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La plebe, parte II

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– Mai, mai, e poi mai, in questa esistenza il mio spirito arriverà all'altezza di quello di lei; ma tuttavia l'immagine sua starà in me come quella di un ideale non arrivabile, d'un bene cui giova desiare e vagheggiare anche senza poter conseguire, come la personificazione della virtù, del bello e del buono.

E così fu; e così sarà fino alla morte… Molte sofferenze mi ha costato questo amore; ma è valso a tenermi sollevata l'anima dalle bassezze. Io ne ho quindi avuto tutto ciò che posso pretenderne. Sento che albergandolo in me, sì puro affetto, io mi tengo ad una maggiore altezza morale; sento che non lascierò mai che l'anima in cui esso è entrato e sta, si macchi d'un'ignominia…

Ti ho detto che mi ha costato dei dolori: uno recente e nuovo, l'ho avuto ieri sera… Lo confido alla tua amicizia, perchè mi sono proposto di farti leggere compiutamente dentro di me… E fors'anco non sarà disutile che tu lo sappia… Ieri sera ho visto insieme lei e Francesco Benda: la penetrazione dell'amor mio, mi rivelò al primo sguardo una fatale verità: Francesco ama ancor egli quella fanciulla; ed io… io che di tanto vo debitore a quel generoso giovane, io che non ho pure nessuna speranza per me di poterla ottener mai, io ho sentito un impeto di odio entrarmi nell'animo contro Francesco; ho sentito ch'egli, ricco, bello, brioso, ammesso in quella sfera sociale ov'essa brilla, avrebbe potuto esserne corrisposto, e una tremenda invidia, una gelosia infernale mi assalse… Ah no, io non potrò possedere mai quella tanta fortuna; ma che almeno Francesco neppur l'ottenga… No, no, non egli, non egli!»

L'espressione della faccia di Maurilio divenne così trista e feroce che Giovanni n'ebbe una viva impressione come di spavento.

– Maurilio, diss'egli, questa gelosia e questo pensiero sono indegni di te. Francesco, tu sai pure qual anima elevata e quale indole virtuosa possegga. S'egli fosse amato, ben sarebb'egli meritevole della sua fortuna…

– Oh vederli insieme! Interruppe con voce fremente il misero giovane: oh vedere un altro felice di quella felicità che io non posso arrivare!.. E quest'altro è un mio amico!.. Ah! mi sento capace d'ogni più fiero proposito…

– Ma allora tu cadresti da quell'altezza morale a cui ti rallegravi testè che questo amore ti abbia sollevato…

Queste parole fecero una grandissima impressione in Maurilio. Stette un istante come sovra sè stesso, poi ad un tratto, gettate le braccia al collo dell'amico, abbandonò la testa sulla spalla di lui e rompendo in pianto disse affannosamente:

– Compatiscimi, compatiscimi… Ma io l'amo tanto!

CAPITOLO XXV

Andrea aveva preso i denari che la generosità della signora Virginia aveva lasciato alla povera famiglia, ed era uscito dalla soffitta colla più ferma intenzione di recarsi a pagare tosto il padron di casa. Era venuto infatti sino all'uscio chiovato di ferro che metteva nel quartiere di messer Nariccia e già aveva steso la mano per prendere il capo della corda che suonava il campanello, quando un malcapitato pensiero lo arrestò.

– Portare a quello scellerato tutti questi bei scudi d'argento!.. E noi, poveri diavoli, stentiamo dei mesi e dei mesi per vederne il segno!.. Nariccia, tutti lo sanno, ne ha dei monti e dei monti di monete, e questo di più o di meno non fa più effetto che un bicchier d'acqua nel Po… Io invece, se mi potessi giovare di questa somma, quante cose non potrei procurarmi?.. A quella povera donna di mia moglie, a quei miseruzzi di figli miei che vivono un'eterna quaresima?.. Se prima di pagare il padron di casa, andassi a comprar qualche cosa per la famiglia? Certo questo preme più di tutto… Il medico ha detto tante volte che Paolina bisogna sostenerla con del buon brodo e della buona carne e dei buoni cordiali… Farei molto bene a correre lì da Pelone, a prendere un po' di quel che ci vuole per la mia donna, e quel brutto Nariccia pagarlo poi al ritorno…

