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Mentre parlava, i due a cui toccava a fare, diedero una girata a’ legnetti. Renzo s’acquietò, come un cavallo bizzarro che si sente il labbro stretto tra le morse, e esclamò: – pazienza!

– Bravo figliuolo! – disse il notaio: – questa è la vera maniera d’uscirne a bene. Cosa volete? è una seccatura; lo vedo anch’io; ma, portandovi bene, in un momento ne siete fuori. E giacché vedo che siete ben disposto, e io mi sento inclinato a aiutarvi, voglio darvi anche un altro parere, per vostro bene. Credete a me, che son pratico di queste cose: andate via diritto diritto, senza guardare in qua e in là, senza farvi scorgere: così nessuno bada a voi, nessuno s’avvede di quel che è; e voi conservate il vostro onore. Di qui a un’ora voi siete in libertà: c’è tanto da fare, che avranno fretta anche loro di sbrigarvi: e poi parlerò io… Ve n’andate per i fatti vostri; e nessuno saprà che siete stato nelle mani della giustizia. E voi altri, – continuò poi, voltandosi a’ birri, con un viso severo: – guardate bene di non fargli male, perché lo proteggo io: il vostro dovere bisogna che lo facciate; ma ricordatevi che è un galantuomo, un giovine civile, il quale, di qui a poco, sarà in libertà; e che gli deve premere il suo onore. Andate in maniera che nessuno s’avveda di nulla: come se foste tre galantuomini che vanno a spasso – E, con tono imperativo, e con sopracciglio minaccioso, concluse: – m’avete inteso – Voltatosi poi a Renzo, col sopracciglio spianato, e col viso divenuto a un tratto ridente, che pareva volesse dire: oh noi sì che siamo amici!, gli bisbigliò di nuovo: – giudizio; fate a mio modo: andate raccolto e quieto; fidatevi di chi vi vuol bene: andiamo – E la comitiva s’avviò.

Però, di tante belle parole Renzo, non ne credette una: né che il notaio volesse più bene a lui che a’ birri, né che prendesse tanto a cuore la sua riputazione, né che avesse intenzion d’aiutarlo: capì benissimo che il galantuomo, temendo che si presentasse per la strada qualche buona occasione di scappargli dalle mani, metteva innanzi que’ bei motivi, per istornar lui dallo starci attento e da approfittarne. Dimodoché tutte quelle esortazioni non servirono ad altro che a confermarlo nel disegno che già aveva in testa, di far tutto il contrario.

Nessuno concluda da ciò che il notaio fosse un furbo inesperto e novizio; perché s’ingannerebbe. Era un furbo matricolato, dice il nostro storico, il quale pare che fosse nel numero de’ suoi amici: ma, in quel momento, si trovava con l’animo agitato. A sangue freddo, vi so dir io come si sarebbe fatto beffe di chi, per indurre un altro a fare una cosa per sé sospetta, fosse andato suggerendogliela e inculcandogliela caldamente, con quella miserabile finta di dargli un parere disinteressato, da amico. Ma è una tendenza generale degli uomini, quando sono agitati e angustiati, e vedono ciò che un altro potrebbe fare per levarli d’impiccio, di chiederglielo con istanza e ripetutamente e con ogni sorte di pretesti; e i furbi, quando sono angustiati e agitati, cadono anche loro sotto questa legge comune. Quindi è che, in simili circostanze, fanno per lo più una così meschina figura. Que’ ritrovati maestri, quelle belle malizie, con le quali sono avvezzi a vincere, che son diventate per loro quasi una seconda natura, e che, messe in opera a tempo, e condotte con la pacatezza d’animo, con la serenità di mente necessarie, fanno il colpo così bene e così nascostamente, e conosciute anche, dopo la riuscita, riscotono l’applauso universale; i poverini quando sono alle strette, le adoprano in fretta, all’impazzata, senza garbo né grazia. Di maniera che a uno che li veda ingegnarsi e arrabattarsi a quel modo, fanno pietà e movon le risa, e l’uomo che pretendono allora di mettere in mezzo, quantunque meno accorto di loro, scopre benissimo tutto il loro gioco, e da quegli artifizi ricava lume per sé, contro di loro. Perciò non si può mai abbastanza raccomandare a’ furbi di professione di conservar sempre il loro sangue freddo, o d’esser sempre i più forti, che è la più sicura.

