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Il ritratto del diavolo

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Madonna Fiordalisa volle ritornare quello stesso giorno a Pistoia. E messer Lapo non indugiò a farla contenta nel suo desiderio, che tanto s'accordava co' suoi fini. I cavalli erano pronti, e la partenza seguì di poche ore l'arrivo.

Intanto, nel cuore della povera bella si era fatto uno strano mutamento. L'immagine di Spinello Spinelli, che vi era così profondamente scolpita, si cancellò a grado a grado. Così presente a' suoi occhi quando era lontano, egli rimpiccioliva improvvisamente dopo esserle stato vicino. Madonna Fiordalisa non l'odiava ancora, e già lo aveva discacciato dal sacrario delle sue ricordanze. Lo sposo di Ghita Bastianelli era diventato uno straniero per lei.

E lo aveva amato tanto! Nessun uomo al mondo avrebbe potuto vantarsi d'essere amato di più. Ma quell'animo fiacco aveva avuto ribrezzo della morte! L'ingrato, dopo aver posseduto quel cuore di vergine, pieno per lui di tenerezza ineffabile, non aveva saputo serbar fede alla tomba!

Immaginate quel che seguì da questo mutamento improvviso. Il dispetto contro Spinello fu più forte dell'odio contro Lapo Buontalenti. Madonna Fiordalisa aveva consentita la sua mano a quell'uomo, a cui parve grande fortuna ottenere dall'ira ciò che non avrebbe potuto dargli l'amore. A quell'uomo bastava di possedere; poco gl'importava del modo.

Ed anche madonna Fiordalisa aveva avuta la sua cerimonia nuziale. Ma gli echi di San Giovanni di Pistoia non la avevano recato nessun grido d'angoscia, quando ella aveva profferito il sì che doveva legarla per sempre. La vittima era immolata; il sacrificio piaceva agli uomini, com'era accolto da Dio.

Era naturale che così fosse. Spinello ignorava come sanno ignorare i felici. Non aveva egli dimenticata l'estinta! Eppure, sarebbe stato così bello in lui serbarsi fedele alla tomba! L'uomo che si ama ha da essere perfetto. E costa così poco esser tale! Ma non è egli possibile, Dio santo, che un forte amore vi occupi l'anima e vi renda insensibile ad ogni lusinga della vita? E perchè non si potrebbe amare eternamente una persona morta, quando ella, vivente, è stata tutto per voi? Ci sono delle donne che hanno questa virtù di raccoglimento; e non l'avranno gli uomini?

Così pensava, e l'amarezza di quel pensiero la vinse. L'immagine di Spinello fu cancellata dal suo cuore. Nello stordimento che l'ira contro di lui e la vergogna di sè medesima avevano recato nell'animo suo, madonna Fiordalisa non solamente si diede animosa in balia del Buontalenti, ma disse il suo sì con un ardore, che parve impeto d'affetto, tanto più forte, quanto più repentino. Cose che avvengono! Questi inganni del cuore son più comuni che la gente non creda.

Ma quando ella appartenne a quell'uomo, quando conobbe di avergli data la sua libertà, la sua vita, e tutto ciò che vale assai più della vita e della libertà, Fiordalisa vide che la sua promessa d'amore e di fede le era stata carpita da un sentimento bugiardo. Si pentì, ma era tardi, e la poveretta ebbe paura. Ah, non era così l'amore che ella aveva sognato. L'amore è l'abbandono consapevole e volenteroso del nostro essere; l'amore e una profonda allegrezza, anche in mezzo ai tormenti; l'amore è una superba rinunzia di sè ad una creatura che si crede superiore a tutte le altre, o solamente uguale a noi medesimi. Che cos'era invece messer Lapo Buontalenti? Un codardo, che non aveva saputo vincere in guerra leale, e si faceva forte d'un sotterfugio, un astuto che giungeva dopo e faceva suo pro d'un movimento di sdegno. E quell'uomo era diventato il suo signore e padrone. Abbominevole cosa! E la bellezza di lei, che aveva infiammato il più nobile dei cuori, si sarebbe data a lui, avrebbe patite le sue ardenti carezze!

