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Il ponte del paradiso: racconto

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Märgi loetuks
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XX.
Lontano, lontano!

No, non era spezzato; era colmo, rigurgitante di amore; di un amore sepolto, compresso, che risorgeva più violento di prima. Ebbro di amore e di dolore, Raimondo Zuliani stette per molti giorni sospeso tra morte e vita, perchè tra morte e vita si dibatteva quella povera carne sofferente. Quando ella incominciò a riaversi, a riprender conoscenza del mondo circostante, vide Raimondo al suo capezzale. Stette cogli occhi lungamente immoti, involgendolo d'uno sguardo intenso; poi richiuse le palpebre mentre le guance si tingevano d'un lieve rossore.

– Perchè non lasciarmi morire? – diss'ella, con un filo di voce.

– No, no, non voglio che tu parli così; – proruppe Raimondo, con accento di tenerezza, chinando il volto su lei, fino o toccarle con le labbra la fronte. – È necessario che tu viva, m'intendi? è necessario. La mamma se tu la vedessi, com'è rimasta abbattuta!.. La mamma… ti perdonerà. —

Raimondo non parlava di sè; egli aveva già perdonato fin dalla sera fatale; o, per dire più veramente, un'altra esistenza era incominciata in lui, come in lei, rinnovandoli entrambi. La signora Adriana, lontana in quell'ora dal letto dell'inferma, aveva ben veduto il mutamento del suo Raimondo: lo aveva veduto, e compativa e taceva. Un po' debole d'animo, il suo caro figliuolo! Così poteva giudicarlo altri, non lei. E forse era tale; ma per contro era forte la passione riaccesa nel suo cuore dall'ultimo addio e dall'atto disperato di Livia.

Di vincere la signora Adriana si prese cura la signorina Margherita, che da più giorni incalzava Raimondo con sempre nuovi argomenti, vedendo omai la probabilità di far breccia. E come trepidò egli, aspettando da Margherita la risposta di sua madre! E come si sentì sollevato, quando Margherita venne a dirgli che la signora Adriana intendeva tutto, e di gran cuore avrebbe perdonato alla nuora!

– La mamma perdona? – gridò egli, raggiante di allegrezza. – A questo patto soltanto io potevo accettare di vivere. —

Margherita abbracciò quell'uomo, che mai come allora si sarebbe potuto chiamare il buon genio di lei, l'arbitro del suo destino, l'autore della sua felicità.

– Ella rende la vita anche a me; – diceva ella al signor Zuliani; – e la rende ad un poveretto, che non le sarebbe sopravvissuto davvero!

– Lo crede?

– Ne sono certissima. Glielo dimostri la mia gratitudine. —

Raimondo stette un istante pensoso.

– Mi resta un dubbio; – diss'egli. – E non lo esprimo già per chiedere a Lei una parola che consoli il mio amor proprio. Non ne ho più, di questo, nè d'altri sentimenti egualmente miseri e sciocchi. Ma penso che avevamo giuocate le nostre vite, e che se fosse stato egli il perdente, si sarebbe ucciso senza fallo.

– Sì, per l'intenzione non c'è dubbio; – rispose prontamente Margherita; – ma nel fatto, egli non avrebbe potuto.

– Perchè?

– Perchè Lei, generoso, non glielo avrebbe permesso.

– Vero; – concesse Raimondo. – Ma si sarebbe egli arreso?

– Sicuramente; e per due ragioni. Guardi come son ricca, al suo paragone! – replicò Margherita, ridendo. – La prima è questa, ch'egli si sarebbe arreso… per me. La seconda è quest'altra, che egli sentiva di esserle schiavo e non avrebbe potuto ricusarsi alla sua volontà. Le paiono convincenti? Credo di sì. Vuole assicurarsi che son sue, e non mie? Lo mandi a chiamare; io tacerò ed Ella le udrà ripetere punto per punto da lui.

