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Tuttavia, ridotta nella sua camera, e riflettendovi quella notte e quelle che seguirono, ella si capacitò che era stato Perico, non solo a malgrado de' pericoli vivo e vivissimo, ma, a malgrado de' suoi tradimenti, innamoratissimo di lei, e che aveva fatto il disegno di venirla fra tre notti a rapire. E così era difatti. Nè occorre che niuno dica se Perico facesse bene o male, secondo o contro la ragione; ch'ei si sa fin da' bimbi che l'amore non si lascia metter freno da lei. Sì talvolta sel lascia mettere dall'altre passioni compagne sue. Onde poi veggiamo l'avaro innamorato sacrificar all'amore ogni cosa, tranne i quattrini; il beone, tranne il vino; il giocatore, tranne le carte e i dadi; e l'iroso, tranne la vendetta. E mettetevelo pur bene in capo, voi fanciulle, per non isperar poi troppo dai vostri sposi. E voi donne, se mai niuna ebbe dal suo il sacrificio di qualche passione, tenetelo pure per il più bel presente ch'ei potesse farvi in prova d'amore, e tenete lui poscia per marito non dozzinale. Nè vorrei dir io che Perico non avesse potuto forse un dì diventar buon marito, e, se la sua amante l'avesse meritato, non fosse stato capace di sacrificarle un dì anche l'orgoglio, passione principalissima non solo delle sue, ma di tutte quelle che son plasma dei sette peccati capitali. Ma intanto, fosse colpa di lui o di lei, certo è che per allora Perico non era disposto a far quel sacrificio. Era venuto, come udiste da lui stesso, sull'avviso avuto da una camerista di Marichita che questa passava le notti intere a piagnerlo e desiderarlo; era venuto prima a verificare la verità di siffatta relazione, vedendo se risponderebbe a' suoi segni; poi, in caso che rispondesse e scendesse e confermasse il rinato suo amore, a prender appuntamento con lei per poi rapirla, e trarla seco, senza pensare per allora allo sposalizio. Ma quando Marichita pronunziò quella parola di sposa, ed attraverso alle sbarre tese la mano come a congiungerla in legittimo matrimonio a quella di lui, ridestossi allora ad un tratto nell'animo suo, e ridestato vi ridivenne signore l'orgoglio così crudelmente, così constantemente offeso fin dal principio de' loro amori; e fu per dettargli qualche crudel risposta, che pronunziata avrebbe forse troncato l'amore o l'istessa vita di Marichita. Ma non la pronunziò, e invece si ritrasse; e di corsa, anzi di volo, fuggì da lei, dall'occasione, e avrebbe voluto da sè stesso. Ondeggiò poscia in pensieri e disegni e risoluzioni fatte e disfatte mille volte in quei tre giorni; chè sono indicibili i combattimenti interni di un uomo per natura forte, ma, per passioni d'ira e d'amore annidate in suo cuore, fatto imbelle. L'ultima risoluzione a cui s'appigliò, non come migliore, nemmeno a sua mente, ma come quella che, senza decider nulla, lo metteva pur in caso di satisfar tutte le sue passioni, fu quella di tornare a Marichita, e assolutamente, senz'altre spiegazioni, senza darle agio a riparlar di matrimonio, portarsela via. Perciò, invece di nuovamente chiamarla all'inferriata, deliberò coll'aiuto della compra cameriera entrar nella casa, e con quello poi de' compagni suoi invaderla e occuparla di soppiatto od a forza, e giunti alla camera di Marichita, volonterosa o no, portarsela via. E com'era stata disegnata ogni cosa, così s'effettuò. Guidati dalla donnicciuola, inavvertiti da ogni altro, piano piano entrarono, e camminando alla sfilata, giunsero alla camera delle due donne, ed aprirono la porta, e furono al letto, e rivolsero su quello a un tratto le lanterne per vederla e pigliarla; ma videro vuoto il letto, e la mamma che dormiva nel suo, e si rivolsero alla cameriera, e questa giurava non intender che fosse, e tra il chiasso che seguì, si svegliò la Romana, e incominciò a gridare, e, interrogata, giurò il medesimo. Ma, disperdendosi gli uomini a frugare, benchè invano, nella casa, in breve fu desto Don Luis e tutti i suoi servidori, che armati, e conoscendo meglio i luoghi, incominciarono a difendersi, poi ad assalire gli assalitori, e gli uni e gli altri a tirar pistole e schioppi, e ad accorrer gente di fuori, che fu una confusione da non vedersi mai più l'eguale. Due o tre furono morti d'ambe le parti, ed altri feriti; ma scamparono gli altri contrabandieri, e fra essi, strascinato e quasi a forza portato via, Perico, il quale, coperto di sangue e ferite, ma più che mai ebbro e furente, voleva rimanere finchè trovasse pure ad accozzarsi col rivale, ora più odiato che mai.