Aveva lasciato andare il cordone del campanello, e rimaneva colà perplesso. Gli era quanto meno un sentimento di giusto affetto verso i suoi che si univa ad una ripugnanza istintiva di spogliarsi di quel danaro, per farlo esitare. Ma poi pensò alle tante raccomandazioni di Paolina, alle promesse che testè egli le aveva fatte, al piacere ch'ella avrebbe provato, quando il marito fosse stato di ritorno dicendole: possiamo star tranquilli fra queste quattro squallide pareti, ed elle sono casa nostra perchè abbiam pagata la pigione; piacere che avrebbe prodotto esso stesso l'effetto del miglior cordiale del mondo; e si decise a non aver più indugi di sorta. Aveva di nuovo afferrata la corda e stava per dare una tirata, quando sventuratamente suonò alle sue spalle una ben nota voce, la voce del suo genio malefico, quella di Marcaccio.

– Eh! che cosa fai tu costì, Andrea? Vuoi andare a far visita a quella buona gioia di messer Nariccia?

Andrea si volse verso il nuovo venuto, e l'aspetto con cui l'accolse, e la voce con cui gli parlò non dinotavano che gli facesse molto piacere la vista del suo compagno.

– E tu, diss'egli, che cosa vieni a far qui?

Si ricordava egli in nube quello che era avvenuto la sera innanzi; aveva un'ombra di rimorso di avere maltrattato sua moglie, e mentre scusavasi col dirsi che gli era in causa e per istigazione di codestui, sentiva un certo rancore contro di esso; quando si trovava in sentore, non poteva dissimularsi che i consigli e gli esempi di Marcaccio erano stati quelli che l'avevan tratto a quel brutto punto in cui era precipitato; aveva inoltre dato alla moglie una nuova promessa di sfuggire questo fatale amico, e questa promessa – come tutte le altre volte eziandio – l'aveva data con animo sincero e con voglia ferma di mantenerla; ma ora, di fronte a quest'uomo che aveva preso una tanta influenza sull'anima di lui, Andrea si sentiva impacciatissimo a porre in atto la sua risoluzione e manifestargli che l'avesse a lasciar tranquillo, e provava nello stesso tempo una specie di irritazione contro Marcaccio che così presto fosse venuto a porlo nel caso di dovere o mancare alla sua promessa o fare un atto per cui non si sentiva tutto il coraggio necessario.

Alla domanda di Andrea, Marcaccio diede in una risata.

– Che cosa vengo a far qui?.. Oh bella! Gli è davvero molto difficile da indovinarsi… Vengo a vederti ed a prenderti meco per condurti a far colazione.

E tese una mano per pigliar l'amico sotto il braccio; ma Andrea si trasse indietro e si schermì da quell'atto.

– Lasciami stare: disse bruscamente: io non vado a far colazione con te.

– No? Esclamò Marcaccio, mostrando un grandissimo stupore. E perchè?

– Perchè…

Andrea cominciò con molta risoluzione la sua risposta, ma non ebbe appena detta la prima parola, che quella risoluzione gli venne meno.

– Perchè non vado, ecco!

– Questa non è una ragione.

– Ho da andare a pagar l'affitto a messer Nariccia.

Marcaccio inarcò le sopracciglia in un crescente stupore.

– Pagar Nariccia!.. Ma tu hai dunque dei denari?

– Sì: rispose Andrea a fior di labbra: una pietosa famiglia ci ha soccorsi…

– Benone!.. E tu non sai farne altro buon uso che gettarli in gola a quel mostro succhiasangue del povero, di Nariccia?..

– Bisogna bene…

– Bisogna un corno!.. Quell'avaraccio scellerato è ricco da non saper più nemmanco lui quanto possiede. È tanto ricco di denari, quanto di malizia e di scelleraggine, che è tutto dire… E tu appena ci hai qualche coserella da poter passare un paio di giorni allegramente, vai a sciuparla in questo modo per rimanere tu a becco asciutto, e tirare il diavolo per la coda come prima?

– Se non pago e' mi caccia sulla strada tutta la famiglia.

– Eh! baie. Non avrà tanto fegato da farne una sì grossa. Gli è già odiato come il brutto male in tutta la città e peggio in questo quartiere; se facesse una cosa simile, le pietre stesse del selciato si leverebbero di per sè per lapidarlo.

Andrea guardò con sospetto più spiccato di prima il suo interlocutore.

– Insomma, diss'egli, tu vuoi condurmi all'osteria per mangiarmi tu questi denari?

