Tasuta

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

Tekst
iOSAndroidWindows Phone
Kuhu peaksime rakenduse lingi saatma?
Ärge sulgege akent, kuni olete sisestanud mobiilseadmesse saadetud koodi
Proovi uuestiLink saadetud

Autoriõiguse omaniku taotlusel ei saa seda raamatut failina alla laadida.

Sellegipoolest saate seda raamatut lugeda meie mobiilirakendusest (isegi ilma internetiühenduseta) ja LitResi veebielehel.

Märgi loetuks
Šrift:Väiksem АаSuurem Aa

CAPITOLO IV

Discordie tra Alfonso, e la Regina Giovanna, la quale rivoca l'adozione fattagli, e adotta Luigi per suo figliuolo

Ma non durò guari nel Regno questa quiete, poichè nel mezzo della Primavera di quest'anno 1422 venne una peste in Napoli, che obbligò il Re e la Regina di andare a Castellamare; ma non potendo questa Città mantenere due Corti Regali, andarono amendue a Gaeta, dove appena giunti, furono visitati da Sforza, che partito da Benevento venne ad inchinarsi ad Alfonso. Fu Sforza da Alfonso accolto con grande umanità e cortesia: tanto che sorpreso da tanta gentilezza andava predicando la generosità e clemenza di un tanto Re. Ciò che diede esempio a gran numero di Baroni della parte Angioina, che facessero il medesimo; laonde molti che aveano offeso la Regina, ed il Gran Siniscalco, confidati alle parole di Sforza, andarono con grandissima fiducia ad inchinarsi ad Alfonso, e furono benignamente da lui accolti, giurandogli fedeltà, con dispiacere grandissimo della Regina.

Questa fu la cagione, che siccome sino a quel dì aveano governato ogni cosa con gran concordia, d'allora innanzi nacquero quelle sospizioni e discordie, che furono poi cagione d'infiniti danni; poichè il Gran Siniscalco, ch'era lo spirito e l'anima della Regina, non potea soffrire, che Alfonso s'avesse fatto giurare omaggio dalle Terre prese e da' Baroni ch'erano venuti a visitarlo perchè parea segno, che volesse pigliar innanzi il dì della morte della Regina la possessione del Regno contra i patti dell'adozione; e facendolo intendere alla Regina, avea venenato l'animo di lei di maggiore sospizione, ed obbligatala ad amarlo ogni dì più, vedendo la cura ch'egli tenea dello stato e della salute di lei, perchè le disse, che un dì Alfonso l'avrebbe pigliata, e mandatala in Catalogna cattiva, per occupar il Regno e con quello poi occupar tutta Italia. Per questo timore la Regina deliberò guardarsi quanto più potea, ed all'impensata si partì da Gaeta e venne a Procida: passò poi a Pozzuoli con determinazione di portarsi in Napoli, dove la peste dopo aver fatta gran strage, era cominciata a cessare. Il Re Alfonso che avea creduto, che la Regina avesse da tornare da Procida a Gaeta, quando intese che avea presa la via di Pozzuoli per andare a Napoli, portossi con pochissima compagnia a visitarla in Pozzuoli, credendosi levarle ogni sospezione; ma fu tutto il contrario, perchè la Regina timida entrò in maggior sospetto, onde subito che Alfonso fu partito da lei per andare a veder Aversa, ella se ne venne per terra a Napoli, nè volle entrare nel Castel Nuovo, ma se ne passò al castello di Capuana. Il Re trovandosi ad Aversa fu subito avvisato di questi andamenti della Regina, e conoscendo l'instabilità di costei, lo spirito, l'ambizione del G. Siniscalco, dubitando che non macchinassero qualche novità, venne subito a Napoli ed alloggiò al Castel Nuovo, e già si vedeano intermesse le visite tra lui e la Regina; onde ogni persona di giudizio era in opinione che la cosa non potrà tardare a venire in aperta rottura. Alfonso conoscendo, che quest'alterazione di mente della Regina era per suggestione del G. Siniscalco, credendo che levato di mezzo l'autore delle discordie, avrebbe ottenuto dalla Regina quanto voleva, a' 27 maggio dell'entrato anno 1423 lo fece carcerare; e poi cavalcò subito per andare a trovar le Regina, non si sa se con animo di scusarsi con lei della cattura di quello, o se andava per mettersi in mano anche la Regina, e quando vedesse di non poter piegarla a mutar vita, mandarla in Catalogna. Ma subito che il G. Siniscalco fu preso, ne fu avvisata la Regina, e vedendo il Re venire, gli fece chiudere in faccia le porte del castello; onde Alfonso rispinto sì bruttamente, ritornossene al Castel Nuovo, ed in Napoli fu gran confusione e disordine tra' Spagnuoli e Catalani da una parte, ed i Napoletani, che seguivano il partito della Regina, dall'altra.

