La Verticale del Ruolo

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La Verticale del Ruolo
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Jurij Alschitz

La verticale del ruolo

Metodo di auto-preparazione

dell’attore

Traduzione di Raissa Raskina

Il paragrafo “Training quotidiano dell’attore”

è a cura di Christian di Domenico.

Supervisione dello stesso e di Giampaolo Gotti.

ars incognita

Berlino 2003

Parte I L’auto-preparazione dell’attore

“Si vive bene con voi, amici miei, è piacevole ascoltarvi,

ma… starsene in una stanza d’albergo

a studiare la parte è molto meglio!”

(Arkadina ne Il Gabbiano, di A. Cechov)

1. Cambiamento di campo. Uscire dal teatro

Ogni professione ha i suoi segreti. Quella dell’attore ne possiede tantissimi. Mia madre faceva l’attrice, e tante volte da piccolo la osservavo di nascosto mentre preparava i suoi ruoli in una stanza d’albergo, sulla panchina di un giardino, nello scompartimento di un treno … Questa sua preparazione solitaria mi sembrava molto più interessante delle prove in teatro, e, addirittura, degli spettacoli. Ecco perché tutt’oggi provo una sorta di venerazione di fronte a questo magico momento in cui l’attore entra in contatto intimo col personaggio. L’istante in cui il ruolo viene “concepito” è un momento meraviglioso e segreto. Raramente se ne parla negli ambienti teatrali, come se fosse una cosa strettamente privata. L’attore cerca di appartarsi perché nessuno lo possa disturbare, sapendo che nessuno lo può aiutare. Sembrerebbe quasi un segreto che appartenga solamente a lui, di cui nessun altro abbia il diritto di venire a conoscenza. E questo è proprio un bel mito!

Oltre ai segreti, ogni professione presuppone delle conoscenze ben precise. Il lavoro dovrebbe essere affidato ad un maestro. E per quanto una misteriosa nebbia possa avvolgere la professione dell’attore, per quanto possano essere belle le leggende intorno ad essa, a dimostrare se un attore possiede o meno il proprio mestiere sarà sempre e soltanto la sua capacità professionale. Questo riguarda più specificamente coloro che vorrebbero fare ricerca teatrale, esplorare le regioni meno conosciute del teatro. E uno dei territori più “segreti” nella professione dell’attore è il lavoro individuale di costruzione di un ruolo.

Anni di esperienza in campo teatrale e pedagogico mi hanno portato alla convinzione che l’attore può diventare un vero “autore” del proprio ruolo, a condizione di un lungo lavoro di auto-preparazione, cioè di un lavoro individuale. Solamente in qualità di “autore” egli potrà, anzi dovrà rispondere per la vita della propria opera. Su questa convinzione fondo il mio rapporto nel lavoro con l’attore. Trovo che questo sia l’unico rapporto corretto e proficuo. Purtroppo, però, nel teatro esistono ancora leggi non scritte che obbligano il regista a disegnare per ciascun attore l’aspetto futuro del suo ruolo, ad indicare il modo in cui esso verrà costruito e vissuto sulla scena. In realtà, tale atteggiamento non fa che viziare l’attore, spegnere la sua creatività, trasformarlo in un semplice esecutore.

Ciascun attore e regista sa bene quanto è facile sprecare inutilmente il tempo di lavoro. Quante volte la prova si trasforma in mera memorizzazione del testo, in uno scambio di insignificanti impressioni sul ruolo, in ricordi della propria vita … A simili prove si può arrivare impreparati, assolutamente vuoti, per poi uscirne altrettanto vuoti, senza che nessuno se ne accorga. Questo atteggiamento passivo distrugge l’energia creativa, favorisce la mediocrità del pensiero. Trovo umiliante che si partecipi alle prove per obbligo, ma ritengo addirittura poco etico nei confronti dei partner presentarsi impreparati, svuotati, annoiati. Il lavoro condotto in questo modo mi fa temere e persino odiare il teatro, un teatro morto che sa di naftalina e che ogni volta mi fa sentire invecchiato. Quando invece attore e regista arrivano alla prova con un bagaglio pieno di idee e di proposte, con la voglia di realizzare le proprie fantasie, di risolvere insieme i dubbi, allora la prova può diventare un autentico evento.

Osservo negli ultimi tempi la tendenza delle produzioni teatrali a limitare sempre più il tempo concesso alle prove di uno spettacolo. Si è obbligati a fare battaglie per ogni giorno di prove in più, nel tentativo di spiegare all’amministrazione che il tempo ristretto di prove va a scapito della ricerca artistica costringendo sia il regista che gli attori a preoccuparsi del risultato più che del processo. Senza dubbio è un fatto negativo. Eppure non possiamo non prendere atto di questa tendenza. Mi sembra evidente che, per poter resistere a questa pressione, sia necessario modificare in gran parte la metodologia e la tecnica del lavoro sullo spettacolo e sul ruolo.

