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Il ponte del paradiso: racconto

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Märgi loetuks
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XVIII.
La giornata dei misteri

La mattina seguente il signor Anselmo diceva alla sua Margherita:

– Carina, siamo dunque alle porte coi sassi?

– Perchè? – domandò la fanciulla.

– Perchè mi è parso, ieri sera, che tu fossi molto contenta, tanto contenta da avere certamente deposta l'idea di tirare le cose in lungo.

– No, babbo, non credere. Sono la donna forte, come tu dici; ma ho il cuore… come dirò io? il cuore piccin piccino. A vedere quel povero signor Zuliani tanto padrone di sè, ho ben capito che sarà impossibile smuoverlo. Ha fatta la sua risoluzione, e non la muta; almeno, se non interviene un miracolo. —

Ella sospirava, e il signor Anselmo non seppe far altro che seguirne l'esempio. Ah, un miracolo, un miracolo! Era più tempo da miracoli?

– Se si potesse… – incominciò egli, dopo aver almanaccato un bel poco, – se si potesse trovare il modo di apparire informati dell'accaduto, senza averne avuto notizia da quel povero giovinetto… oh, allora, sarebbe un affare più spiccio. Andrei dall'amico Zuliani, e glielo parlerei io, il linguaggio della ragione. Il rispetto al suo buon nome… la sua probità e la sua riputazione bancaria in balia dei peggiori sospetti… la vergogna che ad ogni modo cadrebbe su lui, quando si conoscesse il vero… ecco parecchie cose che potrebbero farlo pensare.

– E le avrà pensate, babbo, le avrà pensate e ripensate già tutte. Figùrati se a questi danni morali non avrà trovato il rimedio! Quell'uomo liquida, come dite voi altri banchieri, liquida i suoi interessi in due o tre settimane, e buona notte a chi resta. Ragioni, poi, o pretesti a spiegare un atto disperato, non ne mancano, incominciando dalla malattia incurabile. Non ti confondere adunque a cercare il modo di essere informato senza far sospettare del signor Filippo; non lo troveresti, e non ti sarebbe creduto. Piuttosto, e per tastar terreno, sarebbe da sapere che cosa accade al palazzo Orseolo. Dopo la scena orribile di ieri mattina, si sono più visti, il signor Zuliani e sua moglie? Si parlano? C'è stato un accordo tra loro, per evitare gli scandali, e prima di tutto le chiacchiere della gente di servizio? Se questo si potesse sapere…

– E da chi?

– Dal signor Brizzi, per esempio. Quello è il segretario, il braccio destro del signor Zuliani. Tu hai pure saputo dal signor Filippo che Raimondo, uscito da casa ieri mattina, andò al suo banco, dove stette a lungo, in preda ad una grande agitazione d'animo. Possibile che al signor Brizzi non abbia detto nulla? che il signor Brizzi, andato al palazzo Orseolo, non abbia indagato per conto suo, scoperto qualche cosa, almeno per ispiegarsi quel turbamento improvviso del suo principale?

– È un'idea; – gridò il signor Anselmo. – Voglio andare al banco Zuliani, con una scusa qualsiasi, e magari all'ora della colazione. Se trovo il signor Brizzi solo, potrò farlo cantare. Egli vorrà pure aver confidenza con me, col vecchio amico di Raimondo; e non inutile amico, nè tiepido, com'egli certamente saprà.

– Vai dopo le undici; – suggerì Margherita. – È l'ora che il signor Zuliani esce dal banco; e il signor Brizzi non vorrà andarsene alla stessa ora del suo principale. So ancora che il signor Brizzi fa i suoi pasti al Cappello Nero, in piazza San Marco. Se non lo trovi più al banco, puoi appostarlo alla trattoria. Intanto mi permetti che per oggi, se te ne arrivano durante la tua assenza, io apra i tuoi telegrammi?

– Non ne aspetto; – rispose il signor Anselmo. – Ma perchè?

– Perchè ne aspetto uno io.

– Diretto a me?

– Diretto a te; ho dato il tuo ricapito.

– Che cos'è questo mistero?

