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La plebe, parte III

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– Hai ragione: disse Virginia con semplicità e con calma, non senza però un certo calore contenuto nell'accento. Un indegno affetto rivela un animo poco degno; ma non solamente il sangue nobilita una persona, sibbene la virtù e l'ingegno eziandio.

Ettore guardò stupito sua cugina dalla cui bocca usciva codesta che a lui pareva eresia democratica.

– Margherita di Scozia, soggiuns'ella in fretta come per porre la sua proposizione sotto la difesa d'un esempio principesco, baciò Alano Chartier perchè da quella bocca uscivano sì bei versi.

– Ed è tradizione, soggiunse con ironia, ma cortesissima, il marchesino, che Eleonora d'Este riamasse quel va-nu-pieds di Torquato Tasso; ma il duca di lei fratello ha fatto benissimo a rinchiudere il poeta nelle carceri e mandarlo poscia a metter senno in un ospedale di pazzi.

Le esigenze coreografiche della contraddanza a questo punto interruppero di nuovo il dialogo dei due cugini.

Quando Ettore e Virginia furono tornati al loro posto, per un poco non parlarono più nè l'uno nè l'altra: forse ambidue avevano desiderio di riprendere l'interrotto discorso, ma ci si peritavano o non sapevano trovare di subito il modo di riappiccarlo; fu il marchesino, com'era naturale, che saltò di bel nuovo in pien mezzo dell'argomento.

– Ti citavo dianzi l'esempio del duca di Ferrara e di quel piagnoloso del Tasso, diss'egli, e sarebbe quello che in un caso simile mi piacerebbe seguire.

Virginia ebbe un sorriso affatto superficiale, ed esclamò con apparente allegria:

– Per fortuna dei Tassi moderni – se ce ne fossero, e pur troppo non ve ne ha – tu non sei duca di Ferrara.

Ettore si drizzò della persona in una mossa di smisurata superbia.

– Per grazia di Dio, rispose, sono tanto nobile quanto può esserlo duca al mondo… Del resto il metodo del buon Alfonso lo saprei adattare alle condizioni particolari d'un gentiluomo del nostro secolo, che non ha a sua disposizione una brava carcere… Io non so capire, per esempio, come Langosco non faccia da' suoi staffieri appianare le costure a quel cotal dottore che gli bazzica per casa e gettar giù delle scale.

La fanciulla guardò ben bene in faccia suo cugino; una lieve animazione si mostrava nel suo sguardo come poi nell'accento con cui parlò. Era il suo sangue generoso che si commoveva di sdegno a quella indiretta minaccia contro l'uomo da essa amato.

– Ah! la violenza, disse: è un mezzo nè bello, nè nobile, nè acconcio. Con esso non si scioglie quistione alcuna…

– La si tronca, che fa lo stesso.

Virginia scosse il capo.

– Non fa lo stesso. Se Eleonora amò veramente Torquato, il saperlo nelle carceri, il saperlo infelice non dovette distruggere, sibbene afforzare l'amor suo.

Fissò in volto ad Ettore uno sguardo che aveva una certa autorità ed una significazione evidentissima, e soggiunse lentamente pronunziando:

– E il fratello che usò di tale violenza, ella dovette ripagare del suo sdegno, più che del suo sdegno, d'un implacabile rancore.

– Parbleu! Tu credi?.. disse il marchesino un po' sovraccolto, un po' ironico, un po' sdegnoso.

Ed ella senza lasciarlo continuare:

– Una donna, soggiunse vivamente, può combattere essa stessa e vincere un affetto a cui si oppongano giuste ragioni e insuperabili contrasti; ma non si arriverà mai a strapparglielo dall'anima, offendendo, ingiustamente perseguitando colui che n'è l'oggetto.

Virginia si tacque di botto stupita ella stessa della franchezza e dell'evidenza delle sue parole; quell'amore cui essa voleva nascondere a tutti, ecco che lo aveva quasi proclamato; ma la generosità della sua indole non aveva potuto frenarsi innanzi alle provocatrici minaccie di Ettore; troppa d'altronde era in lei la volontà di trovar modo onde far capire al cugino che l'umor battagliero e prepotente non era buon mezzo per andarle a' versi.

Il marchesino fu sul punto di esclamare:

– Ah dunque tu confessi d'amare quel miserabile a cui io ho gettato il guanto in faccia ieri sera?

