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I divoratori

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XVII

 
Oh bocca chiusa, oh fonte di mistero,
Schiudi le ignote tue delizie a me…
 

Alle rosse labbra arcuate di Aldo l'impellente passione di Nancy chiedeva non baci soltanto, ma parole.

– Parla, parla, – diceva lei, fissando coi chiari occhi urgenti quella giovine bocca vivida, dolce e silenziosa.

Durante le lunghe ore che passavano insieme, ella chiedeva, ed egli doveva rispondere. I suoi splendidi occhi profondi la incitavano a rapide domande, e i baci che egli le dava non spegnevano la sete della sua anima per l'anima di lui. Poco a poco, timidamente, ella scostava i cancelli del giardino chiuso; giorno per giorno arrischiava, trepida, un passo più in là nei misteriosi sentieri. Dove erano le non vedute rose? dove le fontane di luce e i laghi di mistero? Trepida, in punta dei piedi, ella s'avventurava per gli angusti sentieri dove prima di lei Clarissa e tante altre erano passate. Quando l'ebbe girato tutto, ella si disse:

– Io certo ho sbagliato. Non sono ancora entrata nel giardino…

Il matrimonio doveva aver luogo quasi subito. Aldo era impaziente, e Nancy innamorata. E il Libro aspettava. Quindi Valeria partì per Milano a preparare il corredo, e Nancy doveva seguirla una settimana dopo.

L'ultima sera nella villa Solitudine, Clarissa salì da Nancy per darle la buona notte in camera – nella grande camera vuota in cui il capolavoro non era stato scritto. I bauli di Nancy erano fatti, la penna d'avorio e il Libro riposti. E sulla grande tavola stava, vano e malinconico, l'immenso calamaio.

Nancy era appoggiata alla finestra guardando le stelle; Clarissa si mise accanto a lei, e immerse anch'ella lo sguardo frivolo in quelle profondità di cobalto.

– Detesto le stelle, – disse Nancy a bassa voce. – Ne ho tanto paura.

– Paura! Perchè? – rise Clarissa, per la quale una stella era una stella e null'altro.

– Oh! – sospirò piano Nancy, – vorrei essere certa che a un dato punto non ve ne fossero più!… Vorrei sapere che smettono, che terminano! Mi fa troppo terrore il favoloso Nulla al di là dello Spazio illimitato – il perpetuo Giammai al di là dell'Eternità senza fine. Vorrei che ci fosse una muraglia intorno all'universo, un baluardo che ci rinserrasse tutti sani e salvi, lontani dal terribile Infinito!

Clarissa rise.

– Che strane idee! Forse quando sarai sposata ti sentirai meno piccola e paurosa.

– Forse, – disse Nancy; e soggiunse: – Aldo dovrà essere il mio baluardo.

– Oh! diletta mia! – esclamò Clarissa, – per carità, non voler fare del povero Aldo ciò che non è. Aldo è bello, è delizioso, è adorabile! Ma quanto all'essere un baluardo, lo è quanto questa sciarpa!…

E lasciò sventolare nella quieta aria notturna il lieve velo diafano che portava al collo.

Poi la baciò e scese da suo marito che l'aspettava brontolando.

Quando furono a letto, Carlo disse:

– Sono seccato!

Clarissa, che non voleva informazioni a questo riguardo, continuò a leggere il suo libro di Mirbeau, particolarmente nauseabondo e affascinante.

– Sono seccato, – ripetè Carlo; – sento che non dovrei permettere che quel malarnese di mio fratello sposi quella cara ragazzina. So che la renderà infelice.

– Ma che! – disse Clarissa, – neanche per idea! Nancy sarà perfettamente beata scrivendo dei versi sul profilo di Aldo, finchè s'accorgerà che tutte le sue qualità terminano col suo naso greco. E allora si consolerà con qualcun altro. E sarà felice lo stesso.

– Ah, va bene, – grugnì Carlo. – Forse te ne intendi più di me. Già, voialtre donne siete tutte vipere, che non sapete che graffiare e gracidare.

– Che metafora mista! – mormorò Clarissa, spegnendo la candela col suo libro, cosa particolarmente spiacevole a Carlo. Poi si volse al muro, e si addormentò col confortante pensiero che Carlo, in vero, era un baluardo.

