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La plebe, parte III

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Nello stesso tempo ch'ei parlava, il suo sguardo corse per tutta la stanza; vide in un canto lontano dalla tavola su cui era il lume, la figliuola seduta, il capo chino sopra certo suo lavoro, come se fosse intentissima ad esso, benchè il fioco chiarore della lucerna che appena giungeva sino a lei non fosse tale da bastarle a lavorare, si meravigliò ch'ella non gli fosse mossa all'incontro come soleva ad ogni volta ch'egli rientrava, gli parve notare nel contegno di lei, nella ostinazione a tenere chinato il capo un certo imbarazzo; vide dritto presso la tavola a cui si appoggiava, il medichino senza la menoma traccia d'impaccio, egli, con tutta l'agiatezza che era propria della sua elegante persona; e la presenza di costui in casa sua, mentr'egli erane assente, dispiacque forte al vecchio ebreo.

– Ah! gli è qui Lei! disse Arom punto non curandosi di dissimulare il suo malcontento. Che cosa viene Ella a cercare in mia casa, mentre io non ci sono?

Gian-Luigi si atteggiò a tutta l'imponenza della sua mossa la più superba, guardando dall'alto in basso quell'omiciattolo che si avanzava verso di lui.

– Olà, mastro Jacob, diss'egli con tono compagno all'aspetto, con chi ti pensi tu di parlare?

Il vecchio usuraio tornò di botto in tutta la sua umiltà di contegno e di parole.

– Scusi, diss'egli, non voglio mica offenderla… Ma in casa mia, sa bene, sono avvezzo a non lasciar entrar gente quando io non ci sono… Tutti hanno le loro idee; ed io ho codesta. E d'altronde ho premura di sapere in che cosa posso servirla e che mi ha valso l'onore d'una sua visita.

Debora tremava, cercando di mettersi nella parte più scura della stanza, quasi per nascondersi agli occhi del padrone, del quale era pur certa che l'ira sarebbe caduta su di lei; avrebb'ella voluto difendersi, ma non sapeva troppo che cosa dire; onde benedisse in cuor suo il giovane che, sempre colla medesima alterigia, si degnò di dare al vecchio la seguente spiegazione:

– Sono venuto per parlarti, e di cosa che mi preme; e tu sai che sia. Volli dunque entrare ad ogni costo per attender qui il tuo ritorno.

– Va bene, s'affrettò a dire Jacob più umile e sommesso che mai. Io sono il suo servitore, non ha che da comandarmi.

– Ti ho portata quella carta e sottoscritta col nome che tu hai voluto; spicciamoci dunque a terminar quell'affare.

Il rigattiere s'inchinò fino a terra.

– Agli ordini suoi: rispose. Vossignoria favorisca lasciarmi vedere quella scritta ed io mi solleciterò ad obbedire al voler suo.

Il medichino trasse di tasca il suo elegante portafogli, e da questo levò una cambiale per l'ammontare di cinquanta mila lire, sotto cui si stendeva nel suo carattere minuto ed elegante di donna la firma della contessa Candida Langosco di Staffarda nata La Cappa.

Jacob prese quel pezzo di carta con un certo rispetto e spiegatolo se l'accostò talmente agli occhi per esaminarlo con attenzione, che avreste detto lo volesse fiutare. Due minuti e forse più rimase egli scrutando la polizza da ogni parte, e in questo mentre Gian-Luigi lo stava guardando con una fissità in cui non avreste potuto dire che c'era un'ansia, ma un'aspettativa impaziente e un po' inquieta.

– Va bene, disse poi l'ebreo ripiegando lentamente quel fogliolino; la mi aspetti qui un poco e le porto la somma.

Mandò un profondo sospiro.

– Aimè! Tutti quei pochi miei risparmi che ho potuto fare; la sola scorta che abbia questo povero vecchio! Ma per Lei, che cos'è che non vorrei dare?..

– Risparmiami le tue imposture: disse bruscamente Gian-Luigi impazientito; e sollecita chè ho fretta.

Arom prese la lucerna di sulla tavola e s'avviò verso la scala a chiocciola che saliva al piano superiore.