Del resto, come fosse succeduto tutto il caso di quella notte, e lo sparire di Marichita, nol seppero mai nè Perico nè Don Luis; e nol sapendo, s'accusarono ognuno d'aver, per paura o gelosia o vendetta dell'altro, rapita e poi nascosta od anche spenta l'infelice fanciulla. E così, come succede tra appassionati, non era scelleratezza di che non si credessero l'un l'altro capaci, e di che non s'accusassero poi ogni dì più. Quindi ad accanirsi, ad arrivar agli ultimi segni la loro inimicizia. Perico a riannodare i suoi masnadieri, ad aizzarli a una nuova impresa contra la casa di Don Luis. Don Luis, avvisatone, a lasciar questa a Ciclana, e correndo poi a Siviglia, a Cordova, a Granata e al campo di Gibilterra, a far nuove pressanti istanze presso i tribunali e i governatori di provincie e i comandanti di truppe, a far crescer le taglie al capo di Perico, a mandargli contro intiere masnade di sbirri, alguazili, doganieri ed anche fanti e cavalli. Quindi poi, minacciati così tutti i contrabandieri che al solito vivono quasi tranquilli in quelle parti, ad unirsi tutti sotto la condotta di Perico, che avea nome del più bravo e destro; ed ora tutti insieme ad investire ed opprimere qualche squadra de' loro persecutori, ora a disperdersi e scampare sminuzzati, ora a riaccozzarsi e proteggere sulle coste lo sbarco di qualche nave di contrabando, ora a scortar poi per li monti le lunghe salmerie di muli che portano quelle merci proibite nelle provincie interne della Spagna. Perciocchè, diceva l'ufficial francese (non so poi se a torto o a ragione, chè io non sono stato in Ispagna, e non m'intendo di sifatte cose), diceva che a quel tempo essendovi rigorosissime le proibizioni di merci straniere, e più di quelle che men si fabbricavano nel Regno, e tuttavia gli Spagnuoli avendo bisogno di alcune di queste merci, e tanta più vaghezza di alcune altre che eran proibite, ed offrendo perciò il doppio od anche due doppi del loro valore, ne nasceva che le merci in un modo o in un altro entravano; e diceva anzi che entravano per tutti e singoli i quattro lati del quadrato delle Spagne, e in quantità non minor forse che se fossero state lasciate legittimamente entrare; e con questa sola differenza che ne scapitava l'erario che non n'aveva un quattrino di diritti, vi scapitavano i privati onesti che compravano caro due o tre volte più del valore, vi scapitavano i mercanti che vendean carissimo, ma aveano anche comprato caro, e in somma vi scapitava tutta l'onesta gente, e vi guadagnavano solo quelli che, nazionali o stranieri, grandi o piccoli, a forza o per inganno, si chiamavano o doveano chiamarsi contrabandieri. Nè so io poi se sia esagerata o no questa descrizione; bensì dico ed aggiungo all'osservazioni dell'ufficiale, che se era veramente così, il danno maggiore da lamentare non era quello delle borse dei privati, nè dei mercatanti, nè dell'erario, sì era quello della onestà di tutti quelli che più o meno facevano gl'illeciti guadagni. E tanto più mi confermo in questa opinione, che dall'essere così universale, e, come dicea l'ufficiale, quasi necessaria questa frode, ella s'era fatta nell'opinione innocente, e i grandi e i maggiori signori l'aiutavano, e se ne rideano e davan vanto di farla per destrezza, e i popolani poi teneano per bravura ed eleganza a farla per forza; così il nome stesso di contrabandiero, che suona male altrove, era là quasi tenuto in onore. Del resto, l'esser tenuti in questo onore, ne dava lor pur un certo tal quale. In quella notte che invasero la casa di Don Luis non fu tolto da nessuno uno spillo; e il mattino appresso pareva come se una brigata d'amici, non di masnadieri davvero, fossero entrati a metter ogni cosa a soqquadro.

