Tasuta

L'olmo e l'edera

Tekst
Märgi loetuks
Šrift:Väiksem АаSuurem Aa

XVIII

LUISA A LAURENTI

«15 aprile….

«Amico,

«Grazie della vostra lettera, sebbene la si facesse aspettare un po' troppo. Cattivo dottore! Sei giorni a Milano, senza mandarmi quattro versi per raccontarmi qualcosa di voi e chiedere novelle della vostra convalescente! E poi, mi scrivete due paginette asciutte, per dirmi…. che cosa? Aspettate, le rileggo; non c'è proprio nulla, e non sono nemmanco due paginette. La prima incomincia a mezzo il foglio, e la seconda ha quindici versi a stento, mettendo nel conto l'ultimo paragrafo dei soliti complimenti, il devotissimo servitore ed il nome.

«Basta, se non avessi da ringraziarvi dell'esservi finalmente ricordato di me, avrei a sgridarvi ben bene. Ma non lo fate più, se no posso andare in collera a dirittura.

«Io vivo, amico mio, e potrei dire che vivo bene, se non fossi un pochino annoiata. Mi manca la vostra utile compagnia, il vostro leggiadro conversare. La è colpa vostra, d'avermi così male avvezzata. Ogni cosa che noi vedessimo, anco un fil d'erba, era argomento a svariate considerazioni, nelle quali io centellava la vostra scienza multiforme, senza pompa, senza occhiali, e sopratutto senza tabacchiera…. Ora argomentate voi quante ore della giornata mi rimangano disutili e sciocche.

«Scendo nel giardino per tempo, ad aiutare, o, per dire più veramente, ad impacciare il Giacomo, quando inaffia le aiuole. Giungo così, seguitandolo, fin sotto all'olmo; saluto la vostra edera, e poi torno in casa all'ora dell'asciolvere. Il cuoco non si diparte dalle vostre leggi, non ardisce pensare a novità nel reggimento di questo povero regno dissanguato, dissestato, che è il mio. Fuor di metafora, mangio prosaicamente dei pezzi di carne arrostita, che mi dipinge le labbra innanzi di andare a far sangue in petto, e bevo vino di Bordò. Il verde è sbandeggiato dal regno; perfino la innocente lattuga è condannata, come un pericoloso cittadino, un agitatore di popoli. Quindi mi metto a passeggiare da capo, ma all'ombra della casa, e dopo un'oretta vo a lavorare un tantino, quando non giungono visitatori; i quali sapete chi siano; la Maddalena e suo figlio.

«La Maddalena è già venuta due volte, dacchè siete partito; e ieri l'ho fatta rimanere a pranzo con me. Il Giovannino studia, e vi manda tre baci, tre soli! Gli ho chiesto se vi voleva bene, e mi rispose di sì; quante sacca, e mi rispose tre. Egli ha in mente il numero tre, simbolo forse de' suoi affetti infantili che si incarnano in sua madre, in voi, e nella vostra umilissima cliente.

«Sapete già che mi è tornata la mania del ricamare, come intermezzo a studi più gravi. Per punirmi delle mie passate malinconie, ricamo le più prosaiche pantofole che vi possiate immaginare. La signora Tonna, vedendomi lavorare con tanto fervore e metter seta e fili d'oro in forma di fiori e rabeschi, s'è posta in mente che io voglia mandare un'offerta a Roma; la qual cosa mi ha fatto ridere, ma proprio di cuore. Leggo poi di astronomia nel trattato di Arago, e di storia naturale nei libri che mi avete donati; faccio insomma un intriso di scienze, che non ardisco ancora battezzare col nome di studio.

«Dopo il pranzo, mi metto in carrozza e me ne vo fino a Pegli, o dall'altra banda fin oltre Nervi; respiro aria marina, e torno, a luna alta, in casa. E qui non apro più un libro; me ne vo a letto, e dormo subito della grossa, come un filugello, non già sognando di far seta, ma di essere tranquilla e contenta in uno di que' paesi fantastici che voi m'andavate qualche volta dipingendo, senza averli veduti più che tanto.