In tanta costernazione, la Regina ristretta coi primi e più fedeli della sua Corte, consultò quello che si avea da fare, e con voto di tutti fu risoluto di mandare a chiamare Sforza, ed a pregarlo che per l'amicizia antica venisse a liberarla. Sforza che in quel tempo si trovava a Benevento molto povero, per essere stato molti mesi senza stipendio alcuno, ebbe grandissimo piacere di questo avviso, sperando gran cose, perchè si confidava o di far rivocare l'adozione fatta al Re Alfonso e di far chiamare all'adozione Re Luigi suo amico; o avere in arbitrio suo la Regina e 'l Regno per quanto ubbidiva a lei; e senza indugio alcuno, adunati i suoi veterani, a' quali erano arrugginite l'arme e smagriti i cavalli, con quelli si pose in via verso Napoli. Alfonso intendendo che Sforza veniva, inviò Bernardo Centiglia ad incontrarlo con tutti i Baroni catalani e siciliani e con tutti i soldati dell'armata; e fattosi un fatto d'armi vicino le mura di Napoli, Sforza ruppe l'esercito d'Alfonso, ed entrato dentro la città, assediò Alfonso dentro il Castel Nuovo; e dopo aver visitata la Regina, che l'accolse con grandi onori, chiamandolo suo liberatore, partì da Napoli ed andò ad assediare Aversa.

Alfonso trovandosi dopo questa rovina così solo e senza danari da poter fare nuovo esercito, stava in grandissima angoscia; due speranze però lo confortavano, l'una per aver egli molti mesi innanzi comandato, che si facesse un'altra armata in Catalogna, perchè non voleva, non ostante l'impresa del Regno, abbandonar quella di Corsica, ond'ora inviò subito a sollecitarla, che venisse a soccorrerlo: l'altra era nell'esercito di Braccio, che stava all'assedio dell'Aquila; ma in questo facea poco fondamento, sì per l'avidità di Braccio di pigliar l'Aquila, come ancora perchè non sperava che i soldati Bracceschi senza nuove paghe si movessero per soccorrerlo; con tutto ciò mandò a chiamarlo, e ne seguì quello che avea pensato. Ma quindici dì dopo la rotta, essendo arrivato in Gaeta Giovanni di Cardona Capitan Generale dell'armata, che consisteva in diece galee e sei navi grosse, avendo inteso in che stato stava il suo Re, venne subito verso Napoli. Furono molti che dissero che quest'armata era ordinata venisse, per lo disegno che avea fatto il Re, se gli riusciva, di pigliar la Regina per mandarnela cattiva in Catalogna; ed era da credere, poichè trovandosi a quel tempo il Regno quieto senza guerra, non bisognava che venisse armata.

Giunta l'armata vicino al molo di Napoli, il Re comandò, che i soldati smontassero; e trovandosi nella città gran parte dell'esercito di Sforza, che teneano assediato Castel Nuovo, s'accese dentro le mura di quella una crudele ed ostinata Guerra, che pose in iscompiglio e sconvolgimenti la città con miserabili saccheggi ed incendii, cotanto ben descritti dal Costanzo. La Regina, scorgendo nella città tante revoluzioni, entrò in tanto timore che le pareva essere ad ora in ora legata da' Catalani; onde spesso si raccomandava a molti Cavalieri, ch'erano concorsi al castello di Capuana, che avessero cura della guardia della sua persona e mandò subito a Sforza che stava ad Aversa a pregarlo, che venisse tosto a liberarla da quel pericolo assai maggiore dell'altro. Venne Sforza in Napoli, liberò la Regina e la condusse in Nola; e poi pigliata Aversa, la condusse là, dove fu maneggiata una nuova adozione, che valse a far perpetui e continui li travagli e sconvolgimenti di questo Reame.