Ma si contenne: si morse le labbra e in luogo delle dispettose e corrucciate parole che si ricacciò nella gola, non seppe in quel momento trovarne altre; tacque adunque. Del resto l'ultima figura richiamava i nostri dialoganti che, senza più un motto, conchiusero il colloquio e la contraddanza colla riverenza finale.

Virginia non tornò presso sua zia, ma si fermò in un crocchio di giovani amiche; Ettore mal contento andò nella stanza da giuoco a farsi passar mattana all'écarté, e sedette al tavolino dove i gialli raggi delle candele si riflettevano sulla gialla fronte calva del conte Amedeo Filiberto Langosco di Staffarda, il quale, col suo solito sogghigno e colla sua solita freddezza, perdeva secondo l'usato a rotta di collo.

Virginia neppure non era contenta di sè. Le rincresceva che il suo segreto, già sospettato dal cugino, ora fosse a costui quasi del tutto manifesto; il non aver più visto Francesco in quel ballo cagionavale un sentimento indefinito di dubbio, di contrarietà, quasi un vuoto nell'anima. Lo aveva cercato desiosamente cogli occhi, e la s'era stupita di non trovare fissi, supplichevoli, ammirativi, amorosi que' dolci sguardi; era egli partitosi? La s'era detto che Francesco aveva ragione, ma pure ne provava un intimo rammarico: avrebbe voluto vederlo e lo approvava di non comparirle dinanzi. La folla, i suoni, le danze, le vane ciarle di quelle conversazioni le davano fastidio. Combattuta fra sentimenti strani e diversi, provò ancor essa il bisogno di solitudine, e, pianamente sottraendosi alla stretta dell'affollata adunanza, la venne cercando nelle più riposte stanze.

Quando fu in quella che precedeva il gabinetto dov'era il pianoforte, udì venirle intorno carezzevole e soave l'onda armonica di quella composizione che sappiamo a lei pure dilettissima, la dernière pensée de Weber. Ristette; sentì farsi frequente il palpito del cuore; un tremito interno le tolse ogni forza, si appoggiò ad un mobile e stette ad ascoltare, afferrando, per così dire, con avido desio quei suoni con tanta passione eccitati, che le parlavano all'anima. Senza la menoma esitazione ella seppe chi era che parlava in quel modo, con quelle appassionate note a lei tanto dilette, quell'arcano linguaggio. Non poteva essere che lui. Un altro poteva egli sentir di quella guisa, comprendere così bene l'intimo pensiero di quella melodia quale aveva essa stessa compreso, pensare pur solamente a suonare allora in tal luogo sì mesta effusione d'affetti?

Era lui, solo di certo, lì vicino, non disgiunto da essa che di pochi passi, che per l'arazzo d'una portiera: era egli di cui l'anima e il pensiero volavano con que' suoni verso di lei; Virginia non ne aveva dubbio nessuno: ella sentiva quasi, intorno a sè, come un fluido lieve, lo spirito dell'amante; ella si lasciava penetrare da que' suoni con un'ineffabile tenerezza che metteva sulla beltà de' suoi tratti un mite splendore di paradisiaca gioia. Che doveva ella fare? Oh allontanarsi per certo, e tosto, fuggire meglio che ritrarsi: se lo disse, lo volle, ma rimase. Un fascino irresistibile l'attraeva. Come una potenza magnetica quell'onda musicale l'avvolgeva, la compenetrava, tutta la dominava… La portiera fu sollevata adagio adagio senza rumore: un'ombra scivolò lieve lieve sopra il tappeto; uno splendor di bellezza illuminò l'ambiente di quel solitario stanzino. Francesco allora ebbe la scossa profonda che ho detto: aprì gli occhi, si vide innanzi l'angiolo de' suoi sogni, tese verso la sublime apparizione le mani supplicanti e con voce che veniva dal cuore, pronunziò in un grido di gioia supremo, inesprimibile, una parola che per lui conteneva un mondo.

– Virginia!

CAPITOLO XVII

Francesco s'era drizzato in piedi, ma tremava in tutte le membra; una emozione potente lo aveva assalito cui non poteva padroneggiare; era diventato pallido come un cadavere. Virginia era pallida ancor essa, e di lei pure vibravano i nervi in un tremito intimo, indefinibile.