Marcaccio protestò colla faccia più indignata che seppe fare.

– Io mangiarti i denari?!.. Se fosse un altro che m'avesse detto di simili parole, che sì che gli farei assaggiare un po' di questi argomenti.

E mostrava il suo pugno grosso, nodoso, duro come una mazza di ferro.

– Ma te ti perdono; perchè ti voglio bene, e perchè da un po' di tempo hai debole il cervello…

– Io ho debole il cervello?

– Sicuro! Coi tuoi scrupoli, coi tuoi timori, colle tue peritanze, tu m'hai l'aria non più d'un uomo, ma di un bambino o di una femminetta. Veniamo a noi, e dà un po' retta. Chi è che da settimane parecchie ti conduce all'osteria e ti fa le spese?

– Tu, non lo nego.

– Manco male!

– Ma prima, quando io aveva ancora dei denari in riserva, quando ne guadagnavo tuttavia col mio lavoro, eri tu che vivevi alle mie spalle, e che colle carte in mano trovavi sempre modo di farmi pulite le scarselle.

– Eh! lasciamo stare questo passato, che è così lontano da non doversene più ricordare… Vedi un po'! Io non sapeva mica che tu oggi avessi avuto de' soccorsi: avevo ogni ragione di crederti spiantato più di ieri; ebbene, – guarda se non è amicizia codesta! – sono venuto per toglierti al crepacuore delle tue miserie, dei guai e delle lamentazioni di famiglia e farti passare la giornata allegramente come ieri… Dunque, bando a tutte queste seccaggini, e vieni.

Andrea si tirò di nuovo indietro, e disse:

– No, non vado. Ieri ho fatto male, e non voglio più far male oggi, nè domani, nè mai…

– Oh oh! Esclamò Marcaccio con ammirazione schernitiva: scommetto che indovino donde ti vengono queste belle parlate. Qui c'è lo zampino della moglie.

Il marito di Paolina, che sentiva mancarsi la risoluzione, proruppe con impazienza sdegnosa:

 

– Che moglie o non moglie? Son io che lo dico, son io che lo voglio… e basta.

– Vedi se non è vero ciò ch'io ti ho detto testè!

– Che cosa?

– Che tu hai il cervello debole.

– Oh giuraddio!..

– Non istrepitare; ma bada un po'. Tu ripeti come un papagallo tutto ciò che la moglie ti ha soffiato nell'orecchio…

– Non è vero.

– È vero! Figurati se io non me ne accorgo di queste cose!..

– Ti dico…

– Tu dici delle buggere. Ti dico io che chi si lascia mettere il piede sul collo dalle donne è bello e spacciato, e può vestirsi le sottane egli stesso, che d'uom non ha più nulla… E tu sei presto a quel punto.

– Io?..

– Sì, tu. È inutile farmi quei brutti occhiacci. È così, e te lo sostengo. Tua moglie ti ha messo il piè sul collo…

– No…

– Sì. Gli è dessa che ti gonfia con tutte quelle fatuità che fanno di te un pulcin bagnato, il quale avrebbe la fortuna ad arrivo di mano e non sa pigliarla. Oh! non ha avuto ieri sera l'audacia di proibirmi, a me, al migliore amico che tu abbia, di venire in casa tua? E gli è anche per ciò che stamattina mi sono affrettato di venirci: volevo un po' vedere se tu avevi lo stomaco di mettermi alla porta. In poche parole, tua moglie ti mena pel naso, e non osi più venire all'osteria con me, perchè essa te lo ha proibito.

– Paolina non mi ha proibito niente… Non sono tale da lasciarmi comandare io… Non vado perchè non voglio andarci, perchè ho capito che non ci dovevo andare e nient'altro.

– Senti, Andrea: io ti devo parlare a lungo, di cose importanti e che non si possono discorrere nè a casa tua, nè per la strada, nè qui sul pianerottolo della scala. Gli è per questo che ti propongo di accompagnarmi all'osteria. Se ci hai degli scrupoli, non mangerai, non beverai, non farai altro che ascoltarmi, ed io ti parlerò facendo colazione. Non si tratta di giuggiole: si tratta di farci ricchi tutti e due…

– Ah! le tue parole le conosco…

– No, che non le conosci… È tutt'altra cosa da quella che t'immagini… Tu non avresti da correr rischio nessuno… te l'assicuro… Infine poi non ti domando che di ascoltarmi… Hai forse bisogno di chiedere anche per ciò licenza alla moglie?