Renzo adunque, appena furono in istrada, cominciò a girar gli occhi in qua e in là, a sporgersi con la persona, a destra e a sinistra, a tender gli orecchi. Non c’era però concorso straordinario; e benché sul viso di più d’un passeggiero si potesse legger facilmente un certo non so che di sedizioso, pure ognuno andava diritto per la sua strada; e sedizione propriamente detta, non c’era.

– Giudizio, giudizio! – gli susurrava il notaio dietro le spalle: – il vostro onore; l’onore, figliuolo – Ma quando Renzo, badando attentamente a tre che venivano con visi accesi, sentì che parlavan d’un forno, di farina nascosta, di giustizia, cominciò anche a far loro de’ cenni col viso, e a tossire in quel modo che indica tutt’altro che un raffreddore. Quelli guardarono più attentamente la comitiva, e si fermarono; con loro si fermarono altri che arrivavano; altri, che gli eran passati davanti, voltatisi al bisbiglìo, tornavano indietro, e facevan coda.

– Badate a voi; giudizio, figliuolo; peggio per voi vedete; non guastate i fatti vostri; l’onore, la riputazione, – continuava a susurrare il notaio. Renzo faceva peggio. I birri, dopo essersi consultati con l’occhio, pensando di far bene (ognuno è soggetto a sbagliare), gli diedero una stretta di manichini.

– Ahi! ahi! ahi! – grida il tormentato: al grido, la gente s’affolla intorno; n’accorre da ogni parte della strada: la comitiva si trova incagliata. – È un malvivente, – bisbigliava il notaio a quelli che gli erano a ridosso: – è un ladro colto sul fatto. Si ritirino, lascin passar la giustizia – Ma Renzo, visto il bel momento, visti i birri diventar bianchi, o almeno pallidi, «se non m’aiuto ora, pensò, mio danno». E subito alzò la voce: – figliuoli! mi menano in prigione, perché ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo: aiutatemi, non m’abbandonate, figliuoli!

Un mormorìo favorevole, voci più chiare di protezione s’alzano in risposta: i birri sul principio comandano, poi chiedono, poi pregano i più vicini d’andarsene, e di far largo: la folla in vece incalza e pigia sempre più. Quelli, vista la mala parata, lascian andare i manichini, e non si curan più d’altro che di perdersi nella folla, per uscirne inosservati. Il notaio desiderava ardentemente di far lo stesso; ma c’era de’ guai, per amor della cappa nera. Il pover’uomo, pallido e sbigottito, cercava di farsi piccino piccino, s’andava storcendo, per isgusciar fuor della folla; ma non poteva alzar gli occhi, che non se ne vedesse venti addosso. Studiava tutte le maniere di comparire un estraneo che, passando di lì a caso, si fosse trovato stretto nella calca, come una pagliucola nel ghiaccio; e riscontrandosi a viso a viso con uno che lo guardava fisso, con un cipiglio peggio degli altri, lui, composta la bocca al sorriso, con un suo fare sciocco, gli domandò: – cos’è stato?

– Uh corvaccio! – rispose colui. – Corvaccio! corvaccio! – risonò all’intorno. Alle grida s’aggiunsero gli urtoni; di maniera che, in poco tempo, parte con le gambe proprie, parte con le gomita altrui, ottenne ciò che più gli premeva in quel momento, d’esser fuori di quel serra serra.