«E voi? Se non vi è troppo grave tener mezz'ora la penna tra le dita, come faccio io senza fatica, ditemi un po' quel che fate. E intanto ricordatevi della vostra riconoscente amica, ma non divotissima serva

«LUISA.»

LAURENTI A LUISA.

17 aprile….

«Signora,

«Io vegeto. Questa sarebbe l'unica frase che io dovrei mettere in carta, per darvi le più certe e le più chiare novelle de' fatti miei, Sed si tantus amor casus cognoscere nostros, cioè se voi avete tanto desiderio di conoscere particolarmente e diffusamente come io vegeti, incipiam, comincierò.

«Mi alzo anch'io di buon mattino, e vado a contemplare i monumenti di questa bella ed illustre città; poi in Brera a meditare su d'un quadro di Raffaello, o all'Ambrosiana a scartabellare vecchi codici, come un erudito, e senza intendervi nulla, del pari.

«Più tardi, all'ora in cui i milanesi si alzano da letto, vo a far colazione al caffè Martini, dove si scambiano le prime parole della giornata. Sto a sentire le chiacchere di certi buontemponi, intorno all'ultimo amante della contessa tale, intorno alla festa della tal altra, o i giudizi sul ballo della Canobbiana, o i commenti sull'ultimo articolo del Pungolo. Quindi si piglia una carrozza e si va a desinare fuori le porte; o si desina in città e si esce a fare una cavalcata sui bastioni col dottor C. uno dei miei più cari amici, il quale ha un umore come il mio; poi si va a teatro, e da capo al Martini, o al Cova, o dove meglio torna al mio bizzarro collega.

«Ma quello che io faccia davvero, non so. Per rompere un tratto la monotonia del vivere, siamo andati fino a Bergamo, a salutare la statua di Torquato Tasso nella più malinconica piazza antica che io abbia veduta mai; di là fino a Brescia, e, Dio cel perdoni, fino a Lonato. Se non ci fossero i tedeschi, saremmo andati fino a Venezia. A Lonato, un bel paese che ha una chiesa più grande del naturale, ho visitato le rovine di un castello dei Veneziani, dal sommo del quale si vede il lago di Garda. Mi parve di scorgere il mare, e non ebbi pace fino a tanto non giunsi a Desenzano, dove mi imbarcai per Sirmione, a visitare gli avanzi della villa di Catullo. Ma non mi chiedete ricordi; viaggio con desiderio fino alla meta; quando giungo, mi passa la voglia, e non vedo l'ora di tornarmene via.

«Eccovi la mia vita; sono stanco, e sapete il perchè? Io credo di averlo indovinato. Di tanto in tanto, sul mare della vita vi colgono di cosiffatte calme moleste; non tira una bava di vento; la vela non giova, e non s'ha braccia per andare a remi. Io sono in questo misero stato, e se non fossi il vostro medico e non temessi colle opere di far contro alle mie stesse parole, potrei dirvene di belle, circa la utilità della vita.

«Voi intanto risanate, che siete chiamata a risplendere nel mondo per bellezza e bontà. Io pure ho speranza di vincere questa fiacchezza, e venir presto ad ammirare l'opera mia…. anzi a baciarle le mani.

«GUIDO.»

LUISA A LAURENTI

«Amico,

«Ho letto attentamente la vostra lettera, e mi sono convinta che avete lo spirito infermo assai più di quello non vogliate parere. Ogni cosa vi tradisce; perfino l'arguzia vi esce stentata dalla penna; il vostro stile è arido e smorto; volete fare un racconto e non riuscite che ad una infilzata di fatti, da lasciarvi indietro una tavola cronologica.

«Io non so le cagioni del vostro male, e quelle che voi dite non sono cagioni, ma segni piuttosto e poetiche dipinture del male. Tuttavia v'hanno rimedi che giovano a tante malattie, e vo' dirvene uno. Sapete di che cosa avreste bisogno, voi? Di lavorare. Lasciate che faccia un po' la medichessa, e cerchi di risanarvi a mia volta. Lavorate; scrivete per esempio un libro, voi che sapete tante cose; non vi restate inoperoso, poichè l'ozio, se non è padre di tutti i vizi, come l'hanno detto gli antichi, è certamente il padre di molti dolori.