Stettero un minuto l'uno in faccia all'altra, immobili, muti: egli si sorreggeva al pianoforte presso cui s'era levato, essa alla spalliera d'una poltrona che le si trovò dappresso; non potevano parlare, non sapevano che cosa dire, ma si guardavano, ed una fiamma ardente e divina correva fra le loro pupille. Fu un minuto solo, ma un minuto che contenne per essi un infinito, mille dolcezze che erano insieme uno spasimo, una stretta al cuore che era pure nella sua acutezza un diletto. Le corde del cembalo vibravano ancora per gli ultimi colpi che aveva percossi sui tasti la mano di Francesco.

Quei loro sguardi dicevano di molto; molto eziandio aveva detto quel grido che era scoppiato dal cuore di lui nei vedersi innanzi di subito la invocata fanciulla su cui con tanta forza di volere e di desio erano concentrati i suoi pensieri. L'amore aveva rinfiammate ad un modo le anime loro in un accesso della sconfinata passione, ed aveva poscia postele a contatto, messele di fronte, mentre doveva a forza da esse traboccare l'imperioso, divino, ineffabile sentimento che tutte le possedeva. Quali due corpi saturi di elettricità diversa che si attraggono e si precipitano l'uno verso l'altro, come fra loro non sarebbe corsa la meravigliosa scintilla ad accomunare, assembrare, fondere in un rapimento di amore gli animi, gli spiriti, l'intiero essere?

Al pallor primiero successe sulle guancie di Virginia un rossore che, lieve dapprima, venne via via accrescendosi; per consenso, anche in Francesco il sangue, che pareva concentrato intorno al cuore quasi soffocandolo, salì pure alla testa e gli pose le fiamme alla faccia; ella chinò lentamente i suoi occhi, immobile sempre a quel posto; egli eziandio chinò i suoi; un impaccio, ma non fastidioso, anzi invece pieno di diletto, li faceva timidi di quella cara timidità cui dà anche all'uomo il più risoluto un vero amore. Avevano troppe cose da dire e temevano che la loro parola dicesse troppo per disserrare le labbra; ma lo stesso loro silenzio e il contegno parlavano. Si ascoltavano a vivere, per dir così, con una specie di sacro raccoglimento e di meraviglia, in quella crisi della loro vita intima; pareva che stessero lì a sentire avidamente a battere il proprio cuore e quello del compagno a vicenda.

 

Fu ella che comprese la prima come quel silenzio dovesse troncarsi; fece uno sforzo, s'avanzò di due passi verso il pianoforte a cui si sorreggeva Francesco, volle dire, con tono indifferente, indifferenti parole, e così cominciò:

– Ella dunque ama di molto eziandio quella mia carissima dernière pensée?

Ma come in quel momento avrebbero potuto uscire da quel labbro indifferenti parole? Qualunque con isforzo maraviglioso avesse ella scelto anco fra le più volgari ed inutili, avrebbero preso dalla tempra dell'animo vibrante d'amore un accento pieno di passione che avrebbe avuto il suo significato; qui poi non s'accorgeva ella, Virginia, che quei suoi detti certificavano di presente quella comunione di pensiero e di animo che esisteva fra di loro e che avrebbe pur voluto dissimulare?

Francesco sollevò i suoi occhi, e il raggio delle sue pupille s'affondò nella limpidezza di quelle di lei.

– Se l'amo! Diss'egli con voce tremante, quasi rotta dall'emozione, il respiro oppresso dal palpito del suo petto. L'amo come la voce del più caro amico che mi consoli, come il verso più splendido del poeta che mi parli alla mente ed al cuore.

La mano di lui cadde sui tasti del pianoforte che mandarono un risuono quasi supplichevole, come una tenerezza di gemito.

Virginia gli additò con un gesto vezzosissimo di preghiera il gravicembalo ancora vibrante.

– Ebbene, diss'ella con quella sua voce che, era una sì soave armonia, non le dispiaccia farmela sentire anco una volta.

Francesco s'inchinò lievemente in segno di ubbidienza e sedette di nuovo là donde s'era levato: le mani gli tremavano ancora, gli sussultava nel petto il cuore commosso. Le prime note uscirono di sotto le sue dita, incerte, oscillanti, saltuarie. Virginia appoggiò all'angolo del cembalo verticale il gomito del suo braccio più bianco di neve, più perfetto di quello d'una statua di Prassitele, sorresse alla mano la fronte, e stette, gli occhi chinati, in una mossa piena di grazia e di maestà. In mezzo a loro si elevava lenta, sommessa, ma più soave che mai, ma palpitante, quasi direi, e commossa, la dilicata melodia.