Pure, così doveva essere. La vita ha più drammi che non si pensi; drammi tanto più dolorosi, quanto più inavvertiti. Perchè egli c'è qualche cosa di grande nei dolori patiti alla luce del sole, con migliaia di sguardi rivolti su voi e di cuori compassionevoli che s'inteneriscono per voi, imprecando ai vostri oppressori. Ma il dramma intimo, il dramma rinchiuso nelle quattro pareti d'una casa, senz'altro testimonio che la vostra coscienza abbattuta, quello è il più orribile dei drammi. Rammentate la leggenda, che narra di donne rapite dagli abitatori delle selve? Anche certi animali, a noi vicini nell'ordine della creazione, sentono come noi la bellezza. Sommessi al suo potere e terribili nelle ire gelose, amano e digrignano i denti; proteggono, nutrono, e sono disposti a percuotere, ad uccidere per un nonnulla che svegli i loro sospetti. Ma di tali belve non sono popolate solamente le boscaglie africane. In ogni consorzio umano è dato di trovare l'uomo feroce dei boschi. Gran mercé sentirsi amate in tal guisa! E come fuggire a quella forma d'affetto? La donna, si sa, è debole e paurosa. Quanto meno è saldo in lei il vincolo che lega la vita alla carne, tanto più grande è il timore di perderla. Desdemona trema. Peggio ancora, ella non osa dire a sè stessa di amar Cassio, così dolce e così buono; il dramma finisce, e finisce la vita per lei, nella persuasione di avere amato il suo furibondo carnefice.

Così la bella Fiordalisa apparteneva a messer Lapo Buontalenti. La povera anima tentò a quando a quando di ribellarsi, ma finalmente si spense nella sommissione a quella volontà, volgare ma forte. Il suo signore e padrone la soggiogava con la sua stessa ferocia. Qualche volta le avvenne di sentire la forza di quell'amore violento, e (debbo dirvi ogni cosa, per l'ossequio che merita la verità) si compiacque di essere amata in tal guisa. Se in uno di quei momenti le fosse capitato davanti il povero Spinello, essa gli avrebbe detto: Sai? Io amo quell'uomo, che un giorno o l'altro mi ucciderà; lo amo, perchè egli mi ucciderà. Ma altre volte ella sentiva un odio profondo, e, insieme con l'odio, il desiderio di mormorare all'orecchio messer Lapo: Sai, uomo feroce? Io ti disprezzo, quanto tu mi ami. Checchè tu faccia, non cancellerai dal mio cuore l'immagine di Spinello. Uccidimi pure, poichè questo è il tuo diritto; ma, io amo quell'uomo.

E certo ella avrebbe parlato in tal forma, se Lapo le avesse domandato quali pensieri passavano per la sua mente, nelle ore più segrete, in cui il signore d'una donna s'atteggia più superbamente a padrone. Ma Lapo Buontalenti non chiedeva nulla. Egli era uno di quegli spiriti volgari, destinati a vincere nelle battaglie della vita, perchè hanno un'idea sola, e in quella appuntano tutti i loro desiderii, tutte le forze della loro volontà. Siffatti uomini, quando l'occasione li fa innalzare a più grandi propositi, appaiono anche uomini insigni, e si chiamano Cesare, o Napoleone, perchè, scambio di vincere una donna, hanno soggiogata la patria, caduta, per effetto di tristi circostanze, nelle condizioni miserande di una povera donna, che deve cedere senza fallo al più forte, e al più temerario. Per essi, nessun dubbio, nessuna perplessità, nessuna esitanza nell'animo; vanno diritti alla meta, godere e comandare, comandare e godere. L'impero del mondo è una posta, essi la giuocano. Non hanno guadagnato ciò che giuocano; l'hanno trovato sul tappeto verde e se ne sono impadroniti, approfittando della disattenzione di tutti. Che cos'è la morale per essi? Non sentono che il loro egoismo. E il mondo crede a queste povere teste; il mondo s'innamora di questi giuocatori audacissimi, da qualunque parte essi vengano, a qualunque fazione si ascrivano. Ed è forse perciò che tanti pensatori modesti, i quali hanno lungamente vagliato dentro di sè il pro ed il contro, delle cose umane non credono agli entusiasmi del mondo e vivono a giornata in questa cara Babele, senza pigliarla sul serio.