«E poichè sono venuta, io povera donna, a parlarvi su questo tono, lasciatemi dir tutto. Io pure incomincio a credere che fosse errore qualcosa di ciò che ho creduto, come voi di ciò che avete detto per consolarmi lo spirito. Egli è verissimo, e lo sento io dentro di me, che si possa vivere senza l'amore, ma quando lo si abbia provato, non prima. Ora voi, mio ottimo amico, avete anche un amore a provare, quello della famiglia. Voi siete giovine, atto a far felice una donna e ad esser felice per lei. O perchè non ne trovereste una fra tante, bella, buona e colta, da poterla rifare a vostra immagine, riflesso della vostra anima generosa? Voi l'amerete molto, ed ella vi amerà; i vostri passatempi saranno i suoi; i vostri studi, i vostri viaggi ugualmente. Se saprete cavarla fuori dalle sue frascherie, da' suoi nonnulla, dalle sue vanità muliebri, vera rovina del nostro sesso, ella vedrà la parte più degna della vita, v'intenderà, e voi sarete la sua guida; l'avrete innalzata nelle regioni del vostro pensiero, ed ella saprà tenervisi a pari.

«A proposito di donne, sapete chi fu da me ieri mattina? La Perrotti. Ella è venuta a congratularsi con me del mio risanamento, e davvero non s'è congratulata invano. Quando ella è giunta, io, forse per la prima volta dacchè mi conoscete, era colorita in viso, e la poverina non ha potuto nascondere la sua maraviglia dispettosa. Mi ha invitata all'ultimo de' suoi lunedì, che si chiudono con una gran festa da ballo; e chi sa? son donna da accettare l'invito.

«Addio; non istate a smarrirvi per le vie di Milano e venite presto a vedere la vostra sincera amica

«LUISA.»

Se io non temessi di offendere il lettore, mostrando di dubitare della sua perspicacia, vorrei pure appiccicare un commento a questo carteggio. Solo per coloro che hanno letto più sbadatamente, dirò brevi parole.

Luisa era annoiata e non sapeva il perchè; ne accagionava il mancare improvviso della scienza chiaccherina del suo medico, e non indovinava che a mezzo.

Laurenti si sentiva morire, ed egli sì lo sapeva, il perchè; ma, non dandogli l'animo di dirlo a colei che era debitrice a lui della ricuperata salute, se n'era fuggito come un codardo che ha paura del male, e, nella fuga diventato anche ingiusto, non le scriveva e si adirava contro di lei.

 

Ella infine si era addata di qualche cosa. Riscontrando alcuni fatti, alcuni pensamenti, aveva veduto balzarne una scintilla di vero; ma non voleva ancora aggiustar fede a sè stessa. E intanto scriveva una lettera piena di pessimi consigli, pessimi come tutti quelli che danno le signore donne, quando e' non escono loro dal cuore.

–Oh, ella non mi amerà giammai!—aveva detto Guido, percuotendosi il fronte colla palma della mano, alla lettura di que' paragrafi.—Ella può credere che io amerò un'altra donna! Sì certo, lo può credere, se non si è neppure avveduta che amo lei, disperatamente lei! E adesso tornerà nei geniali ritrovi, nei teatri, nelle conversazioni… bene, bene, tre volte bene!

E passeggiando a passi concitati per la camera ripetè due o tre volte con Shakespeare, sebbene la citazione c'entrasse come i cavoli a merenda:

—Fragility, this name is woman!—

XIX

Egli era un sontuoso appartamento, quello della Perrotti, in via Palestro. Le sale non erano stragrandi, come quelle dei vecchi palazzi, ma spaziose abbastanza, e la quantità teneva luogo dell'ampiezza, imperocchè di due quartierini, posti al medesimo piano, se n'era fatto un solo, e ci stava ad agio in una fila di salotti, dove, alle conversazioni del lunedì, o a qualche festa da ballo, conveniva la miglior compagnia, vo' dire la più ricca e la più sfoggiata di Genova.