– Olà! sclamò il medichino; vuoi tu lasciarci qui allo scuro?

– Ah! è vero: rispose Jacob. Scusi, non ci badavo.

Mandò un altro sospiro di rincrescimento e soggiunse:

– Debora, accendi un altro lume; questo io lo porterò di sopra.

Poichè la fante ebbe obbedito, il rigattiere continuò la sua strada, e già aveva un piede sopra il primo scalino della scala, quando, come per nuovo pensiero sopravvenutogli, si fermò e volto all'angolo in cui stava tuttavia quasi rannicchiata la figliuola, le disse:

– Ester, vieni un po' su con me, ho bisogno del tuo aiuto.

La fanciulla si levò sollecita. Aveva avuto tempo di dare alla sua fisionomia l'aria tranquilla ed indifferente, ma sulle guancie le stava una pallidezza marmorea, in mezzo a cui splendevano ardenti i suoi grandi occhi neri. Venne presso a suo padre con passo affrettato, ma passando vicino a Gian-Luigi, tanto non fu padrona di sè che non iscoccasse una ratta occhiata su di lui. Jacob travide questo sguardo che a lui, sospettoso com'era, parve quasi d'intelligenza. Non poteva credere che fra sua figlia ed il medichino fosse avviato nessun accordo, ma pure un'indefinita paura gli entrò nell'anima, e si promise di far ben bene attenzione, e di raddoppiare intorno ad Ester la vigilanza.

Padre e figlia salirono al piano superiore.

– Ah signore, disse Debora supplicante al medichino allorchè furono rimasti soli, per carità non tardi a levarci dalle branche del padrone. Quello lì è un uomo di vista acuta che vede tutto, che indovina tutto. Sono persuasa che fra breve quel demonio saprà il nostro segreto meglio di noi; ed allora la passeremo brutta, la povera Ester ed ancor io.

– Sì, rispose Gian-Luigi, il quale si trovava ancora sotto l'effetto di quel rinfocolamento sensuale di passione che gli aveva cagionato il trasporto della giovane innamorata: sì, rassicura la tua padroncina. Io mi occuperò senza indugio di lei e delle cose nostre: saprò trovarle un asilo così ben nascosto che niuno al mondo giungerà a scoprirlo mai, e colà segregati dall'universo, l'amore ci farà passare delle ore deliziose.

– Ma che ciò sia presto, la supplico, la scongiuro: insisteva la vecchia, la quale era eccitata a tanto zelo dal timore che aveva per se medesima: altrimenti non saremo più a tempo; chè una volta scoperta la cosa o sospettata solamente dal padrone siam belle e fritte, e di poterci salvare scappando non se ne può far niente più.

Discorrevano da alquanti minuti di codesto argomento, e già il medichino veniva divisando alla fante come avrebbe fatto per rendere avvertita Ester di quello che aveva provveduto per lei e della maniera e del tempo di fuggire dalla casa paterna, quando al di sopra di loro, nelle stanze dov'erano saliti il rigattiere e la sua figliuola s'udì un colpo come di cosa grave che cade con violenza per terra, poi un calpestìo di passi concitati e la voce di Jacob che con tutta quella poca forza ond'era capace gridava aiuto.

Gian-Luigi e Debora corsero verso la scala; ed ecco in alto della medesima comparire il vecchio Arom, la faccia tutto sconvolta e spaventata che con accento di grandissimo affanno gridava:

– La mia figliuola!.. La mia figliuola!.. Potenza dell'Eterno! Ella è svenuta che la mi par morta.

– O mio Dio! non potè trattenersi dall'esclamare con molta passione il medichino: Ester!

E si slanciò su per la scaletta con un impeto che era indizio assai chiaro della ragione del suo commuoversi. Il padre di Ester, nel suo pur profondo turbamento, aveva tuttavia tanta libertà d'avviso da notare e interpretare codesto diportarsi del giovane intorno cui già era nato in esso alcun sospetto. Quel grido e sopratutto quel nome così domesticamente pronunziato furono per lui come una rivelazione: il fatto stesso dello svenimento di Ester e il come questo era avvenuto gli confermavano i suoi dubbi. Senza pure immaginarsi il meno del mondo che il male fosse così grave com'era in realtà, giudicò che nel medichino v'era più che un insidiatore, un rapitore di uno de' suoi tesori, il cuore della figliuola, e sentì di botto un odio immenso contro quel giovane sorgergli nel cuore in luogo di quella deferenza quasi ammiratrice che aveva per lui. Arrestò per un braccio Gian-Luigi che voleva penetrare nelle stanze superiori e gli disse freddamente:

– Non occorre che la si scomodi.

