Tasuta

Vae victis!

Tekst
iOSAndroidWindows Phone
Kuhu peaksime rakenduse lingi saatma?
Ärge sulgege akent, kuni olete sisestanud mobiilseadmesse saadetud koodi
Proovi uuestiLink saadetud

Autoriõiguse omaniku taotlusel ei saa seda raamatut failina alla laadida.

Sellegipoolest saate seda raamatut lugeda meie mobiilirakendusest (isegi ilma internetiühenduseta) ja LitResi veebielehel.

Märgi loetuks
Šrift:Väiksem АаSuurem Aa

XI

Diario di Chérie

Lulù è malata ed io sono molto in pensiero per lei. Ne sarà causa questo clima inglese, perchè a dir vero anch'io non mi sento bene come mi sentivo a Bomal. Provo spesso uno strano malessere, un indescrivibile senso di languore; e talvolta ho delle vertigini in cui tutto sembra turbinare intorno a me.

Poi per certe cose e certe persone provo una invincibile ed irragionevole antipatia. A pranzo mi accade che quando Mary porta in tavola delle vivande o dei dolci che nei primi giorni del mio arrivo qui mi parevano eccellenti, provo un tale orrore che devo stringere i denti e fare un grande sforzo per non alzarmi e fuggire dalla stanza.

Ma ciò che vi è di peggio è che anche verso le persone più care provo la stessa inspiegabile avversione. C'è per esempio Giorgio Whitaker, così gentile e buono.... ebbene, non so dire ciò che soffro quando egli mi si avvicina. E' come un brivido di terrore che mi percorre alla vista delle sue spalle gagliarde, delle sue mani forti ed abbronzate, de' suoi occhi grigi che pure mi guardano con tanta bontà. Non so spiegarmi questo senso di raccapriccio invincibile ed irragionevole.

Che le ansie ed angoscie patite nei mesi scorsi mi abbiano sconvolto il cervello?…

Ma torniamo a Luisa. Vedendola da qualche giorno così pallida e smarrita mi dicevo che certo stava in pena per Claudio, da cui non avevamo più notizie. Ma ecco che l'altro giorno ci è giunta da lui una cara lettera, allegra e rassicurante. Ebbene – da quel momento in poi Lulù sembra star peggio di prima.

E' vero ch'egli è stato ferito ma – come scrive egli stesso – c'è quasi da rallegrarsene, poichè la ferita non è grave, e nell'Ospedale a Dunkerque egli è lontano da pericoli maggiori.

E' stato colpito al ginocchio e potrà forse rimanere zoppo. Ma – dice lui – questo che cosa conta? Di salute, grazie al cielo, sta perfettamente bene.

Naturalmente m'aspettavo che Lulù partisse subito per andarlo a trovare. Era facile ottenere il permesso, e Claudio le ha anche mandato i denari per il viaggio. Invece no; Luisa non ci pensa neppure. Anzi piange e si dispera ogni volta che gliene parlo.

Di notte poi non dorme mai.

Siamo vicine di stanza e quando mi accade di svegliarmi nella notte, la sento di là che piange, o che prega a bassa voce, o che cammina in su e in giù.

Oggi le ho chiesto perchè, perchè non vuole andare a vedere il povero Claudio? Ah! al suo posto, se sapessi dov'è Florian – chi mai mi tratterrebbe dal raggiungerlo?…

Ma ella scuote il capo, e piange, e il suo viso è pieno di terrore.

Le ho chiesto se è a causa di Mirella che gliene manca il coraggio. «Hai forse paura di dovergli dire che la povera piccina non parla più?»

«Sì, sì, sì,» singhiozza lei. «Ho paura, ho paura di dirgli ciò che è accaduto per ridurla così.»

«Ma lo sa pure, cara,» insisto «che i nemici vennero a Bomal; lo sa pure che saccheggiarono la nostra casa; che uccisero il vecchio parroco ed il povero Andrea…»

«Sì, questo lo sa;» mi risponde Luisa cogli occhi stralunati fissi nei miei. «Ma non sa —» E tace.

«Che cosa non sa?»

Ella mi trae a sè stringendomi convulsamente le braccia, e i suoi occhi si sprofondano nei miei con un'insistenza di demente.

