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Come finì la Modestia

Bum! bururùm bum bum! – Bururùm bum bum! – Bum! Barnùm! – Cium! papaciùm! cium cium!

················

La donna umile: – Che cos'è questo fragore? questo squillar di trombe, strepitar di piatti e tuonar di gran cassa? Chi arriva?.. Oh! una carrozza a quattro cavalli: anzi, un carro trionfale; su cui troneggia la più bella donna che io vedessi mai! Ha gli abiti mirabilmente variopinti e fulgidi di gemme; e sotto di lei siedono gentiluomini in tuba e cravatta bianca. Qualcuno invece della tuba porta una corona d'alloro; qualcuno agita un ramo di mirto; qualche altro ha il viso da bestia, fors'è una bestia… Io arrossisco a lasciarmi vedere. Mi nasconderò dietro la siepe.

La donna sovrana: – Voi dite, postiglioni, che bisogna dar riposo ai cavalli? A cavalli di razza quali i miei? Vi concedo mezzoretta. Ma giuro che nemmeno per svago non viaggerò mai più per le campagne d'Italia! Io son usa al treno lampo, alle automobili, agli aeroplani; non ho tempo da perdere! Oggi, per vendere a pena un centinaio di aratri a vapore, affollare d'infermi tre stabilimenti idroterapici, aprire due esposizioni agricole, me la son presa comoda; ma ho consumato un giorno e sciupati quattro puledri che vinsero le corse a Longchamp, e che serbavo da galoppare piano piano in Inghilterra, quando per caso mi ci trovassi in domenica. Però io ringrazio voi, miei seguaci, d'avermi tenuta compagnia nel noiosissimo viaggio e vi porgo un marengo perchè andiate all'osteria laggiù, a bere un litro alla mia salute. Un marengo anche a voi, postiglioni e musici. Spicciatevi! Quanto a voi, poeti, se v'aggrada, andrete qui intorno cercando il Gran Pan.

Frattanto, in questa valletta ombrosa e fresca, io penserò un milione di telegrammi da spedire domattina ai miei segretari sparsi nel mondo per il progresso delle industrie, delle arti e dei commerci e mediterò un nuovo modo d'annunziare il Tot e le Pink.

… Che frescura! Che quiete!

Avvezza al fracasso e alle corse sfrenate, quasi quasi mi vien sonno…

La donna umile: – Ahi!

La donna sovrana: – Chi va là, dietro la siepe?

La donna umile: – Scusi, signora, se l'ho disturbata… Uno spino mi ha punto un piede…

La donna sovrana: – Perchè cammini scalza? Vieni qui. Chi sei?

La donna umile: – Un'infelice; una povera creatura.

La donna sovrana: – Vedo. Le tue vesti non le comprasti certo nei magazzini del Louvre; e la tua faccia par quella del mio amico Succi. Che naso! Oh che naso!

La donna umile: – Me l'han tirato in tanti, signora; ho provate tante delusioni; ho patiti tanti disinganni!

La donna sovrana: – Accostati; senza ritirarti in te stessa, vergognosa! Come ti chiami?

La donna umile: – Modestia.

La donna sovrana: – Modestia? La nipote di madama Virtù, che presa per un'aristocratica fu fatta ghigliottinare da Robespierre? La figlia della Semplicità e del Buoncostume? la sorella dell'Onestà?

Modestia: – Sì, signora…

La donna sovrana: – Bel caso! bell'incontro! Da un pezzo non ho riso così di gusto!

Modestia: – Scusi, signora: la conosce lei mia sorella Onestà? Per amor di Dio, mi dica se la conosce e se sa dov'è!.. Non mi restava più altri della mia famiglia. I miei parenti mi hanno abbandonata!..

La donna sovrana: – Eh! Poco posso dirti. Molti e molti anni sono essa mi chiese aiuto; ma era povera e non potemmo conchiudere nessun affare; e d'allora in poi m'è uscita di vista.