Il giovane volse sul rigattiere quel suo sguardo imperioso innanzi a cui quasi tutti gli occhi dovevano abbassarsi: per la prima volta le pupille affondate del vecchio ebreo sostennero imperterrite quello sguardo.

– In mia qualità di medico, disse Gian-Luigi, posso tornar utile a vostra figlia.

– No signore. Ella non lo è abbastanza medico, per mia figlia… o lo è troppo. Preferisco ricorrere alla scienza di un altro. Debora va tu presso Ester, e soccorrila come sai; io termino un piccolo affare con questo signore e poi ti raggiungo… Se sarà bisogno di un medico lo andremo allora a chiamare.

Gian-Luigi non ribattè parola: ridiscese nella stanzaccia terrena seguito dal vecchio, e della fanciulla svenuta non parlò più, come se ciò null'affatto lo interessasse.

– Eccole i cinquanta mila franchi: disse Jacob, che pareva aver dimenticato del tutto ancor egli la figliuola, e schierò sulla tavola altrettanti mucchietti di napoleoni d'oro di cinquecento lire ciascuno.

Quando il denaro fu contato, avvolto a rotoli nella carta, intascato da Gian-Luigi, Jacob si affrettò ad aprir l'uscio che metteva nel cortile, significando tacitamente con ciò che gli premeva il suo visitatore se ne andasse.

Il medichino s'avviluppò bene nel suo mantello, si trasse fin sugli occhi il cappello ed uscì; sul passo della porta si fermò per dire all'ebreo:

– Questa sera c'è grande adunanza per importanti risoluzioni. Ci verrai?

– Spero di sì: disse laconicamente Jacob, che dimenticò di salutare con tutta quell'umiltà che mostrava ogni altra volta.

Gian-Luigi s'allontanò; il padre di Ester chiuse accuratamente l'uscio dietro di lui, spense la lucerna che ardeva sulla tavola, ed a tentoni andò verso la scala e salì di sopra.

 

Ester, abbandonata sopra una seggiola come corpo morto, non era ancora tornata in sè; ed ecco in che modo era accaduto ch'ella fosse colta da un sì grave svenimento.

Appena saliti al piano superiore Ester e suo padre, questi che si mostrava preoccupato e sopra pensiero, mettendo il lume in mano alla figliuola, passò innanzi e si diresse verso l'ultimo scompartimento in cui era stata divisa la stanza, colà dove egli teneva ben bene serrata nello scrigno una parte, e la menoma, dei suoi denari. Padre e figlia ci giunsero in silenzio; Jacob guardava Ester con certo modo scrutatore e penetrativo, ond'ella si sentiva tutta conturbare: ma il vecchio non disserrava le labbra e la fanciulla era tutt'altro che disposta essa a parlare per prima.

Arom fece segno alla figliuola mettesse il lume sulla tavola che abbiam visto esserci colà e su cui quella stessa mattina l'avarissimo uomo aveva contato anche una volta fra le tante il suo denaro: poi spiegata di nuovo la carta della cambiale che il medichino gli aveva lasciato tra le mani, tornò ad esaminarla ben bene. Qui si trovava in presenza di un affare, e la sua preoccupazione cominciò a cedere a quell'attenzione della mente ch'egli soleva dare a ciò che per lui, per la sua smania di guadagno, aveva la massima importanza nel mondo. Anche questa seconda volta l'esame di quella carta non gli fece cattiva impressione, perchè sulle sue labbra livide e sottili apparve un certo stiramento che faceva funzione da sorriso, e senz'altro egli prese nel solito nascondiglio le chiavi dell'armadio ed andò ad aprirlo.