«Ma – Chérie! – Ma è possibile.... che tu abbia scordato?…»

Scordato? In verità ho scordato molte cose. Vi sono delle lacune nella mia memoria, dei larghi spazi vuoti che, per quanto mi torturi il cervello, non riesco a colmare. Tratto tratto un fugace ricordo, una visione sconnessa mi balena innanzi come una folgore – ma subito tutto si confonde, si cancella, svanisce.... Ed è come se una fitta nebbia bianca mi calasse sullo spirito. Quando cerco di riafferrare ciò che ho intraveduto, non esiste più. E più non ricordo ciò che ho ricordato.

«Dimmi, Luisa! dimmi – che cosa ho io scordato?»

Ma ella mi fissa con quegli occhi tragici, ossessionati, e susurra:

«Taci, taci, mia povera Chérie.» E mi posa la mano fredda sulle labbra come se volesse chiudermele.

Ma io voglio, voglio ricordare. Voglio riordinare i miei pensieri e scrivere in queste pagine tutto ciò che di quei giorni e di quelle notti terribili mi è rimasto nella memoria.

Da un punto in poi ricordo tutto. Non so quando nè come fuggimmo da casa nostra.... ma mi ritrovo con Luisa e Mirella nascosta nei boschi; affamata, assetata, battendo i denti per la febbre e il terrore. Il mio primo ricordo è di aver visto, attraverso gli alberi, il campanile della nostra chiesa ardere come una torcia, e vacillare, e crollare in una densa nube di fumo e di fiamme.... Eravamo appiattate in un fosso, coi ginocchi nell'acqua, le teste chine sotto a un folto di rovi che ci laceravano il viso e le mani – udivamo da lontano il furioso galoppo degli ulani. Si avvicinavano.... si avvicinavano sempre più – finalmente li scorgemmo tra il fogliame fermarsi a pochi passi da noi.

In un cespuglio poco discosto erano accovacciati i due bambini della vedova Duroc, Carletto e Nino.

Ebbene noi vedemmo quei soldati – sì, li vedemmo e mi par di vederli ancora! – stritolare col calcio dei loro fucili i piedini di quei miseri bimbi, – beffeggiandoli poi, invitandoli con grossolane risate a «scappare a casa!…» Finchè vivo non mi uscirà dagli occhi quella visione: i due ragazzetti che si dibattevano strillando nella stretta di quegli uomini che, tenendoli per le spalle, li forzavano a star ritti – mentre due altri colpivano, pestavano quei piccoli piedi che si affondavano sanguinanti nel terreno....

Da quel punto in poi ricordo tutto. Ma prima?… Prima?

Quella nebbia bianca mi riempie il cervello, ora si sposta un poco, ora si solleva per un attimo.... poi torna ad avvolgere tutto in una impenetrabile nebulosità.

Cosa vuol dire Luisa quando mi chiede se ho scordato? Voglio forzarmi, forzarmi a ricordare.

Ritorniamo alla sera del mio compleanno: il quattro agosto. Vengono le nostre amiche. Si canta e si balla.

 
«Sur le pont
«D'Avignon
«On y danse,
«On y danse....»
 

Poi arriva Florian. – E riparte.

Ecco! l'ultima cosa che chiaramente, luminosamente ricordo, è quella sua partenza. Netto e preciso – come un alto-rilievo scolpito nel mio cervello – io lo veggo ritto in sella laggiù in fondo alla strada. Si volge, mi saluta colla mano....

Sparisce. Io resto sulla terrazza, sola. Riveggo ai miei piedi la fila dei nostri vasi di garofani rossi; e le due piante di grandi margherite che sembrano così stranamente bianche nella verdognola luce del crepuscolo; sento ancora nell'aria il fine profumo dei garofani.

Io sono lì nella mia veste di velo bianco, e sulle spalle ho la sciarpa di seta celeste regalatami quella mattina da Luisa.... Ma ecco la voce gioconda di Mirella che mi chiama! Vengono tutte correndo a cercarmi – Lucilla e Cricri, Verveine, Cecilia e Jeannette....

Poi, d'un tratto – il cannone! Ah, quel primo rombo lontano!…

Le ragazze sono fuggite pallide e tremanti alle loro case. E noi restiamo sole, Luisa, Mirella ed io – sole, perchè Frida e Fritz —

Aspetta! Che cosa mi ricordo di Fritz? Che egli apre la porta al nemico – ? no; non è quello. E' un'altra cosa… una cosa che mi spaventa ancora di più – ma non so che cosa sia. Mi pare di vedere Fritz che ride....