Dall'altra parte le forze del Re Alfonso tuttavia crescevano; perocchè, essendosi alle sue truppe aggiunte quelle di Braccio, pensò Sforza di accrescere il partito della Regina, per potergli fare un più vigoroso contrasto; onde operò con la Regina che si dovesse valere delle forze degli Angioini; ed avendogli con solenne istromento a primo luglio di quest'anno 1423274 fatto rivocare l'adozione prima fatta ad Alfonso, per cagion d'ingratitudine, che diceva averle usato quel Re, la persuase, che adottasse Re Luigi; e poichè la Regina si vedeva molto sola, e molti beneficati da lei, per invidia che aveano al G. Siniscalco, seguivano la parte del Re Alfonso o in secreto, o scovertamente, non solo s'inchinò a chiamare Re Luigi, ma fece ripatriare tutti gli Angioini, rendendo alla maggior parte di loro le cose, che aveano perdute.

Ma come la Regina compiacque a Sforza di accettar questo suo consiglio, così ancora Sforza che conoscea ch'ella ardea di desiderio di ricovrare il Gran Siniscalco, permise che trattasse lo scambio di lui con alcuni de' Baroni catalani ed aragonesi. La Regina, che non desiderava altro, ogni dì mandava a trattar il cambio con Alfonso: il quale conoscendo la sua pazzia, che senza vergogna alcuna avria riscosso il Gran Siniscalco, con togliersi anche la corona di testa, quando altramente non avesse potuto: mandò a dirle che non bastavano nè uno nè due, ma bisognavano darsi tutti i prigioni catalani ed aragonesi per Sergianni. La Regina donando molte terre a Sforza pigliò da lui tutti i prigioni che teneva che furono questi: Bernardo Centiglia, il qual fu Capitan Generale, Raimondo Periglios, Giovanni di Moncada, Mossen Baldassen, Mossen Coreglia, Raimondo di Moncada, Federico Vintimiglia, il Conte Enrique ed il Conte Giovanni Ventimiglia e gli mandò al Re in cambio del Gran Siniscalco, il quale fu liberato, e come fu giunto in Aversa, ricordevole delle cose passate tra lui e Sforza, cercò di farselo benevolo e stringerlo per via di parentado, facendo opera che Sforza desse Chiara Attendola sua sorella a Marino Caracciolo suo fratello. Sergianni ch'era entrato ora in maggior grazia della Regina che fosse mai, lodò la rivocazione dell'adozione fatta di Re Alfonso sotto titolo d'ingratitudine, ed insisteva anch'egli che s'adottasse Re Luigi d'Angiò, il quale si trovava ancora in Roma presso il Pontefice Martino; poichè come Cavaliere prudente pensava, che introducendosi un Re d'un sangue reale, avesse estinta l'invidia e tolta la calunnia che gli davano ch'egli volesse farsi Re; perciò furono mandati Ambasciadori in Roma a trattare col Re Luigi l'adozione, i quali trovarono tutta la facilità, e non solo conchiusero col Re l'adozione con que' patti che essi vollero; ma tirarono ancora Papa Martino a pigliare la protezione della Regina contra Re Alfonso, ed ebbero poca fatica a farlo, perchè il Papa, oltre di riputarsi gravemente offeso da Alfonso che sosteneva ancora, benchè secretamente, il partito di Benedetto XIII, desideroso di ponere la Chiesa nello stato e riputazione antica, desiderava che il Regno restasse più tosto in potere del Re Luigi ch'era più debole di forza, e che avrebbe avuto sempre bisogno de' Pontefici romani, che vederlo caduto in mano d'Alfonso Re potentissimo per tanti altri Regni che possedea, per li quali era atto a dar legge a tutta Italia, non solo a' Pontefici romani. Conchiusa dunque l'adozione, senza dilazione di tempo condussero gli Ambasciadori con esso loro Re Luigi, con capitolazione che avesse da tener solo il titolo di Re, poichè avea da competere e da contrastare con un altro Re: ma in effetto fosse sol Duca di Calabria co' medesimi patti ch'erano stati fermati nell'adozione del Re Alfonso.