Le nozze di Nancy ebbero luogo a Roma. Tutti i poeti d'Italia mandarono dei poemi, e Nino le portò una collana di perle. Dal Quirinale venne un medaglione che racchiudeva la miniatura di un giovinetto. Nancy, pallida e riverente, osò sfiorare colle labbra quel grave viso d'adolescente, sulla cui fronte era già l'ombra d'una corona.

Dopo la colazione nuziale tutti gli invitati si accommiatarono, e si avviarono alle loro carrozze, passando gaiamente sul tappeto scarlatto steso sulla scalinata, dal portone fino all'orlo del marciapiede.

Poi Nancy, nell'abito da viaggio grigio-sorcio, abbracciò Valeria e pianse, dicendole addio. E abbracciò Nino e pianse, dicendogli addio.

Poi scese, sempre piangendo, le scale, e a braccio dello sposo traversò il tappeto rosso e salì in carrozza. Clarissa e Carlo, lo zio Giacomo, la zia Carlotta e Adele seguirono in altre vetture alla stazione, dove una grande folla aspettava per salutare alla partenza gli sposi.

Valeria e Nino restarono soli nelle stanze desolate.

Valeria teneva il viso nascosto nelle mani. Ella guardava nell'avvenire; vedeva la lunga fuga dei giorni a venire, oscuri e solitari.

Nino, con gli occhi velati di pianto, contemplava quella figura curva davanti a lui; e i suoi pensieri volsero indietro e risalirono il corso degli anni.

Si chinò e le prese la mano.

– Cuginetta mia! – diss'egli.

Ella gli sorrise di un sorriso triste. Poi gli domandò.

– A che cosa pensi?

Vi fu una pausa.

– Pensavo a Nancy e al passato, – rispose Nino. – Pensavo a suo padre – al povero Tom! morto così improvvisamente, così miseramente, in viaggio, fra estranei…

– Già, – sospirò Valeria; e aggiunse a bassa voce, seguendo il filo dei ricordi: – Ma bisognava salvare Nancy.

– E pensavo anche al vecchio nonno, morto solo, nella notte, sulla collina…

– Bisognava trovare Nancy, – disse Valeria.

– E pensavo alla piccola Edith e alla sua povera madre, che dovettero partir sole… abbandonate da quelli che amavano, nell'ora più fosca della loro vita…

– Ma bisognava pur proteggere Nancy, – disse Valeria, con grandi occhi stupiti.

Udendola, egli comprese tutta l'inesorabile, la spietata forza dell'amore materno. Per Valeria nulla contava, nulla esisteva all'infuori di Nancy, – di Nancy che pure con dolce mano incosciente le aveva tutto rapito. Anche lui, non si era staccato da lei, preso e avvinto da Nancy?

– E penso a te, Valeria, – seguitò Nino, con voce bassa e tremante, – a te, di cui io ho calpestato il povero cuore…

– Non importa, non era colpa tua, – disse Valeria con un piccolo singhiozzo. – Amavi Nancy; come potevi non amarla? – I pietosi occhi le si empirono di lagrime. – Ed ora anche le tue speranze sono naufragate, anche tu hai il cuore spezzato!…

Nino non rispose. Si volse e andò alla finestra. Rivedeva Nancy, Nancy dalla voce dolce, dagli occhi come giacinti ceruli sotto il fosco slancio delle chiome.

E ancora una volta egli comprese come essa, nella sua innocenza di tortorella, avesse assorbito e sommerso l'esistenza di tutti quelli che le stavano d'intorno. Nella sua soave debilità, nella sua fralezza puerile, ella aveva infranto, distrutto e devastato. Le esistenze di tutti quelli che l'avevano amata erano state necessarie a nutrire la chiara fiamma del suo genio, il bianco fuoco della sua gioventù.

Nino fissò gli occhi sul rosso tappeto nuziale che stendeva la sua striscia scarlatta fino all'orlo della strada. E gli parve un sentiero di sangue.

– Ecco – diss'egli – la traccia del Divoratore!… Ecco il passaggio della colombella di preda!…

Il treno palpitò e si scosse; poi si avviò lento; poi con battito affrettato pulsò fuori dalla tettoia della stazione. E per Nancy gli addii e gli evviva e i fazzoletti sventolanti furono lasciati indietro, fermi nel suo passato.

Essa allora sollevò verso lo sposo i teneri occhi illuminati di pianto.