Modestia: – Sapesse quant'è che la cerco! Un giorno, in una grande città, ci perdemmo in mezzo alla folla…

La donna sovrana: – Non piangere. La troverai.

Modestia: – Dove? dove?

La donna sovrana: – In un paese dove non si distribuiscano commende.

Modestia: – Oh Dio!.. Dunque mia sorella è morta anche lei!

La donna sovrana: – Non piangere, ti dico! Io non piango nemmeno ai drammi di Ibsen. Raccontami piuttosto la tua storia.

Modestia: – Uh! la mia storia!.. Disperata, mi ero ridotta a vivere qui nei dintorni, e ci campavo, perchè nessuno s'accorgeva che ci fossi; quando la mia disgrazia volle, l'altro giorno, che diventasse sindaco il salumaio del villaggio. Costui m'ha deferita all'autorità giudiziaria quale vagabonda, priva di mezzi di sussistenza e forse anarchica; e i carabinieri hanno già avuto l'ordine di arrestarmi se entro otto giorni non mi trovo occupazione e domicilio.

La donna sovrana: – Bene! Imparerai a stare al mondo!

Modestia: – Per grazia di San Francesco mio protettore, ier sera tardi, passando sotto le finestre d'una villa, udii leggere un giornale: uno leggeva che lo scrittore francese Giulio Claretie invidia i letterati e gli artisti italiani; perchè, egli dice, in Italia chi ha dei meriti si fa strada da sè solo, e chi non ne ha, non riesce, come in Francia, a spingersi innanzi con l'impudenza della Réclame

La donna sovrana: – Bada a come parli!

Modestia: – Scusi… Ripetevo le parole del Claretie.

La donna sovrana: – Tira avanti!

Modestia: – … Non sapendo più dove andare, se anche in campagna adesso mi odiano, avrei pensato di mettermi per cameriera presso qualche scrittore o artista d'Italia…

La donna sovrana: – Bella idea! Ti credevo ingenua; ma non sino a questo punto. Ah ah!.. E non mi conosci?

Modestia: – Non ho questo onore.

La donna sovrana: – Io discendo da quell'imperatrice che un amico della tua famiglia, Giuseppe Parini, osò chiamare «venerabile» per sarcasmo. In America ebbi a padre putativo un certo Barnum; ma, oriunda di Francia, io, come un romanzo di Bourget, sono cosmopolita; tanto che Policarpo Petrocchi m'introdusse senza scrupolo nel suo vocabolario. Mio dominio, il mondo; tutti gli uomini si raccomandano a me, s'arrendono alle mie lusinghe benedicendomi. Io sono la Réclame! La Réclame sono io!

Modestia: – Oh San Francesco!

Réclame: – Tu non mi fuggirai…

Modestia: – Mi lasci andare! Per carità, mi lasci andare!

Réclame: – Non mi fuggirai… Non hai forza, povera diavola! Guarda: invece che odiarti mi fai compassione!

Modestia: – Dunque mi lasci… La prego! La scongiuro!.. Che cosa vuole da me, Maestà?..

Réclame: – Aiutarti, distoglierti dal tuo insano proposito. Hai visto coloro che viaggiano meco?

Modestia: – Maestà, sì.

Réclame: – Bene: tra i miei musici cantano critici e giornalisti; i miei fedeli, che hai veduti, sono letterati e artisti che all'annuncio del mio arrivo son corsi a me dai loro eremi, ove attendevano a opere luminose in una superba meditazione di conquista.

Modestia: – E se tornano qua ora? se mi vedono?.. Mi lasci andare!..

Réclame: – No: non ti ravviseranno. Del resto, io li conosco per bravi ragazzi che non farebbero male a una mosca, sebbene talvolta nei loro grandi disdegni invochino il dio Terremoto. In altri tempi avrebbero forse conquistato un arcipelago: adesso, non sono che scrittori, i quali, come uomini d'intelligenza, vanno verso la Vita.

Modestia: – Ah sì?.. A far che cosa?