E' strano che sempre quando ricordo Fritz, lo vedo che ride. E' appoggiato a una porta.... e c'è una tenda.... Già. Mi pare di vedere una tenda rossa, strappata, che pende accanto a lui; ed egli ride, ride rovesciando la testa all'indietro.... Perchè mai ride così? E' di me che ride? Perchè? Che cosa accade per farlo ridere di me?… Ecco! ecco la nebbia bianca che scende e ingolfa Fritz. Non lo vedo più.... E' svanito. Non mi riesce trattenerne l'imagine… tutto dilegua e svanisce.

Ma – prima ancora di questo? Vediamo; devo pur ricordare altre cose prima di questo! Torno indietro.

I cannoni tuonano, la casa trema, un gran fascio di fiamma s'alza nel cielo.... Poi uno scroscio, un'esplosione – ed è come se il mondo crollasse intorno a noi.

Ed ecco la casa si riempie di soldati; i nemici s'impadroniscono delle nostre stanze – i loro cinturoni ingombrano le seggiole, i loro elmetti sono buttati sul pianoforte.... Vi è fra di loro un giovane alto, cogli occhi molto chiari....

Già. Un giovane alto, cogli occhi molto chiari....

Avanti, Chérie. Ricordati, ricordati!…

Questi uomini parlano con insolenza, ci ordinano di fare questo e quello.

Luisa piange. Uno di loro è ferito – vedo il sangue sul cotone inumidito che Luisa gli ravvolge intorno al braccio… e adesso – mio Dio! – torna la confusione nella mia mente, scende quella nube bianca sul mio cervello....

Santa Vergine, sollevatela! Toglietela! e fatemi ricordare!

Due di quegli uomini mi sono vicini, mi soffiano in viso il fumo delle loro sigarette; vogliono ch'io beva nei loro bicchieri.... Io piango.... Non voglio. E loro mi forzano… minacciano non so che cosa… Eins, zwei, drei!

Gli occhi chiari dell'uno sono vicinissimi ai miei.... minacciosi, impellenti.

Ho paura – e bevo.

Essi cantano, ridono, e uno di qua, uno di là mi fanno bere, e bere ancora – dello champagne freddo e spumante, del cognac che brucia come il fuoco – finchè mi vengono tali vertigini che sento il pavimento ondeggiare sotto i miei piedi....

Piango e piango, e chiamo Luisa; ma ella non è più nella stanza.

Vedo Mirella appiattata in un angolo che mi fissa, bianca in viso, terrorizzata.

«Mirella! Mirella!» le grido ed ella dà un balzo e si slancia verso di me, strillando come una creatura impazzita; ma l'uomo dagli occhi chiari l'afferra per i polsi e ride.

Quell'altro – uno degli altri, non so quanti siano – uno che aveva i capelli rossi ed aveva declamato non so che cosa in tedesco, si sdraia sul divano e s'addormenta.

 

Ma un altro ancora – ricordo che aveva una faccia tonda, ricordo che gli altri lo insultavano ed imprecavano contro di lui – mi si avvicina e mi susurra qualche cosa all'orecchio. Non ho paura di lui.... so che cerca di aiutarmi. Ma mi sento così male, la testa mi gira a tal punto che non capisco ciò che mi dice. Egli mi spinge verso l'uscio, e mi dice in tedesco: «Geh! Geh! Mach dass du fort kommst!» E ancora mi spinge, gridandomi: «Ma vattene dunque! Corri – la porta è aperta!»

Ma io mi volgo per vedere cosa fanno a Mirella.

La vedo che tiene in mano un bicchiere rotto e tenta colpirne in viso l'ufficiale alto, mirando a quegli occhi chiari, quasi volesse acciecarli. Egli ha un po' di sangue sulla gota e sul mento, ma ride ancora – ride. Ora si china e afferra la mia sciarpa celeste ch'è caduta in terra; prende Mirella e colla sciarpa le lega le braccia dietro la schiena, e l'avvolge, l'avvolge tutta finchè ella non può più muoversi....