– Io non ho bisogno di chieder licenza da nessuno e per nulla: rispose Andrea imbizzarrito.

– Dunque animo, e fa a mio modo.

Questa volta il tristo potè prendere Andrea pel braccio, e mezzo riluttante lo trasse con sè giù delle scale e fuor del portone.

Quando furono nella strada, Marcaccio, che aveva già il suo disegno bello e fissato in mente, adocchiò una bottega di liquorista che era lì presso.

– Vieni costì: diss'egli al compagno. Stamattina fa un freddo così indemoniato che non ci posso regger proprio senza almanco un bicchierino di acquarzente.

E frattanto aveva trascinato Andrea fino sulla porta del fondaco di liquori.

– Se volesti accettarne uno anche tu, soggiunse Marcaccio, io te l'offro di buon cuore.

Aprì la porta e l'odore delle varie sorte di liquori che si spacciavan là dentro venne a percuotere l'olfatto del povero Andrea.

– No, no, grazie; ebbe questi pur tuttavia la forza di rispondere, mentre in realtà mandava giù la saliva.

– Come vuoi; ma almeno vieni dentro, chè vuoi stare a gelare lì fuori?.. Ti scalderai una mano al braciere.

Andrea entrò.

– Un bicchierino di cognac: domandò Marcaccio, avanzandosi verso il banco, mentre il suo compagno si teneva con aria quasi peritosa presso la porta.

– Uno solo? disse il garzone che aveva visto gli entrati esser due.

– Sì, uno… per cominciare: rispose Marcaccio.

Il liquorista gli mescette, ed egli tracannò d'un fiato tutto il contenuto del bicchierino.

– Buono! diss'egli poi, facendo scoppiar la lingua contro il palato. Questo sì che mette l'anima in corpo. E' dà proprio la vita ad un galantuomo.

Tese il bicchierino al garzone.

– Ancora uno: soggiunse. Eh eh non abbia riguardo a riempirlo… Che? Teme forse ch'io ne lasci spandere? Ho la mano ferma, giurabacco!.. Così, va bene.

Questo secondo si pose a centellinarlo con voluttà.

– E' potrebbe anco essere più forte che non sarebbe male; ma via, tal quale si trova, è pur già la ottima cosa. – Andrea?

Il marito di Paolina, per cui la tentazione era troppo forte, s'era volto in là verso la strada nella quale pareva guardare traverso i vetri.

– Che cosa vuoi? diss'egli, quando così interpellato dal suo compagno, senza pur tuttavia muoversi menomamente.

– Voltati in qua; accostati un poco, che diavolo!

– Perchè?

– Vien qui, ti dico.

Andrea s'accostava con apparente malavoglia. Marcaccio gli pose il bicchierino sotto il naso.

– To'; assaggia almanco un gocciolino di questa roba.

Andrea si tirò indietro vivamente.

– No, no, non ne voglio.

– Uh! l'ostinato!.. Un gocciolino, ti dico, nel mio bicchiere stesso… Ciò non conta; e non fai lo sgarbo di rifiutare ad un amico.

– Per farti piacere… disse Andrea esitando.

Marcaccio gli pose in mano il bicchierino.

– Sì, sì, me ne terrei offeso se non l'assaggiassi.

Andrea bevette un sorso.

– Sì, gli è buono… veramente buono: esclamò cogli occhi in cui brillava il desiderio eccitato, non soddisfatto.

Le sue labbra si attaccarono di nuovo all'orlo del bicchiere, e non poterono spiccarsene più finchè vi rimase una goccia di liquore.

– Grazie: diss'egli poi volendo rendere il bicchiere.

– Questo poco non t'ha forse fatto bene?

– Sì.

– Dunque vedi che avevi torto a non volerlo… Ma intanto tieni il bicchiere che ne vogliamo prendere ancora un altro: quello non era che il sorso d'un canarino e tu sei un uomo.

Andrea non tentò nemmanco più di schermirsi: il secondo bicchierino fu bevuto da lui con pieno abbandono; e quando i due compagni uscirono da quel fondaco, l'effetto dell'acquarzente, su cui aveva calcolato Marcaccio, era già ottenuto; ciò era che nel marito di Paolina era quasi svanita del tutto quella diffidenza ostile, quella riservatezza, quello stare in sulle guardie, con cui da principio aveva egli accolto il suo perfido amico tentatore. Furono adunque obliati e la moglie e i figliuoli; e il disgraziato, preso a braccetto da Marcaccio, entrava poco stante nella taverna di Pelone.