A mio avviso ne uscirà vincente colui che riuscirà a spostare l’accento del lavoro dell’attore sulla sua preparazione individuale. Il lavoro eseguito autonomamente dovrebbe rappresentare la maggiore parte dell’ intero periodo di preparazione. E’ necessario, perciò, che esso segua una precisa metodologia, ricca di esercizi specifici. Detto in altre parole, anche il lavoro individuale dovrebbe acquisire qualità professionale e non essere un brancolamento nel buio. Di conseguenza, le prove collettive rappresenterebbero solo un terzo del tempo a disposizione per la preparazione del ruolo e dello spettacolo. La durata di queste prove è inversamente proporzionale alla loro qualità e al loro contenuto: che siano pure prove brevi e poco frequenti, purché risultino ben preparate ed efficaci. Solo se preceduta da una seria preparazione individuale, la prova può diventare un autentico processo creativo, il sogno, ne sono convinto, di tutti gli attori e registi teatrali.

Purtroppo, la maggior parte dei manuali per attori evita di affrontare realmente la questione del lavoro da svolgere al di fuori dalle mura del teatro. Anche se l’argomento viene affrontato, non si va oltre alla ripetizione delle verità ribadite da Konstantin Stanislavskij, il primo regista che rivolse seriamente la sua attenzione al problema: «L’attore, più di qualsiasi altro artista, necessita di un lavoro individuale svolto a casa»01. Il maestro russo ha cercato per primo di porre l’accento sulla preparazione dell’attore al di fuori del palcoscenico: «La stragrande maggioranza degli attori è convinta che si debba lavorare solamente durante le prove, mentre a casa ci si riposa. Ma non è così. Durante le prove non si fa che mettere in chiaro i punti su cui lavorare successivamente a casa. Per questo non credo agli attori che chiacchierano durante le prove invece di prendere appunti e creare un piano di lavoro per casa»02.

01 Stanislavskij K.S., Sobranie socinenij v 8 tomach [Opera Omnia in 8 volumi], “Iskusstvo“, Moskva, 1955, vol.3, p. 261. La traduzione di tutti i brani citati è di R. Raskina

02 Ivi, p.248

Stanislavskij riteneva la prova in teatro addirittura una sorta di preparazione per il fondamentale lavoro da svolgere individualmente. Egli considerava necessario abituare l’attore, sin dalla scuola, ad un lavoro meticoloso non solo durante le prove, ma anche in solitudine. Le prove svolte a teatro o a scuola non erano per lui che una parte minore del lavoro dell’attore: «Non è sufficiente lavorare […] solamente durante le nostre lezioni, nelle quali venite a conoscenza del lavoro da fare. Dovreste lavorare su voi stessi individualmente, a casa, correggere i vostri difetti, che il pedagogo vi aiuta ad individuare […]»03.

03 Dallo stenogramma della lezione di Stanislavskij del 1 dicembre 1935, in: Masterstvo aktera, “Sovetskaja Rossija”, Moskva 1961

A tale scopo Stanislavskij elabora una serie di compiti concreti da assegnare agli attori per il lavoro individuale. Se inizialmente questi compiti riguardano per lo più il lavoro sulla vita del personaggio, sul suo passato e sulla prospettiva del futuro, successivamente l’ambito del lavoro individuale viene ad ampliarsi ed ad approfondirsi. Egli scrive: «[…] durante le prove prendiamo in analisi le sensazioni custodite nella memoria affettiva. Per poterle comprendere, discernere e memorizzare è necessario trovare una parola o una frase giusta, un qualche mezzo che richiami la sensazione in questione e che ci aiuti a fissarla. Ma prima di trovarlo dentro di voi, bisogna rifletterci parecchio a casa. Si tratta di un lungo lavoro che richiede una grande concentrazione»04.

04 Stanislavskij K.S., Sobranie socinenij …, cit., p.248

Alcuni anni dopo, Stanislavskij rivisita il suo approccio verso il lavoro dell’attore sul personaggio. Ma anche il cosiddetto “metodo delle azioni fisiche” contempla il lavoro dell’attore tra le mura domestiche: «A casa potete ripassare la parte, partendo dalle azioni fisiche. Mettete a punto una linea di semplici, elementari azioni fisiche. Lavorare sull’appropriazione della vita fisica del personaggio a casa vostra non è solo possibile, ma persino doveroso»05.

05 Dallo stenogramma della lezione di Stanislavskij del 11 novembre 1935, in: Masterstvo aktera …, cit.

 

Purtroppo, Stanislavskij non arrivò mai ad elaborare una metodologia di auto-preparazione dell’attore in maniera altrettanto dettagliata di quella dedicata al training e alle prove in teatro. I suoi stessi attori hanno continuato a riversare sul regista la maggior parte del lavoro. Il risultato di questa lunga battaglia contro il parassitismo attoriale è stato minimo.