Tuttavia piovvero più che mai su Perico e suoi compagni, non solamente le condanne e le ingiurie meritate da essi come contrabandieri, rapitori e insidiatori della pace privata, ma, con ingiustizia consueta, anche quelle immeritate di ladri ed assassini. Chè troppo sovente ei succede, o per odio o per non curanza, e talor anche per uno zelo esagerato della giustizia, che si confondano i delitti e i delinquenti, ed a chi ha colpe troppo reali se n'aggiungano delle imaginarie, ed ogni cosa si carichi sulle medesime spalle. Onde poi troppo sovente anche avviene, che il colpevole il quale o con alquanto di compassione, od anche con una giustizia severa, ma non oltrepassante, avresti tratto a confessare e riparar le proprie colpe, o per ira o vendetta o per quel calcolo così solito ai delinquenti che incorsa una pena tanto val meritarla, ei si precipita ed ingolfa poi in quegli stessi delitti, che gli sono stati ingiustamente apposti. A me poi la sperienza del nostro ministero mi ha sempre dimostro, che se la luce della intera morale cristiana è sola buona, sola vera, sola che possa avviar bene su questa terra gli uomini, i quali senza essa errano come in una notte buia senza luna nè stelle; tuttavia tant'è la necessità e il desiderio di questa luce, che gli uomini, i quali non la conoscono o l'hanno perduta, s'accendono poi da sè qualche tenue lampada o facella da guidare i lor passi vaganti. Ondechè, chiunque voglia ridurli a miglior via, non dee spegnere queste facelle quantunque povere od inette, ma valersi di esse, e torle in mano per mostrar agli errati l'orlo de' precipizii, e fermarveli finchè sia risorta qualche più efficace e vera luce celeste. E sarebbe intorno a ciò a dire fino a domani; se non che chi m'ascolta per solazzo, troppo già temo abbia a lagnarsi di tante serie riflessioni. Onde lasciandole, vengo a mostrarvi coll'esempio quali fossero gli animi di que' compagni di Perico, posciachè furono, a forza di condanne dei tribunali, d'istanze e di spese di Don Luis, e d'inseguimenti delle truppe, ridotti dalle coste di Algesiras e di Marbella che sono il loro paradiso, a' monti di Ronda, dell'Alpujarras e della Sierra Nevada che son loro rifugio; e da questi poi, a ciò che si può dire loro esiglio, i colli di Jaen, poveri, nudi e quasi deserti, e quel che è peggio per contrabandieri, tutti interni senza coste, nè frontiera.

 

Stanchi di molte, lunghe e infruttuose marce, coi guadagni antichi già consumati, e senza speranza di nuovi, erano capitati una sera ad una venta od osteria isolata, sul cammino a Madrid, e finito lor rancio o pasto più parco che mai, eransi adagiati intorno al camino da quindici o venti a passar quell'ore dopo la cena, che gente di siffatta condizione, ma di qualunque altra nazione d'Europa, avrebbe passato bevendo e gridando; ma gli Spagnuoli le passan fumando e tacendo. Tuttavia, dopo una mezz'ora, levatosi uno degli assistenti col sigaro ancora in bocca, ed ito all'uscio, ed apertolo, e veduto che non ci era persona nella camera allato, e tornato a riprender suo seggio, ma appressatolo in mezzo agli altri: «Uomini», disse finalmente, «che vi par egli oramai di questa bella vita che meniamo da due mesi in qua?» «Vita da cani», disse uno; «anzi», disse un altro, «da fiere che i cani tracciano;» «e che fiere!» disse un terzo; «nè lupi nè volpi; che nè per forza nè per inganno non abbiamo nemmeno un buon boccone mai. Vita da cervi o conigli, o se niuno animale più vile si trova.» «No, no», disse un altro, «anzi vita da gran signori. Non far niente… niente mai fuorchè passeggiare.» Seguì un riso, smoderato per Spagnuoli, altrove