Spinello aveva ascoltata la confessione di madonna Fiordalisa, e le aveva fatta sinceramente la sua. La bella creatura udì per quali vie l'amor paterno di Luca Spinelli e l'odio astuto di Tuccio di Credi avessero vinto l'animo del suo fidanzato e fossero giunti a strappargli un sì che doveva renderlo felice per tutto il rimanente de' suoi giorni.

–Povera donna!—esclamò Fiordalisa.—Voi dovete amarla, oramai.—

Spinello crollò malinconicamente la testa.

–Ahimè, non è possibile;—risposa egli.—Ed ella lo sa.

–Come? Avete avuto il coraggio di dirglielo?

–Sì, madonna; era il debito mio. Veramente,—soggiunse Spinello,—vi parrà che il debito mio fosse anche di non condurla all'altare. Ma questo, voi sapete oramai come andasse. Lo stato dell'animo mio non poteva sfuggire all'occhio attento della povera Ghita; mi chiese che cagioni di turbamento fossero in me, e come avvenisse che nulla poteva rimuoverle dal mio spirito; ed ho parlato, le ho aperto, schiettamente, il mio cuore.

–E lei?

–Povera Ghita! Mi ha inteso e mi ha perdonato. Vedete, Fiordalisa, il suo perdono mi pesa. Oh, se m'avesse odiato! Se mi avesse tradito! Credetelo pure, io l'avrei benedetta, anche prima che voi foste viva, mia bella e dolce fidanzata. Rinchiudermi nel mio lutto, senza esser cagione di rammarico a lei, vivere con le immagini del passato, lasciando altrui di trovare le sue gioie nel presente, era questo il mio voto, era questo il mio sogno.—

Fiordalisa non rispose parola. Chinò la fronte e rimase pensosa, quasi ascoltando dentro di sè l'eco delle ultime parole di Spinello Spinelli.

Il sole si era nascosto allora dietro i monti pisani. Una brezza soave incominciava a spirare dal piano, recando alla giovine coppia le acute fragranze degli orti pistoiesi.

–E voi, Fiordalisa,—mormorò Spinello, dopo un lungo silenzio,—pensavate al vostro povero amico?

–Sempre;—rispose ella con un filo di voce.

–Angelo, ed io l'ho meritato, sapete? Ogni giorno della mia triste vita è stato un assiduo pensiero per voi, un ricordo continuo, doloroso e caro, delle mie speranze perdute. Oh Fiordalisa, come t'ho amata, e come t'amo tuttavia! Sorriso della mia giovinezza, ti ho dunque ritrovato? E non sei più mia! L'ira dei tristi ci ha separati. Ma è forse vero? L'amore che mi legava a te, dal giorno che ti ho veduta per la prima volta e ti ho votato il mio cuore, non dura eterno qui dentro? Fiordaliso, anima dell'anima mia, senti, è il destino che ci ha divisi, è il destino che ci ricongiunge. Non è desso che m'ha chiamato a Pistola? E contro il desiderio dell'infame Tuccio di Credi? Oh, quell'uomo, quell'uomo! Come dovrà pagar caro il suo tradimento! Perchè io lo ucciderò, sai, lo ucciderò come si uccide un rettile schifoso e malefico!—

 

Fiordalisa fremette a quelle parole di minaccia.