Réclame: – Tante belle cose; fra cui l'atto di Vita coronante il rito misterioso come l'Orgia… Non arrossire… Via! Dammi quel libro ch'è là, nella mia carrozza, fra gli annunzi dell'Emulsione Scott, dell'Iperbiotina e del Depilatorio Clauser; e saprai altre cose di gioia. Quello!.. Brava!..

················

Ora ascolta come parla uno il cui pensiero è bruciato dall'ambizione.

«L'orgoglio e l'ebrezza del suo duro e pertinace lavoro; la sua ambizione senza freno e senza limiti constretta in un campo troppo angusto, la sua insofferenza acerrima della vita mediocre, la sua pretesa ai privilegi dei principi, il gusto dissimulato dell'azione onde era spinto verso la folla come verso la preda preferibile, il sogno d'un'arte più grande e più imperiosa che fosse a un tempo segnale di luce e strumento di soggezione, tutti i suoi sogni insaziabili di predominio, di gloria e di piacere insorsero e tumultuarono in confuso abbagliandolo…»

Modestia: – Cieco! Quanto doveva essere infelice, questo peccatore!

Réclame: – Al contrario, felicissimo: perchè la felicità è tal cosa che l'uomo deve foggiare con le sue proprie mani su la sua incudine; ed egli, il peccatore, in certi momenti, vedeva bene che il mondo era suo!

Modestia: – Con tutto il rispetto, io non lo credo! In letteratura i fabbri potranno bearsi a batter le frasi perchè diano faville; ma nella realtà le faville, se non acciecano, vanno a finire in niente, proprio come questi sogni letterari!

Réclame: – E che importa se ti paion sogni? Purchè tu ne sia esclusa.

Modestia: – Ma anche lei, signora…; mi permetta dirle che anche lei ne è esclusa. Non è mica la Gloria lei!

Réclame: – La Gloria è un'illusione, di cui io sono la realtà! Vedi? Tu stessa non ragioni più, perchè madama Ragione, tua bisavola, è morta, non solo in arte, da un pezzo!

Modestia: – Però io spero che non tutti i letterati d'Italia vagheggeranno conquiste d'arcipelaghi o invocheranno il dio Terremoto.

Réclame: – Se non tutti, molti! molti! Perchè al Verbo dei maestri, i discepoli divengono armento. E se è vero che i discepoli sempre esagerano i meriti dei maestri, non sola tu, ma anche tutti i tuoi parenti prossimi e lontani sono spacciati! La Morale e l'Onore si suicideranno a vicenda, come due amanti infelici; le Virtù Teologali e Cardinali emigreranno nel centro dell'Affrica, dove non siano ancor giunti superuomini. Tu dove andrai?.. Quo vadis?

 

Modestia: – … Quanto soffrire, o mio Dio, che insegnasti «Chi si esalta sarà umiliato»! Dove andrò?.. Non troverò nemmeno un letterato vecchio o non più giovane che mi protegga?

Réclame: – Non dubitare, cara mia, che pur cotesti vecchietti amano me con animo pronto, sebbene con carne stanca! Quanti ne conosco che seguono l'esempio di Vittore Hugo!

Modestia: – Cioè?

Réclame: – Il buon Vittore diffondeva lui le lodi di sè per i giornali della Francia.

Modestia: – Ah! lo so, lo so! Tutti i mali vengono dalla Francia.

Réclame: – Non credo. Già secondo quel tuo miserello Leopardi ogni uomo celebre sempre diventò celebre dando fiato per primo alla sua tromba.

Modestia: – Oh il mio Giacomo!.. Poverello! Ma io lo consolavo augurandogli la giustizia del Tempo…

Réclame: – Invano! Ai miei cenni egli dubitava che pur questa fosse un'illusione; egli prevedeva il giorno in cui io avrei proclamato all'universo l'ultimo e supremo trionfo della scienza e la mia gran vittoria su tutti i letterati della terra.

Infatti la gloria del Leopardi s'è già estinta nella fredda considerazione scientifica de' vizi e de' malanni che alla sua poesia furono come l'humus ai funghi; e il giorno della mia vendetta e della mia vittoria universale è venuto.