Poi.... Aspetta! – Aspetta! lasciate che ricordi!… poi prende una delle cinture di cuoio rimaste sulla poltrona e con quella attacca la bambina alla ringhiera – a quella breve ringhiera di ferro che conduce al primo pianerottolo. Ecco, sì. – Lo vedo che la trascina e la solleva su per quei quattro gradini; butta via con un calcio il vaso da fiori cinese ch'è sull'ultimo scalino, per avvicinarsi meglio alla ringhiera… e vi attacca colla cintura di cuoio la bambina… Ah! quel piccolo viso folle che si volge verso di me! Ah, quelle braccia legate!…

Sento ch'egli dice in tedesco – e ride, e ride – «Da bleibst du… und schaust zu!» La ucciderà? Mio Dio! La ucciderà? No. Ripete ancora: «Starai a vedere – starai a vedere!»

Che cosa vuol fare? Vuole uccidere me? Uccidermi sotto agli occhi della bimba?…

Adesso mi si avvicina.... Ancora la nebbia bianca.... la nebbia bianca mi cala sul cervello! Vedo l'altro ufficiale, quello che aveva tentato di spingermi verso la porta – Glotz! Sì! si chiamava Glotz! – ebbene, lo vedo gettarglisi contro, afferrarlo per le braccia e cercare di fermarlo, di trattenerlo lontano da me.... Allora mi slancio in soccorso di Mirella, cerco di slegarla, di strapparla di lì, di liberarla.... Non posso, non posso, non ho forza! E lei piange, piange.....

Glotz mi grida ancora in tedesco: «Va via! Va via!» e vedo che lotta coll'altro per darmi il tempo di fuggire.

Allora fuggo. Salgo le scale inciampando e cadendo ad ogni scalino, gridando: «Luisa! Luisa!» Arrivo, non so come, alla sua porta. E' chiusa! E dentro odo dei rumori – il respiro affannoso d'un uomo e parole rauche e concitate. Convulsa, soffocata da un indefinibile orrore mi precipito verso la mia stanza. – Mi chiuderò dentro, aprirò le finestre e chiamerò aiuto....

Sulla soglia di camera mia, con un sussulto mi fermo. Cos'è, cos'è che giace là sul limitare? Una cosa informe, nera… in una pozza di sangue! – Amour!

E' Amour – morto! col cranio sfracellato.

Mentre lo sto a guardare odo dei passi che salgono correndo le scale. E' lui – è quell'uomo dagli occhi chiari – che viene a cercarmi! Mi getto innanzi alla cieca coi piedi che sdrucciolano nel sangue di Amour, e mi nascondo dietro le tende dell'alcova dove sono appese le mie vesti.

L'uomo si ferma sulla soglia e guarda intorno. Vede il cane morto sul limitare e con un'esclamazione di ribrezzo cerca di spingerlo in là col piede. Dà un'occhiata in giro alla stanza; gli sembra vuota; allora si volta e se ne va pel corridoio; lo sento aprire altre porte, battere col pugno all'uscio di Luisa, donde una voce d'uomo gli risponde. Poi lo sento correre su, all'ultimo piano, in cerca di me.

Striscio fuori dal mio nascondiglio, incespico in quella terribile cosa che una volta era Amour, e scendo a precipizio giù per le scale e nel salotto. Mirella è ancora lì, legata alla ringhiera, il suo viso è rovesciato all'indietro, è livida, sembra una morta.

Ed è sola. – Non c'è che l'ufficiale dai capelli rossi che giace addormentato sul divano. Mi viene un'idea! Attraverso la stanza, che mi ondeggia sotto ai piedi come un mare, vado alla mensola dove Luisa ha lasciato la fiala del sublimato, l'afferro, l'apro, mi riempio le mani di quelle pastiglie rosse. – poi corro alla tavola.

C'è un calice ancora quasi colmo di champagne… vi lascio cadere le pastiglie – poi mi volto perchè sento qualcuno scendere le scale. Eccolo! E' lui. E' apparso in cima alla gradinata, accanto a Mirella. Mi vede e ride.

«Ah! la colombella che voleva sfuggirmi!…»

Io gli sorrido, indietreggiando verso la parte della tavola dove ho posato il bicchiere. Egli si passa la mano sulla fronte, sui capelli. Ha il viso acceso: certo beverà ancora —

E si accosta barcollando a me, mi cinge con un braccio la vita – coll'altra mano – sì!… sì!.... prende il bicchiere.