–No, Spinello, amico mio, non giurate la morte di nessuno. È la vostra Fiordalisa che ve ne prega. Chi siamo noi per farci giudici, dov'è la mano di Dio? E tu ed io,—soggiunse ella abbassando la voce,—siamo forse così puri, nel profondo dell'anima, per non aver mestieri di perdono davanti alla giustizia degli uomini ed alla misericordia di Dio?

–Ah!—gridò egli, colpito da quelle parole, e più dall'accento con cui erano stato profferite.–Tu m'ami dunque, o Fiordalisa! Mi ami… come t'amo?

La bella creatura gli volse uno sguardo in cui si dipingeva tutta la confusione dell'animo suo, e cadde perduta nello braccia dell'innamorato Spinello.

Ore soavi, ore di cielo, chi potrebbe descrivere la vostra dolcezza infinita? Parole sussurrate da labbro a labbro, quasi paurose di essere udite dall'aria, chi potrebbe ridirvi? Quei due nobili cuori, separati dalla tristizia degli uomini, erano dunque resi a sè stessi, e si confondevano allora tanto più infiammati l'uno dell'altro, quanto più lunghi erano stati il desiderio e la pena? Si erano amati; si amavano. Il doloroso intervallo spariva; quei due cuori non avevano mai cessato di amarsi.

La luna, apparsa pur dianzi dal colmo del poggio, s'innalzò lentamente su per la volta azzurra: Ed essi erano là, immobili, ebbri di amore, gli occhi cupidamente fisi negli occhi, le braccia intrecciate alle braccia. Il mite chiarore dell'astro notturno, che pioveva sui due felici e pareva involgerli d'una velatura bianca, li faceva rassomigliare a due figure di marmo, che, aggruppate dal sentimento d'un gentile artefice, eternassero il loro amplesso nella radura d'un bosco; delizioso spettacolo d'amore, e veramente degno di essere contemplato dalle stelle. Quete notti della bella Toscana, in mezzo al cupo smeraldo dei poggi digradanti, al biancheggiare dei nitidi borghi in lontananza, al luccicare dei fiumi, serpeggianti in fascia d'argento lunghesso le valli, avevate mai accolta e accarezzata dal vostro raggio amoroso una felicità così piena?

Ella guardando lui, ed egli vedendo il creato negli occhi di lei, avevano dimenticato ogni cosa. Ma che cos'altro è un vero e forte amore, se non un profondo oblio! Respirare le dolci fragranze d'una guancia adorata, farsi collana di due candide braccia, è come affogare nell'infinito; anticiparsi il maraviglioso nirvana dei filosofi indiani. Sopra tutto, se duri tra voi e intorno a voi un grande silenzio, che vi dà l'illusione d'esser cullati sul flutto, in un mare senza sponde, e senza tempeste. Ogni piena allegrezza è naturalmente muta, la beatitudine non si dice; è la cosa sublime, ineffabile, che si tiene gelosamente in serbo, nel segreto dell'anima, per rammentarla nei giorni malinconici, d'ogni luce muti.

E poi, che bisogno avrebbero avuto di manifestarsi i loro pensieri a vicenda? Un linguaggio più tenero e più efficace parlavano quelle labbra ardenti, quegli occhi confusi di voluttà. E tacevano, intanto, ed ogni cosa taceva intorno a loro. Da lunge, si udiva solamente lo stridio dei grilli, monotono ma lene, che non urtava l'orecchio, ma conciliava il raccoglimento, e pareva la voce della natura, la nota della realtà, che dicesse loro: voi siete persone vive, non ombre vane; quel che sentite, è gaudio consapevole, non illusione del sogno.

Amore, amore! Quanti inni non ha sciolti per te l'anima umana ne' suoi impeti di poesia! Ma tu sei così vario e profondo, che nessuna forma dell'arte basterebbe a comprenderti. Tu non sei intiero in nessuno dei nostri cantici, perchè ogni cantico è in te. Scioglierò anch'io, gramo poeta, il mio inno alla tua potenza infinita? No, chiuderò gli occhi, e contemplerò i tuoi miracoli nella penombra delle mie ricordanze: evocherò il caro fantasma che meglio risponde alla tua immagine non mai ritratta da umano pennello. E a me, pur troppo, non risponderà da lontano il monotono e lene stridìo dei grilli canterini; la voce della natura, la cara nota della realtà, sarà muta per questo povero cantastorie.

