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Il ponte del paradiso: racconto

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VIII.
Tra due ammalate

Raimondo a tutta prima si sgomentò, e senza por tempo in mezzo mandò per il medico, sebbene prevedesse di sentirsi dire che erano cose da nulla, sperando, anzi desiderando, che fosse tale il responso. È sempre bene averlo favorevole, da uomini di dottrina e d'esperienza, se anche ve lo incartoccino di astruserie, o ve lo confettino di vocaboli greci.

Il dottore Teodoro Dal Vago non era poi così ottimista come pareva, sentendolo discorrere al letto dei suoi ammalati. Era un medico esperto e consumato, che conosceva l'arte di non turbare lo spirito degl'infermi, nè delle loro famiglie; quelli sempre disposti ad aver nelle ossa tutti i malanni di cui si faccia il menomo cenno, queste sempre facili a spericolarsi per eccesso di tenerezza, e magari a lasciarsi sfuggire dagli occhi un segreto che l'ignoranza e la paura più facilmente ingrandiscono.

Venne, osservò, tastò il polso, che in verità era poco regolare, sebbene non forte, nè teso, ma che egli ebbe la buona grazia di trovare eccellente; poi venne all'interrogatorio, che fu lungo, minuto, amorevole. L'ammalata accusava dolori qua e là, al capo, al petto, alle spalle. Forse reumatici? Ma sì, reumatici per l'appunto: non aveva ella finito di raccontargli come le fosse accaduto di restare un'ora buona a conversazione in un salotto troppo riscaldato, e di uscir poi all'aria pungente della Riva degli Schiavoni? Si trattava dunque di una infreddatura; e bisognava star riguardati, riposare, riposare e ber caldo. Del resto, passando dal caso particolare, che in sè non aveva nessuna gravità, alle condizioni generali del vivere signorile, specie nella stagione fredda, o troppo variabile, il buon dottore aggiungeva le sue riflessioni tra il serio e il faceto.

– Se lo lasciano dire, mie belle signore? Sacrificano troppo alla moda, troppo agli usi del bel mondo; non pensano che la salute è un dono del cielo, e un dono a noi fatto, come quello della vita, per una volta sola; donde la grande necessità di tenerselo caro.

– Oh brutto dottore! – mormorò la signora Livia, con quell'accento di bambina scorrucciata, che soleva adoperare col suo Esculapio. – Che cosa faccio, finalmente? Non dovrò andare più neanche a teatro?

– Non dico questo; ma andandoci… si lasci dire anche questo, meno scollato, e più bavero.

– Ah, per questo, – saltò su a dire Raimondo, che il primo responso sul caso particolare aveva levato d'ansietà, – ti dirò anch'io come mia moglie: brutto dottore! ed anzi aggiungerò: “sior Tòdaro brontolon!„ Passi pel bàvero, per la pelliccia, per la mantellina ovattata, per quell'altro che tu vorrai, e che raccomando sempre all'uscita. Ma un po' di scollato, Dio buono, quando si è dentro, un po' di scollato!.. È così bella, mia moglie!

– Raimondo! – esclamò la signora, con una languida intonazione di rimprovero.

– Ebbene? – ribatteva egli, animandosi. – È ciò, che dicono tutti. Quel po' di scollato ti va così bene! Non si sente infatti ripetere che la tua linea, dal collo alla spalla, ricorda appunto la Venere Capitolina? —

Il buon dottore sorrideva, avendo l'aria di partecipare a quei maritali entusiasmi.

– Sì, sì, – riprese egli, – è l'opinione generale. Ma appunto per ciò mi raccomando. Pensate, ragazzi miei, che la Venere Capitolina ha ricco il platisma micoide.

– Platisma? – ripetè Raimondo, interrogando.