CAPITOLO XVI

Scappa, scappa, galantuomo: lì c’è un convento, ecco là una chiesa; di qui, di là, – si grida a Renzo da ogni parte. In quanto allo scappare, pensate se aveva bisogno di consigli. Fin dal primo momento che gli era balenato in mente una speranza d’uscir da quell’unghie, aveva cominciato a fare i suoi conti, e stabilito, se questo gli riusciva, d’andare senza fermarsi, fin che non fosse fuori, non solo della città, ma del ducato. «Perché», aveva pensato, «il mio nome l’hanno su’ loro libracci, in qualunque maniera l’abbiano avuto; e col nome e cognome, mi vengono a prendere quando vogliono». E in quanto a un asilo, non vi si sarebbe cacciato che quando avesse avuto i birri alle spalle. «Perché, se posso essere uccel di bosco», aveva anche pensato, «non voglio diventare uccel di gabbia». Aveva dunque disegnato per suo rifugio quel paese nel territorio di Bergamo, dov’era accasato quel suo cugino Bortolo, se ve ne rammentate, che più volte l’aveva invitato a andar là. Ma trovar la strada, lì stava il male. Lasciato in una parte sconosciuta d’una città si può dire sconosciuta, Renzo non sapeva neppure da che porta s’uscisse per andare a Bergamo; e quando l’avesse saputo, non sapeva poi andare alla porta. Fu lì lì per farsi insegnar la strada da qualcheduno de’ suoi liberatori; ma siccome nel poco tempo che aveva avuto per meditare su’ casi suoi, gli eran passate per la mente certe idee su quello spadaio così obbligante, padre di quattro figliuoli, così, a buon conto, non volle manifestare i suoi disegni a una gran brigata, dove ce ne poteva essere qualche altro di quel conio; e risolvette subito d’allontanarsi in fretta di lì: che la strada se la farebbe poi insegnare, in luogo dove nessuno sapesse chi era, né il perché la domandasse. Disse a’ suoi liberatori: – grazie tante, figliuoli: siate benedetti, – e, uscendo per il largo che gli fu fatto immediatamente, prese la rincorsa, e via; dentro per un vicolo, giù per una stradetta, galoppò un pezzo, senza saper dove. Quando gli parve d’essersi allontanato abbastanza, rallentò il passo, per non dar sospetto; e cominciò a guardare in qua e in là, per isceglier la persona a cui far la sua domanda, una faccia che ispirasse confidenza. Ma anche qui c’era dell’imbroglio. La domanda per sé era sospetta; il tempo stringeva; i birri, appena liberati da quel piccolo intoppo, dovevan senza dubbio essersi rimessi in traccia del loro fuggitivo; la voce di quella fuga poteva essere arrivata fin là; e in tali strette, Renzo dovette fare forse dieci giudizi fisionomici, prima di trovar la figura che gli paresse a proposito. Quel grassotto, che stava ritto sulla soglia della sua bottega, a gambe larghe, con le mani di dietro, con la pancia in fuori, col mento in aria, dal quale pendeva una gran pappagorgia, e che, non avendo altro che fare, andava alternativamente sollevando sulla punta de’ piedi la sua massa tremolante, e lasciandola ricadere sui calcagni, aveva un viso di cicalone curioso, che, in vece di dar delle risposte, avrebbe fatto delle interrogazioni. Quell’altro che veniva innanzi, con gli occhi fissi, e col labbro in fuori, non che insegnar presto e bene la strada a un altro, appena pareva conoscer la sua. Quel ragazzotto, che, a dire il vero, mostrava d’esser molto sveglio, mostrava però d’essere anche più malizioso; e probabilmente avrebbe avuto un gusto matto a far andare un povero contadino dalla parte opposta a quella che desiderava. Tant’è vero che all’uomo impicciato, quasi ogni cosa è un nuovo impiccio! Visto finalmente uno che veniva in fretta, pensò che questo, avendo probabilmente qualche affare pressante, gli risponderebbe subito, senz’altre chiacchiere; e sentendolo parlar da sé, giudicò che dovesse essere un uomo sincero. Gli s’accostò, e disse: – di grazia, quel signore, da che parte si va per andare a Bergamo?

 

– Per andare a Bergamo? Da porta orientale.

– Grazie tante; e per andare a porta orientale?

– Prendete questa strada a mancina; vi troverete sulla piazza del duomo; poi…

– Basta, signore; il resto lo so. Dio gliene renda merito – E diviato s’incamminò dalla parte che gli era stata indicata. L’altro gli guardò dietro un momento, e, accozzando nel suo pensiero quella maniera di camminare con la domanda, disse tra sé: «o n’ha fatta una, o qualcheduno la vuol fare a lui».