Mentre io parlo, ricordando troppo, ed essi tacciono, dimenticando ogni cosa e vivendo un'eternità nello spazio d'un'ora, un fruscio della frappa s'è udito tra le piante.

All'improvviso rumore, Fiordalisa tremò; Spinello balzò prontamente in piedi tendendo l'occhio sospettoso e l'orecchio. Ambedue rimasero lungamente in ascolto, rattenendo il respiro; ella più innanzi, e pronta ad allontanarsi dal terrazzo; egli più indietro, ma con la mano agli elsi della spada.

–Non è nulla;—diss'ella poco stante;—forse il vento tra i rami.

–Ah!—sospirò egli.—Povera vita! Tremare, nascondersi…. E perchè? Tu verrai meco, non è vero, amor mio!—

Fiordalisa si strinse al petto di Spinello, e non rispose parola.

–Dimmi, te ne prego,—ripigliò Spinello,—verrai?

–Verrò, sì, non dubitare, verrò;—rispose ella, turbata.—Ma, per amor del cielo, per me, non cedere alla tua impazienza! Una cosa ti sia certa;—soggiunse, parlandogli all'orecchio come se vergognasse di udire il suono delle proprie parole,—che io non vivrò con quell'uomo, non profanerò l'impronta dei tuoi baci.—

Spinello premette al seno quella fronte adorata e depose un bacio tra i suoi bruni capelli. Ma Fiordalisa, non bene rassicurata, stava ancora in ascolto.

–È il vento, dicevi, è il vento che stormisce nella frappa;—mormorò allora Spinello.—Di che temi tu dunque? Ma lui, a quest'ora dov'è?

–Non so;—rispose Fiordalisa;—forse ancora in città, dov'è andato a salutare un amico.

–È un fedel servitore;—notò amaramente Spinello;—il suo Tuccio di Credi, venuto a Pistoia per lui.

–Ah! forse per avvertirlo della tua presenza?—diss'ella, guidata da quel senso indovino che hanno in simili casi le donne.

–Orbene, sia pure così;—rispose Spinello.—Io lo aspetterò di piè fermo.

–No, te ne supplico, parti! Egli sarà qui tra poco. Potrebb'essere già ritornato, e cercare in questo punto di me.

–Andrò,—disse Spinello, sospirando.—Ma non intendi tu, Fiordalisa? Ieri ho colto a volo una sua frase, in risposta all'infame Tuccio di Credi. "Partiremo, diceva egli, partiremo." E se egli domani ti conducesse via da Colle Gigliato? Dove ti troverei io, adorata?

–È vero;—rispose ella perplessa.—Ma tu conosci Cia, la buona contadina. Ella mi ama; a lei posso confidarmi, ove sia necessario. Ella ti avvertirà d'ogni cosa. Ma parti, ora; che egli non abbia a ritrovarti qui! Saremmo perduti ambedue.

–Sì, partirò. Dio Santo!—mormorò Spinello, comprimendosi il petto, che pareva volesse scoppiargli dalla pena.—Ecco la luce degli occhi miei, e debbo ritornar nelle tenebre! Quando ti rivedrò, mia dolce signora?

–Se Iddio lo consente, domani. Ma non venire di giorno. Attendi il colmo della notte. Cia verrà ad aprirti. Io troverò un pretesto per escire in giardino.

–Pronta a seguirmi?

–Sì, pronta a tutto. Iddio mi usi misericordia, perchè io ti amo e farò ogni cosa per te.—

Parlavano a bassa voce, guancia a guancia, tenendosi per mano, come persone che vorrebbero separarsi e non sanno risolversi, tanto è forte l'affetto.

In quel mentre, un nuovo rumore si udì dalla rèdola. Spinello mise mano alla spada.

