare, come vi siate stranamente ingannata sulla origine dei vostri traviamenti…

»All'età di sedici anni, la prima volta che vi trovaste da sola a solo con un suonatore di flauto, voi soccombeste senza il menomo sforzo di resistenza… Credeste in quel giorno innamorarvi di un uomo, ed oggi ancora vi sembra di aver amato un uomo per tutta la vita. Ecco l'errore!.. Voi vi innamoraste di un flauto, e non siete vissuta che per il flauto…

– Di mio marito?

– Perdonate, marchesa – io parlo del flauto in genere… E credo che la più parte delle donne prendano lo stesso errore…

La marchesa ascoltava senza dar segno di irritazione – da ultimo sorrise maliziosamente, e pareva sul punto di dichiararsi convinta… quando un suonatore girovago passò sotto le finestre, e si fece a soffiare nel flauto quattro note stonate.

La marchesa ritorse gli occhi, e lasciò cadere le braccia con significante abbandono – onde io, vedendo a che mirasse lo stratagemma, anzichè espormi a qualche imbarazzo, prevenni lo svenimento e uscii dalla sala.

Le sedici battute dell'Africana

I

– Come si amano quei due sposi! – mi diceva un giorno l'amico Maccabruni, additandomi una giovane coppia che transitava il ponte di congiunzione fra i bastioni e il giardino pubblico.

– Pare impossibile! – esclamai sbadatamente.

– Il marito è un bel giovane…

– Non lo nego – ma è tanto imbecille…

– Ragione di più perchè egli sia adorato da sua moglie…

– Via, Maccabruni! non far questa ingiuria al bel sesso. – Per la luna di miele – voglio concederlo – può bastare un marito giovane e robusto; ma più tardi – passate le effervescenze – esaurito il miele – se il neo-consorte non ci mette un poco di spirito e di poesia; la luna, nel decrescere, diviene cornuta.

I due sposini entrarono nel caffè, e noi, senz'altro parlarne, scendemmo a braccio fino al parco dei cervi ad ammirare e meditare il bellissimo effetto degli animali forniti di corna.

II

Cinque mesi dopo, si dava alla Scala la prima rappresentazione dell'Africana di Mayerbeer – e i nostri due sposini brillavano da un palchetto di prima fila, mentre io, coll'amico Maccabruni, mi trovava in platea, serrato nelle costole da due individui, i quali, pel loro biglietto gratuito, fors'anche per qualche spicciolo intascato il mattino, battevano le mani a far sangue.

Malgrado i pregi della musica e il dimenarsi dei miei vicini, che parevano invasati, al terzo atto io cominciava a noiarmi, e il mio amico Maccabruni più di me.

Buon per noi che il fragore della istrumentazione e degli applausi ci permetteva di conversare a mezza voce, senza dar nell'orecchio a nostri prossimi.

Maccabruni mi invitò a girare lo sguardo verso il palco dei due sposi. – La donna era seduta, colla testa leggermente inclinata, e la sua mano, posta a visiera della bocca, lasciava indovinare un enorme sbadiglio.

– Ecco là qualcuno che si diverte come noi! dissi all'amico – la signora non sembra molto commossa dall'inno a San Domenico…

– Ma il marito, come tu vedi, fa le vendette di quello sbadiglio… Oh! Oh… si leva in piedi… si getta colla persona fuori del palco…

– Guarda… guarda lassù! quel signore diventa pazzo… Vedi come straluna gli occhi!..

– Presso a poco come sua moglie… con questa sola differenza che la moglie straluna anche la bocca…

Parlando, appena ci eravamo accorti che l'atto era finito, che i nostri vicini aveano cessato di battere le mani, epperò potevano udirci.

Ci udirono infatti – e l'un dessi, a voce alta e vibrata, ci rivolse la parola:

– Quel signore lassù non batte le mani a caso… Quel lassù se ne intende un pochetto… Non fa meraviglia ch'egli comprenda… che egli vada in estasi in udire il sublime spartito… Un professore come lui!..

– Ah! gli è dunque un professore di musica quel signore…? domanda un tale che siede nella panca dietro la nostra.

– Professore! Sicuramente! È ben vero che egli non ha bisogno di dar delle lezioni per vivere… o di suonare a pagamento nelle orchestre…

– Ah! un dilettante… suonatore… Sapreste dirmi, di grazia di quale istromento…?

– Istrumento…! Istrumento!.. Se suona, gli è certo che deve suonare un istrumento…

– Di violino forse?..

– Ve lo dirò io, cosa suona quel signore – sorge a dire un giovanotto che non ha mai cessato di sorridere sotto i baffi durante quella conversazione – quel signore è un grande intelligente di musica, un grande contrappuntista, un vero genio dell'avvenire… ma quanto a suonare, egli non è riuscito a perfezionarsi che sovra un solo istromento… Un istromento non molto difficile, ma in compenso il più completo e forse anche il più esatto…

Ma il giovanotto non può compiere la frase… Il direttore dell'orchestra ha percosso la tolla, e guai a chi fiata al cominciare dei suoni!

Nel quarto atto, durante la marcia indiana ed il brindisi parimenti indiano, e al cospetto di tutta quella India, per la quale Selika, che è nata nel paese, ha mille ragioni di chiamarsi Africana; il fanatismo de' miei vicini, del signore di prima fila… e del pubblico che comincia ad andarsene… tocca il suo colmo…

Al duetto fra Vasco e Selika, la signora sembra riscuotersi – quella scena voluttuosa, dove la energia e la potenza di un vecchio genio sembra ravvivarsi per effetto di cantaridi, produce una viva sensazione nella giovane sposa… Ma io mi accorgo che gli occhi languidi della bella prendono una direzione affatto opposta al palco scenico, e le sue pupille sembrano addentrarsi in un palchetto, che le sta di fronte.

In verità non so darle torto. Il marito, sempre assorto nella musica dell'Africana, nel corso dei quattro atti non si è mai degnato di rivolgerle la parola. – Queste dimenticanze dei mariti rappresentano quasi sempre il bivio fatale, dove i cuori di due sposi prendono a divagare in un cammino affatto opposto.

Nell'intermezzo, che succede al quarto atto, io mi levo in piedi per riprendere la conversazione interrotta; ma lo sconosciuto non aveva atteso la calata del sipario, per abbandonare il suo posto ed uscire dal teatro.

La platea si è molto diradata; gli spettatori possono allargarsi a loro agio sulle panche.

Frattanto, la mia bella signora non cessa di volgere tratto tratto delle occhiate significanti al palchetto di faccia; mentre il marito, agitando il suo binoccolo bianco, esprime il suo entusiasmo a due giornalisti sprofondati nelle sedie fisse.

Gli è quasi sempre nei teatri e nelle feste da ballo che hanno principio i romanzi appassionati, qualche volta un po' scandalosi, della società moderna. In altri tempi le grandi passioni si sviluppavano nei boschi (come i funghi), all'ombra dei castani, al margine del ruscello, ai miti raggi della luna – Erano imbecilli i nostri nonni! – Un poeta, amico mio, che ha voluto provarsi l' autunno scorso alle emozioni degli amori boscherecci, è tornato a Milano con una pezzuolina di cerotto sul naso, per la maledetta puntura di un calabrone. – Pel comodo degli innamorati, viva la città! grido io. – Qui non vi sono calabroni – e i mariti, per giunta, nelle città sono più paperi che altrove!

III

Ma io m'accorgo di aver già troppo irritata la curiosità de' miei lettori – e non dico delle mie lettrici, perchè non desidero che questo racconto venga letto dal così detto bel sesso.

Oggimai sono trascorsi dieci mesi da quella prima rappresentazione dell'Africana che mi ha posto sulle traccie di un geniale mistero – che mi ha invogliato a tener d'occhio i due giovani sposi, per iscoprire le loro prime divagazioni.

Da questo momento io sparisco dalla scena e rinunzio alla mia parte di attore, per limitarmi a quella di un semplice espositore di fatti.

IV

Il marito si chiama Teobaldo… La signora porta il nome abbastanza poetico di Clarina. – Dicono che il marito si invaghisse di lei e la pigliasse in moglie per simpatia di quel nome, che gli ricordava il suo istromento favorito, il clarinetto.

Teobaldo è maniaco per la musica, e ha potuto, nella sua condizione di milionario, consacrarsi perdutamente allo studio ed ai diletti di quest'arte, malgrado l'avverso organismo sortito dalla natura.

Ho detto perdutamente, e l'avverbio non può essere più acconcio. Studiando il pianoforte, il violino, il contrabasso, il bombardone, i timpani, e in generale tutti gli istromenti di indole gagliarda, il Teobaldo ha perduto il suo tempo. Basti sapere che egli non è mai riuscito ad apprendere per orecchio una sola cantilena delle tante opere da lui udite. L'aria della pira– incredibile a dirsi! – non è ancora entrata esattamente nel dominio delle sue reminiscenze, sebbene ei l'abbia eseguita più di mille volte… sull'organetto.

– Ma dunque – codesto Teobaldo – un istromento è pur riuscito a suonarlo!

– Vero! verissimo!.. convien rendere questa giustizia al di lui talento. A forza di prove, di studi e di esercizii pazientissimi, Teobaldo oggigiorno è tale suonatore di organetto da poter competere cogli orbi più famosi.

Ma non a tutti è dato conoscere questi particolari; – l'organetto non fu visto da alcuno – i più intimi del signor Teobaldo, quelli stessi che più volte l'udirono suonare (ed è gente versata nell'arte), non hanno mai sospettato che il meraviglioso harmonium del nostro dilettante non sia altro che uno di quegli strumenti a manubrio, fabbricati a benefizio degli inabili ed a strazio del pubblico.

Teobaldo ha speso una somma ingente per far costruire il suo organetto. L'artefice, lautamente pagato, produsse un capolavoro ammirabile; tale, che a udirlo in distanza, di leggieri lo si scambia per una eccellente fisarmonica della officina Tubi.

Nel palazzo di Teobaldo, quell'organetto occupa un salottino attiguo alla grande sala di ricevimento. Nelle serate di riunione, ogni qualvolta si fa musica al palazzo, alla fine dei concerti, gli amici, i professori, i dilettanti, le signore, tutti gli invitati fanno istanza a Teobaldo, perchè si compiaccia di coronare il trattenimento eseguendo un pezzo sull'harmonium.

Teobaldo sulle prime fa il ritroso… Ma gli invitati insistono con bel garbo – le signore si mettono in ginocchio – e alla fine Teobaldo acconsente a suonare, col patto di rendersi invisibile. – Poco dopo, dal gabinetto vicino escono gli accenti melodiosi, e, finito il suo pezzo, Teobaldo rientra nella grande sala a ricevere le congratulazioni e gli evviva.

Con questo abile stratagemma, Teobaldo è riuscito a passare per un distinto musicista, e ad ottenere il diploma di membro onorario di diverse società filarmoniche. – A Milano si voleva affidargli la presidenza della Società del Quartetto.