Non si guardavano i due amanti: ella teneva i suoi occhi rivolti immobilmente al suolo, egli li fissava innanzi a sè come se colà si aprisse l'infinito e non fossero a pochi passi da lui arrestati dalla parete: ma per ambidue, allo sguardo della mente si atteggiavano smaglianti, nella maggiore e più cara seduzione ch'esser possa, le fantasie più santamente amorose della loro giovanile immaginativa eccitata. Il mondo dei sogni, il mondo dell'ideale chiamava a sè, assorbiva l'intelletto loro, dolcemente cullato dalla carezza della malìa musicale. Dove si trovassero in quel momento non pensavano, non sapevano; la realtà delle contingenze circostanti non esisteva più per loro; si affondavano coll'animo, col cuore, con tutto l'essere nel misticismo soave della passione d'amore, scevra da ogni bassezza di sensualità.

Momenti sublimi! i più sublimi che viver possa l'anima in questa esistenza terrena! Infelice chi non li ha provati mai, chi vede scendere sulla sua persona il peso degli anni senz'aver palpitato di questi palpiti celesti, senz'aver gustato, non fosse che affacciandosi alla soglia, di questo Eden meraviglioso ed ineffabile! Per lui la terra ha nascoste le sue più splendide bellezze; a lui, come figliuolo diseredato, non parla i suoi più divini accenti la natura, non appalesa la vita i suoi più preziosi tesori. Questi beati istanti, ratti, fugaci, pochi, ma celestiali, uom li accoglie e li serba come avaro geloso nel sacrario della memoria; sono un profumo di felicità onde avrete conforto nelle più empie traversie della vita, chi lo sa custodire incorrotto; al ricordo di essi, sorride beatamente anche il vecchio incanutito che già si curva sull'orlo della fossa, ed un'aura giovanile viene a carezzargliene l'anima intorpidita. Oh amore, tu se' il motto ultimo dei segreti dell'universo, tu sei la legge unica che governa i mondi del sensibile e dell'intelligibile, quella forza prima cui cerca la scienza; tu sei la più alta espressione nell'essere uomo di quel divino che c'è nella sua natura!..

Quando l'ultima nota della melodia soavemente s'estinse sopra le corde del pianoforte, i due giovani, leggiadri amanti si guardarono finalmente. Quello sguardo fu una fiamma, fu una confessione d'amore, fu un abbraccio delle anime loro. Le pupille palpitavano ancor esse. In quelle di Virginia color del mare, ma d'un mare benigno, su cui si stende sereno il cielo e ride il più lieto sole, c'era in vero tutta l'immensità d'un Oceano: un'immensità d'affetto; negli occhi bruni di Francesco raggiavano vibrando, sprazzi di calore e di luce.

Le tante, profonde, inesprimibili emozioni di lui, sotto lo sguardo benigno della fanciulla amata, ebbero il coraggio e la forza di trovare e di mandargli alle labbra un'espressione. Fu anche questa volta una parola sola, ma quante cose contenevansi in essa! Giunse le mani in atto di chi adora, e ripetè l'esclamazione con cui aveva salutato commosso il comparirgli delle vaghe di lei sembianze.

– Virginia!

Ella non cessò di guardarlo: si pose una mano sul cuore e il suo corpo elegante si sorresse vieppiù al mobile a cui era appoggiata, come se le venissero mancando le forze; un'ombra lieve di sorriso, timido, quasi involontario le alitò sulle labbra semiaperte. L'abituale nobile fierezza del suo aspetto s'era fusa anch'ella nella soavità dell'emozione; non ci rimaneva più che sotto le spoglie del dignitoso riserbo della virtù. Com'era lungi in quel punto dall'anima sua ogni influsso di pregiudizio sulla superiorità di casta!

Francesco intanto sentiva, in mezzo al quasi doloroso e pur soave palpito del cuore, al turbinio de' pensieri nella mente, alla foga delle sensazioni, crescergli il coraggio. Parlò tremando, con voce soffocata e rotta dall'emozione, con accento che da quello stesso inciampo del suo turbamento profondo acquistava nuova efficacia.