–Zitto!—diss'ella.—Sicuramente è tornato, e questa è Cia che viene a cercarmi.

–Vado a vedere:—bisbigliò Spinello, facendo atto di muoversi.

–No, fèrmati; essa non deve trovarti ancora qui, così tardi! Mio Dio, chi sa che cosa ella avrà già pensato di noi! Lascia almeno che io la disponga a domani. Tu rimarrai qui, fino a tanto che io non sia presso di lei, avviata al castello; indi scenderai verso il portone. Andrai a sinistra e troverai a scala di pietra.—

Così dicendo, si allontanò. Spinello la seguì un tratto, fino al limitare del terrazzo, per stringervi la sua mano e deporvi un ultimo bacio. Ella, si volse con moto rapidissimo, lo baciò in fronte e fuggì.

Il giovane innamorato rimase in sull'ali, pronto a muoversi, appena fosse sparita, e a discendere da quella parte che essa gli aveva accennata. Ma proprio nel punto che egli stava per togliersi di là, udì un grido di spavento, che gli gelò il sangue nelle vene. E subito dopo vide riapparire madonna Fiordalisa, che correva a furia verso il terrazzo, come persona inseguita.

–Ah, salvami!—gridò ella.—Salvami! Egli mi ucciderà.—

Spinello fu pronto come la folgore. Con la spada nel pugno, si cacciò tra lei e il suo persecutore invisibile.

Ma appunto allora un uomo comparve dalla rèdola e venne a piantarsi sull'entrata del terrazzo. Veduto a lume di luna, in mezzo alla radura delle piante, pareva un fantasma.

–Chi siete voi, messere!—gridò egli, con accento impresso di sdegno.—Perchè vi trovo io con la mia donna, in quest'ora notturna, e senza avervi dato licenza di entrare?

–La vostra, donna!—ruggì Spinello Spinelli.—Voi parlate, messer Lapo Buontalenti, da quel ladro sfacciato che siete. Tenetevi indietro, o per la croce di Dio, è questa la vostra ultima ora.—

Ma in quella che faceva dare indietro il suo nemico, udì un gemito e vide Fiordalisa abbandonarsi sul fianco.

–Fatevi animo, madonna;—diss'egli;—il tristo non potrà nulla contro voi. Ma che è ciò!—soggiunse egli, con accento mutato, dalla baldanza al terrore, poichè aveva veduto luccicare nella mano di messer Lapo la lama d'un pugnale.—Ah! L'avete ferita? Vigliacco! Ferire un donna!

–È il mio dritto;—rispose il Buontalenti.—In mia casa son giudice e punisco senza il vostro beneplacito.—

Indi, alzando la voce gridò:

–A me la mia gente! A me!

–Vivaddio!—rispose allora Spinello.—Voi siete un giudice? Ed io sono la giustizia divina, in quest'ora. A voi, Lapo Buontalenti; io renderò cento per uno.—

E si avventò a messer Lapo, con la spada levata. L'impeto fu tale, che il Buontalenti non ebbe tempo a causarlo e ricevette il colpo nel bel mezzo del petto. La punta della spada si ruppe sul corsaletto di cuoio che messer Lapo indossava. Ma la violenza del colpo lo aveva fatto stramazzare a terra. Spinello, lesto come una tigre, gli fu addosso col ginocchio, e afferrata la spada sotto gli elsi, gli piantò il troncone nella gola, prima che quell'altro potesse menargli una pugnalata attraverso il costato.

I famigli del Buontalenti erano accorsi al frastuono. Tra i primi era la Cia.

–Vergine santa!—gridò ella atterrita.—Che è ciò? La mia signora?…

–È là, sul terrazzo. Andate, buona donna, ella aspetta i vostri soccorsi;—rispose Spinello, balzando in piedi, col suo troncone di spada nel pugno.—E voi,—soggiunse, rivolgendosi agli uomini, che erano rimasti sbigottiti, davanti a quella scena di scompiglio nei buio, senza sapere con chi e con quanti avesse a fare,—andate subito al castello. Portate acqua, una lettiga, una scranna, quel che vi capita, per adagiarvi la vostra signora, che questo infame ha ferita.