Ora dunque le porte del giardino sognato s'aprirebbero al tocco della sua bianca mano consacrata. La chiusa anima di Aldo le si svelerebbe alfine.

Ora per lei le fonti di luce e i laghi di mistero, e le non vedute spirituali rose!

XVIII

Nancy e Aldo avevano prescelto Parigi per meta del viaggio di nozze; poichè, quando Valeria aveva suggerito la Svizzera, Aldo aveva dichiarato che di marine e di paesaggi lui ne aveva « pranzato e cenato ». Inoltre Clarissa aveva detto a Nancy:

– Mia cara, se ci tieni ad avere una percezione chiara della vita, e una mente bene equilibrata, pensa ad essere sempre vestita bene. Non è che quando abbiamo la coscienza di essere impeccabilmente abbigliate, che abbiamo la calma, abbiamo la chiarezza, abbiamo l'imperturbabilità.

– Davvero? – disse Nancy.

– Davvero, – disse Clarissa. – E non c'è che un sarto al mondo: Paquin. Se non si è vestite da Paquin, tanto vale girar nude.

Nancy sorrise.

– Sai, debbo pensare al mio Libro. E d'altronde, ci tengo poco alla toilette.

– Ah! – disse Clarissa, – ci tieni poco alla toilette? Sta bene. Sta bene. Fa a modo tuo. Se a te piace essere un fagotto di genio e di stracci, e farti prendere in odio da tuo marito prima che siano passati due mesi, fa a modo tuo e cónciati in giacche, blouse e sottane!

Si decisero dunque per Parigi; e in breve le quarantotto cicaleccianti « demoiselles » di Paquin furono intente ad appuntare costellazioni di pagliette, e nuvole di trine sulle seriche vesti vaporose per Nancy – le vesti che dovevano impedire ad Aldo di prenderla in odio fra due mesi.

Secondo il suggerimento di Aldo presero stanza in un alberghetto della rue Lafayette; poichè, diceva lui, non erano poi milionari, e si poteva far miglior uso dei quattrini che di regalarli ai proprietari di Grand Hôtel. Nancy trovò che egli aveva tutte le ragioni, e si meravigliò assai del suo senno.

Davvero che egli sapeva molte cose! Sapeva i prezzi di tutto quello che si mangiava, e piombava dritto come un falco sul più piccolo errore in un conto. E guai al cameriere che distrattamente addizionasse coi franchi anche la data scritta in cima alla nota! Per Nancy era un momento di terrore quello in cui, nei risplendenti restaurants, Aldo toglieva dal piatto il conto accuratamente piegato e lo ispezionava lungamente, incurante del naso amaro e solenne del capo-cameriere, che, ritto dietro a lui, gli guardava giù sarcasticamente sulla ben spazzolata scriminatura. Nancy notava anche che quando entravano in tali luoghi c'era subito un grande accorrere verso di loro, un aprir di porte con ossequiosi inchini, un additar di tavole con larghi gesti di braccio e di tovagliolo. Il cappello di Aldo gli era preso dalle mani con deferente cura, e il mantello di Nancy le veniva tolto e portato via con tenerezza riverente.... Ma quando, pagato il conto, si alzavano per andarsene, pareva che nessuno si ricordasse più della loro esistenza. Aldo doveva andarsi a prendere il cappello da sè, e cercare il mantello di Nancy, e anche aprire da solo le pesanti porte di cristallo, poichè il « chasseur », o non c'era, o guardava via, ridendo e scambiando delle strizzatine d'occhio coi camerieri.

 

Anche colle vetture accadeva la stessa cosa. Sempre il vetturino che arrivava era tutto sorrisi e cortesia e scappellate; e sempre il vetturino che partiva era tutto muso, e insulto, e monologo ad altissima voce.

– Questa gente crede che perchè siamo in viaggio di nozze dobbiamo essere idioti e pagar tutto il doppio, – disse Aldo. – Cara mia, il denaro è denaro.