sarebbe stato appena sorriso. «Vita da porci», disse poi uno che aveva tenuto le labbra tanto più chiuse, quanto più avea veduto disserrarsi le altrui; «vita da porci destinati al macello.» «Or bene, signori», disse quegli che aveva nel consesso il posto d'onore, lo scanno al lato al camino, anzi sotto al cappello di esso: «or bene, signori; sta bene ridere, e può anche star bene adirarsi d'una cattiva situazione, ma finchè non c'è rimedio, parmi stia meglio di tutto tacere… ed aspettar tempo migliore. Signori! serenità! serenità! e non importa, due grandi parole, due gran santi protettori di uomini Castigliani.» «Serenità e non importa», ripigliò il primo che avea parlato, «ottime cose quando non c'è' altro a fare; ma se io avessi altro?» «Bravo, bravo», disser tutti, «che hai studiato tu? Bravo tu, se ci fai far qualche cosa; se non altro per torci la seccatura di questo tanto menar le gambe, e non le braccia più mai.» «Oltrechè», disse una, «in breve non meneremo nemmeno i denti, e già n'abbiamo sta sera un assaggio.» «Uomini», disse l'oratore, «o parlate voi o io, tutti insieme non serve.» «Parla, parla tu», disser tutti, «benchè finora ci eri paruto più bravo esecutore che parlatore.» «Ancora?» disse egli; e non rispondendo persona: «Udite», proseguì, «l'onore è una bella cosa, ed io vorrei anzi trarmi di bocca la lingua, che dirvi o proporvi cosa mai che fosse contro all'onore; sì dico, l'onore di qualunque più scrupoloso contrabandiero. Tuttavia, su quest'onore ei si vuol ragionare, e non prenderlo bell'e fatto, come lo fanno certe persone che so io; e sempre ce ne sono di tali in ogni compagnia, che fanno l'onore e la regola come vogliono essi, e gli altri a seguirli come pecore. Tanto sarebbe pure seguir alla cieca l'onore e le regole delle città che abbiam lasciate, e dei giudici che ci hanno condannati, e degli sbirri che ci perseguitano, e dicono che sia disonorante cosa far il contrabandiero. Eppure, noi siam tutti onorati contrabandieri. Parlate adesso, ditemi voi. Siamo noi onorati contrabandieri, sì o no?» «Sì siamo, sì siamo» disser tutti. Ed egli: «Dunque vedete che l'onore l'ha da intendere ognuno a modo suo, e non rimettersene a chicchessia venga poi dire con una gran voce e un gran sussiego: signori, non si può, non si dee fare, non istà bene, od altre simili cose. Ei si vorrebbe essere bimbi per lasciarsi dir le cose così. Ma gli uomini debbono rispondere: noi siamo giudici, noi soli sappiamo che stia bene e che no.» «Orsù», disse il capitano, «a che monta tutto ciò?» «A nulla» disse l'oratore, «a null'altro che aver per giudice voi stesso, ma voi con tutti gli altri, d'una proposizione che interessando voi e gli altri debb'essere giudicata da tutti. Sentite. Noi moriamo di fame, di sete, di stento, di fatica, di seccatura; e perchè? Perchè ci siam fitti in capo questo bell'onore di non rubar mai se non una sola persona, che questa… sì signori, lo ripeto… questo nostro mestiere è rubar ogni dì una persona; e questa persona è il re nostro signore. Ora dite, perchè prendiamo noi la robba del re? Perchè non possiamo fare altrimenti; perchè senza quella non possiamo vivere, perchè la nostra, quella che ognuno di noi vorrebbe, dovrebbe avere, ci è tolta. Or non sono queste, tante ragioni di prendere anche la robba di qualche privato? dico, non di qualche povero cavalliero, o mercatantuccio che se ne vada con un mulo o due, facendo via tranquillamente senza intender male a persona, e che spoglio di quel poco avere sarebbe ridotto a povertà. No, non vorrei toccar un capello a costui. Ma supponete; dico così per supposizione solamente, se