Renzo arriva sulla piazza del duomo; l’attraversa, passa accanto a un mucchio di cenere e di carboni spenti, e riconosce gli avanzi del falò di cui era stato spettatore il giorno avanti; costeggia gli scalini del duomo, rivede il forno delle grucce, mezzo smantellato, e guardato da soldati; e tira diritto per la strada da cui era venuto insieme con la folla; arriva al convento de’ cappuccini; dà un’occhiata a quella piazza e alla porta della chiesa, e dice tra sé, sospirando: «m’aveva però dato un buon parere quel frate di ieri: che stessi in chiesa a aspettare, e a fare un po’ di bene».

Qui, essendosi fermato un momento a guardare attentamente alla porta per cui doveva passare, e vedendovi, così da lontano, molta gente a guardia, e avendo la fantasia un po’ riscaldata (bisogna compatirlo; aveva i suoi motivi), provò una certa ripugnanza ad affrontare quel passo. Si trovava così a mano un luogo d’asilo, e dove, con quella lettera, sarebbe ben raccomandato; fu tentato fortemente d’entrarvi. Ma, subito ripreso animo, pensò: «uccel di bosco, fin che si può. Chi mi conosce? Di ragione, i birri non si saran fatti in pezzi, per andarmi ad aspettare a tutte le porte». Si voltò, per vedere se mai venissero da quella parte: non vide né quelli, né altri che paressero occuparsi di lui. Va innanzi; rallenta quelle gambe benedette, che volevan sempre correre, mentre conveniva soltanto camminare; e adagio adagio, fischiando in semitono, arriva alla porta.

C’era, proprio sul passo, un mucchio di gabellini, e, per rinforzo, anche de’ micheletti spagnoli; ma stavan tutti attenti verso il di fuori, per non lasciare entrar di quelli che, alla notizia d’una sommossa, v’accorrono, come i corvi al campo dove è stata data battaglia; di maniera che Renzo, con un’aria indifferente, con gli occhi bassi, e con un andare così tra il viandante e uno che vada a spasso, uscì, senza che nessuno gli dicesse nulla; ma il cuore di dentro faceva un gran battere. Vedendo a diritta una viottola, entrò in quella, per evitare la strada maestra; e camminò un pezzo prima di voltarsi neppure indietro.

Cammina, cammina; trova cascine, trova villaggi, tira innanzi senza domandarne il nome; è certo d’allontanarsi da Milano, spera d’andar verso Bergamo; questo gli basta per ora. Ogni tanto, si voltava indietro; ogni tanto, andava anche guardando e strofinando or l’uno or l’altro polso, ancora un po’ indolenziti, e segnati in giro d’una striscia rosseggiante, vestigio della cordicella. I suoi pensieri erano, come ognuno può immaginarsi, un guazzabuglio di pentimenti, d’inquietudini, di rabbie, di tenerezze; era uno studio faticoso di raccapezzare le cose dette e fatte la sera avanti, di scoprir la parte segreta della sua dolorosa storia, e sopra tutto come avean potuto risapere il suo nome. I suoi sospetti cadevan naturalmente sullo spadaio, al quale si rammentava bene d’averlo spiattellato. E ripensando alla maniera con cui gliel aveva cavato di bocca, e a tutto il fare di colui, e a tutte quell’esibizioni che riuscivan sempre a voler saper qualcosa, il sospetto diveniva quasi certezza. Se non che si rammentava poi anche, in confuso, d’aver, dopo la partenza dello spadaio, continuato a cicalare; con chi, indovinala grillo; di cosa, la memoria, per quanto venisse esaminata, non lo sapeva dire: non sapeva dir altro che d’essersi in quel tempo trovata fuor di casa. Il poverino si smarriva in quella ricerca: era come un uomo che ha sottoscritti molti fogli bianchi, e gli ha affidati a uno che credeva il fior de’ galantuomini; e scoprendolo poi un imbroglione, vorrebbe conoscere lo stato de’ suoi affari: che conoscere? è un caos. Un altro studio penoso era quello di far sull’avvenire un disegno che gli potesse piacere: quelli che non erano in aria, eran tutti malinconici.