Quando ebbe dischiusa innanzi la cassa di ferro che era colà dentro e potè bearsi della vista dei sacchetti così bene ordinati in ischiera, ogni pensiero altro che la sua passione pel denaro non fosse, si dileguò del tutto dall'animo suo. Prese con mano che si potrebbe dire amorosa, uno di quei rigonfi sacchetti; avreste detto che lo palpava carezzevolmente, recandoselo in grembo, lo strinse al petto con affettuoso riguardo nel portarlo sulla tavola: colà ne sciolse il legacciolo e con precauzione e lentamente, perchè non sonassero di troppo, versò sul piano della tavola le monete d'oro che lo riempivano. Gli occhi del vecchio avaro brillavano, ne tremavan le mani, ne diventava affannoso come per troppa commozione il rifiato, si disegnava di più in più sulle sue labbra tirate la smorfia del suo sorriso.

– Ester, Esteruccia, diss'egli colla voce soffocata, aiutami a contare per cinquanta mila lire di marenghi… Poveri marenghi! Essi hanno da andar via, sono condannati a lasciarmi, a lasciare i loro compagni, ma non temere; e' torneranno… oh oh! se torneranno!.. e conducendo con esso loro una buona e bella quantità di compagni.

Ester stava immobile presso la tavola, appoggiata a questa colla sua bianca mano, e il suo pensiero era ben lungi dalle idee di suo padre; le suonavano ancora nell'anima le ultime voci amorose che erano uscite dalle labbra del suo amante, come in una nebulosa visione le comparivano alla mente le linee vaghe ed incerte d'un delizioso avvenire in una solitudine che il suo Luigi le avesse procurata, cui il suo Luigi imparadisasse del suo amore. Si mise a contare i denari macchinalmente per aiutare nell'opera sua il padre, il quale ad ogni mucchietto di monete che metteva in disparte per dar poi al medichino, mandava un sospiro che pareva un gemito.

Quando la numerazione del danaro fu finita, Jacob prese di nuovo in mano la cambiale datagli da Gian-Luigi e disse con quel suo cachinno:

– Pensare che questo straccio di carta vale tutto quel denaro lì!.. E che potrebbe valere anche di più!..

Additò col suo indice magro, adunco, unghiato, che pareva un artiglio di falco, la sottoscrizione della contessa di Staffarda.

– Queste poche parole qui, soggiunse, valgono più che la firma d'un banchiere, e sono certo che loro si farà onore più che non faccia la miglior casa di questo mondo.

L'occhio di Ester cadde sbadatamente là dove accennava il dito di suo padre; essa ci vide il nome di Luigi e sotto quello d'una donna; un lieve rossore le venne alle guancie ed una qualche animazione nello sguardo.

– Chi è quella donna? domandò con interesse.

Arom sogghignò della più bella e crollò il capo maliziosamente.

– Chi è? Chi è? La è una gran dama, proprio coi fiocchi, la quale non si farà certo tirar l'orecchio per pagare. Di valor legale questa carta non ne ha nessuno, ma ne possiede uno ancora più sicuro. Quando io mi presenti per l'esazione si farà qualunque sacrificio per soddisfarmi.

– Perchè? domandò la giovane che si sentiva opprimere da un'indefinibile inquietudine.

– Perchè Quercia è l'amante di questa contessa imprudente.

Ester gettò un'esclamazione soffocata di vivo dolore.

– Impossibile! diss'ella.

– È la verità. Lo sanno tutti.

La giovane, posto in oblio ogni consiglio di prudenza, prese fra le sue le mani del padre e le strinse con forza.

– Giuratemelo!

– Sì che lo giuro… Ma per la potenza dell'Eterno, Ester, che vuol dir codesto mai?