Sin la Fortuna, un dì superba al par di Giuno, mi chiede vita, e tutti gli dei d'Olimpo rivivono per me, e la Natura che io denudai alla libidine del Naturalismo, che ho velata di nebbia alle lussurie dell'Idealismo, mi chiama: le ho concesso oggi, per questi campi, quest'ora del mio desto riposo.

Odi tu la sua voce che mi saluta?

Modestia: – Non sento niente.

Réclame: – Tu non puoi sentirla. I tuoi sensi non sono usi a incontrare il mistero e a rabbrividirne. Il fatto è che la Natura, essendo poesia, ha bisogno del mio soccorso, perchè ha bisogno dei poeti suoi interpreti, che sono miei schiavi.

Modestia: – E i prosatori?

Réclame: – La poesia si fa anche in prosa, scioccherella!, quando la prosa si mette in versi e nelle porcherie i sensi diventano strumenti d'infinita virtù… atti a penetrare i misteri più reconditi, a scoprire i segreti più reconditi. Ma tu non puoi comprendere… Piuttosto, dimmi: Perchè gli scrittori scrivono?

Modestia: – Per conforto all'amore e alla sventura.

Réclame: – Rispondi bene, o torno a leggere!.. «Colui il quale molto ha sofferto è men sapiente di colui il quale molto ha goduto…»

Modestia: – Basta, basta… Dirò che scrivono per guadagnare.

Réclame: – In Italia? Nemmeno gli agenti delle tasse dan valore ai libri!

Modestia: – Non so, allora…

Réclame: – Non mentire!

Modestia: – Dirò che scrivono per la gloria…

Réclame: – Bene!.. Ma oggi chi crede più che l'anima sopravviva al corpo? Dunque gli scrittori, nel dubbio di non poter visitare le biblioteche in ispirito, fra secoli, a conoscere quali opere vi si leggeranno, fan bene a rincorrere la gloria, per ogni via, finchè sono in vita. Aggiungi che oggi la chimica insegna come l'inchiostro e la carta dei libri moderni, a differenza dei cinquecentisti e delle pergamene, sono facile preda di microbi, e fra tre o quattro secoli non saranno intelligibili che i libri in carta a mano: proprio quelli degli scrittori ricchi, dilettanti. Dunque il tempo commetterà enormi ingiustizie senza saperlo, alla maniera dei giurati; e così ai romanzieri e ai poeti val meglio provvedere alla loro fama presente, finchè sono in vita.

Modestia: – Che disperazione! Non capisco più nulla… Ma San Francesco… Oh! Ora che mi ricordo… I letterati non sono i soli artisti italiani invidiati da Giulio Claretie. Mi restano i pittori!

Réclame: – Perchè no? Tu andrai al loro cospetto nel costume di quelle donne che stanno in chiesa, presso una bara, nell'Ultimo Convegno; e ti farai credere, con cotesto naso, una modella. Poh! con qualche moina riuscirai forse a ingannarne qualcuno. Tuttavia, credimi, ti troverai a disagio; perchè, dopo l'invenzione del prerafaelismo le modelle digiunano. Io poi ho elevato le imagini prerafaelite agli annunzi d'ogni cosa; a tutti i muri e a tutte le cantonate; sicchè i pittori riconoscono anch'essi da me la loro insolita fortuna.

Modestia: – Gli scultori, dunque…?

Réclame: – Gli scultori ti odiano. È per colpa tua che essi han da fare pochi monumenti!

Modestia: – I musici… Andrò da un musico…

Réclame: – Perchè egli dedichi a te, invece che a sè stesso, le sue opere? Spera, spera! Per amor mio, fino i sacerdoti di quel Dio che insegnò: «Chi si umilia sarà esaltato», oggi hanno un conforto alle passioni antiche della politica e della corruttela: nei loro giornali possono leggere fra i telegrammi della cronaca artistica «… Al duetto di Gesù con la Maddalena, tutto il tempio scoppiò in frenetici applausi…»

Modestia: – È finita!.. Dove andrò, o Signore?..