Ma ben presto, lo studio più penoso fu quello di trovar la strada. Dopo aver camminato un pezzo, si può dire, alla ventura, vide che da sé non ne poteva uscire. Provava bensì una certa ripugnanza a metter fuori quella parola Bergamo, come se avesse un non so che di sospetto, di sfacciato; ma non si poteva far di meno. Risolvette dunque di rivolgersi, come aveva fatto in Milano, al primo viandante la cui fisonomia gli andasse a genio; e così fece.

– Siete fuor di strada, – gli rispose questo; e, pensatoci un poco, parte con parole, parte co’ cenni, gl’indicò il giro che doveva fare, per rimettersi sulla strada maestra. Renzo lo ringraziò, fece le viste di far come gli era stato detto, prese in fatti da quella parte, con intenzione però d’avvicinarsi bensì a quella benedetta strada maestra, di non perderla di vista, di costeggiarla più che fosse possibile; ma senza mettervi piede. Il disegno era più facile da concepirsi che da eseguirsi. La conclusione fu che, andando così da destra a sinistra, e, come si dice, a zig zag, parte seguendo l’altre indicazioni che si faceva coraggio a pescar qua e là, parte correggendole secondo i suoi lumi, e adattandole al suo intento, parte lasciandosi guidar dalle strade in cui si trovava incamminato, il nostro fuggitivo aveva fatte forse dodici miglia, che non era distante da Milano più di sei; e in quanto a Bergamo, era molto se non se n’era allontanato. Cominciò a persuadersi che, anche in quella maniera, non se n’usciva a bene; e pensò a trovar qualche altro ripiego. Quello che gli venne in mente, fu di scovar, con qualche astuzia, il nome di qualche paese vicino al confine, e al quale si potesse andare per istrade comunali: e domandando di quello, si farebbe insegnar la strada, senza seminar qua e là quella domanda di Bergamo, che gli pareva puzzar tanto di fuga, di sfratto, di criminale.

Mentre cerca la maniera di pescar tutte quelle notizie, senza dar sospetto, vede pendere una frasca da una casuccia solitaria, fuori d’un paesello. Da qualche tempo, sentiva anche crescere il bisogno di ristorar le sue forze; pensò che lì sarebbe il luogo di fare i due servizi in una volta; entrò. Non c’era che una vecchia, con la rocca al fianco, e col fuso in mano. Chiese un boccone; gli fu offerto un po’ di stracchino e del vin buono: accettò lo stracchino, del vino la ringraziò (gli era venuto in odio, per quello scherzo che gli aveva fatto la sera avanti); e si mise a sedere, pregando la donna che facesse presto. Questa, in un momento, ebbe messo in tavola; e subito dopo cominciò a tempestare il suo ospite di domande, e sul suo essere, e sui gran fatti di Milano: ché la voce n’era arrivata fin là. Renzo, non solo seppe schermirsi dalle domande, con molta disinvoltura; ma, approfittandosi della difficoltà medesima, fece servire al suo intento la curiosità della vecchia, che gli domandava dove fosse incamminato.

– Devo andare in molti luoghi, – rispose: – e, se trovo un ritaglio di tempo, vorrei anche passare un momento da quel paese, piuttosto grosso, sulla strada di Bergamo, vicino al confine, però nello stato di Milano… Come si chiama? – «Qualcheduno ce ne sarà», pensava intanto tra sé.

– Gorgonzola, volete dire, – rispose la vecchia.

– Gorgonzola! – ripeté Renzo, quasi per mettersi meglio in mente la parola. – È molto lontano di qui? – riprese poi.

– Non lo so precisamente: saranno dieci, saranno dodici miglia. Se ci fosse qualcheduno de’ miei figliuoli, ve lo saprebbe dire.

– E credete che ci si possa andare per queste belle viottole, senza prender la strada maestra? dove c’è una polvere, una polvere! Tanto tempo che non piove!

– A me mi par di sì: potete domandare nel primo paese che troverete andando a diritta – E glielo nominò.