– Micoide; – ribadì il dottore Dal Vago. – Ma già tu vuoi la moneta in ispiccioli: diciamo dunque pannicolo carnoso, quello che scende da qui fin qua, dal mento al petto, e vi si sovrappone e segue amabilmente il pannicolo adiposo; cioè a dire quel buon tessuto cellulare sottocutaneo, che conferisce grazia alla persona, proteggendo anche gli organi respiratorii. La Venere Capitolina, se ben ricordo, ne ha quanto occorre. Il troppo stroppia; ma per mantenersi in quelle giuste proporzioni, bisogna aversi riguardo, e nel caso nostro non esporsi a perdere, cercare anzi di guadagnare. Dunque, dico io, preservativi, e ricostituenti. Ella è di complessione sana, ma delicata, signora mia bella; voglia guardarsi adunque dai troppo forti cambiamenti di temperatura, ed anche assoggettarsi ad una piccola cura che la rinvigorisca. Tutto ciò che riguarda la salute va fatto; tutto ciò che riguarda la bellezza non va trascurato. Dico bene? —

Così, tra raccomandando e celiando, il dottore Dal Vago lasciò la camera della bella inferma, per andare nello studio di Raimondo a scrivere quelle due righe di recipe, senza cui non pare che il medico abbia adempito a tutti gli obblighi suoi.

Rimasto solo con Raimondo Zuliani, il buon dottore parlò in un modo alquanto diverso da quello di prima.

– Fenomeni isterici, mio caro; e qui prima di tutto, vogliono esser rimedii calmanti.

– Isterici! – esclamò Raimondo. – Tu mi spaventi, dottore.

– Perchè? Leggeri, anzi tutto. Non creder poi che questo sia soltanto il caso di tua moglie. Son tutte isteriche, più o meno, le signore dei nostri giorni. Ed anche gli uomini, infine…

– Anche gli uomini? Ho sempre creduto che l'isterismo…

– Eh sì, – interruppe il dottore, – che cos'è l'isterismo, se non una sovreccitazione del sistema nervoso, e una forma della nevrosi, che è il gran male del secolo? Ora, vedi, più si è deboli, e più facilmente si soggiace alle conseguenze di queste sovreccitazioni; onde i cardiopalmi, i fenomeni stenocardici, le dispepsie… Ah, dimenticavo che tu non vuoi parole greche; diciamo dunque palpitazioni, stringimenti di cuore, digestioni difficili.

– Ed ora non mi spaventi più, mi atterrisci.

– Calma; siamo appena ai principii, e tutte queste brutte cose sono ancora in proporzioni ristrette. Ma poi, chi non provvede in tempo, va soggetto a convulsioni, alle contratture muscolari, ai trismi… voglio dire alle contrazioni persistenti dei muscoli elevatori della mascella inferiore. Seguono o precedono, secondo i casi, le allucinazioni, le insonnie, le anestesìe sensorie… voglio dire i mancamenti temporanei, le diminuzioni di sensibilità; nella vista, per limitazione del campo visivo, essendo resa insensibile una porzione periferica della retina; nella voce, nell'udito, e via discorrendo. Alle anestesìe, poi, si alternano le iperestesìe … cioè, diciamo pure gli eccessi di sensibilità, come accade per l'appunto nelle allucinazioni, quando l'isterico, in uno stato di mezza incoscienza, vede ripresentarsi alla sua mente più scene della vita passata, e ti mostra di riviverle, negli atteggiamenti diversi del viso, o nei fenomeni ipnotici, nel sonnambulismo, ad esempio, quando egli risponde macchinalmente alle tue domande imperiose. Bada, – soggiunse il buon dottore, vedendo la cera contraffatta di Raimondo, – io ti parlo così, contro l'uso mio, perchè siamo lontani da questi pericoli, e vogliamo e dobbiam prendere in tempo le nostre precauzioni. Principiis obsta… E questo lo intendi benissimo.

– So anche il resto: sero medicina paratur; – disse Raimondo. – Ma i rimedii?