Questa frase l'aveva imparata da suo nonno, che teneva un negozio di coralli in via Chiaia a Napoli. La moglie del nonno – una bionda di Piedigrotta, che nella sua radiosa adolescenza aveva posato per molti pittori tedeschi e inglesi – aveva detto: « Sì, ma l'educazione è l'educazione ». E aveva mandato i suoi tre figli in collegio a Modena e a Milano. Il maggiore, che fu poi padre di Carlo e di Aldo, aveva imparato a dire: « Un gentleman è un gentleman ». E per seguire questa massima non volle più avere nulla a che fare coi genitori che tenevano negozio a Napoli. Alla sua morte il primogenito Carlo, appena ventenne, si sentì in dovere di andare alla ricerca dei suoi nonni. Li trovò, placidi e grassi, nella loro bottega. Non avevano bisogno di lui; anzi ne avevano molta soggezione e lo chiamavano « Eccellenza ». Ma i due vecchi s'innamorarono subito del piccolo Aldo che aveva tredici anni ed era inverosimilmente bello. Lo tennero con loro, lo adorarono, lo viziarono, gli diedero la chiave del banco, perchè si divertisse a contare i denari… E ad Aldo piacquero molto i nonni e il loro negozio. E imparò che il denaro è denaro.

Nancy, di fronte a quella frase, ammutolì. Aldo, camminando al suo fianco lungo il boulevard, continuò:

– Vedi, è la gente come Carlo che guasta tutto per gli altri. Carlo è un perfetto cretino nello spendere i suoi denari.

– Oh! ma è così buono Carlo! – disse Nancy.

E lo disse con tale fervore che Aldo si chiese se per caso ella non sapesse che era Carlo che pagava tutte le loro spese, quelle del viaggio – con molte fantastiche aggiunte di Aldo – e anche quelle di tutto l'anno, a partire dal giorno delle loro nozze.

« Ma bada che dopo di ciò non ti dò più un soldo », aveva soggiunto Carlo, nel breve discorso fatto a suo fratello otto giorni prima che si sposasse. « Puoi contarci. Non più un soldo finchè campo! Dunque scuotiti, dàtti d'intorno, e fa qualche cosa di utile. A questo mondo si deve tutti sgobbare ».

Ma Aldo non intendeva di « sgobbare ». Rozza, inestetica parola. Come poteva un uomo, col fisico suo, « sgobbare »? Carlo non aveva nessun senso di delicatezza. Già lo diceva anche Clarissa… Ma in questa occasione Aldo non l'aveva consultata, perchè si ricordava di averla sentita dire un giorno: « Io capisco che si adori un uomo, ma non capisco che gli si paghino i debiti ».

In breve Nancy scoprì che la sapienza di Aldo non si limitava a conoscere i prezzi delle cose e a saper fare i conti. Egli conosceva anche luoghi e gente a Parigi – luoghi di cui Nancy non aveva mai sentito parlare; gente che Nancy non aveva mai sognato potessero esistere!

Egli le diceva:

– Stasera, Nancy, stasera riderai!…

Ma Nancy rideva poco; rideva sempre meno. E finalmente un giorno le parve che non avrebbe potuto ridere mai più. Dio, Dio! come tutto quello che ella vedeva era orribile! Come tutto le faceva paura, e tristezza, e vergogna!

– Che vuoi, è la vita, mia cara, – diceva Aldo stringendosi nelle spalle col suo solito gesto napoletano. – Come vuoi fare a scrivere libri, se non sai che cos'è la vita!

Oh! ma lei non voleva sapere che cos'è la vita! Poteva scrivere libri anche senza sapere. Ed oh! avrebbe voluto che neppur Aldo sapesse niente! E per pietà, che egli la conducesse via, che si partisse – voleva dimenticare tutte quelle cose e non ricordarsene mai, mai più!

Allora Aldo, che non era cattivo, e che aveva trovato l'iniziazione di Nancy meno divertente di ciò che avesse sperato, domandò il conto dell'albergo, lo trovò esorbitante, fece dedurre il venti per cento.... e quindi annunciò all'indignato albergatore la loro partenza per l'indomani.

E l'indomani partirono. Si recarono alla villa Solitudine di cui per il momento Carlo e Clarissa non avevano bisogno; fu combinato con Carlo che Aldo ne pagherebbe l'affitto a Clarissa. Clarissa non volle accettare l'affitto; ma Carlo, non sapendo ciò, ne restituì l'importo al fratello. Quindi, tutto sommato, questa combinazione fu per Aldo abbastanza vantaggiosa.