Réclame:Quo vadis?… Ahi!.. Non ti resta che venire al mio servizio. Metterò qualche volta i tuoi abiti a mia cugina l'Ipocrisia, e metterò a te gli abiti e la maschera di lei…

Modestia: – Piuttosto morire!

Réclame: – Via! via! Aspetta almeno a quando avrai marito, per fare come Lucrezia romana, che dopo l'ultimo piacere si tramandò, o per te, o per l'Onore o per me o per tutti noi insieme, all'immortalità.

Modestia: – No! subito, o morire o fuggire dal consorzio civile! Andrò al polo nord!..

Réclame: – Come il dottor Cok! E tu cammini a piedi, a piedi scalzi e senza un soldo in tasca; così quando arrivassi alla terra degli Esquimesi troveresti ch'essi avrebbero già attaccati ai loro blocchi di ghiaccio, duri più del marmo, gli avvisi di casa Bertelli e di casa Suchard; e quando arrivassi nel cuore dell'Affrica, troveresti i cannibali già intenti a leggere i romanzi italiani tradotti in francese.

Ma ecco i miei fedeli. – To'! Me l'aspettavo! Sono tutti ubbriachi fradici. Anche i poeti, che, poverini, han preferito Lieo al Grande Pan…

Postiglioni, mi raccomando a voi…

················

Addio, Modestia, fatti coraggio!

················

Un urlo straziante, una scossa della vettura… Che cosa è stato? Ah niente! S'è gettata la Modestia fra le zampe dei miei puledri, sotto le ruote del mio cocchio. Una maniera di suicidio che Maupassant trovò per uno de' suoi personaggi: un plagio; e neanche i plagi commuovono più le fantasie! Poi, bel gusto ammazzarsi in una campagna solitaria ove non c'è nessuno a provar raccapriccio! Inutile a sè stessa in vita, neppure morendo la Modestia ha saputo provvedere alla propria fama. Doveva finire così!

L'entusiasta punito

Per l'abuso che ne fecero i poeti, chi ammira più i palpiti e i raggi delle stelle? Ma l'anima di Carlo Dònnola ancora aveva rapimenti a un fulgido cielo. Nemmeno gl'innamorati oggidì s'intendono nella bramosia dell'argento lunare e preferiscono la povertà delle tenebre; ma Carlo Dònnola beveva il latte della luna con tal gioia che le pupille gli s'inumidivano come a uno spirituale liquore s'inumidiscono le pupille d'un ebro. E se in noi fu esausta dall'artificio l'ammirazione per i fiori, tanto che d'una rosa fresca diciamo «sembra di seta o di cera», a Dònnola una viva rosa carnicina sembrava tuttavia di «carne»; e contemplata e annusata a lungo una bella rosa pallida, egli elevava il naso elevando gli occhi, come a una visione, e «Dolce signora – esclamava mestamente – io v'amo!»

Con ciò non si afferma che Carlo fosse ancora vergine alle impressioni della natura; bensì che era in lui una nativa, particolare attitudine a sorprendere il bello in tutte le cose, in tutta la vita; ad avvertire quel che gli altri spesso, mortificati dal brutto, non avvertono e che egli con sincero entusiasmo e con un sibilo iniziale rivelava per mezzo degli aggettivi, spiccioli o a coppie, «stupendo! sovrano! – superbo! squisito! – supremo! sovrumano! – straordinario! sublime!»

Neanche perciò si afferma ch'egli fosse un poeta; giacchè si sa, e Teofilo Gautier lo dice, che i poeti vedono il bello dove non è: «Les poètes prennent habituellement d'assez sales guenipes pour maîtresses»: Carlo Dònnola invece vedeva il bello dov'era. Così mentre altri alle esposizioni artistiche fuggiva dalle sale di scultura, egli s'arrestava d'improvviso dinanzi a qualche grazioso ninnolo statuario, il quale all'occhio comune era impercettibile fra tanti orrori; o ristando dinanzi a ciò per cui inorridivano gli altri, egli solo, súbito, indicava o la minima parte o la linea lodevole.