Tuttavia, il merito di Stanislavskij consiste nell’aver indicato l’enorme potenziale racchiuso nel lavoro individuale e ben organizzato. Quanto alle generazioni successive di registi e pedagoghi, essi hanno elaborato diversi metodi per le prove in teatro, trascurando completamente la questione del lavoro di preparazione individuale, come se si trattasse di un problema personale dell’attore. Oggi questa lacuna riaffiora. Il tempo dei mestieranti-autodidatti è passato, mentre è evidente la necessità di verificare, in maniera professionale, le possibilità di un’auto-preparazione dell’attore.

2. Un diverso modello di attore

Essere un Artista significa, prima di tutto, sentire il divino, e realizzare poi il divino stesso attraverso il proprio “Io”. Direi che sono due condizioni fondamentali e che la seconda è interamente connessa alla capacità di sentire se stessi. Oggi, questa capacità, lungi dall’essere sviluppata, viene spesso negli attori del tutto sradicata. Ho notato che quanto più il regista riesce a delegare all’attore, tanto più quest’ultimo riesce ad avere fiducia in sé stesso; quanto più l’attore coltiva il proprio lavoro individuale, tanto più

riesce a sviluppare e rafforzare la propria individualità artistica. Al contrario, più è manipolato dal regista, più diventa debole come artista, meno interessante è lavorare con lui.

Quando mi riferisco all’auto-preparazione dell’attore, non intendo soltanto la sua auto-formazione, ma soprattutto l’ indipendenza del suo pensiero artistico. Che l’attore debba essere una persona colta e riflessiva, sembra ormai una verità scontata, e m’ imbarazza quasi ripeterla. Nonostante questa sia una realtà ancora lontana, il problema sta altrove: oltre ad essere una persona intelligente e istruita, l’attore deve diventare un artista indipendente, un maestro, un creatore. L’attore della prossima generazione, a mio avviso, dovrà essere in grado di scegliere e di creare il proprio ruolo da solo . In questo caso nessuno, tranne l’attore stesso, può rispondere del suo lavoro, della sua vita, e ancor meno della sua felicità. Eppure, essere felici è lo stimolo più importante e persino l’essenza della professione dell’attore.

L’auto-preparazione non va intesa come un semplice trasferimento delle prove dal teatro a casa propria: si tratta infatti del trasferimento del lavoro nel territorio dell’attore.

Esso richiede all’attore una diversa forma mentis, chiama in causa la sua personale visione del mondo e del personaggio. La costruzione del ruolo può essere frutto non dei suggerimenti altrui, ma della maturazione di principi ed idee personali dell’attore. Questo modello di teatro non si basa su un sistema universale, capace di soddisfare più personalità; anzi, esso mette al centro la creatività dell’artista,

che elabora un proprio sistema, proporzionato al suo talento, alla sua maestria e alla sua maturità spirituale.

L’auto-preparazione richiede all’attore la capacità di lavorare in solitudine (come l’artista nel suo atelier), senza farsi coinvolgere troppo dalle circostanze, da “amici” o “nemici”. Contemporaneamente, essa esige una grande capacità di apertura nei confronti del partner, oltre alla continua crescita spirituale, intellettuale ed artistica. In cambio, l’attore acquista un indispensabile senso di responsabilità nei confronti della vita del proprio personaggio, diventandone il suo vero autore. Grazie a tale stretta relazione, l’ iniziativa passa, sin dall’ inizio, all’attore e rimane nelle sue mani durante il processo creativo. (Se si perde questa chance, diventa poi molto difficile ridare l’ iniziativa all’attore: essa passa al testo, al carattere del personaggio, alle circostanze della parte, alle fantasie del regista e non appartiene pienamente all’attore. L’attore senza iniziativa non è che uno strumento, più o meno accordato. Ma non riuscirà mai ad innalzarsi al livello di artista). Un attore libero ed indipendente detiene i “diritti d’autore” del ruolo da lui creato. Egli discerne e penetra l’essenza del proprio ruolo, scoprendone il codice genetico. Non ha più paura, perché ormai “esiste”. Quando arriva alle prove in teatro ha già le sue proposte da Artista e non domanda al regista, con fare da lacchè: “Cosa desidera il maestro?”. Si sente pronto ad affrontare il lavoro collettivo, a mettersi in discussione, ad andare pazientemente alla ricerca di soluzioni migliori.

Vedo in questa auspicabile capacità dell’attore di lavorare individualmente una garanzia per la sopravvivenza della sua professione e per la vita spirituale del teatro tout court. Per questo motivo considero opportuno proporre ai pedagoghi, agli studenti delle scuole teatrali, agli attori ed ai registi una determinata metodologia di auto-preparazione dell’attore che ho definito come la “verticale”

del ruolo.

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