E ancora questo rivedo nella mia memoria, chiaro come se vi fosse scolpito con un coltello: quell'uomo alto che mi sta a fianco, che mi tiene stretta a sè – ed alza il calice di champagne alle labbra. Trattengo il respiro. Beverà!

No! Si è arrestato, come impietrito e guarda dentro al bicchiere.

Il suo sguardo è fisso, senza espressione. Guarda in fondo al bicchiere quella sostanza colorata da cui salgono e si svolgono delle lenti spirali di colore, tingendo di rosa vivo il pallido vino ambrato.

Per un tempo che a me sembra un'ora, un'eternità, egli fissa così il fondo del calice, poi quelle sue iridi chiare si volgono lentamente verso di me. Ed è quella l'ultima cosa ch'io vedo.

Nel deliquio in cui piombo e m'affondo porto ancora con me il ricordo di quegli occhi chiari, di quello sguardo fisso – odo vagamente lo scroscio del bicchiere ch'egli getta lontano da sè.... poi sulle mie braccia è la stretta delle sue mani ardenti.... E nulla più.

Odo Mirella che strilla e strilla.... mi dibatto disperatamente contro le tenebre che m'avvolgono....

Poi, più nulla....

Più nulla.

.  .  .  .  

La nube che grava sul mio cervello, fluttua, si dirada.... si risolleva.

E' trascorso un istante?… Un'ora? Un'eternità?… L'ignoro! Sento che qualcuno mi solleva.... mi trasporta....

Mi sento la testa violentemente rovesciata all'indietro, sento i capelli tesi sulla mia fronte come se qualcuno me li strappasse....

Ed ora il mondo è pieno di orrori indefiniti, di tortura, di strazio lacerante....

E ripiombo nel nulla.

Fritz?… E' allora che lo vedo guardarmi, e ridere? Ritto, vicino a un cortinaggio rosso, mi pare che parli con qualcuno, ma i suoi occhi non si staccano da me, e ride.... ride....

Ancora una volta, l'incoscienza, come una caverna nera, m'inghiotte.

—–

Mi ridesta la voce di Luisa. Pare che mi chiami, mi chiami da lontano....

Poi quella voce si fa più forte… più vicina – ecco! grida il mio nome. Ed apro gli occhi.

Sì, Luisa è china sopra di me. Mi solleva, mi ravvolge in uno scialle, mi trae con sè… Dove andiamo? Non so. Luisa mi porta fuori di casa, e via per un viottolo sassoso che conduce ai boschi.

Non è giorno e non è notte. Forse è l'alba.

Una sete terribile mi consuma, un malore indescrivibile mi dilania, e sempre Luisa mi trascina avanti, e avanti ancora. Non posso andar oltre. Appoggio la fronte al tronco d'un albero, e la sua rude corteccia mi lacera tutto il viso quando sdrucciolo e cado a terra, abbattendomi sull'erbe umide e sul musco.

Piango e mi lamento....

«Zitta! Per amor del cielo! non farti sentire!» E' la voce di Luisa. «Nasconditi,» susurra, «nasconditi. Giù!… giù!» E mi trascina dentro un fosso umido, pieno di spini.

E' allora che odo il galoppo di cavalli e un clamore di voci rudi e gutturali. Mio Dio! Eccoli. S'avvicinano. Passano —

No – si sono fermati.

Hanno trovato i due ragazzetti della vedova Duroc nascosti nei cespugli. Carletto che ha sei anni impugna il fucile di legno, e con riso spavaldo fa il gesto di mirare.....

In un attimo tre o quattro uomini sono balzati di sella per punire i ragazzi....

I ragazzi sono puniti.

.  .  .  .  

Ripartono.... Ma il martirio di quei bambini ha richiamato alla mia mente il ricordo di Mirella. «Mirella!» grido. «Cos'hanno fatto di Mirella?»

«Zitta, zitta! Mirella è qui.»

«Mirella è qui? Ma come?… Non è morta? E allora chi – chi è morto?»

«Nessuno, nessuno è morto,» mi dice Luisa. «Calmati. Siamo tutte e tre qui.»