Gli era giusto il momento in cui il bettoliere stava aggiustando alcune sue ragioni col vecchio Jacob Arom, e Maddalena, la serva dell'osteria, si era recata nel Cafarnao alla chiama del medichino. Rimaneva a servir gli avventori quell'imbecille di Meo, il quale colla faccia più melensa che mai, gli occhi che parevan di cristallo fuor della testa, sapeva anche meno del solito che cosa si pescasse ed era nelle sue mosse impacciato, lento e disadatto più ancora che non solesse.

Marcaccio si gettò a sedere sopra una panca presso al muro, dietro la tavola che si trovava più prossima al braciere semispento, il quale consumava i suoi pochi carboni dentro un ammasso di cenere, in faccia all'uscio a vetri colle tendoline rosse che metteva nella stanza vicina, dove stavano discorrendo Pelone ed Arom; e percotendo colla palma della mano sopra la tavola, gridò a Meo che s'avvicinava di mala voglia:

– Vogliamo far colazione, e una buona colazione; ma tu, addormentato da due quattrini, non sei quello che fai per noi. Va a chiamare la Maddalena e mandacela.

Meo guardò fisso chi gli parlava, coi suoi occhi senza espressione, e rispose coll'accento d'un bambino che faccia greppo per piangere:

– La Maddalena in questo momento non c'è.

– Come! non c'è? esclamò Marcaccio di cattivo umore. Questa la è strana davvero; ogni qual volta io vengo ed ho bisogno di essere servito, quella schizzinosa la non si lascia vedere. La mette su delle arie adesso, con noi che l'abbiamo vista, corpo d'una botte, più misera d'un verme; la protezione del medichino la inorgoglisce. Che sì che io son quell'uomo un giorno o l'altro da farle passare i fumi e la voglia di far delle preferenze.

All'allusione che fece Marcaccio delle attinenze che passavano fra il medichino e la Maddalena, nelle pallottole vitree degli occhi di Meo, si sarebbe potuto scorgere qualche cosa come un lampo di sdegno.

– Io ci scommetto, continuava Marcaccio, che quella smorfiosa è laggiù in cucina a scaldarsi, o costà in questa stanza e non la si vuole scomodare per sì poca cosa come siam noi. Valla a chiamare, Meo, giuraddio! e che la venga, o ch'io faccio un chiasso dell'inferno.

E per mostrare la verità di codesta sua intenzione, scaraventò un pugno sulla tavola che la fece trabalzare, e in quello stanzone lungo e basso, suonò come un colpo d'arma da fuoco.

L'uscio a vetri della stanza vicina si aprì vivamente, e comparvero il naso madornale, la berretta unta e la faccia cadaverica di mastro Pelone.

– Che cos'è? Domandò questi colla sua voce cavernosa. Ah! siete voi Marcaccio? Perchè tanto fracasso? Qual tafano vi punge?

– Il diavolo che vi porti anche voi, vecchio catarro!.. Voglio essere servito dalla Maddalena.

L'oste fece colla squarciatura che gli serviva di bocca una smorfia che nel suo repertorio significava un amichevole sorriso, ed accostandosi con quel suo passo senza rumore al desco dove sedevano i due amici, rispose:

– La Maddalena non può proprio venire; la è occupata altrove, in parola d'onore…

– Dove? Domandò Marcaccio con tono d'incredulità e di minaccia.

Pelone puntò alla tavola una e poi l'altra delle sue mani da scheletro lunghe mezzo metro e curvò la sua lunga persona verso l'interrogatore, come per fargli una confidenza. Meo che non s'era ancora mosso di lì, allungò il collo e tese le orecchie per udire anche lui; ma il padrone se ne accorse.

– Che cosa fai tu costì, figliuolo di mala femmina, brutto impiastro di martuffo? Gli disse con accento degno delle parole. Vai a prendere subito una pinta di vino, pane e salame per questa brava gente… che poi diranno quello che occorre loro di vantaggio.

Meo non aspettò altri complimenti e sparì per la botola onde si scendeva nella cantina e nella cucina sotterranee.

Allora l'oste pronunziò all'orecchio di Marcaccio alcune parole che ebbero la virtù di subitamente acchetarlo.