– Quante volte ho desiderato potere a lei presente rivolgere il suono di queste note!.. E quante a lei, alla sua immagine, presente sempre al mio pensiero, ho fatto omaggio di queste aspirazioni vestite della forma dell'armonia!.. Ma come in questo istante è riuscita inefficace la mia mano ad esprimere quel ch'io sento, quel ch'io vorrei!.. Se avessi potuto mettere in questo freddo stromento una parte soltanto di quello ch'io provo!.. Oh se potesse all'anima sua parlare direttamente l'anima mia!..

Un riso divino, un lampo di angelica luce balenò negli occhi, su tutta la fisionomia animata di Virginia.

– Perchè credere ch'io non abbia inteso il magico linguaggio di que' suoni?.. Colle parole del nostro idioma terreno chi potrà dir mai quello che dice il meraviglioso alito dell'armonia?..

Francesco sorse in piedi, la sua mano incontrò per azzardo quella di Virginia che pendeva presso al pianoforte a cui sempre teneva appoggiato il gomito; a quel tocco un brivido corse come un dolcissimo fluido tutte le membra di ambedue. Egli non ritrasse la sua mano; quella di lei non isfuggì neppure: le due destre stettero vicine l'una all'altra, toccandosi, senza stringersi, agitate da un lieve tremore, attingendo a vicenda da quel contatto un fuoco sottile che si metteva a circolare col sangue nelle loro vene. E frementi in tutto l'esser loro, accomunati in un solo e medesimo trasporto; stavano lì, in faccia l'un dell'altra, guardandosi, i due giovani innamorati.

– Ella mi ha dunque compreso? soggiunse Francesco con voce cui la passione e la gioia serravano nella gola; Ella ha compreso la potente, sconfinata adorazione che si eleva dal mio cuore verso il suo?.. Sì una vera adorazione, glie lo giuro, pura e santa come l'anima sua, ardente come la febbre di questo divino trasporto che mi fa batter le tempia.

Si lasciò scivolare dal seggiòlo su cui sedeva, in ginocchio ai piedi di lei e giunse le mani con atto di supplicazione appassionata, e pregò collo sguardo acceso delle più vive fiamme d'amore.

– Lo scopo unico della mia vita, l'ispirazione incessante del mio pensiero, la ragion sola d'ogni atto, d'ogni anelare, la fonte d'ogni gioia, il Dio della mia fede… tutto al mondo ed oltre il mondo, per me, gli è Lei!.. C'è una forza superiore ad ogni volere umano che invincibilmente mi attrae qui… ai piedi suoi… anima e corpo, fantasia ed intelletto, desiderii e volontà, come un povero oscuro pianeta intorno alla splendenza del suo sole… Sì il mio sole!.. Quando non la vedo c'è la notte nell'anima mia, anco negli occhi miei… Si, il mio sole!.. Quando l'ho mirata, la luce della sua bellezza mi è rimasta entro il cervello, in fondo alle tenebre della mia mente, come un astro di splendore divino. Chiudo le palpebre e me la vedo raggiante dinanzi… Ma il vero è che sempre, sempre, nella veglia e nei sogni, io vagheggio presente al più intimo dell'esser mio, la sua immagine invocata. La vedo, l'adoro, le parlo; mi beo del suo sorriso… Se potessi esprimere qui in parole la menoma parte soltanto di quell'effusione con cui nel mio segreto l'anima mia adora la sua, ella potrebbe allora capire la forza, l'estensione, l'eternità dell'amor mio…

Questa parola «amore» fece riscuotersi la fanciulla. Ella ascoltava le affollate parole di Francesco col suo serio e benigno sorriso, il corpo lievemente inchinato verso di lui, gli sguardi negli sguardi del giovane, il petto commosso. La voce del suo amante le accarezzava l'animo più dolcemente ancora di quel che avesse fatto poc'anzi la soavità della melodia diletta. Obliava le sue condizioni, i suoi proponimenti, gli altri suoi pensieri, tutto il resto del mondo; sentiva il suo cuore fondersi beatamente al calore di quell'amoroso trasporto nel cuore dell'amante; avveniva quel misterioso congiungersi delle anime innamorate che è un adombramento della felicità sopraterrena, che è il vero maritaggio di due esseri eletti. Quella parola «amore» la destò, per così dire, con un lieve sussulto; una nube leggiera salì a velarle la luce dell'intima gioia che le splendeva sul viso; si recò la destra alla fronte, come a fermarvi un nuovo pensiero che si presentasse alla sua meditazione; il contatto dello svolazzo della sua veste leggiera coi panni del giovane, le parve un troppo suo abbandono e si trasse in là d'un passo; lasciò cadere più freddo, più riserbato il suo sguardo sulla fronte illuminata d'amore del giovane, e disse senza alterigia, senza un'ombra di sdegno, ma con rassegnata mestizia.