«No – no – no! Qualcuno è morto. So che qualcuno è stato ucciso. Io lo so. Chi è? Sono io! E' forse Chérie che è morta?»

Le braccia di Luisa mi stringono, il suo viso è così vicino al mio che sento le sue lagrime scorrere sulle mie guancie....

E per un'ultima volta la nebbia vaga e vellutata discende sul mio spirito, cancella ogni ricordo ed ogni pensiero.

.  .  .  .  

Quando mi sveglio sono a bordo di un battello in alto mare. Tutto all'intorno l'acqua verdognola spumeggia e mugghia, s'innalza e si sprofonda.

Tanta gente ci sta d'intorno; e sono tutti derelitti come noi. Guardano il cielo e il mare con occhi di desolazione…

Da lungi biancheggiano le scogliere d'Inghilterra…

XII

Diario di Chérie

2 Novembre – Giorno dei Morti.

E' strano; eppure anche ora di quando in quando mi riprende quella idea fissa – l'idea che in quella notte sia morto qualcuno.

E – cosa più strana ancora – non mi riesce di liberarmi dal pensiero che sono io, io stessa che fui uccisa; io, Chérie, che non esisto più.

Non posso descrivere questa sensazione. Sarà certo una forma di debolezza cerebrale, di aberrazione provocata dalla scossa morale che abbiamo sofferto. E' quello che il buon dottore inglese – chiamato a vederci tutt'e tre, ma specialmente per tentare di guarire Mirella – chiama «trauma psichico». Egli dice che Mirella soffre di trauma psichico: vuoi dire che la sua anima è stata ferita.

Ebbene io, talvolta, provo la sensazione che l'anima mia non solo sia stata ferita, ma uccisa, assassinata mentre ero svenuta in quella notte di terrore.

Mi pare che non sia io – non la vera Chérie, ma un fantasma, uno spettro che mi assomiglia e porta il mio nome – colei che passeggia per questi placidi parchi inglesi, che parla e sorride, che bacia e conforta Luisa, che prega per Claudio e per Florian.

Florian!… Florian! Dove sei? Che forse anche tu sia morto? Che questo senso d'annientamento, d'irrealità in me, non sia che un presagio, un avvertimento della tua vera morte?

Ah! mio diletto dagli occhi azzurri, mio gaio e temerario eroe, sei tu forse già fuori della vita? Se io pur andassi peregrinando per tutta la terra non ti troverei forse mai più?

Ah! fossimo anche noi raccolte sotto l'ala quieta e sicura della Morte – Luisa ed io e la povera Mirella; tutte e tre stese nel buio e nel silenzio con gli occhi chiusi e le calme mani incrociate....

Tante volte lo penso. Che dolce cosa sarebbe se potessimo tutt'e tre fuggir via – fuori dell'esistenza, come riuscimmo a fuggire dal bosco in quella notte! Se potessimo silenziosamente sparire dalla vita, sfuggendo ai lunghi giorni e alle notti paurose; alle estati infocate e agli squallidi inverni; alla giovinezza febbrile e alla vecchiaia desolata; sfuggire all'esilio e alla nostalgia, alla fame e alla sete, all'amore e all'odio!… Ah! dolce giacere in pace sotto gli alberi ondeggianti del piccolo cimitero di Bomal, col cuore tranquillo e gli occhi chiusi. E accanto a noi, come una marmorea statua di giovane guerriero, Florian – Florian quale io l'ho conosciuto e amato, Florian, bello, fiero e fedele!

.... Ma Claudio? che cosa farebbe solo nel mondo il povero Claudio?

Claudio tornerà zoppicando dalla guerra, o troverà devastata la sua casa, troverà sua moglie che trema di lui, e la sua bambina che non può più parlargli, e sua sorella che, pur essendo viva, sente d'essere stata uccisa nel sonno.... Ah, povero Claudio! Meglio, forse, se non tornasse.

Oggi è venuto di nuovo il dottor Reynolds. E' stata Luisa a mandarlo a chiamare; poi, quand'è venuto, non ha voluto vederlo. Si è chiusa nella sua camera e nessuno ha potuto persuaderla a scendere.

Così ho dovuto condurre io la piccola Mirella nel salotto dove egli colla signora Whitaker ci aspettava.