Quante volte nelle tele sciagurate di colore e di disegno non vantava giustamente l'intenzione del pittore? E, non a torto, quando in cospetto a un nuovo edificio tutti biasimavano l'architettura moderna, egli notava: – Che bel camino! – Beato lui! A una sinfonia d'imitazione wagneriana cadeva ogni possa anche nel più classicista ascoltatore e critico; ma Dònnola riteneva, per zufolarle dopo, quelle poche note che erano state come una fugace spera di sole tra una nebbia folta o in una roboante tempesta.

Beato lui! Nei versi e nelle prose di qualche magnifico scrittore moderno molti si smarrivano a cercare pensiero e sentimento; ma egli, pronto, afferrava aggettivi e li ripeteva all'altrui meraviglia.

– Sì; bell'aggettivo – confessavano. – E l'idea?

E lui:

– Il verso è per l'aggettivo, e non per l'idea. Simbolismo!

Carlo Dònnola era dunque un uomo d'ingegno, sebbene in fama di stupido. L'uomo d'ingegno, veramente, è infelice, perchè non meno ammira il bello di quel che s'offenda del brutto; invece Carlo viveva felice pascendosi soltanto di bellezza. Quando però venne il dì che lo vidi soffrire, allora io non dubitai più oltre che la sua fama di stupido era ingiusta.

*

Si erra pure a dir volubile quell'ammiratore della bellezza femminile che vedendo oggi una più bella donna, non dispregia per essa la donna lodata o amata ieri. Carlo non procedeva nemmeno a confronti: progrediva nell'entusiasmo, perchè la sua fortuna ogni giorno gli recava innanzi creature in tutto o in parte più mirabili. Gli amici se ne affliggevano, invidiosi. – Excelsior! – dicevano ironicamente. – Ma trovata che abbia l'eccelsa, la perfetta, lo vedremo precipitare! —

Nossignori. Carlo Dònnola vide l'eccelsa: Teresa Gurli; la sposò e continuò a salire. Infatti la conoscenza della perfezione non si acquista che a gradi; esercizio e pratica bisognano alle indagini e alla percezione del bello. D'altra parte, il bello e il bene, secondo i filosofi, sono una cosa stessa, e chi ama l'uno ama l'altro; quindi nelle donne ammirate, desiderate e amate Carlo non aveva mai conosciuto se non i saggi che delle loro grazie la legge morale (cioè il bene entro certi limiti) concede alle donne di porgere al mondo, a tutti: il resto è o dovrebbe essere per il solo eletto, per il marito. E divenuto per la prima volta marito, Carlo ebbe imprevedute rivelazioni, innumerevoli meraviglie, estetiche scoperte, portentose gioie, straordinarie squisite stupende supreme sublimi esclamazioni.

Io strinsi amicizia con lui appunto in quei giorni che il matrimonio lo traeva all'estasi. Oramai, come insufficienti, dimenticava gli aggettivi dall'iniziale sibilante; e non ripeteva più, come esigua, l'esclamazione «divina» riserbata fino allora per lode sintetica a qualche esemplare del «femminino eterno»; bensì elevava al cielo, senza dir nulla, gli occhi sprizzanti una letizia sovrumana. Tale, quale un uomo antico a cui una dea apparisse senza spaventarlo. Tale, rovesciava in me le confidenze che gli alleviavano la felicità soverchia.

– Teresa – mi disse una volta – è sterile. Pensa: nessuna deformazione, nessun danno per la sua bellezza!

– La corporale bellezza di Teresa – un'altra volta mi accertava – è nulla a paragone dell'anima sua. Se tu sentissi l'anima sua!

E io, da amico sincero, da amico che eccitava l'imaginativa a comprendere così prezioso tesoro, per poco non gli dicevo:

– Deh! fammela sentire!