Nancy si sforzò di dimenticare ciò che era la vita, e ritrovò in breve i suoi sorrisi; e Aldo la vide fiorire, tenue e luminosa come un'alba lunare. E per tutte le cose che ella sapeva e tentava di dimenticare, e perchè la vedeva muovere nelle morbide vesti parigine, pallida sotto i grandi cappelli piumati, Aldo ardeva di vulcanico amore meridionale per lei.

Il Libro aspettava.

Una sera che Aldo era al pianoforte improvvisando musica e parole sulla leggiadrìa di Nancy, ella, seduta accanto a lui, disse a un tratto:

– Quando cominceremo a lavorare?

– Mai! – disse Aldo, cingendole il collo con un braccio, senza interrompere gli accordi che suonava colla mano sinistra.

Nancy rise, poggiando la testa al suo braccio.

– Ma bisogna pure, Aldo. Io voglio scrivere il mio Libro. Sarà un grande Libro.

Aldo fece cenno di sì col capo, e continuò a suonare.

– E neppur tu, Aldo, puoi passare tutta la vita a dirmi che m'adori.

– Sì, sì, posso, – disse lui.

Nancy rise piano, e gli mise un bacio sulla manica della giacchetta.

Poi, a un tratto, uno strano senso la vinse, un senso di solitudine e di paura. Le parve di essere sola nel mondo, e piccola, e derelitta, con nessuno che avesse cura di lei. E Aldo le parve anche più debole e più derelitto di lei. Allora il terrore dell'Infinito piombò sulla sua anima.

Aldo frattanto cantava, soave e sommesso, con la testa china in avanti e i foschi capelli spioventi sulla fronte. All'improvviso Nancy pensò quanto sarebbe meglio essere chiusa, al sicuro, in una grande stanza chiara, con molti libri e un calamaio; e sapere che fuori, tra lei e il mondo, tra lei e l'oscurità, tra lei e il vuoto che la sgomentava, si tenesse una sentinella, forte e sicura, con un fucile a tracolla…

– Ah! il baluardo! – pensò lei; e la gagliarda figura dell'inglese dalle larghe spalle, dagli occhi chiari e calmi, le si riaffacciò alla mente. Poi disse: – Il lavoro sarà il mio baluardo.

E andò in camera sua a prendere la penna d'avorio.

XIX

Mancavano quattro mesi a finire l'anno della liberalità di Carlo, e Aldo allora sentì che bisognava pur scuotersi e sgobbare. Egli aveva cominciato col decidere che si stabilirebbero a Milano. E si erano stabiliti a Milano.

Poi, niente. Non era successo niente. E Aldo non aveva fatto niente.

Ora, conosceva troppo bene suo fratello Carlo per credere che, finito l'anno, egli continuerebbe le sue sovvenzioni. Carlo aveva detto: « non ti darò più un soldo ». E Carlo era un uomo che aveva un ridicolo rispetto della propria parola. Dunque Carlo era una fonte esaurita. Valeria, suocera affettuosa ma inetta, aveva mostrato ad Aldo i suoi conti e i suoi libretti, facendogli toccare con mano che Nancy non avrebbe potuto aver nulla, oltre le sue meschine quaranta mila lire di dote. Restava lady Sainsborough, quella vecchia originale d'inglese, che a Napoli si era presa di tanta simpatia per Aldo. Ma anche lei non aveva risposto alle ultime due lettere che Aldo le aveva scritte. Probabilmente aveva anche modificato il suo testamento. Dunque nulla da fare.

Bisognava dunque scuotersi, agitare. Bisognava « sgobbare ».

Aldo si scosse… e sgobbò. Scrisse una terza lettera a lady Sainsborough.

Poi si decise a chiedere a Carlo che gli desse un impiego nella direzione delle sue filature di seta. Carlo blandamente rifiutò. Allora andò dagli editori del primo libro di versi di Nancy, e propose a loro che gli facessero un adeguato anticipo sul libro non ancora scritto di sua moglie. Anch'essi blandamente rifiutarono.

Allora, colla coscienza di aver fatto tutto il suo possibile, Aldo decise che era inutile agitarsi e sgobbare di più, e lasciò che gli eventi seguissero il loro corso.