–La mia signora!—gridò la contadina.—La mia signora ferita! Ah, Dio di misericordia! Andate, correte, obbedite a questo buon cavaliere. È un congiunto di sangue della nostra padrona.—

Quella povera donna non sapeva quel che si dicesse; parlava a caso, seguendo l'ispirazione della paura. Aveva sospettato, poche ore innanzi; ma in quel punto indovinava il triste dramma, a cui il destino aveva data una così dolorosa catastrofe. Mentre i famigli del castello ritornavano sui loro passi, per obbedire ai comandi dello sconosciuto, altrettanto storditi dall'accento di sicurezza della donna, quanto dallo spettacolo atroce che si era parato davanti ai loro occhi, la buona Cia accorreva presso la sua diletta signora.

Spinello non la seguì, prima di aver dato uno sguardo al suo rivale, disteso supino per terra a boccheggiante nel proprio sangue.

–Lapo Buontalenti,—diss'egli.—Domineddio non paga il sabbato, ma paga. Così gli piaccia di perdonare a me, se ho ardito di farmi suo ministro di giustizia.—

Ciò detto, andò anch'egli verso il terrazzo, ove giaceva madonna Fiordalisa, col capo già sollevato sulle ginocchia della fedel contadina.

–Fiordalisa! Angiola mia!—esclamò egli, con voce lagrimosa.

–Sei tu, Spinello!—mormorò Fiordalisa, volgendo languidamente la faccia verso di lui.—Sia ringraziato il cielo! Disperavo già di vederti.

 

–Amor mio, sempre daccanto a te!—rispose egli, chinandosi al fianco di lei.

–Sempre!—ripetè la bella creatura.—Ahimè, sarà per poco. Ormai, è finita, per me. Il crudele, sai, mi ha ferita…. qui!—

Aveva recata, in quel mentre, la mano al petto, e la mostrava a Spinello intrisa di sangue.

Così era, pur troppo. Messer Lapo Buontalenti, appostato dietro un cespuglio, si era scagliato su lei e l'aveva ferita, senza che ella se ne accorgesse. Era fuggita, la misera donna, credendo di cansare il colpo che aveva veduto balenare nell'ombra; ma il suo movimento di terrore non era servito che a mutare di breve distanza il punto a cui mirava il carnefice. Il ferro, che doveva colpirla a mezzo il petto, l'aveva colta nel fianco.

La buona Cia si era fatta da principio a sollevarle il busto, per aiutarla a respirare. Ma, veduto il sangue che grondava dal costato, si era affrettata a slacciarle la veste, e, appena giunsero i famigli con l'acqua, v'inzuppò un pannilino, che pose con ogni diligenza e raffermò sulla ferita. L'impressione del freddo parve ristorare la sofferente, ma non ristorò altrimenti le speranze de' suoi assistenti amorevoli. Poco stante, la bella creatura incominciò a rammaricarsi, e qualche goccia di sangue le apparve sugli angoli delle labbra.

Spinello si cacciò le mani nei capegli.

–Oh, per colpa mia! per colpa mia!—gridava egli, con accento disperato.

–No, amico mio;—mormorò Fiordalisa;—non ti accusare! È stato il destino. Perchè ti ho trattenuto io questa sera? Dio santo, ero così avida di questa felicità! Ho pianto, sai, ho durato tre anni tra il dolore dell'anima e la menzogna del volto, disperando di vederti, amandoti e odiandoti…. Perdonami, non si odia così, che quando si ama così. E dovevo io discacciarti, appena ritrovato? Non eri mio? Non mi eri reso? E non dovevo accettare il dono che mi era fatto dal destino? Oh, lo sapevo, sai, lo sapevo, che m'avrebbe uccisa. Ma in questa certezza è stata anche la mia scusa. Ti amo! ti amo!—

Un fiotto di sangue interruppe lo sfogo di quell'anima addolorata.