Oltre la sala da ballo, i salotti da conversazione e la credenza, c'erano le camere da giuoco sacre al goffo tradizionale, giuoco genovese pretto sputato, contro cui si sono rintuzzate le armi della moda, tiranna ordinatrice di whist e di lansquenet, come di crinolini rigonfi e di vesti sfiancate, di spalle ignude e di capigliature tolte a prestanza. Là, il signor Cesare Perrotti, perdendo quasi sempre di bei danari, s'era guadagnato il nome di magnifico, egli che usava lesinare la mattina sui venti centesimi in piazza de' Banchi, egli che non aveva mai reso servizio ad un amico in angustia.

Del signor Cesare Perrotti vo' appunto raccontarvene una che vi darà un giusto concetto dell'uomo. Un giorno fu da lui un tale, suo conoscente e degnissima persona, per chiedergli un migliaio di lire ad imprestito. Costui non era ricco, siccome vi tornerà agevole argomentare dal bisogno che aveva; ma gentiluomo perfetto qual era, e universalmente stimato, metteva la sua onoratezza a guarentigia della restituzione. Il signor Cesare Perrotti non poteva dirgli asciuttamente di no, nè come ricco mercatante, nè come uomo che la pretendeva a gran signore. Ma rastiate il Russo, dice il proverbio, e sotto l'intonaco v'apparirà sempre il barbaro. Ora sotto l'intonaco del signore e del ricco, c'era sempre il Perrotti.—Mi duole, rispose egli all'amico bisognoso, mi duole davvero di non potervi accomodare di questa somma. Come sapete, io traffico insieme col Branca, e nella nostra ragione di commercio c'è una clausola molto fastidiosa, che m'ha più volte vietato di far servizio agli amici, quella cioè di non far mai imprestiti sulla cassa comune.—Ma, aveva risposto quell'altro, egli non è già alla casa Perrotti e Branca che io domando questo servizio…—Sì, sì, intendo quello che volete dirmi, ma lasciatemi finire. Io, sempre per questo malaugurato atto di società, non piglio dalla cassa che ventimila lire all'anno, per mantener la famiglia, e il mio socio del pari. Ora, che cosa si fa con ventimila lire all'anno? Io lo domando a voi. Mettete su casa, tenetela in piedi con un certo decoro, senza scialaquo, e ve ne accorgerete al finir di dicembre! Avevo ancora tremila lire di sparagni, e le ho imprestate la settimana scorsa ad un tale, che conoscete anche voi, e rimarreste grandemente meravigliato se vi dicessi il nome. Già capisco che quelle tre mila lire io dovrò segnarle tra le partite perdute, ma tutti facciamo la nostra parte di minchionerie. Figuratevi, amico mio, se non vi accomoderei di questa piccola somma, sol ch'io potessi!….. Per fortuna, se non posso io, ci saranno cinquanta altri che si ascriveranno a ventura di darvi una mano in questo vostro bisogno.

In questa guisa si sgabellò il Perrotti; ma quanti altri non s'avranno a riconoscere in questo bozzetto? Imperocchè, già m'è occorso di dirvelo, io copio dal vero, e posso dire a parecchi, con Orazio Flacco alla mano:

 
……mutato nomine, de te
Fabula narratur.
 

E adesso gli è tempo di indossare il vestito nero, coi guanti paglierini, e di entrare nella festa da ballo dei Perrotti.

La signora Aurelia aveva già raccolti in casa tutti i suoi convitati. Nelle sue sale, alla luce dei doppieri, splendevano le più celebrate bellezze ligustiche, ornate, o no, di blasone, la Cisneri, la Roccanera, la Morati, la Vallechiara e tante altre. Tra gli uomini si notavano il Nelli di Rovereto, che aveva rassegnate da poco tempo le sue spalline di maggiore per non allontanarsi dalla Torralba, della quale era più che mai invaghito, il Pietrasanta, il Percy. Seguiva poi uno sciame di farfallini, solita mercatanzia, anzi zavorra di tutte le feste da ballo, senza di cui la contraddanza non avrebbe più il numero giusto di figure, e la polka o la scozzesa lascierebbero troppe signore a far tappezzeria di rincontro alla parete. Grande era lo sfarzo, non di diamanti, poichè la era una festa senza cerimonie (così almeno dicevano i padroni di casa), ma di sete, merletti, e foggie che avrebbero indotto in tentazione anco il povero Sant'Antonio.