La piccola, curva persona del vecchio ebreo si era drizzata, e i suoi occhi saettavano fiamme: ma non ebb'egli campo ad aggiungere altre parole; Ester era diventata color d'un cencio lavato e senza manco un grido era caduta stramazzoni per terra. Jacob per prima cosa erasi affrettato a sollevarla e non senza molto sforzo era riuscito a trarla su e metterla comechessia sopra una seggiola, mentre chiamava soccorso; ma poi tosto si ricordò che di sotto non c'era Debora soltanto, ma quell'uomo altresì intorno a cui s'erano oramai così afforzati i suoi sospetti da esser quasi certezza; inoltre egli aveva ancora lo scrigno e l'armadio aperto e non voleva che il medichino vedesse Ester svenuta, nè il ripostiglio de' suoi denari, e quest'ultimo non voleva comparisse dischiuso nè anco a Debora. Con una rapidità di mosse che avreste creduta impossibile in quel corpo vecchio e in apparenza affatto svigorito, Jacob chiuse la cassa di ferro e l'armadio, insaccò i denari contati, nascose nella cappa del camino le chiavi, e fu a tempo a capo della scala per impedire che Gian-Luigi penetrasse nel piano superiore.

Quando il medichino si fu partito, Arom tornò nella stanza di sopra. Ester giaceva sempre a quel modo ed a nulla valevano per farla risensare le cure di Debora che si disperava intorno ad essa.

Il vecchio guardò un momento col suo occhio d'avoltoio la figliuola svenuta, e sulla sua faccia macilenta e raggrinzita non c'era altra espressione fuor quella d'un tremendo corruccio. Mise pesantemente la sua mano adunca sopra la spalla di Debora, e le disse minacciosamente fra i denti serrati:

– Tu mi spiegherai tutto codesto, vecchia scellerata. Che attinenze passano fra mia figlia e quel maledetto cristiano che è uscito or ora di qui?

Debora protestò per la legge e pei profeti che la non sapeva di niente e che non c'era niente.

Ester intanto, durando ancora lo svenimento, era stata assalita da movimenti convulsi che ne scuotevano miserabilmente le povere membra.

– Oh la mia padrona, oh la mia padroncina! gemeva la vecchia fante; ella si muore per sicuro…

Una qualche espressione di pietà tornò ad adombrarsi sulla trista faccia del rigattiere.

– L'abbiamo da lasciar morire così? continuava Debora torcendosi le braccia in atto di desolazione.

– No: disse allora Jacob scosso. Son disposto a qualunque sacrifizio per la mia figliuola… anche quello di far venire un medico… e vado a cercarne uno.

Fece alcuni passi e s'arrestò di subito.

– Ah! i medici costano l'occhio della testa, e non ne sanno nulla più di noi… e poi sono tutti cristiani… Debora, non ti pare che la vada meglio e che la sia per risensare?

– No pur troppo… Anzi!.. veda che convulsioni!

– Allora vado… e pazienza!

Trasse un profondo sospiro e si decise realmente a partire. Corse traverso le strade già scure affatto per la notte fino alla più vicina farmacia, e colà pregò un medico, che per caso appunto ci si trovava, a voler venire con lui per una donna assalita subitamente da un terribile deliquio. Il medico non si fece pregare e seguitò di buon animo l'ebreo sino colà dove giaceva ancora nel medesimo stato la bella giovane; guardò, esaminò, interrogò, tastò i polsi, studiò, ordinò un semplice calmante e poi sbattendo con forza dell'acqua nel volto alla svenuta la fece risensare.

Ester, quando si vide dappresso un estraneo e seppe che gli era un medico, arrossì, si confuse e si alzò precipitosamente come se volesse fuggire: ma le forze non bastandole ricadde sulla sua seggiola.

– Non è nulla, disse il medico, che parve dare importanza veruna a quel caso; voi siete maritata quella giovane?

La figliuola di Jacob arrossì più che mai: fu il padre che rispose:

– No, signor dottore.

– Ah ah! fece il medico in un certo tono strano che diede da pensare al sospettoso vecchio. Poco monta. Fate del moto, ma discretamente, non vi affaticate in nulla, e state di buon animo; ecco tutto.

S'alzò, salutò e si mosse per partire. Jacob lo accompagnò giù della scala facendogli lume, e fino all'uscita ad aprirgliene la porta.

– Non è dunque un affare grave? domandò il padre di Ester al dottore mentr'egli stava per partire.

– Niente affatto: rispose il medico con un sorrisetto malizioso.

– Ma che cos'è? insistette il vecchio rigattiere.