–Mia buona signora, chetatevi;—disse amorevolmente la contadina.—Voi vi affaticate troppo.

–No, no, lasciami parlare, ottima Cia; ho pochi istanti di vita.—

Il petto di Spinello parve rompersi dai singhiozzi.

–Amico mio, perchè ti lagni?—ripigliò Fiordalisa.—Non mi seguirai tu? Ho bisogno d'esser seguita da te. Ma bada, non sia per opera delle tue mani, e solo quando a Dio piacerà. Pregalo con tutta l'anima, digli che la tua Fiordalisa si sentirà troppo sola, senza di te. Ma no, son crudele; vivi, mio povero amico, vivi per i tuoi figli. Solo ti prego che tu non abbia a scordarti di me. Verrò a visitarti, ogni giorno, se Iddio lo permetterà; il mio pensiero ti sarà sempre vicino. Oh, misericordia divina! Quante cose da dire, e la vita mi sfugge!…—

La buona Cia le spruzzò acqua sul viso, ed ella si riebbe un tratto.

–Che è avvenuto… di lui?—domandò volgendosi alla contadina.

–Oh, mia dolce signora, di che vi date pensiero? Egli rende conto a Dio di ciò che vi ha fatto soffrire.

–Dici bene, mi ha fatto soffrire; molto mi ha fatto soffrire; tanto, che lingua umana non potrebbe ridire. Sono colpevole…. ma per lui. Dio perdoni all'anima sua!—

Quindi, volgendosi a Spinello, gli disse:

–Amico mio, vorrei esser sorretta da te.—

Spinello si affrettò a prenderla tra le sue braccia.

–Mia buona Cia, allontana quegli uomini. E allontanati anche tu, te ne prego. Vorrei dire qualche cosa a Spinello. Mi perdoni tu, non è vero?—

Cia baciò la mano della sua padrona e si tirò in disparte, dall'altro lato del terrazzo, dopo aver congedato i famigli. Spinello rimase solo accanto alla morente, sostenendola nelle sue braccia.

–Spinello, amico mio, amante mio,—diss'ella,—qua, la tua mano sul mio cuore! Oh, come sarebbe stato dolce vivere sempre così! Ma Iddio non l'ha voluto. Egli non consente che si ami troppo la vita. Ringraziamolo, poichè almeno egli ci ha dato quest'ora. Non basta, forse? Ci siamo amati. Ho dimenticato ogni cosa nelle tue braccia. Vedi, che notte serena! che splendore di stelle! E che bel giorno sarà domani! Ah, ma tu non lo vedrai tale, non è vero, amor mio? Se questa valle sorriderà del suo più amabile sorriso alla luce del sole, tu non vedrai che tenebre? Giuralo, perchè io muoia contenta. Sai, quando la persona amata non è più, il mondo non deve avere più nulla, più nulla, che lo faccia amare da chi resta.

–Oh, io ne morrò;—disse Spinello, con voce soffocata dalle lagrime.

–Vivi, le l'ho detto; vivi triste, ma vivi. Col desiderio di me, ricordati, col desiderio di me! Sentirei freddo, nella tomba, se il tuo amore non venisse a ricingere le mie povere ossa, là dentro. Ahi, triste cosa, morire! Non voglio morire! Di grazia, ancora un giorno! Un'ora, almeno un'ora di vita! Spinello, mio fidanzato, amor mio, dove sei? Non mi lasciare! Non mi lasciare! Prega il Signore per me…. per l'anima della tua Fiordalisa.—

La bella creatura balbettò ancora poche parole, il cui suono si spense nel sangue che le gorgogliò sulle labbra, e la testa ricadde inerte tra le braccia dell'amato. Nè le lagrime ardenti di lui valsero a trattenere quella vita che fuggiva; le sue grida disperate si perdettero nel gran silenzio della notte.