per esempio il presidente della Real Udienza di Siviglia che ha così ingiustamente chiamato ladro ed assassino il nostro capitano qui, il bravo Perico; e per un altro esempio, se mai capitasse qui per via quell'istesso Don Luis… o supponiamo un altro dei nostri persecutori, il vicerè di Granata, o il capitano generale del campo di San Rocco!..» «Il capitano generale?» interruppero qui alcuni «l'oste ha detto che doveva passar domani, l'oste ha detto che doveva passare con tre tiri di mule; ha dieci uomini di scorta, porta seco il tesoro per pagare il soldo di sei mesi.» «E di chi è questo tesoro?» ripigliò l'oratore: «Del re Nostro Signore; quel medesimo di che ogni dì prendiamo la robba senza scrupolo. Dunque vedete…» «Per Dio» disse finalmente alzandosi, ed alzando la voce sopra quella d'ognuno, il capitano, «per Dio che non dirai una parola di più. E se t'ho lasciato dire fino adesso era per vedere, anzi per far vedere a tutti questi cavallieri dove avevi a capitare. Ora è chiaro; a farci diventar ladri; ladri, assassini di strada.» «Non ladri, non assassini, non è vero» disse l'oratore. «Non ladri, non ladri» disser tutti; «non ladri;» riprese il primo «ma solamente prender in un modo nuovo quella medesima robba del re.» «E questo altro modo non è egli rubare?» «Non rubare, non rubare», gridaron tutti. «Io ne appello al vostro onore» disse l'oratore. «Sì sì, il nostro onore è chiaro, non è rubare, non è rubare. Dì su, dì su quando, come, dove passerà il capitano generale.» «Giuro al cielo!» disse Perico, e mise la mano sotto la giubba e trasse il pugnale. «Armi, armi» gridaron gli altri e fecero il medesimo; ma ognuno ristette per rispetto, od anzi pel timore che sopraviveva al rispetto e all'autorità pur troppo perduta da Perico, come succede ad ogni capitano anche di truppe più regolari quando le cose e principalmente le ritirate van troppo male. E così seguì una scena, in cui l'uno gli rimproverò l'aver tirata la vendetta di Don Luis, l'attenzione del governo, e gl'inseguimenti delle truppe su tutti i contrabandieri, che prima vivevano in pace tollerati e quasi assicurati; gli altri gli ricordarono d'averli tratti a quella fazione pericolosissima di Ciclana, dove non avevano guadagnato nulla se non busse ed alcuni anche la morte. Egli poi ben potè con alterigia ricordare le fazioni fatte sotto la sua condotta, le navi prese, le ricchezze acquistate, le promesse fattegli d'obbedienza; ma le passate fazioni felici erano fatte dimenticare dalle presenti infelicissime, dalle ricchezze già consumate; e le promesse parevano annullate dalla sua ostinazione contro il parer comune. E in breve, dopo un'ora di chiasso, grida, minacce, ed ire soppresse ma impossibili oramai a più trattenere, rasserenatosi a un tratto Perico, e inguainato lentamente il suo pugnale, ed estesa anzi aperta la mano in mezzo ai compagni taciti e stupiti del suo atto: «Or bene», disse; «cavallieri, voi siete padroni; io solo contra tutti non posso. Finita già la mia autorità, io ve ne assolvo… ed assolvo me d'ogni dovere, o responsabilità… e d'ogni compagnia con voi. Cavallieri, addio: molte parole sarebbero inutili oramai; io non ebbi a lagnarmi di voi, nè voi credo di me, finchè siam durati insieme. Or segua ognuno il suo destino. Ognuno a modo suo. Io solo, e morto prima che… Addio, cavallieri;» e così dicendo e toccando la mano a ognuno, salvo all'autore dell'infame proposta, passò in mezzo a tutti; ed aperto l'uscio, sparì nell'oscurità.

E così farò io, aggiunse il maestro prendendo il cappello; e chi vuol venire alla terza parte, che sarà l'ultima, venga, e chi non vuole, resti.