– Va bene: diss'egli. Ebbene sentite, Pelone, oltre il salame che verrà, fateci preparare una buona frittata colle cipolle, un quarto d'agnello arrostito, e mandateci eziandio di quei peperoni gialli d'Asti all'aceto che brucian la lingua e raschiano la gola.

– Sarete serviti in un amen: rispose l'oste, ridrizzando lentamente la sua lunga persona allampanata, e muovendosi con quella tardità pesante di membra che gli era abituale.

Andò egli dapprima all'uscio de' vetri, e semiapertolo cacciò dentro queste parole:

– Aspettate un poco, Macobaro, che vengo subito.

– Che? Esclamò Marcaccio. C'è costì quel vecchio birbone d'un ebreo?

Pelone fece un cenno affermativo. Marcaccio si alzò di fretta e s'avviò verso quella stanza.

– Non ve ne fa mica nulla che andiamo ad assettarci nel gabinetto? Ho molte cose da dire a questo mio amico, ed ho piacere che Macobaro prenda parte al discorso, uomo di buon consiglio qual è.

Ma Pelone con una vivacità di mosse maggiore di quella che si sarebbe potuta aspettare, si cacciò innanzi a Marcaccio, fra l'uscio e lui.

– No: diss'egli a voce bassa che Andrea non potesse udire; se foste voi solo, ma con quell'altro lì che non appartiene alla cocca

– Si tratta appunto di farvelo entrare: rispose sommessamente del pari Marcaccio. Se ne ha bisogno, e Graffigna mi ha detto di sollecitare più che si possa. Lo tengo già per una buona falda, se Macobaro mi aiuta, con qualche pinta, lo abbranchiamo del tutto.

– Benone; ma frattanto egli non c'è ancora, e non possiamo mica scoprirgli il segreto passaggio di cui nemmanco un terzo di quei della cocca conosce l'esistenza. Ed ora che il medichino è in Cafarnao e c'è con esso la Maddalena, da un momento all'altro possiamo aver motivo d'aprire…

– È giusto. Staremo dunque dove siamo; ma se poteste far venire con noi Macobaro, questo sì che ci aiuterebbe nell'opera.

– È subito fatta. Macobaro ed io abbiamo bello e finito; gli dico di venir qua con voi che gli offrite da colazione.

– Ebbene chiamatelo.

Pelone tornò ad aprire l'uscio a vetri.

– Venite un po' qua: diss'egli al personaggio che si trovava in quella stanza. C'è qui due buoni amici che vi offrono da colazione pel piacere d'avere la vostra compagnia.

La faccia da uccello di rapina di Jacob non tardò a comparire nello stanzone.

 

– Chi è che mi chiama? Diss'egli… Ah siete voi Marcaccio? Ed anche voi Andrea? Godo di vedervi tuttidue in buona salute. Siete voi che avete qualche cosa da dire a questo povero vecchio?

– Niente altro, rispose Marcaccio, che desideriamo di mangiare un boccone in compagnia con voi… Sedetevi qua, e faremo quattro ciarle senza conseguenze.

Arom girò intorno il suo sguardo d'avoltoio sulla faccia dell'oste, poi su quella di Marcaccio, poi su quella d'Andrea: i due primi gli fecero un leggerissimo cenno d'intelligenza, cui afferrò tosto l'occhio esercitato del ferravecchio; Andrea aveva volto in là il viso con una certa ripugnanza. Gli era capitato pur troppo di dover passare per le unghie di quel vecchio scorticatore, e la compagnia di lui non era tale da tornargli piacevole il meno del mondo. Già si pentiva d'essersi lasciato tirare là dentro, e se l'avesse osato se ne sarebbe partito senz'altro.

Macobaro, che aveva capito press'a poco ciò che si voleva da lui, rispose colla solita umiltà bassa e codarda del suo contegno e della sua voce:

– Vi ringrazio molto, padroni miei, della vostra bontà, della vostra generosità. Un pover'uomo, un vecchio da nulla come sono io è troppo onorato da sì gentile invito; ma… mi rincresce… mi rincresce profondamente… di non potere accettare. Le mie abitudini… io non bevo mai vino… la mia cagionevole salute… io non posso mangiar mai altro che certe minestre cui sa prepararmi soltanto la mia vecchia Debora… la mia religione… siamo in certe epoche in cui ci viene imposta una rigorosa astinenza… tutto ciò mi impedisce di accettare; ma non ne sono meno riconoscente: e se la mia povera compagnia non vi torna affatto disgradita, ebbene io mi onorerò di sedermi qui al vostro desco e di assistere alla vostra colazione…

– Come volete: interruppe Marcaccio. A voi Pelone, sollecitate, e intanto svegliate un po' quel Meo che arrivi col salame e col vino.