Le danze erano per cominciare, allorquando un accalcarsi di uomini nelle prime sale, un pissi pissi, un voltar gli occhi curiosi tutti da un lato, annunziarono l'arrivo di una bella signora. La padrona di casa le era già andata incontro, e la conduceva nel folto della compagnia, in mezzo a due ale di riguardanti ammirati.

Era la signora Argellani, vestita di raso bianco con uno strascico abbondante, gli sgonfi della veste, i cappii e il dinanzi della vita raffermati da ramoscelli di fiorellini della memoria (vergiss-mein-nicht), i quali facevano eziandio bella mostra di sè nelle treccie nere, e col loro castissimo colore azzurrognolo non offendevano la bianchezza del volto, anzi giovavano a metterne in rilievo quel po' d'incarnato che già cominciava a mostrarsi sulle guance della bellissima donna.

Il vecchio signore che la accompagnava, era tutto pomposo, e andava in gota contegna, con quell'aria che vuol dire alla gente: ammiratemi ed invidiatemi. Ma chi non li conosce e non li pesa, questi innocenti amici di tutte le donne, piante parassite sull'albero della bellezza, talfiata draghi posti a custodia, che si contentano di guardare il pomo e non lo toccano mai? Veri servitori delle gran dame, e' vivono vicino ad esse, ma sempre in anticamera, e se qualche volta hanno sui visitatori il vantaggio di vederle nelle ore indebite, si ha a credere che ciò avvenga perchè le dame sullodate non li hanno neppure in conto di uomini.

L'apparire di quella donna produsse una vera rivoluzione negli animi, e mentre molti ammiravano quella stupenda figura, molti altri avrebbero voluto essere invisibili agli occhi suoi. La più parte dei convitati la conoscevano, e parecchi tra essi, uomini e donne, le erano stati dimestici, ma l'avevano a poco a poco lasciata sola; v'erano anzi taluni ai quali non era neppur sembrato dicevole allontanarsi da lei con un po' di rispetto alle convenienze sociali; ed erano i più famigliari. Ella stessa, dal canto suo, s'era lasciata andar giù, aiutando in tal guisa l'oblio dell'universale. Percy l'aveva abbandonata; che le importava del rimanente? Ferita nel cuore, ella si lasciava morire, e dimenticare innanzi d'esser morta, ma non odiava, non disprezzava nessuno; la sua maggior vendetta era stata quella di mettere nell'albo il ritratto del Percy accanto a quello della marchesa Bianca. Atto puerile forse, ma indizio d'anima nobile. E così ridotta allo stremo, si appartò dal mondo, siccome il mondo si appartava da lei. Se non che ella era inferma, morente, e la sua generosa noncuranza non iscusava punto l'oblio di quella gente tra la quale era vissuta, alla quale aveva dato i più belli anni della sua giovinezza.

Cotesto farà intendere ai lettori che spero benevoli al mio racconto, come il vederla risanata, rientrar d'improvviso in iscena, riuscisse a molti peggiore di una mazzata fra capo e collo, e in taluni destasse come una ansiosa curiosità, in tal'altri il rimorso.

Tra questi ultimi più colpevole e più fieramente combattuto il Percy; al quale la sua apparizione gelò il sangue nelle vene come se fosse stata la testa di Medusa, sicchè egli non ebbe nemmanco la forza di muoversi dalla scranna su cui stava seduto presso la marchesa Bianca di Roccanera.

Povero regnatore di salotto! Egli era da qualche tempo assai giù. I suoi vagheggiamenti non gli avevano fruttato un bruscolo presso quella superba, che gli usava sempre le solite cortesie, ma gli faceva scorgere molto chiaramente che il suo gli era tempo sprecato. La marchesa Bianca non amava altri che sè; il leggiadro Percy, diventato suo adoratore, aveva saziato la sua vanità, e non c'era per lei più altro da spremerne. Per tal modo egli era capitombolato nel fosso, innanzi di afferrare i bastioni, e non è a dire com'egli fosse avvilito di quello smacco. La vergogna, soltanto la vergogna, lo riteneva colà, argomento alle beffe dell'universale, dispettoso, ingrugnato con lei, che fingeva di non addarsene punto, in quella che faceva buon viso alle cavalleresche gentilezze del duca di Marana y Cuelva, un giovine spagnuolo che correva per suo diporto da un capo all'altro del mondo, e si riposava un tratto a Genova di un suo recente viaggio alle Indie.

Donna di buon gusto, e di fino accorgimento, quella marchesa Bianca! Senza muoversi, e sopratutto senza commuoversi, ella sfiorava l'etnografia, facendo un albo di adoratori di tutte le razze. Chi sa che a furia di studiare, di raffrontar tipi diversi, ella non giunga alla scimmia! Gli è questo, dicesi, l'ultimo passo degli scienziati odierni, e certo, senza mestieri del dicesi, è l'ultimo passo di molte superbe, le quali, dopo aver molto cercato, e molto rifiutato, fanno capo a qualche gramo personaggio, diventato di botto l'archetipo della specie.

Lo stato di Percy era compassionevole davvero. La signora Perrotti non gli aveva lasciato trapelar nulla di quella apparizione improvvisa. E come d'altra parte avrebbe ella potuto dargliene sentore? La relazione di lui colla signora Argellani era come tante altre che si stringono e si rompono di continuo in questa nostra società bastarda. Tutti sapevano di quella intrinsichezza, ma tutti dovevano ignorarla del pari. Egli andava in casa della Luisa, come tanti e tanti altri; era sempre dove ella era, e mai dov'ella non fosse; ognuno poteva mormorarne alla spartita, nessuno buttargli sul viso quella indebita frase: voi, voi siete l'amante. La signora Perrotti non poteva dire a Percy, anche se lo avesse veduto i giorni innanzi, «badate che verrà l'Argellani» senza aver l'aria di sapere che c'era stato del fuoco e poi del ghiaccio tra i due, e che egli non aveva nemmanco ricordato il suo debito di cortesia verso l'inferma.

E poi, che serve? la signora Perrotti non si dava un pensiero al mondo delle angustie di quel leggiero corteggiatore di donne; ella badava a restituire in trafitture profonde i colpi toccati alla sua vanità. In quel battibuglio che ella pensava di far nascere, ce n'era per lui, vecchio ingrato, come per tante donne, regine di fresco, alle quali doveva sicuramente nuocere l'apparizione di quella donna, fantasma del passato, bellezza rinnovata, resa più efficace dalla oscurità in cui s'era lungamente costretta. La Luisa Argellani ricordava all'Aurelia, impastata di bellezza e di fiele, ciò che questa aveva patito per lei; ma poteva essere anco un'arma potente, un carro falcato da scagliarsi contro altri nemici, a vendicare più recenti sconfitte. Arcani del cuore! È egli mestieri di altre parole per farli intendere ad ogni generazione di lettori?

Ora l'effetto del carro falcato fu grande, più grande di quello che non s'argomentasse l'Aurelia. Come è bella! dicevano gli occhi di tutti, voltandosi alla nuova venuta. Intorno agli altri soli (soli che ricevono luce e calore, come ho già detto al principio di questo racconto, e non ne danno ai pianeti), intorno agli altri soli s'era fatto un ambiente freddo; v'ebbero donne le quali si credevano amate, e in quel momento sentirono mancarsi qualcosa d'attorno, e sto per dire l'aria respirabile. L'ammirazione era tutta laggiù; i pianeti raggiavano tutti verso la signora Argellani.

La bellissima donna sorrideva; di sotto all'arco eminente delle lunghe sopracciglia, i suoi occhi mandavano lampi, ma non già di tempesta; l'incarnato del volto non diceva soltanto la ricuperata salute, ma eziandio la modesta contentezza della vittoria. Strinse affettuosamente la mano alla Roccanera; si lasciò presentare qualche nuovo cavaliere, e presto fu dintorno a lei un crocchio di gentiluomini, una gara di motti leggiadri.

 

E intanto che faceva il Percy? Egli stette parecchi minuti sopra di sè; poscia, come uomo che dopo aver lunga pezza combattuto, si ferma ad una deliberazione che non gli par buona, ma che è pure l'unica a cui possa appigliarsi, si armò di coraggio e si fece innanzi. La signora Luisa aveva notato ogni cosa, ma il suo viso sereno non lasciava trasparir nulla delle fatte considerazioni.

–Posso io salutare la signora Argellani?

–Oh, signor Percy, Ella può farlo certamente. Io non ho dimenticato i miei vecchi amici.

Ella aveva detto queste parole con tanta cortesia e insieme con tanta misuratezza, che nessuno degli iniziati ai pericolosi nascondimenti di quel dialogo, potè scorgervi ombra di seconde intenzioni. Le donne stesse, che pur capiscono tante cose, non capivano nulla di quella schietta urbanità, non potevano cavarne un costrutto. Ella non aveva premuto della voce su nessuna parola; quella sua risposta era stata una musica, un sorriso, ma senza affettatura, senza ostentazione di sorta.

–Ah!—disse alla sua vicina un tale che s'imputava a volerla indovinare.—La è sempre innamorata come prima. Non vedi quei ramoscelli di non ti scordar di me? L'Argellani è sempre stata quella dei simboli. La viene per riconquistare il Percy…..

–E ne verrà—a capo—rispose l'amica,—perchè la Bianca lo tiene da un pezzo sull'uscio, a morire dal freddo.—

In breve, passato di bocca in bocca, recato da un crocchio all'altro, fu quello il concetto universale. Percy stesso, senza saper nulla di que' ragionamenti, vedendosi così bene accolto da lei ed onorato di particolari discorsi, se pure non lo disse chiaramente a sè medesimo, certo ne adombrò in cuor suo e ne accarezzò quasi inconsapevolmente il pensiero.

La marchesa Bianca era in gran faccende pel ballo, ed egli ne fece suo profitto per rimanere da presso alla Luisa, non già solo con lei, ma di brigata con altri parecchi, i quali tenevano vivo il discorso.

In un intermezzo delle danze, il crocchio si accrebbe. Il duca di Marana si faceva presentare dalla padrona di casa alla signora Argellani. Era un bel giovine, il duca di Marana y Cuelva; forte di ricchezza e di nobiltà in un mondo nel quale non si pregiano che queste due cose; d'ingegno e di cognizioni svariate, che lo facevano amare dagli uomini assennati; di modi leggiadri e magnifici, che lo rendevano accetto alle donne. Se fosse uomo da lasciare il suo cuore in pegno, non era noto, e non si poteva ancora argomentarlo dal corteggiar che faceva la marchesa Bianca; ma io potrò parlarvene con più agio in un'altra storia, vera come questa, che mi farò a raccontarvi, se m'accorgerò che a questa facciate buon viso.

La presentazione del duca di Marana fu il colpo di grazia per gli ondeggiamenti del Percy. Ah, ah! pensò egli. Costui che corteggiava la Bianca, or viene a' piedi della Luisa!…. Ma qui non troverà certamente vanità di femmina da accarezzare.

E questo pensiero intanto accarezzava la sua. La Luisa, quella Luisa che egli aveva abbandonata per correr dietro alla marchesa Bianca, valeva ben più di costei, se l'adoratore novello della Roccanera disertava con armi e bagagli per venire nel campo della Argellani. Ora cotesto, meglio assai che le grazie evidenti della persona di Luisa, significò a lui l'efficacia di quella rinnovata bellezza, e lo fortificò nel suo folle proposito.

–Signora—disse il Marana, inchinandosi davanti alla Luisa,—io non mi sono fatto presentare a Vostra Mercede soltanto per ossequiarla, ma eziandio per iscrivere il mio nome nel suo libriccino, se egli c'è un foglietto bianco per me. Mi concede Ella l'onore di una contraddanza, o d'altro ballo che non abbia impromesso?

–Signor duca, io debbo, con mio grande rammarico, negarle questo nonnulla, come agli altri gentili cavalieri che me ne hanno richiesta. Son fresca di malattia, e non ardisco ancora provar le mie forze.

–Mi duole—soggiunse il Marana;—ma Vostra Mercede non avrà certamente negato a nessuno la grazia di rimanerle vicino.

–Oh questo poi no.—

Il duca di Marana si sedette presso a lei, pigliando il posto che gli offriva cortesemente un amico, e cominciò allora una gaia conversazione che non dovea garbar punto al Percy. Il cuore di costui pativa un'aspra battaglia, al vedere Luisa tanto cortese col giovine spagnuolo; la qual cosa lo conduceva all'amarissima considerazione che quella bellissima era stata sua, e che egli non era più nulla per lei, nè aveva più ragione a dolersi.

Luisa cionondimeno era sempre pari a sè stessa, e non faceva differenza tra lui e il Marana, od altri de' suoi ammiratori stretti a crocchio d'intorno al sofà sul quale essa stava adagiata. A lui spesso volgeva la parola amorevole, incuorandolo a parlare, ed egli notò che ella, avendo per caso a ragionare della marchesa Bianca, ne disse un gran bene, senza che dalle sue parole trapelasse pure un'ombra di rancore. Ma così fatto è il cuore dell'uomo, che perfino quelle schiette lodi tornavano amare al Percy, il quale avrebbe amato meglio scorgervi uno zinzino di gelosia.

Alla credenza, dove il duca di Marana la condusse, fu un vero trionfo per la donna gentile. Il ballo, quando ripigliò, ebbe a rimanere un po' fiacco, per la contumacia ostinata dei cavalieri. Sissignori, cotesto avvenne, contro tutte le buone creanze. Ognuno di que' vagheggini pensava che la sua assenza non avesse a far sconcio, e per tal modo ne rimasero una dozzina, a far le viste di satollarsi, ma nel fatto per non allontanarsi dal contemplare la regina della festa, che tale essa era stata salutata per acclamazione…. di votanti maschi, s'intende.

Luisa che si addiede di quella diserzione dal ballo, e non voleva po' poi farsi odiare oltre il bisogno dalle sue sorelle in Eva, fu costretta a mandare, con dolci esortazioni, parecchi de' suoi conoscenti nella sala delle danze.

Uno dei più renitenti ebbe l'impertinenza di rispondere, così forte che tutti potessero udirlo:

–Vado, signora, vado, ma solo perchè ella me lo comanda.—

Bel complimento invero per la dama alla quale egli andò a chieder l'onore di una mazurca.

Della signora Argellani, che era là seduta a sostenere gli assalti della ammirazione verbosa di otto o dieci cavalieri, le galanterie foggiate a madrigale, e gli inni ristretti, lampeggiati in languide occhiate; della signora Argellani, dico, si notava la nobile compostezza, si levavano a cielo le risposte leggiadre, si respiravano avidamente i sorrisi. Uccisa dai caritatevoli rimpianti delle donne, ella rinasceva nello spirito innamorato degli uomini. E chi aveva ardito dire ch'ella fosse imbruttita, se era anzi bellissima, e nessuna delle più celebrate per eccellenza di forma poteva entrare a paragone con lei? Che occhi profondi! che profilo delicato! che collo voluttuosamente tornito! E giù una filatessa di pregi, in lingua pigliata a prestanza dal pittore e dallo scultore. I signori uomini sono assai materiali quando nei loro crocchi ragionano delle bellezze di una donna, e ci hanno del brutale nella loro ammirazione.

Ma brutale o no, l'effetto era grande. Perfino la rinomata bellezza della marchesa Bianca aveva impallidito dinanzi alla regale maestà di persona della nuova venuta, e dinanzi alla divina serenità di quel viso. Fu insomma un subisso, una battaglia campale, una vittoria per quella rinnovata bellezza che appariva d'improvviso, tremenda, irresistibile, giusta il biblico paragone, come oste schierata in campo.

«Non ti scordar di me» dicevano umilmente i suoi fiori; ma il trionfo oltrepassava que' modesti desiderii. In quella che taluni si pentivano d'averla dimenticata, il suo regno era assicurato su salde basi nel cuore di tutti. Ella rientrava loricata, catafratta, in quella società dove il suo petto inerme aveva ricevuto un colpo terribile, e dond'era uscita semiviva; vi rientrava col cuore sano, libero e forte, educata dai suoi danni a conoscere uomini e donne, a non amare nè odiare; magnanima, non fiaccamente pietosa; superba, non orgogliosa, come colei che sapeva la sua forza e si sentiva di tutti a gran pezza migliore.