– S'alzi, la prego. – Questo contegno innanzi a me non conviene nè per mio nè per suo riguardo… Perchè mi ha Ella parlato a questo modo? Ned Ella doveva dire ned io ascoltare di queste parole. Il diritto di pronunciarle al mio orecchio può darlo ad un uomo il consentimento soltanto di chi mi tien luogo di genitori. Ora, non ha Ella pensato che direbbe mio zio il marchese ove sapesse di questo colloquio?

Francesco mandò una voce soffocata, un gemito di vero dolore. I detti di Virginia gli facevano sorgere di nuovo dinanzi quella fatale barriera onde ben sapeva essere egli da lei diviso, e cui aveva obliato un istante. Dalla folle esaltazione d'una impossibile speranza passò di botto all'abbattimento d'una disperazione inconsolabile. Aveva visto il paradiso aprirglisi un istante davanti, e poi si sentiva bruscamente ricacciato indietro nel dolore e contesogli inesorabilmente il passo. Sentì ogni sua forza venir meno nell'animo come nel corpo accasciati; volle alzarsi e non lo potè nemmanco; levò uno sguardo di muta ma dolorosissima lamentazione verso di lei, provò l'angoscia dell'uomo che nel pieno della sua vitalità si sente stringere ad un tratto le viscere dalla ghiaccia mano della morte.

Virginia ebbe pietà di quell'angoscia che vide dipingersi sul volto del giovane; la sentì ripercotersi nel suo cuore; ebbe un generoso impulso che le fece rimpiangere d'aver dato a quell'anima siffatto spasimo e desiderare di apprestarle alcun rimedio di consolazione; tornò ad accostarsi d'un passo a Francesco sempre inginocchiato e lasciò cadere su di lui la dolcezza d'un suo sguardo pietoso.

Francesco prese il lembo di quella veste di cui lo svolazzo tornava a toccar leggermente il suo corpo e lo baciò con passione.

– Mi perdoni, diss'egli: le parole mi traboccarono dall'anima… Non cerchi in nome d'altri la mia condanna… A Lei, a Lei sola lo assolvermi o il punirmi… La più fiera punizione del mondo, il suo sdegno… Gli è la sorte della mia vita che sta nel suono d'una sola sua parola… La pronunci, l'aspetto… Ah! non ho temerità di speranze… Sono rassegnato all'ultima sciagura… Il resto dell'universo non è più nulla per me… La sua vista, un suo sguardo, un suo sorriso, lo giuro, conquisterei al prezzo di morte.

 

Virginia si sentiva ondeggiar l'anima fra diverse spinte; la sua fierezza lottava in ultimi sforzi contro la passione che la possedeva; un resto d'orgoglio le susurrava di rinnegar l'amor suo, ma per ciò aveva ella troppo sincera la coraggiosa tempra dell'animo. No, ella non s'abbasserebbe a mentire. Poichè la sorte aveva voluto che il momento di spiegarsi giungesse, essa non voleva ricorrere nemmanco a temporeggiamento nessuno, a veruna ipocrisia di spedienti e di parole. Sollevò risolutamente la testa, e il viso leggiadro apparve splendente di nuova luce di bellezza, come se una nuova, maggiore, interna fiamma, in lei divampando, le trasparisse sul candore delle sembianze. Abbassò lenta la sua destra verso il capo del giovane, posandogliela lievemente sulle chiome e con voce sommessa, contenuta, ma non esitante, non peritosa, con voce la quale all'anima ardente di Francesco che l'assorbiva spasimando, parve un'armonia di paradiso, disse:

– Il mio labbro non ismentirà il mio sguardo. Non ha Ella letto nulla negli occhi miei?

E nel medesimo tempo le sue pupille sfavillanti, piovevano sul volto di lui raggi accalorati e dolcissimi di tenerezza e d'amore.