*

Or bene, quest'uomo nato a bearsi della vita e degno, degnissimo della felicità; quest'uomo…

Conviene ripeterlo: Carlo amava anche la virtù: che è la bellezza dell'animo non caduca, non fragile alle offese dei malanni, non deperibile alla diuturna ingiuria del tempo; che è il balsamo conservatore dell'amore coniugale, la maglia di salute per le anime sensibili a quelle intemperie le quali conturbano lo spirito moderno, e penetrano e soffiano tra le domestiche pareti, e raffreddano il sentimento in guisa che la ragione scusi poi l'«incompatibilità di carattere», la «separazione», il divorzio, il vizio, l'a…dulterio! Ah quando le malattie non isciupassero troppo presto in Teresa il formoso corpo per cui Dònnola era assorto a gustarne l'anima, a poco a poco, senz'accorgersene, egli assisterebbe all'opera distruggitrice, lenta e assidua, degli anni: scolorate, anzi, le belle forme; pacati i sensi; sfiorita la giovinezza, più libera risplenderebbe l'intima virtù che agli occhi almeno del suo Carlo renderebbe Teresa giovanilmente amabile sino alla vecchiaia.

 

Ebbene, quest'uomo io lo rividi non un anno dopo il matrimonio e non lo riconobbi subito.

– Che hai? Cos'hai fatto, Carlo?

Portava abiti alla moda, ma con l'abbandono di un lion che ritorni verde da una bisca; avrei potuto scommettere che quel giorno non s'era mutato, lui!, di camicia; e i baffi, erti una volta ad arco, gli spiovevano simili ai baffi di un cinese.

Rispose:

– Mah!.. – E alzò il capo in una vana scossa dal peso enorme che l'abbatteva.

– Tua moglie… è ammalata?

– No no. – Disse «no no» a mezza voce, triste, negando insieme e non negando. Sembrava più confermare che negare.

– Forse – io insistetti per pietà, mentre già sorridevo per conforto – forse è incinta?

– No no. – Negava e non negava. E m'attristai anch'io credendo d'indovinare, finalmente.

– Un… aborto?

– No no – ; come dianzi.

Allora con rapida memoria io, che avevo il dovere di confortarlo, riandai quanti malanni possono colpire una donna; con rapido esame li paragonavo a quella disperazione abbandonata e quasi muta; nè a tanta afflizione trovai convenir altra sventura che una che non era da esprimere se non con una perifrasi misericorde.

– Scusami, Carlo, se insisto…; ma a un amico come me… Di' dunque: l'isterismo… fa certi scherzi… passeggeri però; di cui si guarisce…

No, Teresa non era impazzita. Eppure, egli non negava del tutto neppur questo!

– Ti dirò poi – Dònnola m'interruppe, stendendomi la mano.

Oh!..

Oh Dio! Senza chiedergli più nulla gli strinsi la mano, gli dissi: – Coraggio – ; gli dissi con uno sguardo che avevo compreso tutto!.. Sua moglie lo tradiva.

Lo tradiva! Ma quantunque io leggessi molti romanzi francesi e italo-francesi, quantunque frequentassi il teatro drammatico, non sapevo persuadermi che quella donna avesse tradito l'amico mio prima d'un anno dalle nozze. A poco a poco, dubitai d'aver errato nella mia interpretazione e ricordai che nel lasciarmi Carlo mi aveva quasi detto con gli occhi: «Tradimento, sì; ma che tradimento intendi?»

Forse era un'infedeltà di nuovo genere. Poi riflettei su quel suo negare e non negare a ogni mia precedente dimanda…

Forse Teresa?.. E mi convincevo così, adagio adagio, d'una colpa e d'una sciagura mostruosa a cui fossero parti integrali il morbo, la figliazione, l'aborto, la demenza, il tradimento, la turpitudine; sebbene non potessi chiaramente definire qual cosa mai l'indegna moglie avesse fatta. Quando…

… Ah sì, povero Carlo!.. Non m'ingannavo più! Che colpa! che sciagura! che orrore! quando ricevetti:

Petali e corolle
versi
di
Teresa Gurli Dònnola