Nancy non gli era di nessun aiuto, di nessuna utilità. Egoisticamente ingolfata nel suo Libro, stava tutto il giorno in camera sua, seduta al suo tavolo, coi capelli tirati dietro alle orecchie, con gli occhi strani e lucenti. Se egli entrava nella stanza, ella, senza smettere di scrivere, alzava la mano sinistra imponendo il silenzio – gesto che egli trovava insopportabile. Se egli non obbediva a quel gesto e s'inoltrava, ella levava su di lui quegli occhi chiari, smarriti, interroganti – allora lui si sentiva nervoso, costretto ad affrettarsi, e dimenticava quello che aveva avuto l'intenzione di dirle.

Così tirò avanti, pasticciando colle quaranta mila lire, passando i suoi giorni a leggere i giornali, a suonare il pianoforte, e andando ogni sera al Savini o all'Eden finchè veniva l'ora di andare alla Patriottica a giocare al poker o al baccarat.

Alla Patriottica s'imbatteva spesso con Nino, che sedeva sempre imbronciato e solitario. Alla vista di Aldo, la bocca di Nino si contraeva in una smorfia amara, a tal segno che ad Aldo veniva il nervoso al solo vederlo; ed era convinto che quella faccia da pesce morto gli portasse sfortuna al giuoco. Aldo si sentiva doppiamente irritato alla sua vista per il fatto che Carlo – che per lui, suo proprio fratello, si era rifiutato a fare qualsiasi cosa – aveva recentemente preso per socio questo Nino, il quale, tanto per farsi valere (o anche per puro dispetto) si era messo a lavorare volgarmente come un negro, le sue dieci o dodici ore al giorno. Carlo, assai soddisfatto, si faceva vedere in galleria, col sigaro in bocca, a braccetto di Nino, come se fossero fratelli; mentre quell'assurdo zio Giacomo, come una vecchia gallina, trotterellava accanto a loro, raggiante e ridicolo.

E lui, Aldo – che, insomma, era o non era il fratello di Carlo? – doveva andare a zonzo stupidamente da solo, fumando delle sigarette a buon mercato; oppure correre a fianco dello zio Giacomo, come un estraneo, come un « outsider », ascoltando per la millesima volta l'antifona nauseante del ritorno e della riabilitazione del Figliuol prodigo, Nino.

Aldo andò da Clarissa a lamentarsi; ma questa non gli dimostrò nè simpatia, nè compassione. Lo ascoltò, distratta, stropicciandosi le unghie d'una mano sul palmo dell'altra, e guardando dalla finestra. Egli si era aspettata una ben altra accoglienza. Sperava che ella gli avrebbe in soave atto di carezza posato una mano sul capo reclinato, dicendogli: « Povero bello! » come talvolta aveva fatto negli anni scorsi… Ma quando egli reclinò il capo, ella seguitò distrattamente a stropicciarsi le unghie d'una mano sul palmo dell'altra, e a guardar fuori dalla finestra.

Egli sentì che dalla benevolenza di Clarissa poteva dipendere tutto il suo avvenire; e, quasi per un senso di dovere verso Nancy, egli afferrò una di quelle mani bianche e la baciò col suo bacio più morbido e conturbevole.

– Oh, Aldo! non fare la lumaca, – disse Clarissa ritirando la mano. Poi lo squadrò da capo a piedi e disse: – Bah! Ringrazio il cielo che m'ha fatto sposar Carlo!

A questa dichiarazione Aldo non credette affatto. Tuttavia questa frase, aggiunta a tutti gli altri smacchi, lo urtò. Quando partì, comprese che Clarissa lo considerava come l'esclusiva proprietà di Nancy, quanto il paio di antichi candelabri d'argento che ella le aveva dato per regalo di nozze; e comprese che ella non riprenderebbe mai nè lui nè i candelabri. Quelle fiamme per lei non si accenderebbero più.

 

Nancy aveva scritto un terzo del Libro. Era una grande opera: un Libro di cui il mondo parlerebbe.

Come il portento di Giovanna d'Orléans, una visione ultra terrena le aveva incendiato il cuore. Sentiva il Genio, come una grande aquila imprigionata, agitare le immense ali nel suo cervello, e l'Ispirazione, abbagliante e indefinita, le stendeva le braccia. Epiteti fini e fiammanti, rime e ritmi, come bimbi coronati di rose, irruppero cantando nella sua fantasia; e la giovane Idea, sciolti i luminosi capelli, sorse nuda e nuova innanzi a lei…

Ecco: il bianco-e-nero Fiore della Frase apre i tuonanti petali: e sulla carta bianca sfolgora e vive il Poema.