– Non me lo domandare, babbo; abbi fede in me. Se quel telegramma arriva, chi sa che non si trovi la via di salvezza? E ancora una preghiera: – soggiunse Margherita. – Non uscire quest'oggi, quando avrai fatto colazione; o almeno sii qui per le tre, facendo in modo che la mamma sia fuori con Federigo.

– Un altro mistero?

– Non del tutto, babbo. Ho detto iersera al conte Aldini che lo avremmo aspettato quest'oggi alle tre.

– Per che cosa?

– Ma… per discorrere un poco. Ho da interrogarlo su qualche punto oscuro della sua storia.

– E se questi non sono misteri, voglio perder la testa; – brontolò il signor Anselmo, mezzo burbero e mezzo faceto.

– Li saprai tutti, via! Finalmente, di che si tratta? Di un interesse tuo, anzi di due. Il primo è di salvare il signor Zuliani, al quale vuoi bene.

– Non c'è che ridire. E l'altro?

– L'altro è di accasare la tua povera figliuola. Non hai paura che ti sfiorisca in casa?

– Matterella! – esclamò il signor Anselmo, facendo bocca da ridere.

Alle undici, come aveva promesso di fare, il signor Anselmo uscì, e stette fuori appena un tre quarti d'ora; di guisa che la colazione non fu neanche ritardata. In quella vece, essendo presente la signora Eleonora, fu ritardato a Margherita l'appagamento di una viva curiosità, rispetto alle notizie che il babbo aveva certamente raccolte, come infatti era dimostrato dal suo ammiccar frequente alla sua cara figliuola. Fu un bel momento per lei, quando la mamma si alzò, per andar nella sua camera a mutar veste e a mettersi in punto per uscire, appena Federigo fosse arrivato dall'Arsenale.

Qui, stando nel vano d'una finestra in atto di contemplar la Laguna e l'isola di San Giorgio Maggiore, il signor Anselmo snocciolò in fretta la sua coroncina di notizie. Avviato al banco Zuliani, s'era imbattuto nel signor Raimondo, che allora ne usciva. Accompagnatosi un tratto con lui, e tirato sull'argomento dell'Aldini, non gli aveva negato che quel giovinotto gli piaceva moltissimo, soggiungendo per altro che voleva discorrer più a lungo con lui, e rigirarlo, come si suol dire, per tutti i versi. Poi, col pretesto di non conoscere abbastanza le strade, e meno ancora le straducole di Venezia, e di non volersi smarrire in quel labirinto, aveva lasciato l'amico Zuliani tirar di lungo verso casa, ritornandosene egli verso San Marco. Libero di andare dove voleva, si era difilato al banco, trovandoci appunto il signor Brizzi, a cui aveva detto di voler scrivere un biglietto; e il signor Brizzi si era affrettato a cedergli il posto alla sua scrivania. Entratogli bel bello in materia (e glie ne offriva un ragione voi pretesto l'aver notato una grande alterazione di spirito dell'amico Zuliani), era venuto a sapere tutto ciò che il signor Brizzi poteva raccontare a persona degna di tanta fiducia come il banchiere Cantelli.

Non era molto quel che sapeva il signor Brizzi; ma era quello per l'appunto che il signor Cantelli ignorava, e che gli premeva di conoscere. Il signor Brizzi era il giorno innanzi andato due volte al palazzo Orseolo; la prima, intorno alle nove, per far portare al suo principale il pastrano, lasciato a casa con quel po' di freddo, che accapponava la pelle; la seconda per portare alla signora Livia un biglietto, in cui suo marito l'avvertiva che non sarebbe andato a casa per l'ora della colazione, bensì solamente per l'ora del pranzo. Una commissione, questa, che il signor Raimondo aveva affidata al fattorino del banco, ma che egli, il signor Brizzi, si era voluto accollare, per riguardo delicato verso la signora Zuliani. Questa, infatti, la prima volta che il signor Brizzi era stato in mattinata al palazzo Orseolo, gli aveva accennato un fiero alterco avuto con suo marito, come cagione del gran rimescolo di lui; era naturale adunque che andasse egli, e non un fattorino.