– In farmacia non ne mancano; – rispose il dottore; – ma sono pei casi urgenti e in fondo in fondo son palliativi e non altro; calmanti, tonici, narcotici, ipnotici, non valgono certamente la cura diretta dello spirito, sussidiata dalla dietetica e dalla climatica. Distrarre la mente, nutrire e corroborare l'organismo, ecco il punto. Lo stomaco si adatta mal volentieri ad una nutrizione ricostituente, lo so; ma appunto per questo il cambiamento d'aria è raccomandato. Potrai tu lasciare per un po' di tempo i tuoi affari?

– Per lei, figùrati, farò questo ed altro.

– Alla buon'ora. Stazioni climatiche invernali non mancano; in Liguria, per esempio, da Nervi a San Remo, e più in là, se ti piace. Si fa doppia cura, dello spirito e del corpo; ed anche è doppia quella dello spirito, perchè alle distrazioni moderate e sempre piacevoli della vita nuova, si aggiunge il benefizio dello avere abbandonata la vecchia, con tutti i suoi turbamenti.

– Qui, per altro, – osservò Raimondo, – la mia Livia fa una vita abbastanza quieta.

– Sì, va bene; ma le visite, i teatri, i balli, le conversazioni; son tutte cagioni di esaurimento nervoso, per una costituzione così delicata.

– Come si fa, buon Dio? – esclamò Raimondo. – Come si fa a romperla con tutte le consuetudini sociali?

– Eh, lo so bene; restando, non si può; ma andando?.. Del resto, hai tempo a pensarci, poichè i disturbi della tua signora sono nello stadio iniziale. Forma leggera di una malattia molto seccante, si possono, si devono domare in tempo, per non aver noie più tardi. —

Fatto questo po' di chiacchiere, coll'amico Zuliani, il dottor Teodoro Dal Vago lasciò il palazzo Orseolo, e fuori di là il dialogo si restrinse in monologo. Sempre così, il buon dottore; un discorso al malato, un altro alla gente di casa, e il terzo a sè.

– “Donne, donne! eterni Dei!„ – incominciò, canticchiando tra i denti, sull'aria conosciuta del Barbiere. – Eccone una che non me la dice giusta, colla impressione del freddo all'aperto, dopo essere stata in un salotto troppo riscaldato. Dio sa che altro sarà stato, per metterle i nervi in combustione. Ed è più malata che non sembri. Quella tosse spasmodica! quella respirazione accelerata! Già incominciamo dal dire che questa storia è vecchia; e di forma ereditaria, ci scommetterei la testa. La madre, a quel modo nevrotica, come è finita! Quanto a lei, è stravagante, a dirne poco. Capricciosa è sempre stata, dacchè la conosco, ed è ancora una bambina, a trent'anni, se non li ha passati d'un bel poco. Età climaterica, direbbero gli astrologi. Basta, se l'amico Zuliani si decide a tirarla via da Venezia, e lei si lascia condurre, che mi pare il più difficile, possiamo rimediarla ancora. Ma occhio alla penna! —

Così conchiuso il suo ragionamento, se ne andò il buon dottore Dal Vago a visitare altri ammalati, a fare altri dialoghi, per finire con altri monologhi. I medici l'hanno ancora, la consolazione di questi piccoli sfoghi, dopo essere stati costretti a dir le cose per metà, ed anche a non dirle affatto.

 

Raimondo Zuliani aveva bene inteso che tutta la serie dei mali minacciati alla sua Livia risguardava il futuro, e un futuro abbastanza remoto da lasciar tempo a provvedere e fondata speranza di scongiurarli. Perciò era presto uscito d'apprensione, non restandogli altra cura nell'animo se non quella di obbedire ai consigli del medico. Una cosa era ben risoluta, che sul finir di gennaio, o sui primi di febbraio, alla più lunga, avrebbe condotta la moglie in un clima più confacente alla sua salute. La gita in Liguria gli sorrideva: quanto agli affari del banco poteva fidarsi del signor Brizzi, uomo pratico, accorto, ed onesto a tutta prova. Del resto, pei casi ordinarii avrebbe provveduto il carteggio, e per gli straordinarii il telegrafo. In questi pensieri, aveva finito di calmarsi. Ed anche si calmava la signora, che la mattina seguente non aveva più nulla, nè dolori vaganti, nè tosse, nè agitazioni, nè ardori alla pelle. Certo, per quella volta, i fenomeni isterici non c'entravano affatto; il guaio era tutto venuto dal gran caldo nel salotto delle signore Cantelli. Anche i medici, poveracci, qualche volta la sbagliano.