– No, no, non occorre; debbo credere a Lei; – rispose Raimondo. – E faccia ognuno la sua strada; – soggiunse, precorrendo colla difesa un altro assalto, di cui sentiva già la minaccia in aria; – e gli dica, quando lo vedrà… che gli ho perdonato. —

Ma la vita di Raimondo Zuliani, rinnovata per l'amore, era finita per le consuetudini antiche.

Risanata la sua Livia, il signor Zuliani rimase a Venezia un mese ancora; il tempo necessario per fare con lei qualche apparizione agli usati ritrovi, seccandosi alle condoglianze, seccandosi alle congratulazioni, non vedendo l'ora di sottrarsi alle une ed alle altre. Non meno di lui n'era seccata la signora; ma forse, per quelle medesime ragioni di prudenza che avevano mosso Raimondo in tutto il corso di quel dramma domestico, non poteva dispiacerle troppo di farsi vedere alla gente, rifiorita di salute e di bellezza, lieta e sorridente, tra un marito sempre devoto ed una suocera apertamente amorevole. Per quelle stesse ragioni fece buon viso alla contessa Galier, troppo tenera amica, che omai vedeva volentieri come il fumo negli occhi; e senza uno sforzo così grande che per verità non era il caso, trattandosi di gentili cavalieri, accolse per due o tre mercoledì alla fila i Lunardi, i Gregoretti, i Ruggeri, i Telemachi, i maestri di musica, tutta la sua piccola corte, a cui fece perfino la grazia di mostrarsi una sera a teatro tutta sfavillante di gioia e di gioie, con quel suo diadema della farfalla adamantina che sfuggiva alle fauci del serpe insidioso, tutto smeraldi, crisòliti e rubini.

Pochi giorni dopo quella comparsa trionfale, la bella signora Zuliani spariva. Moglie e marito partivano da Venezia, per fare un viaggetto a Parigi, a Londra, e fors'anco altrove, se non si fossero seccati. Ma non si erano seccati di certo, perchè il viaggetto durò mesi parecchi, e le garrule Procuratie ebbero tempo a dimenticarsi dei due viaggiatori. I quali posarono finalmente, ma per istabilirsi lontano, chi disse in Isvizzera, chi sul lago di Como, chi in Liguria, chi perfino a Madera, e naturalmente per consiglio dei medici; savio consiglio, giustificato abbastanza da una complessione troppo delicata, e dalla scossa troppo violenta di un caso disgraziato, che tutti dovevano ricordar per un pezzo.

Caso disgraziato, davvero, e non effetto di un disperato proposito. Così fu creduto da tutti, poichè con la sua stessa rovina parlava il parapetto di un terrazzino sul Canal Grande. Una trovata veramente felice era stata quella di “Paron Nane„. Ed era stata anche una buona azione; perciò rimase ignorata. Se si fosse risaputa, di sicuro gli archeologi l'avrebbero dichiarata cattiva. Che si canzona? Mandare in pezzi quel gentil parapetto dai tre pilastrini istoriati, dai due rosoni traforati con tanta maestria di scalpello elegante! Quel terrazzino era un capolavoro di scultura quattrocentesca, innestato sopra un'architettura di tre secoli più antica. Per verità, restavano ancora i suoi gemelli delle altre finestre; e non sarebbero mancati, alla più trista, i suoi somiglianti sulla facciata di un altro edifizio, che era il palazzo Contarini Fasan, manifestamente adornato dall'ingegno di un medesimo artefice. Ma non era quella una buona ragione per consolarsi della rovina di quel prezioso cimelio. Casca oggi, casca domani, il bello, il vero bello, che è solamente l'antico, se ne va a pezzettini, e ci siam visti.

Un'altra rovina, mezza, se non intiera, fu quella del banco Zuliani, che, per l'assenza prolungata del suo titolare, fu costretto a restringere di molto la cerchia delle sue operazioni.

Era rimasto alle mani dell'ottimo signor Brizzi; finalmente prese nome da lui, e vive ancora di vita modesta ma sicura, se non gloriosa, non abbandonato del tutto dai capitali del signor Raimondo Zuliani, nè dalla benevolenza del banco Cantelli.

