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Vecchie storie d'amore

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– È vero? – incalzava l'altro – : di vostro marito?

– Sí! – E questo non fu il solito sí; fu un sí aspro, secco, trafiggente. L'altro continuò:

– E voi fino ad oggi avete sofferta la mia servitú solo in ubbidienza della moda?

– Sí!

– … ed io vi ho annoiato sempre, sino ad oggi, senza accorgermene?

– Sí!

La Fratta divenne rosso; ma era cavaliere, e si contenne.

– Dunque – conchiuse – non vi annoierò piú, signora marchesa! Solo permettetemi l'ultimo consiglio: se non volete far ridere il mondo non riferite questo nostro colloquio all'abate Fantelli. – E per un supremo sforzo di galanteria cercò di baciare la destra dal polso febbrile e loquace: la marchesa ritrasse la destra; ond'egli, senza inchinarsi, uscí dalla camera.

Ma quando la portiera fu ricaduta dietro di lui, la dama, alzatasi vispa e gaia come quella che da un mese non aveva avuta emicrania, con un lungo sospiro di soddisfazione esclamò: – Finalmente!

Indi si chiese: «Perché non dir tutto all'abate Fantelli?»

Egli solo, infatti, avrebbe saputo spiegarle da che mai il conte avesse ricevuto la rivelazione improvvisa. «Gli dirò tutto – stabilí – ; e che egli rida e il mondo rida! Anzi!»

Infatti porgendosi vittima volontaria alla derisione del mondo ella dava al marito una prova d'amore sublime fino al sacrificio, sí che sollecitato e disposto da quella al suo amore, il marito non avrebbe piú repugnato – ella n'era certa – alle altre prove e piú seducenti prove dell'amor suo.

Frattanto il cavaliere di ritorno dalla dura battaglia contemplava la gravità della propria sconfitta e cercava rimedio a quello de' suoi affetti che dolorava ferito: l'affetto di sé medesimo; giacché l'altro pareva rimasto estinto di colpo. Rifletteva il conte che raccomandando alla dama di tacere aveva obliato la natura di lei e che s'ella parlasse – e parlerebbe – il mondo riderebbe di lui e non di lei, della quale – cosí era strana – nulla poteva sorprendere; ed egli considerava fra sé il capriccio di lei; si stupiva di non essersene accorto prima; si rassegnava a comprendere quel capriccio meno enorme di quanto aveva giudicato prima.

Il marchese Arnisio era un bel giovane, alto, pallido per sangue nobile da secoli, con dei modi di secolare nobiltà. Che meraviglia se la moglie, gelosa della dama la quale egli serviva, se n'era accesa a dispetto del mondo e del cavaliere servente?

E l'orgoglio del conte dolorava; e l'altro affetto, che ancora non era spento del tutto, sussultava d'un ultimo spasimo. Peggio, assai peggio che la derisione del mondo, la derisione della marchesa quand'ella innamorasse e seducesse suo marito!

E il battuto, fugato, disperato La Fratta concepí il disegno di salvare il suo decoro e la sua dignità nella stima del mondo e nella stima della marchesa.

Ond'éccolo in cerca del marchese Arnisio. Lo trovò per strada e al saluto di lui non fece né parola né cenno; di che l'Arnisio gli chiese la causa e della risposta fu sí poco contento da ammonire La Fratta che non salutare chi merita rispetto e onore è villania. Ma poiché la taccia di villania a chi merita rispetto e onore è grave ingiuria, il conte trasse la spada: trasse la spada il marchese; e al terzo colpo la lama del conte segnò di rosso la destra dell'avversario.

Pronto questi strinse colla pezzòla di battista il taglio che non era profondo, e poi domandò senz'ira:

– Ora mi direte perché un cavaliere come siete voi ha voluto attaccar briga con un cavaliere come sono io.

– Per provarvi – rispose La Fratta alla dimanda che s'aspettava – per provarvi che se da oggi in avanti non servirò piú vostra moglie e non entrerò mai piú nella vostra casa, la colpa è vostra.

Il marchese, udita tal spiegazione del fatto, ne capí meno di prima e ribatté:

– Spiegatevi!

E il conte:

– Vostra moglie è sdegnata meco e infastidita della mia servitú perché io, e non voi, ho scoperto ch'essa è innamorata di voi.

Allora l'Arnisio rimase proprio quale era rimasto La Fratta alla rivelazione del polso; fors'anche con uguale timore volse il pensiero al riso del mondo, ed egli chiese con tono e impeto d'incredulità e di sorpresa:

– In che modo avete saputo ciò? E ne siete sicuro?

– Il modo – rispose dignitosamente La Fratta – è un segreto dell'abate Fantelli; ma di ciò sono tanto sicuro che solo per ciò un cavaliere come son io ha potuto attaccar briga con un cavaliere come siete voi.

A tali parole il marchese sorrise e porgendo la mano ferita all'amico

– Conte La Fratta – esclamò contento – , io vi ringrazio!

LE FONTI

I

1. Fabliau de Guillaume au faucon.

2. Fabliau du Vair Palefroi e una favola di Fedro – La seconda parte è d'invenzione.

3. Masuccio Salernitano.

II

1. Prato Spirituale dei Santi Padri, cap.o XI: «… nel monasterio di Pentula era un frate a sé medesimo molto intento e continente; ed essendo impugnato dallo spirito della fornicazione, non potendo questa battaglia sostenere, uscí dal monasterio e andò in Gerico per satisfare alla sua concupiscenza; e súbito che e' fu entrato nella cella della meretrice fu tutto leproso…»

2. Gesta Romanorum (De constantia fidelis animae): «… post gallicantum de lecto surrexit, intime firmamentum vidit, in quo clare dominum nostrum I. C. inter stellas respexit et dicentem: … tempus est ut pro meo amore… studeas viriliter contra inimicos meos pugnare…» etc. Ma d'invenzione sono il secondo e il terzo capitolo.

3. Vite dei Santi Padri: «Una vergine ancella di G. C., la quale stava insieme con due altre vergini, et eravi stata ben sette anni, da un cantatore fu tanto sollecitata e visitata che cadde con lui in peccato… E venne in tanto odio di lui e di sé che, quasi vergognandosi di vivere, incominciò sí dura et aspra penitenzia che poco meno che non s'uccise.»

III

1. Novellino: Qui conta una novella d'amore.

2. Fabliau: Le chevalier qui recouvra l'amour de sa dame.

3. Fabliau: Roman de un chevalier et de sa dame et de un clerk. – I lascivi novellieri erotici del '400 sono alcuni volgarissimi; altri (ricordate il Piccolomini) sentimentali. Riuscii a rendere questa disuguaglianza del sentire in una novella sola?

4. La corruzione della passione erotica nel secolo XVI quali novellieri resero meglio di queste Lettere Amorose di Alvise Pasqualigo (Venezia, 1569)? [Vedi A. A. Romanzieri e Romanzi del cinq. e del seic.] Ne' riferimenti ho mutato solo la grafia.

5. Novelle degli Accademici Incogniti (30ª, di F. Carmeni).

6. Gesta Romanorum: «Legitur, ut dicit Macrobius, quod erat quidam miles qui habuit uxorem suam suspectam…» Chiede, il soldato, consiglio al prete; il quale «manum dominae accepit et pulsum suum tetigit; deinde sermonem de eo fecit, cum quo erat scandalizata et vehemens suspicio: statim pre gaudio pulsus incepit velociter moveri et calefieri… Clericus, cum percepisset hoc, incepit sermonem de viro suo habere, et pulsus statim ab omni motu et calore cessabat.»

Fu scritta, quest'ultima, nel marzo del 1894.

NOTA

… L'indagine psicologica, l'osservazione e lo studio del fenomeno spirituale, l'analisi del sentimento sono la caratteristica della nostra età e il tormento nostro. Questa curiosità pretensiosa di conoscere noi stessi sembra penetrare dalla scienza nella vita comune e divenire abitudine e sollazzo dello spirito. Il cronista narra della ragazza che s'è avvelenata e riferisce i particolari piú minuti del fatto; ma non ci bastano essi, e vorremmo sapere quale successione di pensieri dolorosi o folli, quale aberrazione di sentimento ed esagerazione di passione erotica, quale cumulo di avverse circostanze esteriori e che influenza di contorno ha condotto quella femminetta al proposito insano.

Né ci sbigottisce e rattiene la profanazione dell'idealità; anzi ci sembra d'innalzare noi stessi abbassando i grandi uomini a noi se possiamo apprenderne a rilevarne i difetti o le colpe. E non la sola vaghezza dell'ignoto, ma l'avidità di conoscere in che guisa vivevano e come sentivano i nostri avi induce gli studiosi a violare per gli archivi i segreti del tempo e della morte e innamora le persone severe e cólte alla storia dei costumi. Però l'efficacia della critica storica è tanta che non si capirebbe senza avvertire questa ragione remota della sua necessità.

Ma l'arte quando esagera le tendenze dell'età sua si pervertisce sempre e pervertisce e stanca: onde l'uggia del romanzo psicologico decaduto a una specie di psicologia romanzesca; onde il rimprovero che si muove pure ai poeti di ricercar troppo e con morboso compiacimento le sensazioni insolite, le esagerazioni sentimentali, le infermità psichiche nella passione umana; e quindi anche il desiderio che l'arte si ritempri ai modi degli artisti sani e validi, e, pur rinnovandosi, anzi per rinnovarsi meglio, si rifaccia espressione schietta e forte del sentire e della vita.

Del qual desiderio tenuto conto, e, d'altra parte, tenendo conto della fortuna che seconda gli studi intorno il costume antico, non sarebbe meraviglia se a qualche scrittore venisse l'idea di rinnovare, con invenzione sua, il racconto del fatto antico… Ma qual norma dovrebbe seguire questo raccontatore di novelle che ritraessero costumi e vita d'altri tempi e la passione di tutti i tempi?

Per me, una delle due:

O la maniera arcaica, cosí nello stile come nello sviluppo del racconto (prova d'arte riflessa, a diletto di pochi dotti: già sfoggio in Balzac di maestria e di meravigliosa potenza stilistica e fantastica, e, da noi, esercizio, affettazione di bello stile nel Cesari, nel Colombo, nello Zambrini, nel Livaditi, in altri, e, non è molto, grazioso capriccio di Ugo Fleres);

 

o (per prova d'arte spontanea, a diletto di tutti) la maniera moderna: cioè, nulla d'arcaico nel racconto, se non, intimamente, quanto bisogna a non offendere la rappresentazione, la verità, la visione dell'antico e la realtà della storia: dunque profittare d'ogni mezzo che noi abbiamo imparato e conserviamo dell'arte vecchia perché nuovo in eterno; colorire modernamente la forma, per quanto è possibile e conviene, e anche improntare il racconto di quell'osservazione e spiegazione psicologica da cui oggi acquista verosimiglianza e allettamento lo sviluppo della passione. Soltanto un'impronta, s'intende; e a ciò si pretenderebbe un senso delicatissimo di temperanza fra il vecchio e quello che può rimanere moderno…

Ma rifarsi all'arte ingenua e primitiva dei trecentisti, del Sacchetti, per esempio, adattando a quella loro bella semplicità il moderno stile semplificato, non credo si possa senza offendere il precetto oraziano, l'immutabile precetto del cor sincerum… Nessun grande artista si sottrasse mai del tutto al suo tempo, pur quando ne avversò i gusti e ne avvisò gli errori, e in arte non si saltano impunemente quattro o cinque secoli…

A. A. (Da un articolo del Fanfulla domenicale n.o 8, an. XVII).