III

Voi avete tutti udito senza dubbio le origini e il modo di quella sollevazione che fecero a' dì nostri gli Spagnuoli contra Napoleone. Ondechè, confortandovi solamente a richiamare a vostra mente que' fatti che sono necessarii pel resto di questa istoria, io dico continuando che… «Maestro, maestro, fermatevi, se vi piace» disse una delle gentildonne; e voi pensate sempre che tutti sien vecchi quanto voi. In che anno dite che incominciò quella guerra?» «L'anno 1808, che seguì quello in che io vi lasciava ieri.» «Or bene; con licenza vostra, non ero nata.» «Ed io», disse un'altra, «non era guari che avevo lasciato il petto di mia mamma.» «Ed io», disse una terza, «avrei pur potuto incominciar ad udirne parlare; ma non so perchè non se ne parlava allora come delle altre guerre dell'imperadore.» «Perchè» disse uno degli uomini, «le altre gli andavano bene e questa male. E per la medesima ragione, i Francesi che hanno scritto tanto e tanto bene dell'altre guerre, hanno scritto assai meno di questa. E perchè poi i Francesi sono i soli, con perdono del signor editor delle novelle, che sappiano scrivere di cose e in modo che si faccian leggere popolarmente…» «Oh oh!» gridai io editore. «Oh oh!» gridò un altro, e poi un altro; e incominciò una disputa e una contesa che non c'intendevamo troppo, e in men d'un minuto uscirono venti proposizioni che avrebber bastato a tenerci bene o male tutta la notte. Ma quel paciero del maestro, gridando «la novella, la novella», riuscì pure a far tacere a poco a poco tutti, e così ricominciò.

Or bene! quantunque la tromba della storia mi stia troppo male in bocca, pure, perchè vedo non saputi da tutti voi i fatti storici necessari sapersi per il séguito di mia narrazione; io ve li dirò quali li andai raccapezzando dai discorsi di Toniotto e dell'ufficiale, e poi anche d'un signore spagnuolo racchiuso in Fenestrelle insieme con un prelato romano che andavo in quegli anni a vedere. Voi avete dunque a sapere, che prima del 1808 la Spagna fu retta da un re che tutto il giorno, ed ogni giorno, non faceva altro che cacciare, e una regina che non faceva nulla di buono, ed un favorito che facea tutto, ed a cui i ministri ricorrevano, egli ministro, egli generalissimo, egli almirante, egli ogni cosa. Chiamavasi il principe della Pace, e sarebbesi detto meglio della servitù; tale e tanta era quella in che teneva soggetti a sè ed a Francia, gli Spagnuoli. Fremevano essi, pur più della servitù esterna. E fosse che gli appiccicassero quest'ira, o che in uno Spagnuolo anche corrottissimo l'ira contro ai soverchiatori stranieri sopraviva all'altre virtù, o che il principe temesse di Napoleone, o Napoleone sospettasse di lui, certo è che nel 1807 si guastò la loro scellerata amicizia; e il principe fu il primo a minacciar Napoleone, che era allora mille miglia lontano impiccato nella guerra di Prussia. Non rispose questi per allora; ma tornato vincitore minacciò a sua posta, e spaventò l'incauto; e fu fatto un convegno perfido tra le due parti, a spese, come succede, d'un terzo inferiore, il Portogallo. Ma fu in quegli scellerati negozii finta talora la stessa perfidia. Il vero vantaggio che Napoleone voleva trarre di questa, era aver suoi eserciti introdotti e sparsi nella penisola; avutolo, più non si parlò di quell'accordo così invecchiato in pochi mesi; sì di altri così bui che non furono mai bene svelati, ma in che certo trattavasi di dividere o menomare la Spagna, od anche di far migrar per America il re e tutta la famiglia reale, lasciando il Regno, quasi casa diserta da legittimi padroni, al primo occupante. Fosse poi vera o no questa disegnata fuga del re e del principe, certo fu loro apposta dal popolo di Aranjuez; una villa regia dove erano allora, e d'onde credevasi che fossero per partire alla volta di Cadice e d'America. Questo popolo d'Aranjuez erano tutte creature del Principe; ma perchè i beneficii degli usurpatori non fruttano gratitudine vera mai, tutti si sollevarono contra lui, per impedire la partenza della corte. E fuggendo egli e nascondendosi, lo vegliarono due o tre dì e notti come una fiera nella sua tana; e trovatolo, lo avrebbero scannato, se non era di Ferdinando principe dell'Asturie, figliuolo primogenito ed erede del re. Il quale, essendo stato più di niuno altro perseguitato dal favorito, pur lo salvò in quel giorno, che credo fu il più bello di vita sua. Seguinne lo scendere dal trono il vecchio re, il salirvi Ferdinando, e tornar subito a Madrid tra le acclamazioni e l'amore universale; ma quasi a un tempo lo arrivar di Murat generalissimo coll'esercito francese; il non voler questi riconoscere il nuovo re; l'incamminarsi a Bajona, quasi ricorrendo alla mediazione ed al supremo giudizio di Napoleone imperadore, prima il re padre e la regina madre; poi, tratto da scellerati allettamenti e da inetti consigli, anche Ferdinando, e suo fratello Don Carlos. A Bajona furono vere scene di comedia e tragedia, che finirono colle rinuncie universali di tutti quanti a Napoleone, e il nominarsi da questo il suo fratello Giuseppe a re di Spagna; come avrebbe nominato a una prefettura vacante. Intanto, Murat voleva far partir di Madrid gli ultimi principi legittimi, Don Antonio zio, Don Francesco fratello ultimo, e la regina d'Etruria sorella di Ferdinando re. Erano allestiti i cocchi, attaccate le mule, pronte le scorte nel cortile e sotto gli atrii del palazzo. Fu veduto da alcuni popolani. Incominciarono a far calca, a tagliar le corde delle mule, ad esser respinti, a respingere, a gridar gli uni e gli altri all'armi, ad assalirsi improvisi, inavvertiti nelle vie; i Francesi colle spade e i fucili da guerra, gli Spagnuoli con gli schioppi da caccia e i coltelli da tasca; in ultimo, i Francesi a schiere arrivanti in ordinanza dal campo di fuor la città, gli Spagnuoli anche in ordinanza al quartier dell'artiglieria sotto la condotta di Daoiz e Velarde, due giovani capitani, che in breve poi parlamentando furono trucidati su' loro pezzi. Uscirono allora in processione ed in pompa il consiglio di Castiglia e gli altri magistrati, e persone autorevoli, fra' combattenti, e fu sedata la sollevazione. La notte che seguì, stabilironsi una commissione militare nella casa de' corrieri, e due o tre picchetti di gendarmi o soldati, al Prado e alla porta del Sol; e poi furono arrestati per via, tratti in giudicio, condannati e trucidati in poche ore, chi dice alcune dozzine, chi centinaia di popolani; ad esempio od a caso, certo non a giustizia, che a questo modo non potè cader su' colpevoli, se pur tale potea dirsi nessuno. Ma tutti coloro che temevano essere sospettati, partirono poscia il mattino appresso, e si dispersero per tutta Spagna; e come arrivava uno di essi, o la novella dell'infame ed immortale 2 di maggio, sollevavasi ogni città, ogni terra o contado, giurando guerra e vendetta. Trovaronsi così gli invasori confinati e pressati sulla strada maestra da Francia a Madrid, e volendo allargarsi e far punte, spinsero colonne su varie direzioni. Una su Saragozza, in cui entrarono fino a mezzo, e furono respinti poi a colpi di tegole e mattoni fuor della porta; e allora solamente si pensò a chiuder questa; e poi a trarre i cannoni sulle mura; e far terrapieni, e tutto il rimanente di quell'assedio, anzi que' due assedii che sono forse la più bella fazione militare che niuna città antica o nuova abbia fatta mai. Andò un'altra colonna su Valenza; e fu anche respinta di sotto alle porte; ed una terza nell'Andalusia. La quale, capitanata dal generale Dupont, inoltrò inoffesa fino al ponte dell'Alcolea sul Guadalquivir; nè ivi pure trovò dura resistenza; e superatolo in una zuffa di poche ore, entrò l'istessa sera in Cordova, capitale di regno, e città potente e ricca, che fu la Capua di quell'esercito francese fermatovisi a predare e gozzovigliare.

 

La zuffa dell'Alcolea, la cannonata del ponte, il passaggio a guazzo del fiume, la fuga degli Spagnuoli per il piano, l'inseguimento dei nemici, la mala ed anzi niuna difesa della città, e l'ingresso trionfale de' Francesi erano stati meglio che d'ogni altro luogo veduti (quasi scena di teatro da' palchi) da certe rôcche che fan terrazza o bel vedere sopra la città di Cordova, e suoi contorni, e il corso magnifico del Guadalquivir. La sù era, e credo che sia per anco, una congregazione di romiti secolari, che non hanno voto ma una regola durissima di silenzio, solitudine e penitenze, così dura, che pochi vi reggono vivi oltre ad un anno o due. Tuttavia, a malgrado della regola, e della segregazione loro dal mondo, già da più giorni erano informati delle publiche calamità; e tanto in chiesa dove solo s'adunavano, come nelle loro solitarie e discoste celle, facevano preghiere e mortificazioni e penitenze nuove, che a' quei santi uomini parevano allora il solo aiuto che nella loro condizione potessero tributare alla patria pericolante. Un giovane novizio particolarmente, o avesse più di questo zelo verso la patria, o che ogni zelo sia maggiore in gioventù, non accontentandosi nè delle penitenze consuete, nè delle straordinarie imposte, ne aggiungeva ancora delle sue volontarie, e vi spendeva tutto il dì e la notte. E così è che, fosse desto prima degli altri, o meglio degli altri conoscesse il rombo del cannone, e il precipitato ripetersi delle schioppettate, certo è ch'ei fu il primo quel mattino ad udirle. E perchè poi a chi ha udito una volta quella musica, niun altra, dicea Toniotto, è che paia così interessante, o che faccia tanto palpitare il cuore, interruppe egli a un tratto le devozioni, che avrebbe dovuto tanto più rinnovare in quel punto; ed uscito della cella o capanna, si fermò sull'uscio a mirare ed udire, con orecchi ed occhi e tutti i sensi rivolti a ciò. Appressando il rumor, vedevansi poi anche gli altri romiti, ora l'uno ora l'altro, far capolino al medesimo modo fuori de' loro uscii: ma poi rientrare più obbedienti al loro istituto a ripregare. Solo il giovane novizio rimase lunghe ore; finchè, adocchiato dal priore da lungi, fu per uno squillo particolare di campana ammonito, che badasse a sè e tornasse a sue preci, e tornovvi. Ma in breve, non resistendo alla tentazione, di nuovo uscì, e si rimise quasi involontario a quella così poco ascetica contemplazione delle cannonate e delle schioppettate e degli investimenti e delle cariche di fanti e cavalli che si succedevano. Finalmente, a mezzo il giorno, vidersi su per gli andirivieni delle rôcche dirigersi all'eremo, prima una o due e poi a dozzine molte persone, uomini, donne, e principalmente gente di chiesa, carichi di ogni sorta d'arredi sacri e profani, che fuggiaschi recavano a nascondiglio nel segregato e povero romitorio. Allora il priore, che non voleva tutto solo rimaner esposto a siffatto caso tutto nuovo, sonando a congregazione la campana, chiamò tutti i fratelli alla chiesetta. Dove in breve arrivando i fuggiaschi ognuno colle sue salmerie, stanchi le ponevano in terra sulla piazzetta e sotto il portico; dove erano così alla rinfusa, qua ricchi abiti e parati di palazzi e di chiesa, e calici, e pissidi, ed altre argenterie, ed anche addobbi da uomini e da donne, arme preziose, e gioie femminili; che gli uni di quei poveri romiti ne togliean gli occhi per timor di pensieri mondani rinascenti, gli altri per la gran pietà rompevano il voto del silenzio, sclamando peccato! al vedere così sconce e rotte tante sacre preziosità; e intanto il giovane novizio, quasi Achille in Sciro, non sapea tor gli occhi, già non più bassi nè composti ad umiltà, ma torvi, biechi, rabbiosi, da certi schioppi e certi pugnali che gli splendeano oramai troppo vicini. Ben se n'appose il priore, e gli commandò di ritirarsi; ma già era una confusione da non udirvisi i comandi di qualunque esercitato capitano, non che d'un povero prior di romiti; e il novizio ammonito obbedì la prima fiata sinceramente; ma per poco, e tornò; alla seconda, non obbedì che di vista, e data una volta fu a un altro lato senza ritirarsi; alla terza, resistette apertamente al comando, e forse guatò bieco l'istesso priore. Certo è che questi con un alzar di spalle, od anzi un abbassar di capo tutto dolcezza ed umiltà, non insistette, nè più espose a tal cimento l'autorità. Alla sera, chiamato il novizio alla cella priorale, accorse questi, e in breve ora poi non uscì… non più novizio nè frate o romito di niuna maniera, ma abbigliato da majo Andaluso; la giubba, i calzoni corti a bottoni d'oro, le calze di seta, e i calzari di cuoio abbottonati, il cinto rosso con due paia di pistole e il pugnale, la montera in capo sull'orecchio sinistro, e sulla spalla destra il buono schioppo inglese a due colpi.