Se si fosse trattato di persona in altra condizione sociale più elevata, il medico ci avrebbe messo un po' più di riguardi, ed avrebbe fors'anco taciuto la verità; ma non si trattava che d'un miserabile ferravecchi e d'un ebreo; egli rispose ridendo:

– Che cos'è? Gli è che tutto dà a credere che quella giovane sia incinta da tre mesi.

Arom non mandò una voce, non fece un atto, impallidì e rimase immobile lì a quel posto, tenendo con una mano il lume, coll'altra il battente dell'uscio che aveva aperto, mentre il vento notturno gli cacciava sul volto la neve che fioccava: il medico, allontanatosi di buon passo, era già fuori del cortile che il vecchio padre di Ester stava ancora piantato sulla soglia del suo quartiere.

Un più forte buffo di vento che gli spense il lume tra mano e gli sbattè in volto più abbondanti i fiocchi della neve, lo fe' riscuotersi. Entrò e chiuse dietro di sè a tentoni, con tutte le sbarre che l'afforzavano, l'uscio pesante; s'avanzò nella stanza scura come una caverna sotterra finchè la sua mano tesa innanzi a sè non ebbe incontrato la tavola che ci stava in mezzo; depose su questa la lucerna spenta e poichè il suo stinco aveva urtato nella traversa d'una seggiola posta lì presso, egli vi si lasciò andar su e stette lì con una gran lassitudine d'anima e di corpo. Che cosa pensasse, o credesse o volesse non sapeva neppur egli, tanta era la confusione della sua mente. Quel colpo era stato così inaspettato e così violento che lo aveva tutto sbalordito. Non si faceva un'idea precisa della situazione, perchè in quel momento era incapace di connettere due idee; ma sentiva che un'irrimediabile sciagura gli era capitata addosso a rovinare tutti i suoi progetti d'avvenire, frustrare tutti i suoi desiderii, distrurre una gran parte della sua vita.

Tendeva l'orecchio ai lievi rumori che venivano dalla stanza superiore dov'eran le donne: un soffocato susurro di voci che parlavano, quantunque agitate, sommesso, il trascinarsi qua e colà delle pianelle di Debora che andava e veniva. Si domandava se era possibile che nella sua casa, senza che egli punto se ne avvedesse, sotto gli acuti e veglianti occhi suoi fosse avvenuto tal fatto che tutte cambiava le condizioni, tutto il suo destino e della famiglia.

– Non è vero, non è vero: diceva a se stesso scuotendo il capo, e si ripeteva queste parole molte e molte volte come per convincersene meglio egli medesimo.

Ma invece, a dispetto di ciò, a seconda che il primo turbamento veniva calmandosi, s'accresceva in lui la convinzione contraria. Ricordava lo strano umore, le melanconie, la pallidezza, le bizzarrie di idee e di gusti della figliuola da alcun tempo; e di subito, a fare il più luminoso commento a codesto, il turbato contegno di Ester al giunger del padre poc'anzi, la presenza del medichino, gli sguardi scambiati fra i giovani e da lui sorpresi, lo svenimento di lei all'apprendere che Quercia aveva un'amante.

– È lui lo scellerato: diceva Jacob a bassa voce, coi denti stretti. Su di lui piombi la maledizione dell'Eterno!.. Ma come potè egli compire l'infame attentato?

In quella s'udì il trascinio delle pianelle di Debora accostarsi alla scala che scendeva colà dov'era coll'anima travagliata il padre di Ester, e la voce della vecchia cacciò giù queste parole:

 

– Siete costì messer Jacob?

Le due donne, dopo aver udito richiusa la porta, non avendo più visto comparire il vecchio nè sentito rumore di sorta, pensarono che uscito fosse ancor egli e ch'elle eran rimaste sole di nuovo, la qual cosa molto loro andava a versi, poichè avevano così tempo ed agio di concertarsi e studiare insieme intorno al modo di regolarsi. Ester poi aveva da sfogare l'immenso dolore che le aveva cagionato la per lei crudissima novella appresa dalla bocca di suo padre, che cioè Luigi avesse un'altra amante. State così un poco ad orecchiare, e non venendo loro fatto di cogliere il menomo rumore che indicasse l'esistenza d'un'anima viva, non sapendo d'altronde darsi ragione del perchè il vecchio si rimarrebbe nella stanza di sotto senza tornare presso la figliuola della cui salute doveva pur essere e si era mostrato inquietissimo, le si persuasero d'esser sole; e Debora, per assicurarsene di meglio, venne alla botola della scala e disse quelle parole che ho più su riferite.