– Va bene; – disse Renzo; s’alzò, prese un pezzo di pane che gli era avanzato della magra colazione, un pane ben diverso da quello che aveva trovato, il giorno avanti, appiè della croce di san Dionigi; pagò il conto, uscì, e prese a diritta. E, per non ve l’allungar più del bisogno, col nome di Gorgonzola in bocca, di paese in paese, ci arrivò, un’ora circa prima di sera.

Già cammin facendo, aveva disegnato di far lì un’altra fermatina, per fare un pasto un po’ più sostanzioso. Ilcorpo avrebbe anche gradito un po’ di letto; ma prima che contentarlo in questo, Renzo l’avrebbe lasciato cader rifinito sulla strada. Il suo proposito era d’informarsi all’osteria, della distanza dell’Adda, di cavar destramente notizia di qualche traversa che mettesse là, e di rincamminarsi da quella parte, subito dopo essersi rinfrescato. Nato e cresciuto alla seconda sorgente, per dir così, di quel fiume, aveva sentito dir più volte, che, a un certo punto, e per un certo tratto, esso faceva confine tra lo stato milanese e il veneto: del punto e del tratto non aveva un’idea precisa; ma, allora come allora, l’affar più urgente era di passarlo, dovunque si fosse. Se non gli riusciva in quel giorno, era risoluto di camminare fin che l’ora e la lena glielo permettessero: e d’aspettar poi l’alba, in un campo, in un deserto; dove piacesse a Dio; pur che non fosse un’osteria.

Fatti alcuni passi in Gorgonzola, vide un’insegna, entrò; e all’oste, che gli venne incontro, chiese un boccone, e una mezzetta di vino: le miglia di più, e il tempo gli avevan fatto passare quell’odio così estremo e fanatico. – Vi prego di far presto, soggiunse: – perché ho bisogno di rimettermi subito in istrada – E questo lo disse, non solo perché era vero, ma anche per paura che l’oste, immaginandosi che volesse dormir lì, non gli uscisse fuori a domandar del nome e del cognome, e donde veniva, e per che negozio… Alla larga!

L’oste rispose a Renzo, che sarebbe servito; e questo si mise a sedere in fondo della tavola, vicino all’uscio: il posto de’ vergognosi.

C’erano in quella stanza alcuni sfaccendati del paese, i quali, dopo aver discusse e commentate le gran notizie di Milano del giorno avanti, si struggevano di sapere un poco come fosse andata anche in quel giorno; tanto più che quelle prime eran più atte a stuzzicar la curiosità, che a soddisfarla: una sollevazione, né soggiogata né vittoriosa, sospesa più che terminata dalla notte; una cosa tronca, la fine d’un atto piuttosto che d’un dramma. Un di coloro si staccò dalla brigata, s’accostò al soprarrivato, e gli domandò se veniva da Milano.

– Io? – disse Renzo sorpreso, per prender tempo a rispondere.

– Voi, se la domanda è lecita.

Renzo, tentennando il capo, stringendo le labbra, e facendone uscire un suono inarticolato, disse: – Milano, da quel che ho sentito dire… non dev’essere un luogo da andarci in questi momenti, meno che per una gran necessità.

– Continua dunque anche oggi il fracasso? – domandò, con più istanza, il curioso.

– Bisognerebbe esser là, per saperlo, – disse Renzo.

– Ma voi, non venite da Milano?

– Vengo da Liscate, – rispose lesto il giovine, che intanto aveva pensata la sua risposta. Ne veniva in fatti, a rigor di termini, perché c’era passato; e il nome l’aveva saputo, a un certo punto della strada, da un viandante che gli aveva indicato quel paese come il primo che doveva attraversare, per arrivare a Gorgonzola.

– Oh! – disse l’amico; come se volesse dire: faresti meglio a venir da Milano, ma pazienza. – E a Liscate, – soggiunse, – non si sapeva niente di Milano?

– Potrebb’essere benissimo che qualcheduno là sapesse qualche cosa, – rispose il montanaro: – ma io non ho sentito dir nulla.

 

E queste parole le proferì in quella maniera particolare che par che voglia dire: ho finito. Il curioso ritornò al suo posto; e, un momento dopo, l’oste venne a mettere in tavola.