Oh, a proposito, una visitina alle signore Cantelli non era mica da tralasciare. Gli premeva la felicità dell'amico, e prima di muoversi da Venezia voleva anche per quel rispetto aver messe le cose a buon termine. Per intanto occorreva sapere se la signora Eleonora avesse ricevuto lettere dal marito, e notizia del giorno ch'egli sarebbe capitato a Venezia, come prometteva di fare.

Andò dunque al Danieli, e di mattina, per esser sicuro di ritrovare le signore in casa; se no, ad aspettare dopo colazione, c'era rischio che col “felice mortale„ fossero andate a fare qualche artistica passeggiata. Salito all'appartamento delle signore Cantelli, trovò in salotto la signora Eleonora sola, accigliata e più taciturna del solito.

– E la nostra bella Margherita? – chiese egli, guardando attorno, dopo aver fatto i suoi convenevoli.

La signora Eleonora scosse la testa, e battè un pochettino le labbra.

– Incomodata; – rispose poi asciuttamente.

– Oh, senti! E da quando? —

– Da ieri.

– Strano! E mia moglie, che è stata qui, non me ne ha detto nulla!

– Era appunto da noi, – replicò la signora Eleonora, – quando la mia figliuola si sentì venir male.

– E la cagione? – domandò Raimondo. – Forse il troppo calore dei camini…

– Diciamo il troppo calore; – mormorò la signora Eleonora, assentendo a mezza bocca.

– Dico questo, – riprese Raimondo, un po' sconcertato, – perchè mia moglie, appena ritornata a casa, si è messa a letto con dolori per tutta la persona, accennando al freddo della strada dopo il gran caldo che aveva sentito qui. Ma il riposo assoluto e i pronti rimedii del medico le hanno fatto bene, tanto che ora ha potuto alzarsi un pochino.

– Non così la mia Margherita; – disse la signora Eleonora, sospirando. – È ancora molto debole.

– Che pena! – esclamò Raimondo. – Ella non può immaginare come io ne soffra. —

Voleva chiedere se avessero chiamato un medico, e che cosa avesse egli trovato, che cosa ordinato. Ma vedeva la signora Eleonora così seria, così poco disposta ad accogliere le sue effusioni di cuore, che non ardì aggiunger altro su quel tema, e stimò opportuno di cangiar discorso.

– Dal signor Anselmo ha lettere? – domandò egli, dopo un istante di pausa. – Le scrive che verrà presto? —

La signora stette alquanto sopra di sè, battendo ancora le labbra; poi di schianto, non potendo più contenersi, proruppe in queste parole:

– Senta, son quasi tentata di scrivere a lui che non venga affatto. —

A quell'uscita inattesa Raimondo aveva dato un balzo sulla scranna.

– E perchè? – domandò con voce trepidante, mezzo soffocata dallo stupore.

– Perchè… perchè… – balbettò la signora Eleonora, pentita di essere andata troppo oltre, senza aver meditato le conseguenze dell'impegno in cui si metteva. – Ella ha ragione a volerlo sapere, il perchè. Ed è giusto che io glielo dica. Perchè il suo conte Aldini non è l'uomo per mia figlia.