 

Questa adozione fornì la Casa del Duca d'Angiò di questa seconda razza di doppio titolo, e doppia ragione sopra questo Reame; poichè a quello della Regina Giovanna I, dalla quale fu chiamato al Regno Luigi I d'Angiò avo del presente, s'aggiunse quest'altro della Regina Giovanna II, donde da poi i Re di Francia, a' quali furon trasfusi questi diritti, pretesero appartener loro il Reame per doppia ragione. Quindi sursero le tante ed ostinate guerre che i due Luigi, Carlo VIII e Francesco I mossero agli Aragonesi ed agli Austriaci, le quali miseramente per più secoli l'afflissero.

Re Luigi giunto ad Aversa, fu dalla Regina ricevuto con grande onore e dimostrazione d'amorevolezza, e dopo molte feste la Regina fece pagare un gran numero di denari a Sforza, perchè ponesse in ordine le sue genti per potere attendere alla recuperazione di Napoli. Il Papa mandò Luigi Colonna Capo delle genti ecclesiastiche, e molti altri condottieri minori in favor della Regina; e da poi proccurò ancora che Filippo Visconti Duca di Milano, (il quale a quel tempo era formidabile a tutta l'Italia, e ch'era entrato in sospetto della troppa potenza d'Alfonso) s'unisse con lui in difesa della Regina.

CAPITOLO V

Alfonso parte di Napoli, e va in Ispagna; e Napoli si rende alla Regina Giovanna. Insolenze del Gran Siniscalco; sua ambizione ed infelice morte

Quando Re Alfonso ebbe intesa la nuova adozione del Re Luigi, e la confederazione del Papa e del Duca di Milano contro di lui, cominciò a dubitare di perdere Napoli, perchè fin a quel dì i Napoletani della parte Angioina erano stati tanto depressi e conculcati dal Gran Siniscalco, ch'erano divenuti Aragonesi, ed aveano piacere di vedere in rovina lo stato della Regina e del Gran Siniscalco; ma dappoichè intesero l'adozione del Re Luigi, saliti in isperanza di ricovrar le cose loro, erano per far ogni sforzo, acciocchè la città ritornasse in mano della Regina; e già s'intendeva che da dì in dì molti andavano in Aversa a trovare Re Luigi in palese, e molti che non aveano ardire di palesarsi, lo visitavano per secreti messi. Perciò Alfonso mandò a chiamar Braccio, il quale ancora penava per ridurre l'Aquila, che venisse colle sue genti a Napoli. Ma Braccio che confidava, che quella Piazza si rendesse fra pochi dì, rispose ad Alfonso, ch'era assai più necessario conquistar quella provincia bellicosa ed ostinatamente affezionata alla parte Angioina, che tener Napoli, la qual solea esser di coloro, che vinceano la campagna, e che perciò gli mandava Giacomo Caldora, che tenea il primo luogo nel suo esercito dopo lui, e Berardino della Carda, e Riccio da Montechiaro Colonnello di fanteria. Questi con mille e ducento cavalli, e mille fanti vennero subito a Capua, e da Capua, avendo inteso ch'erano venute alcune navi e galee con genti fresche da Barzellona, vennero in Napoli.