Jacob sedette in faccia ai due operai, ed appoggiando sulla tavola i suoi gomiti stette lì cogli occhi bassi ad aspettare che gli si volgesse il discorso.

Meo sopraggiunse col vino e col salame. Marcaccio pose in mano d'Andrea per prima cosa un buon bicchiere pieno colmo.

– Bevi codesto, e alla nostra salute; anche alla vostra, Macobaro.

– Grazie, grazie mille. Vi restituisco a cento doppi gli augurii. Che voi possiate essere felici, sani e contenti, e con in tasca di buoni denari che non finiscano mai più, che la è poi la cosa principale in questo mondo.

I due operai avevano urtato insieme i loro bicchieri e tracannatone il contenuto d'un fiato.

– Voi dite proprio bene, Macobaro: soggiunse Marcaccio deponendo il bicchier vuoto sulla tavola e dando mano al tondo del salame di cui una mezza dozzina di fette fece cadere sul piatto del compagno. Voi dite bene. Aver denari in tasca, ecco il punto… Quanto a me non mi lamento. Ho ben trovato io il modo di ricavarmela bene, senza farmi più a correggiuole la pelle, come facevo un tempo, quando ero uno sciocco qual sei tu Andrea, quando sgobbavo da mattina a sera e mangiavo pan secco… Ma gli è qui questo buon figliuolaccio d'Andrea che tira maledettamente il diavolo per la coda, e non glie ne resta mai manco un pelo tra mano… Bevi, Andrea.

E gli mesceva un altro colmo bicchier di vino.

– Io m'interesso a questo brav'uomo ed alla sua famiglia: continuava Marcaccio parlando a Jacob ed additando Andrea: io mi c'interesso con tutta l'anima. Vero come questo salame di maiale è fatto con carne di maledetta rozza!

– Ciò vi fa molto onore: disse col suo accento di piacenteria il ferravecchi; ciò mostra il vostro buon cuore.

– Sì, io ho un gran buon cuore.

Si rivolse al compagno, nel quale i bicchieri bevuti avevano già dileguata alquanto quella ripugnanza che aveva provato da principio.

– Vedi, Andrea, io vorrei vederti nelle mie stesse condizioni… E se tu m'avessi ascoltato, a quest'ora saresti in ben altri panni da quelli in cui ora ti trovi.

– Oh sì: disse Macobaro: bisogna ascoltarlo, Marcaccio; esso è uomo che sa, che è pratico del mondo e che come si è aggiustato per bene le cose sue saprebbe aggiustar benissimo anche quelle degli amici.

Andrea, al quale il vino bevuto cominciava a dar maggiore comunicativa e più facile abbandono, scosse la testa e interruppe:

– Sì, sì: egli si è saputo aggiustar bene; ma la sua fortuna durerà finchè durerà… Gli è per una strada che può da un momento all'altro rintopparsi coi carabinieri.

Marcaccio e Macobaro si guardarono con un ammicco di soddisfazione. Quando una coscienza, che si vuol corrompere, non ha più per tenersi nella strada della virtù la paura di fallire all'onestà, ma quella soltanto della repressione sociale, questa coscienza è molto presso a capitolare. E diffatti Andrea, che a mente tranquilla sentiva tuttavia un grande orrore alla sola idea di poter essere colpevole, quando i fumi dell'ebbrezza cominciavano ad offuscargli la mente, non discerneva più le cose sotto l'aspetto di prima e le proporzioni maggiori di ostacolo al male, le prendevano non le ragioni della virtù, ma quelle del timore del carcere.

– I carabinieri! Esclamava Marcaccio crollando la spalle; ma buonuomo che sei! si rintoppano in essi soltanto i minchioni e gli imprudenti; ora io non ti dico mica di essere nè l'uno, nè l'altro. E finchè ascolterai me, va là che non correrai nessuno di questi pericoli.

Pelone veniva loro innanzi coi piatti fumanti che Marcaccio aveva ordinati.