Francesco che al tocco lievissimo di quella piccola mano inguantata sui suoi capelli, aveva sentito corrersi per tutte le vene, per tutti i nervi un fremito di sovrumano diletto; Francesco, il cui cervello, assalito da' fiotti di sangue febbrilmente dalla passione concitato, smarriva quasi la percezione della realtà e credeva essere in balìa d'un sogno beato; Francesco prese con impeto, con furore, quella mano che s'era abbassata su di lui, afferrò anche l'altra, le strinse ambedue con forza tra le sue frementi e pronunziò balbettando, mozzicate le parole, spallidite le labbra dall'emozione soverchia:

– Che cosa ci ho letto? Non so… Talvolta sì, fui temerario… Ah non oso confessarlo a me stesso quel che mi apparve… Fu una visione di paradiso. Mi parve udir suonare per l'etere una parola divina…

Virginia si curvò, palpitante anch'ella verso il giovane palpitante. Quella parola divina, essa la disse, sommesso, ratta, vibrata.

– L'amo anch'io!

Fu un soffio di voce, ma penetrò fin nell'intimo del giovane innamorato. Un grido di gioia irrefrenabile proruppe dal suo petto. Sorse di scatto in piedi; tremava tutto, sotto l'invasione d'un trasporto ineffabile sentiva smarrirglisi il cervello: gli pareva d'essere il primo nel mondo, d'essere più che un uomo, credeva d'essere superiore ad ogni forza di avvenimenti, ad ogni crudeltà del destino; provò come un indiamento della sua natura, gli parve essergli nel cuore, degno santuario, disceso un Dio dal cielo.

Voleva parlare, ma non poteva; gli cantava nell'anima un inno sublime d'amore e le labbra tremanti non sapevano tradurlo in parole; stringeva le mani di lei, la guardava, palpitava, aveva gli occhi pieni di lagrime.

– Nulla più chiedo a Dio: diss'egli poi colla parola come prima interrotta. Troppa è la mia parte di felicità… Sfido le sciagura e il dolore; sfido la morte… Ella mi ha dato in questa terra il paradiso… Oh questo momento benedetto sarà la gioia suprema della mia vita… Adorerò il suo ricordo come s'adora quello delle soavi prime carezze materne… Io Lei amo tanto! Tutto ciò che vi ha di caro, di sublime, di superiore nel mondo, io l'amo in Lei raccolto. Il mio culto al vero, al bello, al buono è l'amor mio per Lei… Amiamoci!.. È la nostra sorte, è la nostra legge, è il volere di Dio!.. Affidi il suo cuore, Virginia, alla lealtà, all'ardore del mio… Lo circonderò di tanto affetto, d'un'adorazione cotanta che non lascierò più passaggio nessuno al dolore… La bellezza della nostra esistenza è amore: la ragione della nostra vita è amore… Io a Lei ho consecrato tutto me; l'amor mio è una religione; morrà meco; è connaturato nell'anima mia, durerà eterno, se l'anima è immortale. Amiamoci in nome della giustizia eterna!

La valorosa anima di Virginia ebbe la forza di resistere al fascino oltrepotente di quel divino istante: sciolse le sue dalle mani di lui, e ritraendosi d'alquanto, disse con severa mestizia:

– L'amore ci unisce, ma ci separa il mondo. Amiamoci, ma dividiamoci. Non mi domandi le ragioni di ciò; quali sieno pensi Ella stessa senza dare a me ed a Lei il dispiacere di enumerarle. Questa vita terrena, pur troppo, non potrà veder mai congiunte le nostre sorti. Dissimulare i miei sentimenti non potevo, ho creduto di non doverlo, lasciarle una speranza ineffettuabile posso e devo anche meno. Ci sono fatalità della sorte che conviene subire; e la Provvidenza ce le manda per provare il vigore dell'anima nostra. Questo dev'essere l'ultimo colloquio che ha avuto luogo fra noi…

Esitò un istante, la voce le si fece meno sicura, ed una subita pallidezza le si stese sulle guancie, ma riprese tuttavia colla medesima coraggiosa risoluzione:

– Dovrebbe essere eziandio l'ultima volta che ci vediamo…

Francesco protestò con un'esclamazione di dolore.