– Signora!.. – riprese Raimondo, più stupito che mai. – Non intendo la cagione di questo suo mutamento improvviso; ed anche, mi consenta di dirglielo, irragionevole. Della parola, forse troppo vivace, Le chiederò scusa poi, quando avrò giustificato il concetto. Per sua norma, e sul mio onore, Le attesto che il conte Filippo Aldini è il fiore dei gentiluomini, e dei galantuomini, degno in tutto e per tutto di quell'angelo della sua cara figliuola. Lo innalzo troppo, mettendolo al paragone con la signorina Margherita? E sia; ma se nessuno può starle alla pari, nessuno potrà avvicinarsi tanto a quell'altezza, quanto Filippo Aldini; e questo glielo dico in coscienza dell'anima mia.

– Non è l'opinione di tutti, – notò la signora Eleonora.

– Ed io, – ribattè Raimondo, – non so di tutti, nè di pochi; so questo soltanto, che nessuno, intenda bene, nessuno al mondo, può pensare di Filippo Aldini diversamente da me. Chi ha potuto calunniarlo presso di lei, mentendo e sapendo di mentire?

– Si calmi, signor Zuliani, la prego. Abbiamo bisogno davvero di tutta la calma possibile, – disse la signora Eleonora. – In ogni altra circostanza, mi creda pure, tacerei, non amando io un certo genere di ciarle, che possono degenerare in pettegolate di donnicciuole. Ma si tratta di mia figlia, ed ho l'obbligo di parlare ad ogni costo. Ella mi ragiona dell'amico suo con tanto ardore di convinzione, che debbo credere alla sua sincerità; ma posso anche credere che ella viva in un inganno continuo. L'amicizia, si sa, porta una benda sugli occhi come l'amore. Altri, a cui non fa velo l'amicizia, può aver veduto più chiaro di lei.

– Voglio sapere… la prego, la supplico di dirmi chi le ha parlato male di lui.

– Male… intendiamoci. È male per me, che son madre, e su certi argomenti delicati debbo essere scrupolosa; ma può non essere male egualmente per gli altri. Infine, e pregandolo ancora di esser calmo, faccia delle mie parole un uso discreto, da buon cavaliere e da onest'uomo. La sua signora, ieri, seduta lì, dov'è Lei in questo momento, mi ha fatto una pittura del conte Aldini, del suo passato e del suo presente, che senza esser troppo nera, badi, senza esser troppo nera agli occhi del mondo, sarebbe sempre nerissima agli occhi di una madre. Insisto su questo nome, – soggiunse nobilmente la signora Eleonora, – perchè in esso è la mia forza, e la giustificazione del mio operare. —

Raimondo era rimasto attonito, come stordito da una percossa sul capo; e stette lì per alcuni istanti, senza proferir parola, guardando la signora Eleonora.

– Mia moglie! – diss'egli finalmente. – Ma che cosa ha potuto raccontarle mia moglie, contro la verità sacrosanta? —

Qui la signora Cantelli, che oramai non poteva più dissimulare nè attenuare, riferì tutto intiero il suo colloquio del giorno innanzi colla signora Zuliani, tra gli atti di stupore e i dinieghi di Raimondo, che non sapeva stare alle mosse. E narrò ancora dello svenimento di Margherita, che dalla camera attigua aveva potuto udire ogni cosa, o tanto che bastasse a farla cadere, povera innocente, dall'alto delle sue illusioni verginali.

– Fu un grande errore, il mio; – conchiudeva la buona signora; – grande errore di non avere aspettato suo padre, lasciandoci intanto venir troppo attorno il conte Aldini. Ma che vuole? Conoscendo il modo di pensare del mio Anselmo, sapendo che in questi casi si è sempre rimesso al parere di sua figlia, non potendo infine dubitare di Lei, che mi stava garante del carattere di quell'uomo…

– E ne sto garante ancora; – interruppe Raimondo.