Così avvenne che rivedendo la signora Livia (un po' tardi, veramente, perchè era uscita, ed egli aveva dovuto far due viaggi al palazzo Orseolo), il signor Brizzi sapesse da lei che cosa conteneva il biglietto. In freddo e reciso linguaggio, Raimondo le manifesteva il suo proposito che niente apparisse mutato tra loro, agli occhi della gente di servizio; quanto alla loro questione, egli l'avrebbe sciolta, e presto, nel modo più netto e più degno, per la pace e l'onore d'entrambi. In quella seconda visita il signor Brizzi aveva trovata la signora Livia assai più agitata che non gli fosse apparsa nella prima. Forse era effetto dell'aver troppo meditato sulle conseguenze dell'accaduto. Comunque fosse, ella non ritornò sull'alterco di quella mattina con nessuna giunta, con nessuno schiarimento che a lui desse lume di quel dissidio coniugale.

Ancor più chiuso di sua moglie era stato il signor Zuliani con lui. Solamente, all'opposto di sua moglie, appariva in giornata più calmo, come l'uomo che ha presa una risoluzione e non ha più da stare coll'animo sospeso tra mille dubbi e timori.

Il signor Brizzi, nondimeno, avrebbe amato vederlo inquieto, agitarsi, dare nei lumi, anzi che tranquillo, quasi sereno, esporre a lui un pazzo disegno, di cui pareva tutto invasato; ritirarsi dagli affari, cedere il banco, o chiuderlo a dirittura; e ciò nel termine più breve, per levarsi ogni noia. Che idee! per un dissidio coniugale, a cui non voleva neanche accennare!

– Te lo dicevo io? – commentò Margherita. – Egli vuol liquidare i suoi interessi, salvar l'onore del suo nome, evitare le ciarle del mondo, e sparir da Venezia prima di mandare ad effetto il suo terribile divisamento. Che uomo! Ma le ciarle del mondo, come le eviterà, colla gente di servizio che ieri mattina avrà sentito ogni cosa?

– Nessuno ha sentito; – rispose il signor Anselmo: nessuno, almeno, di quei servitori che potrebbero trovar gusto a rifischiare i segreti dei padroni. Il signor Brizzi ha saputo anche questo dalla signora Zuliani. La gente di servizio dorme al pian terreno, e non sale prima d'una cert'ora al pian nobile, se non è chiamata. Anche la cameriera stava al pian di sotto, facendo la sua prima colazione di caffè e latte, sapendo che la padrona non aveva bisogno di lei fino alle nove. Al pian nobile non dorme altri che il Giovanni, quel servitore che ricorderai d'aver visto, alto, grosso e nerboruto, specie di maestro di casa, tutto devoto al padrone, presso il quale è impiegato da trent'anni e più. “Paron Nane„, come lo chiama il signor Zuliani quando è di buon umore, non apre bocca se non per comando o per utilità del padrone; per tutto l'altro è muto come un pesce. Di modo che, se ha sentito qualche cosa, si può star certi che non ne fiaterà con anima viva. Le parrà che il bravo uomo sia molto diverso da me; – mi diceva il signor Brizzi, conchiudendo; – ma io parlo con Lei, non con altri; parlo con Lei, che so quanto ami il mio principale, e quanto egli debba alla sua vecchia amicizia. Infine se non ci mette la mano Lei, non vedo che altri possa far desistere il signor Raimondo dal suo strano disegno. Ritirarsi dagli affari!.. chiudere il banco!.. che pazzia! Ma sa, signor mio, che nel banco Zuliani, pure andando coi piè di piombo, come è l'uso del principale, si fanno affari per milioni e milioni, mettendo da parte anno per anno cento e più mila lire, senza contar la levata mensile per le spese di famiglia?

 

– E tu gli hai promesso…

– Naturalmente, di sconsigliare l'amico, appena mi entrasse a parlare di questa follia.

– Bene – conchiuse Margherita, tirando le somme.

– Sappiamo quel che si voleva sapere. C'è corda tesa, al palazzo Orseolo, non ispezzata; così tesa, non può mica durare! A noi la cura di rallentarla.

– In che modo? —

Margherita alzò le ciglia ed allungò le labbra.

– Mistero! – diss'ella, dando subito in uno scoppio di risa. – babbo, non andare in collera; saprai tutto più tardi. —

Poco dopo giungeva Federigo, e si stette a chiacchierare con lui, che doveva uscir tosto colla mamma. Il corredo dello sposo non era anche finito.

– Non mi spendere altre dugento lire, mi raccomando, – disse il signor Anselmo alla moglie.

– Eh, forse un po' meno di ieri, speriamo; – rispose la signora Eleonora. – Del resto, oggi si finisce di spendere. E non venite voi altri?

– No, grazie; non amo girar botteghe, e sto in riposo; Margherita non ha cuore di lasciarmi qui solo soletto. Usciremo più tardi, e da una parte o dell'altra v'incontreremo di certo. Già, secondo l'uso, Schiavoni, Ponte… dei Sospiri, Piazzetta, Piazza, Procuratie vecchie, Procuratie nuove, Merceria… e non si esce di lì. —

Margherita e il babbo restarono soli, tratto tratto guardando l'ora; lei al pendolo del caminetto, egli al suo patek, nel quale aveva più fede. Poco dopo le tre, fu annunziato il conte Aldini, ed accolto a festa, come prima. Egli appariva un po' mesto, come sempre, ed anche triste, come la sera innanzi; ma lo sguardo di Margherita possedeva la virtù del raggio di sole, che, dovunque arriva, ravviva.

– Ed ora veniamo a noi; – disse Margherita, dopo qualche minuto di ciarle preliminari. – Conte, so tutto, per bontà di mio padre; perdono tutto, per bontà mia. Si contenta? Oh bene! Ma Ella deve appagare un mio desiderio. Ecco là, sul noto tavolino da lavoro, carta e matita. Vuol disegnarmi la pianta del suo quartierino? —

Filippo rimase un po' sconcertato, guardandola, e non sapendo lì per lì che cosa rispondere.

– Da bravo, mi contenti! – incalzò la fanciulla. – Le piacerà forse di più che glielo comandi? Non so, e non voglio imparare quest'arte per usarne con Lei; – soggiunse, con una espressione di grazia incantevole. – Mi dirà che il disegno desiderato da me non è il Ponte del Paradiso… Ma questo lo possiedo. Non è neppure il Ponte… dei Sospiri, per servirmi della stessa sospensione che dianzi, come per canzonarmi un pochino, ha usato mio padre. Del resto, il Ponte dei Sospiri non mi va; sarebbe di malaugurio. Mi disegni a semplici tratti, ma precisi, tutto il suo quartierino, che lo conosca nella disposizione delle sue parti ancor io. Così, gentilissimo sempre! Ma badi, ci vorrei tutto; la linea della strada, il punto dell'ingresso padronale, l'uscio segreto, coll'andito che lo precede, come è lungo e largo, la scaletta di servizio, finalmente, e il cortile dove questa riesce. —

Filippo Aldini era alla tortura. Ma dallo sguardo e dall'accento della sua inquisitrice non traspariva nessuna intenzione di crudeltà raffinate. Soltanto, non veniva a capo d'intendere la ragione di quel capriccio donnesco.

– Ma perchè?.. – domandò egli timidamente.

– Per una curiosità architettonica; – rispose la fanciulla. – Se sarò Margherita Aldini, potrà bene saltarmi l'estro di fabbricare una casa; e voglio sapere… come non vada fatta una casa. Non si turbi, la prego; ho tutto perdonato, le dissi, e presto avrò tutto dimenticato. Presto! – ripetè Margherita con accento malinconico. – Dio voglia che sia così. Quell'uomo dabbene, a cui siamo debitori di tanto, quell'uomo di cuore non deve morire per cagion nostra.

– Nostra? – esclamò Filippo, sconcertato.

– Sì, – rispose Margherita, – perchè in verità ci ha un po' di colpa ancor io. Se non giungevo io, signor Filippo, io, povero astro, sul suo quieto orizzonte, niente accadeva; ciò che doveva estinguersi coll'aiuto del tempo e svanire, avrebbe fatta la sua fine tranquilla, senza scatti d'orgoglio ferito, senza impeti d'ira selvaggia, e senza tutto l'altro che dobbiamo piangere insieme, e scongiurare, se ci verrà fatto, nella sua parte più triste per noi.

– Signorina, – disse Filippo Aldini, profondamente commosso, – quell'uomo dabbene, quell'uomo di cuore, mi ha ripetuto tante volte: Margherita Cantelli è un angelo del paradiso. Come la conosceva bene! —

Si era commossa anche lei, a quelle parole di Filippo; si era commosso anche il signor Anselmo, che diede prudentemente le spalle per asciugar di nascosto una lagrima.

Il disegno, a semplici tratti, e senza indicazione di spessori, non richiedeva un lungo lavoro. In un quarto d'ora il destro disegnatore se n'era sbrigato, aggiungendovi ancora ai luoghi opportuni le indicazioni per iscritto, che Margherita gli veniva chiedendo via via.

Verso le quattro entrò un cameriere, portando al commendatore Cantelli un messaggio sul vassoio di rito. Era un telegramma; il signor Anselmo, sbadatamente o pensatamente che fosse, lo aperse e lo lesse, facendo un atto di grande stupore. Ma lo chetò prontamente uno sguardo supplichevole di Margherita.

– Le tue amiche… milanesi; – diss'egli allora, porgendo il telegramma a sua figlia.

– Sta bene, sta bene; sono tanto carine! – rispose Margherita, leggendo.

E dopo aver letto, richiuse diligentemente il foglio giallo, lo ripiegò in quattro doppi, quanti ne occorrevano per farlo capire in una tasca del suo portafogli minuscolo. Frattanto, aveva levate le pupille al cielo, in atto di ringraziare il Dio delle misericordie.

Filippo aveva finito il disegno. Margherita lo ringraziò della sua cortesia, e prese a parlar d'altro; ma a lui, dopo alcuni minuti di conversazione, parve di capire che la sua bella interlocutrice fosse alquanto disattenta. Anche il signor Anselmo, certamente per esser rimasto un pochettino stonato dal telegramma delle amiche milanesi, era disattento da parte sua, anzi, più che distratto, sovra pensiero. E Filippo, dopo essere stato un po' incerto di quel che dovesse fare, si alzò per prender commiato.

Margherita intese il pensiero, di lui, e non volle lasciarlo così addolorato.

– Mi trova un po' distratta, non è vero? – diss'ella, porgendogli la mano, e lasciandola amabilmente in quella di Filippo. – Non ci pensi; non è per Lei, ma per una faccenda che mi preme. Ad ogni modo, mi perdoni questo ed altro. Sì, ho dell'altro da farmi perdonare. Il suo segreto non sarà più conservato in due, ma in tre persone. Non tremi; – aggiunse, stringendogli più forte la mano; – sarà sempre ben custodito. L'essenziale sarà che ad ogni richiesta… m'intende? ad ogni richiesta possibile, quantunque improbabile, Ella dica di non averlo confidato a nessuno. Soltanto per farle questa raccomandazione, le ho confessato il mio piccolo peccato, che non è neppur tale, e non avrà nessuna conseguenza, ora che possiedo il disegno del suo quartierino. Ella non capirà nulla in questo mio indovinello; ma non importa; capirà poi, e mi approverà. Ci rivedremo stasera? All'ora solita, signor conte; e le giuro che non sarò più distratta. —

Così ebbe commiato Filippo Aldini, e ben dolce, poichè tanto a lungo la mano di Margherita era rimasta nella sua.

– Ed ora mi dirai… – incominciò il signor Anselmo, poichè furono soli.

Ma la fanciulla non gli lasciò finire la frase.

– Caro babbo; – diss'ella, abbracciandolo. – Dobbiamo noi vincere, sì o no, questa battaglia difficile? E salvare quel poveretto? Le armi che ho preparate sono di buona tempra, mi pare, e leali; speriamo che valgano.

– Dio ti assista, donna forte! – esclamò il signor Anselmo. – Ma se Raimondo…

– Verrà da me, se mai; ed io saprò difendermi. Ora tu, si capisce, per debito di cortesia, vai incontro… alle amiche di Milano. L'arrivo è per le cinque e quarantatrè. Si capisce ancora che tu mi conduci con te alla stazione. —

Il signor Anselmo tentennò il capo e sorrise.

– Non ci mancherebbe altro che ci andassi da solo! – rispose. – Con tanta carne che hai messa al fuoco, Dio sa come mi troverei impacciato! —

Erano suonate le quattro, e con le quattro era di ritorno all'albergo la signora Eleonora, accompagnata dal suo Federigo.

– Vi potevamo aspettare! – diss'ella.

– Sì, hai ragione; – rispose placidamente il signor Anselmo. – Come disse quella gentildonna ai suoi convitati: “perdonino, mi ero dimenticata in biblioteca„, così noi ci siamo dimenticati in chiacchiere. Ma non dubitare, ci rifacciamo subito anche noi.

– Dove andate?

– Alla stazione, incontro ad un amico di babbo; – entrò a dire Margherita. – Saremo di ritorno, ad ogni modo, per l'ora del pranzo. —

Uscirono, padre e figliuola, presero una gondola, e si fecero cullare sulle acque del Canal Grande, che a lume di tramonto erano bellissime. Ammirarono i bei palazzi, così degni di osservazione, nella diversità delle forme architettoniche e nella varietà degli stili. Di là dal ponte di Rialto, Margherita sporse il capo fuori del felze, e tese lo sguardo cercando il palazzo Orseolo, uno dei più graziosi di Venezia, notevole per la eleganza delle sue cornici, delle sue modanature, e più per le sue finestre ad arco acuto, dai terrazzini sporgenti, vagamente intessuti di pilastrini ornati a fogliami e di rosoni traforati, nello stile del Quattrocento.

– Povero signor Raimondo! – mormorò la fanciulla, quasi parlando a sè stessa. – Che vita, la sua! —

La gondola guizzò oltre, leggera leggera. Poco prima delle cinque erano già alla stazione. Ci avevano da aspettare un bel pezzo, e spesero il tempo passeggiando. Il signor Anselmo, che quel giorno era rimasto così lungamente seduto, non ebbe certo a dolersene. Margherita, per contro, aveva da infastidirsi non poco, vedendosi fatta argomento di tante ammirazioni d'una turba di peripatetici aspettanti.

Non è poi vero che a tutte le donne belle piaccia di essere ammirate, specie con troppa insistenza. Quelle che n'hanno fastidio pensano di sicuro che ad una dose più scarsa di ammirazione potrebbe accompagnarsi benissimo una dose più abbondante di reverenza, o di tatto.

Il treno delle cinque e quarantatrè arrivò miracolosamente puntuale. Margherita l'ebbe per un segno di buon augurio. Tra le poche persone che scendevano dalle vetture di prima classe, indovinò quella che aspettava, e le corse incontro, indovinata a sua volta: si ricambiarono i nomi, si presero per braccio, e si trassero in disparte sulla calata, discorrendo animatamente sottovoce. Parecchie cose dovevano essere state già dette per lettera; ora la signorina Cantelli aggiungeva utili ragguagli, o colmava lacune. La stazione si era già tutta vuotata di viaggiatori e di aspettanti, quando Margherita e la sua nuova compagnia si decisero ad uscire. Sul ponte si separarono; la persona misteriosa strinse la mano al signor Cantelli, presentato in quel punto; poi quella discese in una gondola; Margherita e suo padre nell'altra, che li aveva portati, e che doveva restituirli alla riva degli Schiavoni.

Giunsero all'albergo prima dell'ora di pranzo; alquanto sollevati di spiriti, come chi si conforta nella coscienza di aver fatto il debito suo; ma pensosi, come chi, arrivato al punto della prova, dubita istintivamente della bontà d'un suo ritrovato, ond'era poc'anzi ben certo. Son quelli i momenti che il facile incomincia a parervi difficile, e il difficile vi diventa impossibile. Ahimè, non son tutti sicuri, i meglio architettati disegni, come non son tutte rose nel giardino della vita; il qual giardino è troppo spesso una landa.

Per nascondere la sua ansietà, Margherita tirò accortamente i discorsi di tavola sulle compere fatte dalla mamma in quei giorni, pel corredo del suo Federigo; quel famoso corredo che doveva accordarsi nelle sue parti con tanti climi e temperature differenti sulla faccia del globo. La signora Eleonora aveva pensato a tutto; non la trovarono mai in fallo, nè mai la colsero alla sprovveduta. Così vigile è l'amor materno, che aguzza l'ingegno alle creature più tarde. Del resto, non era tarda d'ingegno, la signora Eleonora; solamente un po' dubitosa, non ben sicura di sè; piccolo difetto che non istarebbe male, in guisa di correttivo, agl'ingegni più pronti.

 

Una fissazione dell'ottima signora era questa, che le navi da guerra non dovessero prendere il largo altrimenti che a primavera, come le antiche galere. E per intanto vagheggiava l'idea che la corvetta non fosse pronta per la fine del gennaio. Ah, un altro mesetto di armamento! Si sarebbe potuto far assistere Federigo alle nozze di sua sorella.

– Ma sì! – aggiungeva facetamente il signor Anselmo. – Vedrai che il governo seguiterà a non indovinarne mai una; e questa volta, per far dispetto alla moglie d'un commendatore, si sbriga. —

Così ingannavano il tempo tutti e quattro; e due di essi ingannavano anche l'ansietà onde erano divorati. Alle nove in punto arrivò il conte Aldini, e la corvetta e il suo armamento passarono in seconda linea. Il signor Anselmo prese a discorrere di politica spicciola, come la recavano, per favorire la digestione dei popoli, i giornali della sera. Margherita parlò di teatri, facendoli presto piacere al nuovo venuto, che in verità non n'era mai andato pazzo, trovandoli tutti a lor volta nemici di qualche senso umano, o assordanti, o accecanti, o indigesti, o scipiti.

Margherita conosceva già la teorica dell'Aldini, e rammentava di non averla neanche combattuta. Per quella sera, tuttavia, un pochino di controversia avrebbe fatto buon giuoco.

– Sostenga lei un'opinione; – diss'ella; – io sosterrò l'altra.

– È impossibile, signorina; – rispose Filippo – e sarà sempre impossibile tra noi. Se Ella esprimerà un pensiero diverso dal mio, io lascerò il mio per conformarmi subito al suo.

– Perchè, signor conte? Le idee possono esser molte, e le opinioni diverse.

– Vero; e può anche esser piacevole di abbracciar l'opinione… dell'avversario.

– Il quale, – ribattè Margherita, – non si troverà molto soddisfatto di vincere senza aver combattuto.

– Verissimo; mi persuade; – conchiuse Filippo, dandosi tosto per vinto.

– Ah, ora lo fa apposta; – notò Margherita.

– Ma no!

– Ma sì!

– Ella ha ragione; – conchiuse Filippo una seconda volta. – E vede? – soggiunse, a mo' di commento, – vede, da questi piccoli esempi? Tra due che discutono, volendo ognuno di essi aver ragione, ce n'è sempre uno… che merita di averla. E l'altro ha ragione a suo modo, rinunziando alla sua opinione. Vuol dire di no! Ed io son tanto lieto di darle ragione, che ancora una volta, e sempre, dirò come Lei. —

Anch'egli, in questa piccola scherma, cercava d'ingannar la sua cura; una cura tanto più molesta al suo spirito, in quanto che doveva essere inerte, non obbligandolo a scuotersi, a darsi moto, per iscongiurare un gran guaio. Tutto era in mano di Margherita; ed ogni sua speranza era in lei. Che cosa aveva ella incominciato a fare? I suoi misteri del pomeriggio erano pieni di promesse; la sua allegrezza di quella sera egualmente. Ma poteva anch'essere un'allegrezza mentita; o non significar altro se non questo, che ogni lavoro di difesa o d'approccio della guerriera animosa era rimesso al domani. Così viveva ancor egli dubbioso, tra speranza e timore.

Sulle dieci, mentre la conversazione languiva, si udì un rumore di passi frettolosi su per la scala. Bussarono all'uscio del salotto, ed entrò un cameriere annunziando il signor Antonio Brizzi.

– Fate passare; – disse il signor Anselmo, alzandosi tosto per muovere incontro all'inaspettato visitatore. – Oh, bene! —

Ma l'esclamazione di giubilo morì sulle labbra del signor Anselmo, al vedere il signor Antonio affacciarsi sulla soglia, pallido, anelante, e con gli occhi stralunati.

– Che cos'è stato? – domandò allora. – Entri, la prego, e richiudiamo l'uscio. Per amor di Dio, non ci tenga in pena! —

Il povero signor Brizzi durava fatica a contenersi. Parole e lagrime gli facevano nodo alla gola.

– Una disgrazia… – balbettò; – al palazzo Orseolo… una grande disgrazia!.. —