– Cominciamo per far ragione di questa buona roba che ci porta il nostro bravo ostiere. To', prendi e mangia e prestaci soltanto un poco di orecchia a Macobaro ed a me, che ti dimostreremo facilmente la cosa.

Pose sul piatto di Andrea un'enorme porzione e mentre il marito di Paolina si metteva ad ingollare grossi bocconi, Marcaccio continuava:

– Vedi mo, se io ho mai avuto il menomo imbroglio coi cagnotti della polizia… E Macobaro?

– Io sono un onest'uomo: esclamò con indignazione il ferravecchi.

– Ed ancor io son tale! disse Marcaccio con pari accento; e vorrei vedere chi mi venisse a sostenere il contrario.

– Siamo onesti uomini tuttidue: soggiunse Jacob con voce più insinuante che mai.

– E seguirai ad esserlo tu pure: continuò il tentatore. Insomma, te l'ho già detto tante volte e te lo ripeto: è disonesto chi leva un fazzoletto di tasca all'uomo che passa e si lascia cogliere dall'orciere; ma Nariccia, per esempio, il quale ha raccolto dei milioni strozzando il suo prossimo, è onestissimo: perchè non faremmo noi i Nariccia in piccolo secondo le nostre possibilità?

Jacob Arom si chinò sul desco verso Andrea e disse a sua volta:

– Sicuro, sicuro. Il sistema di Nariccia è il vero. Non vi consiglierei mai cosa diversa. Eh corpo di bacco: tutti hanno il diritto di sfruttare le loro capacità e la loro abilità… Voi, Andrea, per esempio, valete più d'ogni altro in una cosa…

– Sì, nell'opera del ferraio: soggiunse Marcaccio. Non c'è chi ti bagni il naso, Andrea, nel far, per esempio, una chiave, nell'aprire una serratura.

– Bene, ripigliava il ferravecchi. Voi fate parte d'una frotta di amici che si dividono il lavoro; voi fate una chiave, non sapete nemmanco a che cosa servirà, a che serratura andrà, ma sapete che verrà utile a quei vostri amici, con cui vi siete collegato. Questi vostri amici ve ne ricompensano con una parte che vi danno od in numerario, od anco in oggetti… Il numerario, bene: ve lo mettete in tasca, gli oggetti, vi recate per esempio da me, per venderli; io ve ne do tutto quello che si può dare onestamente di denaro – sono segreto come una tomba – mai più nessuno non saprà niente.

Andrea che cominciava già a sentirsi il cervello in ciampanelle per le frequenti libazioni a cui lo aveva sollecitato Marcaccio, pur tuttavia scosse ancora la testa.

– Nessuno saprà niente, ma lo saprò io… E come oserei ancora sollevare lo sguardo in faccia a mia moglie?

– Ci siamo colla moglie adesso! esclamò Marcaccio con ischerno. Vuoi che ti ripeta anche una volta che sei un bambolone che ti lasci menar pel naso dalla donna.

Ma il ferravecchi colla sua voce insinuante e piaggiatrice entrò in mezzo.

– Il buon Andrea ha ragione. La buona moglie, lo dicono i proverbi di Salomone, è una ricchezza che vi concede l'Eterno. Nessuno più di me apprezza e rispetta la vita della famiglia… Aimè! Mi ricordo come ho vissuto in pace, concordia ed amore colla mia Giuditta che mi ha fatto felice per tanto tempo, e mi ha lasciato morendo il prezioso regalo d'una figliuola, un tardo fiore nella mia vecchiaia. Ma come la donna deve essere sottoposta all'uomo, e Dio l'ha creata da una costola d'Adamo appunto per indicare insieme e che ci deva essere cara come cosa nostra, e che ci è dipendente ed inferiore; così la donna, dei consigli e delle opere dell'uomo deve sapere quel tanto solamente che alla prudenza dell'uomo apparisca opportuno di dirle. La moglie ha il governo delle cose domestiche, ma subordinato all'alta direzione del marito. Ella spendere e provvedere per la famiglia; lui procurargliene i mezzi e non lasciare che i dispendi eccedano. Ma quando l'uomo dia alla massaia i mezzi necessarii e non lasciandole mancar nulla di quanto occorre, secondo i proprii bisogni e condizioni, la donna non ha diritto di saper di più d'onde questi mezzi egli li tragga, e l'uomo farà benissimo a tacerli; quando il parlare possa nuocere o soltanto destare in qualche modo susurri in casa.