Ma queste indifferenti parole, o meglio la voce della fante, venne in tal punto che servi come di sprazzo di luce ad illuminare la mente di Jacob nella complicata quistione ch'egli si era posta dinanzi e che non sapeva affatto risolvere: come il medichino fosse pervenuto al compimento dell'empio disegno. Debora facendo ricordare la sua presenza in quel punto, veniva a chiamar su di sè l'attenzione del tradito padrone, veniva involontariamente a denunciarsi. Jacob non esitò pure un momento a credere che la scellerata vecchia era stata compra dal seduttore e s'era fatta l'infame suo stromento. Un'ira impetuosa, irrefrenabile, selvaggia lo prese: s'alzò con islancio furibondo e corse alla scala, tremante in tutte le membra per la collera che lo dominava.

– Sì, ci sono per tua disgrazia, vecchia figliuola di Baal! gridò egli con voce strozzata in gola dall'eccesso della rabbia, e fatte di volo le scale con una rapidità di cui non si sarebbero credute capaci le sue vecchie gambe, comparve nella stanza della figliuola, spaventoso per l'espressione feroce e tremenda delle sue sembianze orridamente contratte.

Debora all'udir solamente la risposta datale dal padrone, aveva capito che per lei era giunto un brutto momento e s'era affrettata a tornare presso di Ester, quasi come ad un rifugio.

– Aimè! Aimè! aveva ella detto tremando, vostro padre è furibondo… Non l'ho udito parlare col tono d'adesso che una volta sola, quando ebbe perso quelle due mila lire…

E già dietro la vecchia atterrita sopraggiungevano i passi concitati, quasi direi convulsi di Jacob e il soffio grave e affannoso del suo affrettato respiro. Appena nel cerchio di luce che mandava il lume, vide comparire la faccia allividita, gli occhi sfavillanti d'una cupa fiamma in fondo alle occhiaie, le labbra frementi di suo padre, Ester comprese ch'egli sapeva tutto e che un supremo momento era venuto per essa.

Ella stava ancora seduta, non essendole tuttavia tornate le forze ammorzate da quel penoso e lungo svenimento; ma al veder comparire in quell'aspetto suo padre s'alzò ed appoggiandosi alla tavola stette in piedi come preparata di meglio così ad accogliere quel pericolo che le precipitava addosso: le gambe le tremavano, il cuore le palpitava da impedirle il rifiato; gli occhi vedevano torbido e come dei lampi passavano innanzi alla sua vista offuscata. Quel momento terribilissimo che essa aveva temuto cotanto, per isfuggire il quale avrebbe tutto tentato, a salvarla dal quale aveva supplicato l'amante; quel momento era giunto. Quale scampo più le rimaneva? Nessuno. Che cosa stava per avvenire? Che sarebbe di lei?

Jacob a tutta prima non rivolse il suo furore contro la figliuola; non gettò su di lei che uno sguardo di sbieco, ma uno sguardo da agghiacciare il sangue nelle vene, tanto era niquitoso, e si slanciò con un balzo da tigre sopra Debora; l'afferrò pel collo così che le sue mani adunche le impressero nella pelle rugosa ed asciutta le unghie e con una forza che solo il furore poteva dare a quelle vecchie membra la trasse in terra cadendole sopra ancor esso.

– Miserabile!.. Infame!.. Sporca mezzana, quanto hai tu ricevuto per vendere mia figlia? diss'egli con voce soffocata dal parosismo dell'ira.

La vecchia si mise a strillare per quanto le concedea la stretta alla strozza delle mani convulse di Jacob.