– Quanto c’è di qui all’Adda? – gli disse Renzo, mezzo tra’ denti, con un fare da addormentato, che gli abbiam visto qualche altra volta.

– All’Adda, per passare? – disse l’oste.

– Cioè… sì… all’Adda.

– Volete passare dal ponte di Cassano, o sulla chiatta di Canonica?

– Dove si sia… Domando così per curiosità.

– Eh, volevo dire, perché quelli sono i luoghi dove passano i galantuomini, la gente che può dar conto di sé.

– Va bene: e quanto c’è?

– Fate conto che, tanto a un luogo, come all’altro, poco più, poco meno, ci sarà sei miglia.

– Sei miglia! non credevo tanto, – disse Renzo. – E già, – e già, chi avesse bisogno di prendere una scorciatoia, ci saranno altri luoghi da poter passare?

– Ce n’è sicuro, – rispose l’oste, ficcandogli in viso due occhi pieni d’una curiosità maliziosa. Bastò questo per far morir tra’ denti al giovine l’altre domande che aveva preparate. Si tirò davanti il piatto; e guardando la mezzetta che l’oste aveva posata, insieme con quello, sulla tavola, disse: – il vino è sincero?

Come l’oro, – disse l’oste: – domandatene pure a tutta la gente del paese e del contorno, che se n’intende: e poi, lo sentirete – E così dicendo, tornò verso la brigata.

«Maledetti gli osti! «esclamò Renzo tra sé: «più ne conosco, peggio li trovo». Non ostante, si mise a mangiare con grand’appetito, stando, nello stesso tempo, in orecchi, senza che paresse suo fatto, per veder di scoprir paese, di rilevare come si pensasse colà sul grand’avvenimento nel quale egli aveva avuta non piccola parte, e d’osservare specialmente se, tra que’ parlatori, ci fosse qualche galantuomo, a cui un povero figliuolo potesse fidarsi di domandar la strada, senza timore d’esser messo alle strette, e forzato a ciarlare de’ fatti suoi.

– Ma! – diceva uno: – questa volta par proprio che i milanesi abbian voluto far davvero. Basta; domani al più tardi, si saprà qualcosa.

– Mi pento di non esser andato a Milano stamattina, – diceva un altro.

– Se vai domani, vengo anch’io, – disse un terzo; poi un altro, poi un altro.

– Quel che vorrei sapere, – riprese il primo, – è se que’ signori di Milano penseranno anche alla povera gente di campagna, o se faranno far la legge buona solamente per loro. Sapete come sono eh? Cittadini superbi, tutto per loro: gli altri, come se non ci fossero.

– La bocca l’abbiamo anche noi, sia per mangiare, sia per dir la nostra ragione, – disse un altro, con voce tanto più modesta, quanto più la proposizione era avanzata: – e quando la cosa sia incamminata… – Ma credette meglio di non finir la frase.

– Del grano nascosto, non ce n’è solamente in Milano, – cominciava un altro, con un’aria cupa e maliziosa; quando sentono avvicinarsi un cavallo. Corron tutti all’uscio; e, riconosciuto colui che arrivava, gli vanno incontro. Era un mercante di Milano, che, andando più volte l’anno a Bergamo, per i suoi traffichi, era solito passar la notte in quell’osteria; e siccome ci trovava quasi sempre la stessa compagnia, li conosceva tutti. Gli s’affollano intorno; uno prende la briglia, un altro la staffa. – Ben arrivato, ben arrivato!

– Ben trovati.

– Avete fatto buon viaggio?

– Bonissimo; e voi altri, come state?

– Bene, bene. Che nuove ci portate di Milano?

– Ah! ecco quelli delle novità, – disse il mercante, smontando, e lasciando il cavallo in mano d’un garzone. – E poi, e poi, continuò, entrando con la compagnia, – a quest’ora le saprete forse meglio di me.

– Non sappiamo nulla, davvero, – disse più d’uno, mettendosi la mano al petto.

– Possibile? – disse il mercante. – Dunque ne sentirete delle belle… o delle brutte. Ehi, oste, il mio letto solito è in libertà? Bene: un bicchier di vino, e il mio solito boccone, subito; perché voglio andare a letto presto, per partir presto domattina, e arrivare a Bergamo per l’ora del desinare. E voi altri, – continuò, mettendosi a sedere, dalla parte opposta a quella dove stava Renzo, zitto e attento, – voi altri non sapete di tutte quelle diavolerie di ieri?

– Di ieri sì.

– Vedete dunque, – riprese il mercante, – se le sapete le novità. Lo dicevo io che, stando qui sempre di guardia, per frugar quelli che passano…

– Ma oggi, com’è andata oggi?

– Ah oggi. Non sapete niente d’oggi?

– Niente affatto: non è passato nessuno.

– Dunque lasciatemi bagnar le labbra; e poi vi dirò le cose d’oggi. Sentirete – Empì il bicchiere, lo prese con una mano, poi con le prime due dita dell’altra sollevò i baffi, poi si lisciò la barba, bevette, e riprese: – oggi, amici cari, ci mancò poco, che non fosse una giornata brusca come ieri, o peggio. E non mi par quasi vero d’esser qui a chiacchierar con voi altri; perché avevo già messo da parte ogni pensiero di viaggio, per restare a guardar la mia povera bottega.

– Che diavolo c’era? – disse uno degli ascoltanti.

– Proprio il diavolo: sentirete – E trinciando la pietanza che gli era stata messa davanti, e poi mangiando, continuò il suo racconto. I compagni, ritti di qua e di là della tavola, lo stavano a sentire, con la bocca aperta; Renzo, al suo posto, senza che paresse suo fatto, stava attento, forse più di tutti, masticando adagio adagio gli ultimi suoi bocconi.

– Stamattina dunque que’ birboni che ieri avevano fatto quel chiasso orrendo, si trovarono a’ posti convenuti (già c’era un’intelligenza: tutte cose preparate); si riunirono, e ricominciarono quella bella storia di girare di strada in strada, gridando per tirar altra gente. Sapete che è come quando si spazza, con riverenza parlando, la casa; il mucchio del sudiciume ingrossa quanto più va avanti. Quando parve loro d’esser gente abbastanza, s’avviarono verso la casa del signor vicario di provvisione; come se non bastassero le tirannie che gli hanno fatte ieri: a un signore di quella sorte! oh che birboni! E la roba che dicevan contro di lui! Tutte invenzioni: un signor dabbene, puntuale; e io lo posso dire, che son tutto di casa, e lo servo di panno per le livree della servitù. S’incamminaron dunque verso quella casa: bisognava veder che canaglia, che facce: figuratevi che son passati davanti alla mia bottega: facce che… i giudei della Via Crucis non ci son per nulla. E le cose che uscivan da quelle bocche! da turarsene gli orecchi, se non fosse stato che non tornava conto di farsi scorgere. Andavan dunque con la buona intenzione di dare il sacco; ma… – E qui, alzata in aria, e stesa la mano sinistra, si mise la punta del pollice alla punta del naso.

– Ma? – dissero forse tutti gli ascoltatori.

– Ma, – continuò il mercante, – trovaron la strada chiusa con travi e con carri, e, dietro quella barricata, una bella fila di micheletti, con gli archibusi spianati, per riceverli come si meritavano. Quando videro questo bell’apparato… Cosa avreste fatto voi altri?

– Tornare indietro.

– Sicuro; e così fecero. Ma vedete un poco se non era il demonio che li portava. Son lì sul Cordusio, vedon lì quel forno che fin da ieri, avevan voluto saccheggiare; e cosa si faceva in quella bottega? si distribuiva il pane agli avventori; c’era de’ cavalieri, e fior di cavalieri, a invigilare che tutto andasse bene; e costoro (avevano il diavolo addosso vi dico, e poi c’era chi gli aizzava), costoro, dentro come disperati; piglia tu, che piglio anch’io: in un batter d’occhio, cavalieri, fornai, avventori, pani, banco, panche, madie, casse, sacchi, frulloni, crusca, farina, pasta, tutto sottosopra.