Parlavano insieme con una certa animazione quando ho picchiato alla porta; certo ho sentito la voce della signora Whitaker che parlava concitata. Ma appena siamo entrate ella non ha più detto nulla. Ho notato però che mi guardava da capo a piedi in un modo molto strano. Allora m'è spiaciuto d'avere indosso la vecchia veste nera di Luisa, invece del bel costume nuovo che questa buona gente mi ha fatto fare un mese fa. E' un bel vestito, ma – non so come mai – non mi riesce più di agganciarlo, tanto m'è stretto al collo e alla cintura!

 

E a questo proposito ricordo una cosa. Quando la signora Whitaker l'altro giorno disse che desiderava mi visitasse il dottore, io risi e l'assicurai che dovevo avere ben poco male dal momento che ingrassavo tanto. Lei però non rise; anzi mi guardò fissa senza rispondere, con un'aria strana.

Certo c'è qualche cosa di nuovo, di curioso nell'atmosfera di questa casa. Non so che cosa sia. Tutti sono silenziosi, un po' freddi; direi quasi che sembrano impacciati quando ci parlano. Certo sono assai meno cordiali d'una volta. Eva, non si sa il perchè, è stata mandata via; già da due settimane si trova a Hastings in casa d'amici. Giorgio, che fa il corso d'allievo ufficiale a Aldershot, viene a casa ogni sabato e resta fino a lunedì. Ma non ci rivolge quasi mai la parola. Lo vedo girellare davanti alla casa o vagare malinconico per il giardino – quel triste giardino tutto sgocciolante di pioggia – sferzando collo scudiscio l'erba molle e le piante sfiorite. Sovente egli si volge a guardar su alla mia finestra, e si direbbe che voglia parlarmi; ma se io al davanzale lo saluto con un cenno del capo, o gli sorrido, egli mi fissa un momento serio serio, e poi s'allontana. Ho come un'idea che sua madre gli abbia vietato di parlare con noi. Un giorno egli aveva chiesto a Luisa e a me di leggere del francese con lui, e ne eravamo assai contente. Ma subito sua madre lo chiamò e gli parlò a lungo. D'allora in poi egli non è più tornato nel nostro salottino.

Chissà! saranno probabilmente stanchi di averci per casa. Non c'è da farsene meraviglia. Siamo delle creature così tristi e dolenti! E poi, abbiamo tutte qualche infermità. Io stessa, se non ingrassassi a questo modo, penserei che vado tisica tanto mi sento debole, affranta e svogliata. Ho orrore del cibo, ed ho dei dolori lancinanti al petto. Già, sono anemica; questo lo so. Tuttavia non ho tosse. Quindi speriamo che non sia nulla di grave.

Oggi, dunque, quando siamo entrati in salotto il buon dottore ha preso il polso di Mirella e le ha parlato con dolcezza. Ma frattanto non staccava gli occhi da me; ed anche la signora Whitaker mi guardava.

Poi il dottore mi ha fatto varie domande; e mentre gli dicevo tutto ciò che mi sentivo, lui tossicchiava e diceva: «Uhm… Già… Sicuro.»

Finalmente ho visto che dava un'occhiata alla signora Whitaker; questa si è alzata subito ed è uscita conducendo via Mirella.

Rimasto solo con me, il dottore mi ha fatto cenno d'accostarmi, poi mi ha preso con molta dolcezza la mano.

«Mia povera figliola,» disse, «avete qualche cosa da confidarmi, non è vero?»

Lo guardai spaventata e perplessa. «Perchè, perchè dice questo?»

Egli non rispose ed io m'impressionai più ancora. «Sono molto malata, dottore? Sto forse per morire?»

«Ma no, ma perchè dovreste morire?» disse lui. «Non si muore —» poi s'interruppe e tacque.

«Ma cosa c'è? Si tratta forse di Mirella? Ha qualche cosa di grave Mirella?» chiesi tremando.

«Ora parliamo di voi, non di Mirella,» ribattè il dottore è la sua voce mi parve quasi severa. E aspettò un poco ch'io parlassi, ma io non sapevo che cosa dire. Finalmente dopo aver tossito con aria impacciata riprese: «Mia povera, cara figliola. Io sono vecchio.... sono padre....» E di nuovo s'interruppe come se stentasse ad esprimersi. «Conosco tutte le miserie e tutte le tristezze della vita. Potete confidarvi in me.»