La signora Eleonora fece un gesto che voleva dire: ne so abbastanza, della sua garanzia; poi continuò ad alta voce:

– Ora il male è fatto, e bisognerà rimediare. Io sono grata alla signora Zuliani della sua sincerità, se anche questa sincerità è stata cagione involontaria dello svenimento di Margherita. Le ragazze, finalmente, debbono avvezzarsi a questi malanni; la vita ne è così piena! Mia figlia non è più una bambina, del resto; sentirà l'obbligo della sua dignità personale, e si riavrà di questo colpo. Quanto a me, se sono andata un po' a precipizio nel fare, posso consolarmi pensando di essere ancora in tempo a disfare.

– A disfare! a disfare! – gridò Raimondo. – Spero bene che ciò non sarà. Del mio buon disegno avevo scritto a suo marito, ed egli lo ha in massima approvato; nè certo poteva fare altrimenti, conoscendo la mia serietà, come la mia amicizia per lui. Ne va il mio onore, se Filippo Aldini non è pienamente giustificato. Ma si figuri! ciance di donne sciocche, o di giovinotti invidiosi, accolte alla cieca da una graziosa isterica! Eh sì, l'ho detto, e non mi disdico. Il medico me ne parlava ancora iersera. Amo mia moglie quanto ad un uomo è dato di amare una donna; ma la virtù non può andarne di mezzo, nè la giustizia; e la donna che amo non deve guastare i disegni che ho formati in mente, per la felicità di due nobili cuori. Per sua norma, signora mia, l'Aldini è l'onore personificato. Ella vuole concedere qualche cosa a sua scusa, dicendo: leggerezze agli occhi del mondo. Ebbene! non ci sono state neppur quelle. Ma non sa Lei che da quattro anni lo conosco, e da tre, poi, non passa giorno che non ci vediamo, ricambiandoci i nostri pensieri più intimi? La pratica di cui hanno riempite le orecchie a mia moglie, non c'è, creda pure, non c'è; ne saprei qualche cosa io, se ci fosse, perchè Filippo non ha mai avuto segreti con me. Pensieroso, malinconico, sì, un poco, e diciamo pure più del bisogno; ma è il suo naturale, e non occorre cercarne altre cagioni men belle; è pensieroso e malinconico, se mai, come tutti coloro che pensano e sentono, come, tutti coloro che aspettano qualche cosa, che so io? il loro astro sull'orizzonte.

– Vogliamo dire che ne avesse il presentimento? – chiese la signora Eleonora, con accento sarcastico.

– E lo dica pure; sarà nel vero. Non mi ha egli sempre detto di no, quante volte io gli ho fatto proposte, e vantaggiose in sommo grado per lui? Il cuore non c'era, il cuore non aveva parlato. Ha questa volta, no: il cuore è stato preso in un súbito. E badi, non voleva, e non vorrebbe neppur oggi farsi avanti, aspirare alla mano dell'angelica creatura. Egli sa che è ricca, troppo più ricca di lui, che possiede a mala pena un trecentomila lire di patrimonio.

– Noi non badavamo a queste cose; – notò la signora.

– Ma doveva badarci lui, delicato com'è. Vuole di più? Mi stia a sentire. Avendogli io detto che mettevo a sua disposizione cento o duecentomila lire, se occorrevano, per pareggiare le partite, non ne volle a nessun patto sapere. Gli pareva una bugia. Ma che bugia! Se a me piaceva di mettere quella somma a sua disposizione, quella somma era sua, magari per sempre. No, no, mi rispose, non parliamo di ciò; le ragioni d'interesse non vengano ad offuscare quelle dell'amicizia. Ho dovuto cedere io, rimangiarmi l'offerta. Un'anima rara, signora mia; anime tali non ce ne sono molte nel mondo.

– Con che ardore ne parla! – esclamò la signora Eleonora, che si sentiva scossa a suo malgrado da quella foga eloquente.