Anche la signorina Margherita aveva lasciato presto Venezia, poichè il governo, predestinato a non indovinarne mai una, non aveva esauditi i fervidissimi voti della signora Eleonora, e la corvetta, armata di tutto punto, era partita proprio sul finir di gennaio, portandosi via lo sposo Federigo e il suo vistoso corredo per ogni clima e per ogni temperatura del globo. Filippo Aldini aveva naturalmente seguiti i signori Cantelli a Milano; un mese dopo. Margherita Cantelli diventava la contessa Margherita Aldini.

È felice, ora, interamente felice col suo Filippo, e passa la maggior parte dell'anno nella quiete desiderata di Parma. Babbo e mamma non tralasciano occasioni per andare da lei e far visite lunghe; ed ella e Filippo fanno spesso le loro corse a Milano, segnatamente d'inverno, quando è più intensa la vita dei teatri, e le prime rappresentazioni della Scala attraggono l'artistica curiosità della giovine e bella contessa. Ma essa ai teatri non vuole andare senza Filippo; Filippo ha da esserle sempre al fianco. Ne è forse gelosa? No, tanto è sicura di lui; ma trova piacevole al sommo tenerselo vicino, averlo così digne et in æternum marito ed amante; e se la cosa fa scandalo, perchè fuori di moda, a lei non importa. La moda, in questa materia delicata, se la fa lei; non la impone a nessuno, e non si lascia imporre quella degli altri. Ma ne è così lieto il suo Filippo! il suo Filippo, che è perfino arrivato al punto di amar la musica teatrale, l'assordante, l'indigesta, la noiosa, e quant'altre varietà se ne spacciano sul mercato dei suoni.

La contessa aspetta ora il fratello, che in tre anni di assenza dovrebbe aver finito il suo giro del globo. Lo aspetta a Parma, naturalmente, e nell'antico palazzo degli Aldini, che Filippo ha ricomprato e rinnovato. Così potesse lei comprar Torrechiara, per farci una serie di restauri, degni di Pier Maria De' Bossi, e di Bianca Pellegrini d'Arluno! Ma già più volte è andata lassù, oltre Langhirano, a visitare la ròcca, intrattenendosi lungamente nella camera d'oro, davanti a quelle file di cuori fiammanti accoppiati, cerchiati di tre corone d'oro per coppia, e accostati dalle due chiare leggende latine dei due nobili amanti del Quattrocento.

Ed anche più volte, risalendo il corso della Parma, la cara donna ha visitato il bosco di Corniglio, tutto castagni secolari, che con le lunghe braccia distese danno benedizione di ombra e di pace ad una tacita casa d'antichi; poi quella conca di smeraldo che è la fresca valletta dei Lagadelli, degno soggiorno a poeti, forse più degno a filosofi; donde, per un sentiero sassoso tra i faggi lucenti, s'è inerpicata alla dolce solitudine del Lago Santo, custodita da vigili scolte di abeti; e più su, con breve e facile ascesa tra cespi di baccole, fino alla vetta prominente dell'Orsaro.

 

– Bel nome, quello! Fiero quest'altro, e mi piace egualmente! – diss'ella un giorno lassù. Da questa pace sublime luccica a noi qualche cenno di umano consorzio; ma lontano, per buona sorte, lontano, lontano; e qui le anime si ritemprano, e i cuori amano meglio. Ci hai pensato mai, Lippo? Si è scesi un po' tutti, a prima o dopo, dai monti, per dirozzarci al piano, per educarci, e, se Dio vuole, per intendere il bello. Ma poi, chi più intende il bello e il brutto, e soprattutto il mediocre della vita di laggiù, si ritira passo passo, ritorna alle origini, si rifugia sui monti.

– Hai ragione; e ci vive; – rispose Filippo. – Ma per viverci, e sentirsi vivere, ci vuol Margherita… l'intelligenza, la bontà, la bellezza e la grazia. —

Fine