«Oh! grazie!» risposi. «Lo so. Lo credo.»

Vi fu un altro lungo silenzio. Pareva sempre ch'egli aspettasse.

Infine si alzò e il suo volto mi parve singolarmente freddo e austero.

«Forse preferite parlare colla signora Whitaker?…»

«Ma no, ma perchè?» feci io trasognata.

Ed eccolo di nuovo a fissarmi con quell'aria d'aspettativa, mentre io guardavo lui, attonita e imbambolata.

A un tratto prese i guanti e il cappello. «Ebbene, signorina, io non posso forzare le vostre confidenze. Seguite la vostra strada a modo vostro.» E uscì dalla stanza.

Io restai di sasso. Che confidenze dovevo fargli? Che strada dovevo seguire a modo mio? E perchè – perchè sembrava in collera con me?

Nell'aprire la porta per tornare alla mia camera, lo udii che parlava nell'atrio colla signora Whitaker. «Pur troppo sono sicuro di non sbagliare» diceva; «ma non c'è modo di farla entrare nell'argomento.»

Non capisco nulla. In quale strano mondo di sogni viviamo?

—–

Più tardi.

E' chiaro che tutti si aspettano che io dica qualche cosa. Io non so che cosa. La signora Whitaker mi guarda sempre con un'aria di attesa; e non lei sola: ciò che vi è di più strano è che anche Lulù ha l'aria di aspettare non so che cosa da me. Vi sono talvolta dei lunghi silenzi tra di noi, e quando alzo gli occhi la vedo che mi guarda con una strana fissità, una specie di intensa, inquieta attesa di cui non riesco ad afferrare il significato.

—–

Notte tarda.

Ed ecco la incomprensibile fine ad una giornata incomprensibile. La signora Whitaker poco fa è entrata in camera mia; non aveva bussato, ed io stavo in ginocchio a dire le mie preghiere; e piangevo.

Allora, con un gesto impulsivo di bontà e di tenerezza, mi ha presa tra le braccia. «Povera, povera bambina!» disse, e mi baciò. Poi, quasi facesse eco a ciò che aveva detto quest'oggi il dottore, soggiunse: «Chérie, io capisco tutto. Io sono mamma.....» S'interruppe commossa. «E tu non devi credermi severa e fredda come a volte voglio sembrare.»

Aveva le lacrime agli occhi; io le afferrai la mano e gliela baciai. Ella allora sedette e mi trasse a sedere su di uno sgabello vicino a lei.

«Dimmi, dimmi tutto, cara. Io comprenderò tutto.»

Allora le ho detto tutto. Le ho detto come sto in pena per Luisa e per Mirella; le ho detto di Claudio all'ospedale....

«Sì, sì, questo lo so,» disse lei con un'ombra d'impazienza negli occhi. «Prosegui.»

Allora le ho parlato anche di Florian. Ho detto quanto era buono e bello, e che eravamo fidanzati. E piansi amaramente narrandole la mia paura ch'egli possa essere morto.

Ella mi sollevò il viso tra le mani e mi guardò profondamente negli occhi.

«E' stato lui?» chiese.

Io non compresi ed ella ripetè la sua domanda.

«E' stato lui —» esitava come cercando l'espressione – «è stato lui a farti torto?»

«Torto? Perchè?» domandai. Ella mi guardava fisso negli occhi ed anch'io la guardavo cercando di comprendere cosa intendesse dire.

«Ti ha ingannata?»

«Ingannarmi, lui? Oh, no!» esclamai..«Florian non inganna. Egli è leale e fedele come un santo!»

Ero quasi sdegnata ch'ella avesse potuto farmi una simile domanda. Florian che non ha mai guardato, non ha mai pensato ad altra donna che a me! Ingannarmi!

«Basta,» diss'ella levandosi improvvisamente, e la sua espressione di dignità un po' fredda mi ricordò di nuovo il contegno del dottor Reynolds. «Se fosse stato l'oltraggio del nemico sono certa che me l'avreste detto. Non insisterò più oltre. Questo solo vi dirò – che mentre avrei potuto compiangere la sventura, non so perdonare la mancanza di sincerità.»

E mi lasciò.

Io mi domando se sono io che sogno, o se la gente in questo paese è incomprensibile e pazzesca?