– È l'ardore con cui va difesa e sostenuta la causa della verità. Ne intenda l'accento, mia buona signora. Ella ha senno e prudenza; non creda niente. Mia moglie ha raccattato ciarle d'invidiosi, e, senza pensarci più che tanto, le ha riferite. Che follia! l'Aldini indegno!.. Non creda niente, e dica alla cara Margherita di non creder niente neppur lei. Del carattere di Filippo Aldini, del suo modo di vivere, della sua fortuna, non grande, ma neppur disprezzabile, possono prendere informazioni da altri, se la mia testimonianza non basta. No? l'accolga adunque piena ed intiera; è quella di un uomo d'onore. Che interesse avrei io a mentire? L'Aldini non mi può certo far ricco. Ciò che io valgo in piazza lo sa benissimo il signor Anselmo, con cui ho relazioni d'affari da dieci e più anni, con cui ho tante operazioni in corso, ad utile suo non meno che mio! —

La signora Eleonora fu sollecita a chetarlo e colla voce e col gesto.

– Ma non si riscaldi per questo, signor Zuliani. Ella ora mi fa pena, lasciandomi credere che le mie parole contenessero qualche allusione amara per Lei. Non ho messa in dubbio la sua probità, la nobiltà del suo carattere. Son madre, ecco tutto; e forse ho dato corpo alle ombre. Ella mi giura che il conte Aldini è degno di Margherita; si figuri come son lieta di crederlo! E se sarà destinato in cielo, se Anselmo vorrà, non sarò io quella che farò il menomo ostacolo. Sappia bene, signor Raimondo, che il conte Aldini, a Lei tanto caro, io l'ho per così e per così. —

 

E tutta commossa, parlando, la buona signora faceva colla mano distesa una gran croce di Sant'Andrea sovra il petto. Raimondo afferrò quella mano e la baciò con devozione d'animo grato.

– Dunque, – ripigliò ella, conchiudendo, – crederò a Lei. E dirò a Margherita di credere con me. Oramai non si può, non si deve tacerle più nulla. —

Raimondo se ne partì consolato, e la signora Eleonora si mosse per recarsi nella camera di sua figlia. Ma non andò oltre la camera attigua al salotto, che era la sua. Margherita era là, dietro l'uscio, inviluppata nel suo accappatoio, ancora un po' tremante per un resto di febbre, ma cogli occhi scintillanti di gioia.

– Ah, che follìa! – disse la signora Eleonora, stringendosela al cuore, e cercando di ricondurla presto al suo letto.

– Mamma, perdonami! Ieri ho dovuto sentire per forza; parlava tanto alto, quella signora! Oggi, ho voluto; non potevo resistere: avrei avuto più febbre, a restare laggiù nel mio letto. Ma sono forte, sai; non mi sento più nulla.

– Più nulla! più nulla! e ti brucia ancora la pelle; – replicò la mamma, traendola via. – Presto a letto, e discorreremo. Hai sentito, del resto; il signor Zuliani parla con molta sincerità; è un uomo d'onore, e gli credo.

– Ah, vedi? Eran tutte bugie.

– Sì, cara; ma c'è qualche cosa sotto, che non riesco a capire. Per fortuna hai bisogno di riposo, e mi stai riguardata qualche giorno ancora nella tua camera.

– Oh, mamma! e quando quel povero Filippo verrà…

– Quando verrà quel povero Filippo, lo riceverò io. Lo riceverò bene, non dubitare. Egli non merita di essere sospettato. Sta dunque tranquilla; non sarà come se ci fossi tu, a riceverlo; ma egli vorrà contentarsi. È necessario. Tua madre non è un'aquila, – soggiunse sorridendo la buona signora; – ma a certe cose ci arriva ancora. Bisogna aspettare il babbo, e col babbo la volontà del Signore.

– Aspetterò… e pregherò; – disse Margherita, umiliata.

Ma era anche rassegnata, intendendo benissimo che aveva ragione sua madre. Al punto in cui erano le cose, bisognava andare più lenti, ed anche fermarsi un pochino; troppo si era corso fin allora, prima che il babbo avesse dato il responso. Ma col babbo si sarebbe rifatta e come! Col babbo non aveva sempre ragione lei?