Ella fu sollecita a soggiungere:

– Che ci vediamo almanco per effetto di nostra volontà. Ella deve sfuggirmi – e di ciò la prego – ; io sfuggirò in ogni possibil modo la sua presenza. Che cosa avremo ancora da dirci collo sguardo o colla parola? Le nostre anime si sono rivelate: ora ciò che prima era un'imprudenza, una debolezza, sarebbe una colpa. Ciascuno custodirà come vuole nel suo cuore il comunicato segreto, le sue impressioni, le sue memorie; ma non dimenticherà più che una fatale barriera ci divide.

Francesco ebbe dal suo dolore il coraggio di ribellarsi a questa crudele sentenza, e con una specie d'esplosione proruppe:

– Questa fatale barriera è una vanità. Si cammini contro di essa risolutamente e la sparisce sotterra. Che? L'amore ci apre le delizie più sublimi dell'Eden; e noi non oseremo entrarvi, perchè sulla soglia ci sta un vano fantasma? L'amore è potente ben più di queste misere incantagioni; ben altri e più ardui ostacoli sa e può superare… Non amato, poteva io cedere alla sventura, ritrarmi e morire; ma forte dell'amor suo, come rinunziare alla felicità? Nol posso, nol debbo, nol voglio!

Virginia arrossì, fece un atto pieno di dignità a tener lontano il giovane che le si voleva accostare, e con uno sguardo ed un accento animati, ma più che da sdegno da dolore, disse nobilmente:

– Mi vuol Ella far pentire d'aver parlato?

Ogni audacia cadde subitamente dall'animo di Francesco.

– Perdono! perdono! balbettò egli chinando con mossa sconsolata la testa; ma se ogni speranza di possederla è persa, è persa per me ogni ragione della vita… Il solo essere amato da Lei è un orgoglio sublime, è una gioia di paradiso. Io l'ho accolta qui – tesoro dell'anima mia – ma tanto vale che io la porti meco nella tomba… Potrei io resistere a vederla in possesso d'altrui?

La fanciulla tese vivamente la mano.

– Le proibisco di morire: diss'ella con accento che nessuna parola può descrivere: d'un altro non sarò mai!

Francesco prese quella mano e la baciò con passione. Era come il suggello d'un patto solenne stretto fra di loro. A quel punto un leggier fruscìo fu udito alla soglia; i due amanti si volsero e videro dritto colà, che colla mano scartava l'arazzo della portiera per entrare, il marchesino Ettore.

Francesco e Virginia si allontanarono vivamente l'uno dall'altra; ella chinò gli occhi a terra e stette immobile; un lieve rossore accennò dapprima volere apparire sulle sue guancie, ma con uno sforzo sopra se stessa, ella comandò al sangue di restare. Sentiva di non aver nulla onde arrossire e non voleva che alcuno potesse vedere in lei la mostra pure di simil debolezza o di confusione; e tanto meno suo cugino. Questi si avanzò lentamente, facendo correre dal volto dell'uno a quello dell'altra uno sguardo ironico, provocatore, più tristo ancora del perfido sogghigno che piegava le sue labbra assottigliate dall'interna bile repressa. Nei sentimenti di Francesco non vi fu esitazione di sorta. Innanzi alla provocazione superba di quello scherno, egli sentì una subita ira vivace. Quella barriera di cui aveva fatto cenno Virginia, ecco che ora gli si drizzava, per così dire, dinanzi, incarnata nello sprezzante orgoglio del suo oltraggiatore; già poco fa, da solo, nell'abbandono de' suoi sogni dilettosi, Francesco aveva visto nella sua mente sorgere contro la speranza di cui pure gli balenava all'animo alcuna lusinga, la immagine detestata del marchesino, ed ora ecco che questa figura gli si presentava viva e reale, interruttrice del più venturoso ed importante momento che nella sua vita avesse passato ancora mai, impertinente, sfidatrice, maligna. Se la presenza di Virginia non gli avesse posto freno, egli si sarebbe lanciato contro di Ettore, gettandogli alla faccia alcune di quelle parole che vogliono il sangue d'un uomo. Per lo sforzo che fece su se medesimo a reprimere il subito impulso dell'ira, Francesco impallidì: il suo sguardo si incontrò con quello del cugino di Virginia, proprio come fanno due lame incrociandosi in un duello mortale di due nemici. Per un momento fuvvi un silenzio minaccioso, quasi solenne. Si udì allora giungere fino a quel luogo, travelato dalla distanza, il suono allegro della musica del ballo.