Dall'altra parte Sforza, avendo poste in ordine le sue genti, persuase a Re Luigi che andasse sopra Napoli, onde si partirono da Aversa il primo d'ottobre, e vennero per tentare di pigliar Napoli per la porta del mercato; ed essendo seguìto un fatto d'arme, nel quale restò Sforza vittorioso, Re Luigi entrò in grandissima speranza di pigliarla. Mentre Alfonso era in questi travagli, gli vennero lettere da Spagna con avvisi, che Giovanni Re di Castiglia suo cognato e cugino, che si governava tutto per consiglio di D. Alvaro di Luna, nemico alla Casa Aragona, avea messo in carcere D. Errico d'Aragona amatissimo fratello del Re Alfonso, perchè avea tolta per moglie D. Catarina sorella del Re di Castiglia, contro la volontà di lui; per la qual cagione Alfonso deliberò d'andar in Ispagna per liberar il fratello, ed ancora per dubbio, che il Re di Castiglia instigato da D. Alvaro, non tentasse di occupare il Regno di Aragona e di Valenzia, mentr'egli guerreggiava in Italia. Dunque postosi in ordine, lasciò D. Pietro suo ultimo fratello per Luogotenente Generale in Napoli, e partitosi con diciotto galee e dodici navi grosse, per cammino assaltò Marseglia, città del Re Luigi, all'improvviso e la prese e saccheggiò e ne portò in Ispagna il Corpo di S. Luigi Vescovo di Tolosa, e non volle tenere quella città, per non diminuire l'esercito lasciando i presidj, perchè credea aver di bisogno di gente assai per la guerra di Spagna, ove stette molt'anni impedito per liberare il fratello.

Nel principio dell'anno seguente 1424 venne l'armata di Filippo Visconti Duca di Milano, la quale presa Gaeta, che si tenea per Alfonso, navigò verso Napoli ove giunta, fu posto in terra l'esercito nella porta del Mercato; onde le cose del Re Luigi sempre più andando prospere, fur cagione che il Caldora passasse in questo modo alla sua parte. Vedendo il Re e la Regina che per l'assedio di Napoli bastavano le genti del Duca di Milano, mandarono Sforza col suo esercito a soccorrer l'Aquila, che ancora era assediata da Braccio; ma Sforza nel passar il fiume di Pescara si annegò: il Caldora ch'estinto Sforza, si confidava di ottenere il luogo di Gran Contestabile, ed esser il primo di quella parte, si voltò alla parte della Regina, rendendo la città di Napoli; e l'Infante D. Pietro con i migliori soldati che avea si ritirò al presidio del castello. La festa di tutta la città fu grandissima, il popolo concorse a saccheggiar le case degli Spagnuoli e de' Siciliani, e la Regina fece tornar le genti del Duca in Lombardia molto ben soddisfatte.

Restava solo nel Regno l'esercito di Braccio, che tenea le parti del Re Alfonso; ma il Re Luigi e la Regina dando il bastone di Capitan Generale al Caldora, lo mandarono a danno di Braccio; e come fu giunto al Contado di Celano trovò le genti di Papa Martino capitalissimo nemico di Braccio, e con quelle e col suo esercito diede una fiera rotta alle genti di Braccio, dove questi restò morto e Nicola Piccinino prigione.

Con tutto che il Re Alfonso fosse stato avvisato che Napoli s'era perduta, e che l'Infante si fosse salvato nel Castello, non volle però abbandonare le cose del Regno e mandò a soccorrere il castello; e pochi dì da poi comparve in Napoli Artale di Luna mandato dal Re a liberar l'Infante dall'assedio, il quale lasciati nel castello i migliori soldati, e grandissima munizione di vettovaglie, si pose in mare e se ne n'andò in Sicilia. Così la Regina ed il Re Luigi stettero alcuni anni assai quieti, mentre che Alfonso fu occupato nelle cose di Spagna: e benchè il Castel Nuovo si tenesse per Re Alfonso, come si tenne poi gran tempo, la Regina visse molti anni quieta, nel quali anni di riposo si diede a riformare il Tribunal della Gran Corte della Vicaria per mezzo de' Riti che fece compilare, ad istituire il Collegio de' Dottori, e ad applicare il suo animo agli studj di pace e di religione, come diremo.

Intanto il Gran Siniscalco vedendosi nel colmo di ogni felicità, perchè dubitava che Re Luigi nuovamente adottato dalla Regina non tenesse la medesima volontà che avea tenuta Re Alfonso di abbassarlo, non volle mai che Castel Nuovo si stringesse d'assedio; anzi più volte diede tregua ad Arnaldo Sanz che era rimaso Castellano in nome del Re Alfonso per tenere sospetto il Re Luigi, che sempre che volesse mostrarsi contrario alla grandezza sua, avrebbe richiamato il Re Alfonso. Ed in cotal modo si tenne il castello undici anni con le bandiere d'Aragona, fin alla morte della Regina Giovanna; e pareva cosa molto strana che il Castellano mandasse nel tempo di tregua a comprare nella città quel che gli bisognava e s'intitolasse Vicerè del Regno.

Il Re Luigi, ch'era di natura mansueta, stette sempre all'ubbidienza della Regina: onde il Gran Siniscalco operò con la medesima che donasse a quel Re il Ducato di Calabria, e gli diede tutte le genti sue stipendiarie che andasse a conquistarlo dalle mani de' Ministri del Re Alfonso; ed egli restò assoluto Signore di tutto il rimanente del Regno, nè avea altro ostacolo che Giacomo Caldera ed il Principe di Taranto ch'era nel Regno grandissimo Signore; onde per assicurarsi di loro, diede una delle sue figliuole per moglie ad Antonio Caldera figliuolo di Giacomo, e l'altra a Gabriele Orsino fratello del Principe, dandogli il Contado di Acerra quasi a titolo di dote. A questo modo stabilì le cose sue che non era chi potesse contrastare o resistere alla volontà sua; e così disfece molte famiglie, come gli Origli, li Mormili, li Costanzi e li Zurli, togliendo ad altri ed investendo i suoi de' loro Stati, e distribuì a molti di Casa Caracciolo terre e castelli. E quindi avvenne che mentre durò la guerra fra' tre Luigi d'Angiò, col Re Carlo III, Ladislao e la Regina Giovanna, si trovino privilegi ed investiture di molte terre in fra di lor contrarie fatte a diverse famiglie: e molti castelli che in un anno mutavano due Signori, secondo le vittorie che aveano que' Re ch'essi seguivano. Nè bastando al Gran Siniscalco tanta autorità, aspirando sempre a cose maggiori, dimandò alla Regina ch'essendo per la morte di Braccio ricaduto alla Corona il Principato di Capua che ne lo investisse; ed ella tosto ai 22 ottobre di quest'anno 1425 glie lo concedette; ma usò per allora questa moderazione, che non si volle intitolar mai Principe, ancorchè li parenti gliel persuadessero.

In questo medesimo anno, essendo nel precedente succeduta la morte di Benedetto XIII i due Cardinali ch'erano rimasi presso di lui elessero per Papa Egidio Munion Canonico di Barzellona che prese il nome di Clemente VIII, il quale creò de' Cardinali, e fece tutti gli atti da Papa; poichè ancora questo partito era sostenuto dal Re Alfonso, irritato, come si è veduto, contro il Pontefice Martino, perchè avea investito Re Luigi del Regno. Nè perchè Alfonso stasse distratto negli affari di Spagna, abbandonò mai le cose del Regno, e proccurò in cotal guisa tener il Papa in sospetto, sin che finalmente nell'anno 1429 non si rappacificarono insieme: per la qual cosa mandò Martino il Cardinal di Foix Legato in Ispagna, affinchè nelle mani di costui l'Antipapa deponesse la carica: e per ordine d'Alfonso fu Clemente costretto rinunziare il suo diritto, asserendo però, che non lo sacrificava, se non se per lo bene della pace. I Cardinali ch'egli avea creati rinunziarono anche volontariamente al Cardinalato, ed i due vecchi Cardinali che aveano eletto Clemente furono posti in prigione, dove morirono poco da poi di disgusto e di miseria. Così terminossi interamente lo Scisma, dopo aver durato per lo spazio di cinquanta uno anni; e Martino V restò solo ed unico Papa, riconosciuto da tutto l'Occidente.

Ma questa riconoscenza non durò più che due anni; poichè a' 20 febbraio dell'anno 1431 trapassò in Roma, ove fu sepolto in Laterano; ed in suo luogo il dì 4 del mese di marzo in eletto Michele Condolmerio Veneziano figliuolo d'una sorella di Gregorio XII che lo avea assunto al Vescovado di Siena ed alla dignità di Cardinale, e fu nomato Eugenio IV. Questi appena assunto al Pontificato cominciò a perseguitare i Colonnesi, perchè si dicea che aveano in mano tutto il tesoro del Papa morto: i Colonnesi fidati nello Stato grande che il zio loro avea dato in Campagna di Roma ed in quello che possedevano nel Regno di Napoli, si disposero di resistere alle forze del Papa, e soldarono genti di guerra per difendersi da lui. Ma il Papa avendo ciò presentito, rinovò subito la lega con la Regina co' medesimi capitoli che furono fatti nella lega di Papa Martino, e richiese la Regina che gli mandasse ajuto per debellare i suoi ribelli. Il Gran Siniscalco che non desiderava altro che l'abbassamento de' Colonnesi per potere sopra le loro ruine maggiormente ingrandire, gli mandò il Conte Marino di S. Angelo suo fratello con mille cavalli, e mandò a minacciare i Colonnesi di togliere loro le terre che aveano nel Regno, se perseveravano nella contumacia del Papa; e perseverando nell'ostinazione, furono dal Papa scomunicati e privati del Principato di Salerno e de' Contadi che tenevano nel Regno, con disegno d'avere la maggior parte de' loro Stati tolti e confiscati. Non contento adunque d'esser Duca di Venosa, Conte d'Avellino, Signore di Capua e di molte altre Terre, cominciò a dimandare alla Regina che gli donasse il Principato di Salerno ed il Ducato di Amalfi, con dire che se ben gli avea donata Capua, egli non se ne voleva intitolar Principe, perchè era certo che ogni altro Re che succedesse al Regno, se la toglierebbe come Terra che per l'importanza sua dev'essere sempre unita alla Corona.

 

Era allora la Regina divenuta assai vecchia per gli anni, ma molto più per una complessione sua mal sana, che parea al tutto decrepita e schifa; e per questo il G. Siniscalco, ch'era ancora incominciato ad invecchiare, avea lasciata la conversazione segreta, che avea con lei; onde s'era ancora in lei, non solo intepidito, ma raffreddato in tutto l'amore, e però alla dimanda fattale, negò di voler dare nè Salerno, nè Amalfi; per la qual cosa il G. Siniscalco turbato, cominciò in opere ed in parole, ad averla in dispregio ed in odio. In questo tempo era salita in gran favore della Regina Covella Ruffo Duchessa di Sessa, donna terribilissima e di costumi ritrosi, la quale per esser nata da una zia carnale della Regina, per l'antichissima nobiltà del suo sangue, e per essere rimasta erede di molte terre, era superbissima e non potea soffrire la superbia del G. Siniscalco; e per questo ogni dì, quando gli veniva a proposito, sollecitava la Regina che non sopportasse tanta ingratitudine in un uomo, che da bassissima fortuna e da tanta povertà, che avea quasi irrugginita la nobiltà, l'avea esaltato tanto; e perchè la Regina per la vecchiezza era divenuta stolida, ascoltava bene quel che dicea la Duchessa, ma non rispondea niente a proposito. Ma tornando il G. Siniscalco un giorno a parlare alla Regina, e con qualche lusinga dimandarle di nuovo il principato di Salerno e di Amalfi, vedendo che quella ostinatamente negava, venne in tanta furia, per la gran mutazione che scorgeva da quel ch'era stato per diciotto anni, ne' quali la Regina non gli avea mai negata cos'alcuna, che incominciò ad ingiuriarla e trattarla da vilissima femmina con villanie disoneste, tanto che la indusse a piangere: la Duchessa ch'era stata dietro la porta dell'altra camera, quando intese la Regina piangere, entrò con altre donne a tempo, che il G. Siniscalco se ne usciva, e vedendo la Regina sdegnata per l'ingiurie fresche, cominciò fortemente a riprenderla di tanta sofferenza, e che volesse tosto prender partito di raffrenare così insolente bestia, la quale un giorno si sarebbe avanzata sino a porle le mani alla gola e strangolarla. La Regina vedendo tanta dimostrazione d'amore e di vera passione, caramente l'abbracciò e le disse ch'ella dicea bene, e che in ogni modo voleva abbassarlo: la Duchessa conferì tutto con Ottino Caracciolo nemico del G. Siniscalco: Ottino poi lo conferì con Marino Boffa e con Pietro Palagano fieri nemici di Sergianni. Questi conchiusero di valersi del mezzo della Duchessa, e la persuasero, che sollecitasse la Regina, e che l'offerisse di trovar uomini che avrebbero ucciso il G. Siniscalco: la Duchessa non fu pigra a tal maneggio, perchè trattandosi a quel tempo nuovo parentado tra Giacomo Caldera ed il G. Siniscalco, che voleva dar per moglie a Troiano Caracciolo suo unico figliuolo, Maria figliuola del Caldora, avvertì la Regina che questo matrimonio per tutta Napoli si dicea, che si trattava con disegno di dividersi il Regno fra loro e privarne lei, onde pensasse a' casi suoi e lo facesse morire. La Regina rispose, ch'era ben determinata e disposta di volerlo abbassare e togliergli il governo di mano; ma non voleva che s'uccidesse, perch'era vecchia e ne avrebbe avuto tosto da render conto a Dio. La Duchessa, poichè non potè ottener altro, mostrò di contentarsi, che se gli levasse il governo di mano, e la pregò, che fosse presta a parlare con Ottino Caracciolo del modo, che s'avea da tenere. Conferito poi il tutto con Ottino, conchiusero di pigliar dalla Regina quel che poteano, ed ottener ordine di carcerarlo per poterlo uccidere, con iscusar poi il fatto, che avendosi voluto porre in difesa erano stati costretti ad ammazzarlo, e con questa deliberazione restarono. La Regina fece chiamare Ottino e gli disse, che lasciava a lui il carico di trovar il modo di porlo in carcere. Mentre queste cose si trattavano, il G. Siniscalco strinse il matrimonio del figliuolo colla Caldora, e per dar piacere alla Regina dispose di far una festa reale al castello di Capuana dove alloggiava la Regina, sperando per tal festa riconciliarsi con lei ed indurla di far grazia allo sposo ed alla sposa dei principato di Salerno, ch'esso desiderava tanto. Venuto il dì deputato alla festa, che fu a' 17 agosto di quest'anno 1432, e quello passatosi in balli e musiche, e parte della notte in una cena sontuosissima; il G. Siniscalco scese all'appartamento suo e postosi già a dormire, Ottino e gli altri congiurati, avendo corrotto un mozzo di camera della Regina chiamato Squadra, di nazione Tedesco, lo menarono con loro e fecero che battesse la porta della camera del G. Siniscalco e che dicesse, che la Regina sorpresa da grave accidente apopletico stava male, e che voleva che salisse allora. Il G. Siniscalco si levò ed incominciandosi a vestire, comandò che s'aprisse la porta della camera per intender meglio quello ch'era. Allora entrati i congiurati, a colpi di stocchi e d'accette l'uccisero. La mattina sentendosi per la città una cosa tanto nuova, corse tutta la città a veder quello spettacolo miserabile, non picciolo esempio della miseria umana: vedendosi uno, che poche ore innanzi avea signoreggiato un potentissimo Regno, tolti e donati castelli, terre e città a chi a lui piaceva, giacere in terra con una gamba calzata e l'altra scalza (che non avea potuto calzarsi tutto), e non essere persona che avesse pensiero di vestirlo e mandarlo alla sepoltura. La Duchessa di Sessa vedendo il corpo morto disse: ecco il figliuolo d'Isabella Sarda, che voleva contender meco; poco da poi quattro Padri di S. Giovanni a Carbonara, dov'egli avea edificata con gran magnificenza una cappella che ancor si vede, vennero, e così insanguinato e difformato dalle ferite, il posero in un cataletto e con due soli torchii accesi vilissimamente il portarono a seppellire. Troiano suo figliuolo, da poi nella cappella istessa gli fece ergere un superbo sepolcro colla sua statua; e Lorenzo Valla, famoso letterato di que' tempi vi compose quella iscrizione che ivi si legge. La Regina, ancorchè restasse mal contenta della sua morte, pur ordinò che fosser confiscati tutti i suoi beni come ribelle; e concedette ampio indulto a' congiurati, che fu dettato da Marino Boffa; e narrasi che quando innanzi a lei si leggeva la forma dell'indulto, quando si venne a quelle parole che dicevano, che per l'insolenza del G. Siniscalco la Regina avea ordinato che si uccidesse, avesse risposto in pubblico, che non mai ordinò tal cosa, ma solamente che si carcerasse.

274Chioccarel. tom. 1. M. S. giurisd.