– Misericordia!.. Aiuto!.. Per carità, gridava essa colla voce arrangolata; non mi ammazzate, sono innocente…

– Ah! innocente! sclamò con rabbia sempre maggiore Arom, il quale alzatosi prese a percuotere coi talloni la vecchia caduta, mentre questa liberata dalla stretta della gola urlava con quanto ne aveva in corpo:

– Soccorso!.. Accorr'uomo!.. o povera me!.. Mi ammazzano!.. Ahi! Ahi! Ahi!

– Taci!.. Vuoi tacere!.. diceva il furibondo percotendola sempre a quel modo.

Ma una persona s'avanzò, e, preso il vecchio alle spalle, lo allontanò dalla donna con una specie di autorità; era Ester. In lei s'era calmato alquanto il profondo turbamento del primo istante; nella gravità delle circostanze un'anima non fiacca trova sempre anche contro ogni previsione la forza e la risolutezza che occorrono; quando quella sventura o quel pericolo che tanto si sono temuti vi hanno sopraggiunto, per sopportarli ed affrontarli voi vi trovate ad un tratto una certa energia di cui non vi sareste manco creduti capaci. Ester in presenza della tragica solennità di quella scena tanto paventata sentì ben tosto riagire in sè un sentimento che era un'irritazione ancor esso, uno sdegno, un nuovo coraggio. Quando uno si sa minacciato da un disastro e vive nell'incertezza di quando e di come abbia esso a piombargli sopra, quasi desidera che presto avvenga la catastrofe per esserne fuori pur finalmente. Fu qualche cosa di simile ciò che pensò Ester in quel punto: la catastrofe era lì, presente; bisognava farle buon viso. La compassione per Debora così maltrattata dal vecchio inferocito venne a darle la spinta: a lei s'apparteneva d'entrare in mezzo a sostenere la parte principale in quell'orribile scena. Su di sè era suo debito di chiamare lo sfogo di quel selvaggio furore; Ester, come vedemmo, si frammise fra Debora e suo padre.

– Tornate in voi: diss'ella freddamente e di guisa che appena era in lei un lieve tremito delle labbra a manifestare l'interna emozione. Non è con Debora che dovete prendervela, ma con me.

Jacob mandò una voce di furore, che pareva un ruggito soffocato e sembrò volersi lanciare su di Ester. Ella rimase immobile guardandolo con occhio triste, ma sicuro. Padre e figlia stettero così un minuto fronte a fronte, coll'aspetto egli d'un furibondo capace d'ogni eccesso, colla rassegnata fermezza ella d'una vittima pronta a tutto. Ma l'influsso di quelle avvenenti sembianze sull'anima del padre, in cui la figliuola era pure uno dei due unici suoi e potentissimi amori, non era tuttavia svanito così che fissando i suoi negli occhi di Ester non si commovesse in alcuna misura il suo cuore. Egli si tirò indietro d'un passo e la minacciosa ferocia della sua fisionomia lasciò alquanto luogo ad una espressione di profondo dolore.

– Tu dunque lo confessi, sciagurata! diss'egli con un gemito.

Liberata di quella guisa per l'intervento della padrona, Debora tutta indolenzita e sbalordita, erasi alzata lentamente tastandosi la persona: una paura indomabile la occupava; credevasi giunta alla sua ultima ora ed in lei gli anni non lasciavano bastevole vigoria da riagire contro il pericolo. Un pensiero solo rimaneva nella sua testa confusa, nella sua ragione smarrita: salvarsi da quegli artigli del vecchio, fuggire quel suo furore, cercare difesa contro nuovi eccessi del padrone dissennato dall'ira.

Ma come fuggire? Le gambe tremanti la reggevano appena: mai più non avrebbe avuto tempo di correr giù delle scale, precipitarsi all'uscio, aprirlo e guizzar fuori prima che Jacob l'avesse raggiunta. Guardando cogli occhi sbarrati tutt'intorno per cercare un modo di scampo, le venne fatto di veder lì presso la finestra: non ci stette a ragionar su nè poco nè assai, si gettò verso di essa, ne aprì le invetrate colle mani frementi e chinandosi all'infuori, con tutto quel più di voce che le consentiva la terribile sua emozione si diede a gridare per la tenebra della notte: