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La plebe, parte III

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CAPITOLO XXI

Luigi Quercia e Giovanni Selva, unitisi al caffè, si recarono senza ritardo al whist-club, dove con tutta quella esagerazione di forbitezza che è propria in queste occasioni di chi si picca d'esser gentiluomo, furono accolti dai due padrini di Ettore di Baldissero, il conte di San Luca ed un altro giovane titolato.

Le parole non furono molte; si trattava soltanto di riconfermare tutte quelle condizioni che già erano state intese pel ritrovo del giorno innanzi, e di assegnare un'ora per lo scontro ed un luogo sicuro da ogni possibilità di venir disturbati. Siccome eguale era la premura di finirla in ambe le parti, l'ora fu senza discussione stabilita per le tre di quel medesimo pomeriggio; e quanto al luogo San Luca propose e fu consentito che gli facessero l'onore di accettare l'ospitalità in una sua villa che aveva nelle vicinanze, nel giardino della quale vi era un praterello circondato tutt'attorno da una siepe uniforme, il quale era il campo chiuso più adatto del mondo per ammazzarsi due galantuomini. Nella palazzina della villeggiatura, egli avrebbe fatto prontare tutto ciò che occorreva per dare i primi soccorsi a quello dei combattenti a cui fosse stata avversa la sorte, e colà non ci sarebbe stato muso di poliziotto nè coccarda di carabiniere, che avrebbe potuto intromettersi.

I quattro padrini si separarono con nuove e maggiori le cerimonie di gentilezza, e mentre da parte loro quelli di Baldissero andavano a comunicare a quest'ultimo le avute intelligenze, Selva e Quercia tornarono al caffè Fiorio ad aspettarvi Francesco che aveva detto di capitarvi verso il tocco.

Fu egli esatto al convegno, e senza mostrare il menomo turbamento udì le comunicazioni de' suoi secondi. Con quali emozioni avesse passato le ore della notte e quelle della mattinata, non istarò a ridire, potendo ognuno che legge agevolmente per sè immaginarsele. Ad esaltare il suo coraggio, a fargli disprezzare il pericolo concorrevano e lo sdegno giusto e vivissimo ancora che la condotta di Baldissero aveva eccitato e teneva desto in lui ed anche più il dolcissimo ineffabile trasporto d'intima, superba gioia che gli procurava la felice acquistata certezza d'essere amato da Virginia. Il suo onore, che la delicatezza de' suoi sentimenti già gl'imponeva di conservare intattissimo, di rivendicare con energia da ogni oltraggio, ora il sapersi amato gli faceva un obbligo più sacro, uno scrupolo più permaloso di mantenere immune da ogni menoma cosa che la gente, fosse pur anche per un pregiudizio, potesse credere un appannamento; amava meglio mille volle morire che sembrare agli occhi di quel tiranno che è il mondo, di cui tutti subiscono la prepotenza pettegola, agli occhi di lei sopratutto, di non aver l'animo al di sopra d'ogni arrivo di codardia. La forza di porre innanzi a codeste fattizie suscettività di orgoglio personale i suoi doveri di figliuolo, di fratello, anche di cittadino, che per altre più utili prove deve conservare la sua vita; codesta forza non gli permettevano di avere e l'odio cui, volere o non volere, sentiva pure pel suo avversario, e la falsa idea mondana dell'onore cui egli veramente di buona fede spartiva colla comune delle persone ammodo, e il suo medesimo amore. Però, quando quella mattina, egli, come di solito, si trovò in mezzo alla sua famiglia, in quelle occasioni di vita comune che sono di tanta dolcezza, benchè l'abitudine riesca a non farne sentire ad ogni volta tutto il pregio; in mezzo alla sua famiglia, che sgomentata dal pericolo passato, e lieta nella falsa assicuranza che questo fosse ito per sempre, era per lui ancora più amorevole di prima, Francesco ebbe a provare uno stringimento di cuore, uno schianto dell'anima a nascondere i quali occorse tutto il vigore ond'era capace.

Ma il profondo, vivissimo dolore, benchè dissimulato, ch'egli dovette provare una seconda volta, quando nello spiccarsi dai suoi non potè a meno di pensare che quello era forse l'ultimo momento in cui gli fosse dato vederli; codesto dolore riuscì a sgombrare del tutto dall'animo di Francesco quel certo abbattimento, quell'abbandono d'energia, per così dire, per effetto del quale gli aveva sorriso ad un punto l'idea di offrirsi vittima volontaria alla morte. No; ora non voleva più presentarsi bersaglio rassegnato e passivo ai colpi dell'insolente suo avversario; ora voleva difendere la sua vita, quella vita che non era tutta sua, ma per sì stretti e sì cari vincoli si atteneva alla vita di altri, era parte eziandio della loro esistenza; e siccome in questa fatta di orribili giuochi, per difendere la propria vita non c'è altro mezzo che distrugger quella che ci sta dinanzi, egli pensò con una certa voluttà d'odio a riuscir vincitore in quella lotta mortale, a vedersi cader dinanzi l'orgoglioso che l'aveva oltraggiato.

Ciò non l'avrebbe ravvicinato di certo a Virginia; ma non era essa insuperabile, anche senza questo fatto, la distanza che da lei lo separava? E poi, in fondo in fondo, egli era geloso di quel giovane che abitava con esso lei, in cui il suo istinto d'amante aveva sentito un rivale, che poteva ogni giorno, quasi ogni ora, vederla, parlarle, respirare l'aria ch'ella respirava. Lo avrebbe tolto di mezzo, avrebbe smaccata quella fiera superbia, si sarebbe almanco vendicato.

Ed è con questi sentimenti che verso le due e mezzo Francesco salì nella carrozza di Quercia per recarsi alla villa del contino San Luca.

Vi giunsero in breve. Il custode, avvertito, aprì la cancellata, appena ebbe udito l'avvicinarsi della carrozza, fece un rispettoso saluto al passaggio di questa e diede un tocco alla campana che stava presso alla porta del suo casotto ad avvisare dell'arrivo di gente quelli che si trovavano nel palazzo, la cui facciata si vedeva sorgere in fondo ad un abbastanza lungo e largo viale piantato di ippocastani. Dal viale e dalla spianata che s'allargava innanzi alla casa erasi fatto levar via la neve, e le ruote del brougham corsero leggermente scricchiolando sulla sabbia finissima del suolo immollato. Le finestre del palazzo erano chiuse colle persiane fuorchè al pian terreno dove le persiane spalancate lasciavano brillare i tersi cristalli degli usci a finestra che mettevano lungo la facciata sopra una specie di terrazzino che per cinque gradini lunghi quant'era lunga la casa scendeva al livello della spianata.

Appena la carrozza di Quercia si fu fermata innanzi a quegli scalini, all'altezza dell'uscio di mezzo della facciata, la porta a vetri si aprì e comparve sulla soglia un domestico in gran livrea. Francesco e i suoi due secondi entrarono in una vasta sala che era un'anticamera elegante; sul passo d'una porta che si apriva alla loro sinistra videro il conte San Luca che erasi mosso cortesemente ad incontrarli. Si salutarono con una certa solennità e in silenzio, e mentre il domestico ed un suo compagno che trovavasi pure colà, aiutavano i nuovi venuti a spogliarsi dei loro pastrani e mantelli, il padrone di casa disse con quel tono di raffinata urbanità che è proprio della nostra aristocrazia:

– Ho preceduto qui i miei amici per aver l'onore di riceverli, se lor signori fossero arrivati, come diffatti è avvenuto, prima dell'ora posta; ma non dubito che a momenti i miei amici saranno qui ancor essi.

Si tolse di mezzo all'apertura dell'uscio, facendo col cenno invito d'entrare ai tre giovani, i quali così passarono in un salotto arredato con ricco buon gusto, dove fiammava un bel fuoco che già aveva intiepidito per bene l'ambiente.

Uno dei domestici che era entrato in seguito ai tre ospiti, dispose intorno al camino quante poltroncine occorrevano e poi s'avviò per ritirarsi.

– Farete riparare la carrozza di questi signori sotto la tettoia del cortile, gli comandò il padrone; e prenderete cura del cocchiere.

Il domestico uscì, e tosto dopo si udì la carrozza allontanarsi girando dietro la casa.

– S'accomodino, signori: disse San Luca, accennando alle poltroncine.

Quercia si gettò in una che trovavasi più vicino ad un elegante tavoliere intarsiato, sul quale stavano un portasigari di porcellana di Sèvres ed una cave-à-liqueurs che aperta lasciava scorgere due ordini di bicchierini e quattro bottigliette di liquori. Francesco ringraziò con un cenno del capo l'invito di sedere, ma rimase in piedi appoggiando un gomito allo sporto del camino e voltando le spalle al grande specchio che stava sul medesimo. Selva fece alle parole di San Luca la medesima risposta che Francesco e si pose ad esaminare un quadro di merito che pendeva alla parete.

– Posso offrir loro un avana ed una goccia di rosolio?

Francesco e Giovanni rifiutarono cortesemente; Luigi allungandosi della persona, senza punto levarsi da seduto, tese la mano e prese sul tavolino il portasigari, dove con cura di intelligente della materia trascelse un grosso sigaro di foglie avanesi del colore della carnagione d'una mulatta, cui accese e cominciò a fumare con famigliare noncuranza.

– Signor conte, disse Benda con forbita cortesia, le sono molto grato di aver voluto dare al mio ritrovo col signor Baldissero, l'ospitalità della sua campagna.

– È un onore ch'essi mi fanno: rispose il conte col tono medesimo.

S'udì allora il rumore che facevano le ruote di una carrozza girando sulla sabbia umida della spianata, e traverso i cristalli dell'uscio-finestra si vide un legno chiuso, a due cavalli, dar la voltata innanzi alla casa e venirsi a fermare all'altezza dell'uscio d'ingresso. Mezzo minuto dopo la porta del salotto s'aprì, ed uno dei domestici gettò dentro due nomi titolati. Entrarono Ettore di Baldissero accompagnato dall'altro suo padrino.

Francesco sentì il cuore battergli un pochino più forte; non si mosse egli dal suo posto, ma levato superbamente il volto, gettò uno sguardo verso i nuovi arrivati: al vedere la faccia insolente del marchesino il nostro giovane amico s'accorse che quel palpito più frequente non era prodotto da nessuna emozione di tema, sibbene piuttosto da una nuova maggior vampa d'odio.

 

San Luca accorse sollecito all'incontro de' suoi amici; Quercia drizzatosi in piedi e Selva spiccatosi dalla contemplazione del quadro, fecero due passi ancor essi verso l'uscio d'entrata; Baldissero che veniva primo fece un cenno di saluto generale colla testa e diede la mano al padrone della villa.

– Spero di non essere in ritardo: diss'egli.

– No, rispose San Luca, mancano anzi alcuni minuti all'ora precisa.

– Signori, disse Quercia avanzandosi, credo inutile ogni indugio e possiamo recarci sul luogo.

– Prego uno di loro signori, soggiunse il contino, a voler prima venir meco per esaminare la località da me scelta affine di vedere se ci hanno qualche osservazione da fare in proposito.

– Vado io stesso: disse Luigi ed uscì col conte che lo fece passar primo.

Ettore sbadatamente, coll'aspetto e le mosse di un'assoluta indifferenza, non volgendo pure uno sguardo di sfuggita a quel luogo dov'era il suo avversario, andò all'uscio che metteva sul terrazzino, dove si pose a guardare traverso i vetri: Francesco stava sempre alla parete precisamente opposta della camera, presso il camino; Selva e l'altro padrino di Baldissero rimasero in mezzo della sala.

San Luca e Quercia non tardarono guari a tornare.

– Ho esaminato il posto: disse quest'ultimo ad alta voce per essere udito da tutti, senza rivolgersi a nessuno in particolare; e un migliore non si potrebbe avere.

– Allora, poichè già ne conosce la strada, disse San Luca, la prego a volerci guidare i suoi amici e precederci.

Luigi prese il braccio di Francesco che s'era accostato tranquillamente, e con Selva passarono innanzi; i loro avversari li seguirono ad una distanza di circa venti passi: un domestico dall'anticamera tenne dietro a tutti portando la cassetta delle pistole.

In breve furono sul terreno. Era un bel praticello che San Luca aveva fatto eziandio sgombrar dalla neve, e intorno al quale correva una siepe di carpini ora assecchiti ma così uniforme che non poteva servire in nissun modo d'aiuto pel punto di mira, qualunque fosse la posizione dei tiratori.

Siccome tutto era già stabilito e regolato, senza altro indugio i duellanti furono allogati alla determinata distanza di 15 passi, e loro si diedero le pistole caricate a vista di tutti quattro i padrini.

A Quercia, come il giorno precedente, era assegnato di dare il cenno di far fuoco. Il domestico era stato mandato via da San Luca.

Luigi si spiccò, facendo un passo innanzi, dal gruppo dei padrini che s'eran posti a metà della distanza ond'erano separati i combattenti ad una ventina di passi dalla linea del tiro; si levò il cappello e salutò i duellanti che stavano volti di fianco l'uno in prospetto dell'altro, la pistola sollevata all'altezza della faccia.

– Signori, diss'egli con voce chiara e vibrata, avrò l'onore di dare i tre segnali convenuti con tre colpi delle mani.

Battè una prima volta palma a palma, e i due avversari armarono il cane della pistola; poscia attese un minuto secondo prima di dar l'altro colpo, al quale i duellanti dovevano prender la mira; ma dal secondo al terzo batter di palme pose un intervallo piccolissimo, e due lingue di fuoco partirono simultaneamente dalle bocche delle due pistole, e quasi una sola esplosione risuonò per l'aria. I due avversari stettero immobili, dritti l'uno in faccia all'altro. Selva si slanciò verso Francesco, e Quercia gli tenne dietro, mentre i padrini di Ettore si recavano da parte loro presso costui.

– Ebbene? domandò con ansia Giovanni: non sei colpito?

Benda fece un lieve sorriso.

– No: rispose: udii un fischio qui presso l'orecchia destra, e null'altro.

– Incolume: diceva a sua volta il marchesino a San Luca; pare che abbiamo tirato ai passeri della siepe.

I padrini ripresero le pistole, le ricaricarono, e messele di nuovo nelle mani dei combattenti, si rifece da capo.

Questa seconda volta, appena udito il colpo delle due pistole, ruppe dalle labbra di Francesco un grido quasi soffocato che pareva più di sorpresa che di dolore: lasciò egli cader la pistola che teneva e portò vivamente la mano al fianco destro, quattro dita al di sopra dell'anca.

– Son ferito: diss'egli, vacillando sulle sue gambe, e prima che Giovanni e Luigi, che tosto accorsero, fossero giunti presso di lui, l'infelice stramazzava per terra.

Anche questa volta Selva fu il primo ad essergli presso: lo strinse colle sue braccia sotto le ascelle e fece a sollevarlo.

– No, no, gli gridò Quercia che soprarrivava, lo lasci pur disteso; comincierò per esaminare tosto tosto la ferita.

Giovanni inginocchiatosi per terra teneva sollevato dal suolo con mano amorevole il capo del caduto. Gian-Luigi si curvò ancor egli.

– Dove fu Ella colpito? domandò, mentre lesto lesto traeva fuor di tasca una custodia di cuoio entro cui erano allogati i ferri chirurgici.

Francesco era diventato assai pallido; gli occhi parevano esserglisi allargati e guardavano con una strana espressione che pareva attonitaggine ed inquietudine insieme; la voce gli si era affievolita di subito e il rifiato diventato affannoso.

– Qui… qui… dove tengo la mano: rispose levando dal fianco la destra tutta imbrattata di sangue.

– Lo lasci pure distendersi lungo e supino per terra: disse Quercia a Giovanni che levatosi in fretta il pastrano lo ripiegò a fagotto e lo pose come cuscino sotto il capo di Francesco; io farò di levar subito la palla dalla ferita, e sarà tanto di guadagnato.

Così dicendo, con mano esperta e sollecita, Luigi sbottonava il soprabito e il panciotto del giacente, tagliava la camicia e il corpetto di lana che questi aveva su pelle, e scopriva il buco fatto dal proiettile nella carne fra la penultima e l'ultima costola, più presso a questa che a quella.

Cominciava egli per tastare tutt'intorno alla ferita con mano delicata, poscia introduceva nel foro della medesima il suo dito indice sottile ed affusolato.

Selva teneva lo sguardo ansioso fisso negli occhi del ferito, e questi con pari ansietà stava guardando Luigi.

– Soffri? domandò Giovanni.

Francesco si sforzò a sorridere.

– No: rispos'egli: mi sono sentito come una forte puntata… Mi pare che la palla mi sia penetrata nelle viscere… La sento qui nell'inguine…

– Zitto, zitto, non parli: disse con autorità Gian-Luigi continuando la sua esplorazione; quelli non sono che effetti di consenso.

Ad un tratto Giovanni mirò la fronte di Francesco aggrottarsi e la fisionomia assumere un'espressione di amarezza, di dispetto e di disgusto. Selva levò gli occhi e vide ai piedi del giacente dritti i due padrini del marchese, e quest'esso tre o quattro passi più in là, colle braccia incrociate al petto, che guardava quello spettacolo in una mossa dove l'imbarazzo e fors'anco la pena si dissimulavano sotto un riserbo che pareva un'indifferenza.

– Signore, disse vivamente Giovanni a quello dei padrini avversarii che gli era più presso, faccia capire al marchese che il meglio da fare per lui è d'allontanarsi.

Il padrino di Ettore a questa uscita parve esitare un momento sulla risposta da darsi, ma il suo compagno, che era San Luca, s'affrettò a dir egli:

– Sì, conduci via Baldissero; io vi farò poi tosto saper le novelle.

Quell'altro andò con premura presso di Ettore, passò il suo braccio su quello di lui, e lo trasse con sè verso la casa.

Francesco li seguì fino al di là della siepe con uno sguardo indefinibile, in cui non v'era odio nè rancore, ma una profonda amarezza, come un rimpianto, come una dolorosa rampogna.

San Luca rimase.

– Ebbene? Domandò egli a Quercia tutto intento ancora nell'esplorazione della ferita.

Gian-Luigi non rispose di subito; questa esitazione parve a Giovanni ed al contino un cattivo indizio; si guardarono sgomentati e impallidirono lievemente.

Anche Francesco n'ebbe la medesima impressione. Di botto l'immagine della sua famiglia si presentò alla sua mente un po' sin allora confusa.

– Ah mia madre! esclamò egli con accento straziante, che chiamò le lagrime negli occhi di Giovanni. La vedrò ancora mia madre?.. Quercia, ditemi la verità… Non sarebbe neppur pietà l'ingannarmi… Debbo io morire?

Gian-Luigi levò la faccia pacata, tranquilla e grave come d'uomo che sa il peso delle sue parole.

– Vi dico la verità, Benda, come vorrei che in simile caso la si dicesse a me: rispose. Non posso per ora nulla affermare di positivo; conviene che io tasti la ferita colla tenta in luogo e positura più comodi che questi. Mi lusingavo poter trovar qui subito la palla ed estrarnela; ma non mi fu fatto. Spero però che nessuna delle costole sia intaccata, e che il proiettile non abbia penetrato nella cavità del torace. Ora il meglio è che ci riduciamo in casa.

San Luca volle domandare i domestici per farlo trasportare di peso; ma Francesco disse parergli di poter camminare e preferire codesto. Quercia affermò che dov'egli ci reggesse, sarebbe anche meglio facesse quel piccolo tratto di strada coi proprii piedi; e il ferito, aiutato a levarsi su, appoggiato da una parte a Giovanni e dall'altra a Luigi, s'avviò con passo abbastanza franco verso la casa. I domestici, fatti venire dal contino, seguirono alla distanza di dieci passi, pronti ad accorrere, se nascesse bisogno dell'opera loro.

Francesco fu sdraiato sopra un letticciuolo e Gian-Luigi si accinse ad un più accurato esame della ferita chiamando in suo soccorso tutte le cognizioni chirurgiche onde s'era fornito nel suo passaggio traverso il corso di medicina all'Università. Ad un tratto Giovanni, che, come prima stava cogli occhi intenti a scrutare la faccia di Quercia, vide sulla fronte di costui una nube, sulle labbra una specie di contrazione che esprimevano una spiacevole sorpresa, una subita tema.

– Che cos'è? non potè Selva tanto frenare il suo sgomento che non chiedesse. Che glie ne pare?

Anche il ferito s'accorse di quel nuovo sentimento venuto nel medico. Una subita maggior pallidezza gl'invase le guancie, l'occhio si fissò ansioso su quello di Luigi, e con voce calma, benchè con labbra un pochino tremanti, domandò:

– La cosa vi par dunque grave, dottore?.. Vi ripeto la mia preghiera: non nascondetemi la verità… Sono un uomo… Mi sento capace di guardar freddamente in faccia alla morte.

Ed all'infelice parve realmente che lo scarno spettro di questa gli comparisse, al di sopra della spalla del medico ricurvo su di lui, ammiccandogli con ghigno feroce. Oh! morire così giovane, con tanta esuberanza di forza, d'affetti e di vita! Morire oscuramente, inutile ed amato!.. Quella morte che la sera innanzi gli era sembrata per un istante un rimedio, un benefizio, una pace, ora gli tornava come la più tremenda sciagura, la più crudele sentenza del destino. In una rapida visione piena insieme di turbamento, di dolcezza, di penoso rimpianto, vide ad un tratto le care immagini di sua sorella, di suo padre, di sua madre, della fanciulla che adorava. Dover abbandonare tutto e tutti, e per sempre!.. Sentì un singulto salirgli, per così dire, dal cuore affannato alla gola, ed ebbe tuttavia tanta forza di volontà da soffocarlo nella strozza.

Gian-Luigi levò lentamente gli occhi in volto al trafitto, e lo guardò un istante, quasi volesse chiarirsi se il giacente era in realtà, come diceva, capace di udire il vero e di guardare imperterrito in faccia alla morte.

– Mio caro: diss'egli poi con un sorriso ed un accento amorevoli che dinotavano come da quel tacito esame fossero ancora accresciute in lui la simpatia e la stima pel giovane, non vi tratterò certo come una femminetta, chè non lo meritate. Eccovi la pura verità: la ferita è più grave di quello che mi fosse sembrato dapprima, perchè la palla ha scalfitto una costola ed è penetrata… fin dove?.. Questo non ve lo posso dire… Ha ella toccato qualche organo essenziale?.. Non vi so affermare nè il sì nè il no… Spero quest'ultimo, che non è impossibile, ma non vi taccio che il primo è più facile… Quanto a pericolo per la vita, sul momento, vi affermo sull'onor mio che non ce n'è.

Francesco trasse un sospiro.

– Allora, diss'egli, ho tutto il tempo ad andarmene a casa… Ah povera madre mia!.. Se qualcheduno potesse recarsi a prepararla a questo brutto colpo!

San Luca fece un passo verso il giacente e disse con nobile cortesia:

– Se Lei mi credesse capace di compire questo ufficio, la prego a voler disporre di me. Così nessuno de' suoi amici dovrebbe spiccarsi dal suo fianco.

L'offerta del contino fu accettata con riconoscenza da tutti.

In quella entrò un domestico che venne a parlar piano al suo padrone.

 

– Il marchese di Baldissero, disse poi questi a Francesco, addoloratissimo dell'accaduto, ansioso di saper sue notizie, manda a chiederne.

– Ah! esclamò Benda volgendo la faccia dall'altra parte.

– Vado io stesso a dargliene: continuò San Luca, mentre gli altri accoglievano con un glaciale silenzio le sue parole.

– Appena eseguita la sua incombenza, disse Quercia al contino che s'avviava, corra allo spedale San Giovanni e mandi in casa Benda, senza il menomo ritardo, il cerusico *** che è il primo operatore della città.

– Lo manderò colà colla mia carrozza.

San Luca uscì, e Quercia procedette a fare sulla ferita di Francesco una prima fasciatura.

Quando il contino giunse all'officina Benda, erano presto le quattro, e in quella stagione dell'anno cominciava ad annottare. Discese egli di carrozza, lasciando in essa Baldissero e l'altro padrino, che erano partiti con esso lui dalla villa; ed a Bastiano il quale all'udire il rumor della carrozza, era, secondo il solito, saltato fuori del suo camerino, domandò se il signor Giacomo era in casa, e se e dove si poteva parlargli.

Il padre di Francesco tornava appunto allor'allora dall'opifizio, e ponendo piede sotto il peristilio, udiva la richiesta fatta al portinaio e s'avanzava sollecito verso il signore che la faceva.

– Son qua io stesso, diceva egli, chi è che mi cerca?

San Luca salutò e disse il suo nome.

– Ella vuol parlarmi? domandò a sua volta sor Giacomo, a cui la figura, il contegno alquanto impacciato, il nome e il titolo di quel signore destavano indefiniti sospetti ed una specie di ansietà paurosa.

– Signor sì.

– Si compiaccia venir meco: disse il fabbricante; e precedendo il conte affine di essergli guida, s'avviò verso le scale e condusse il visitatore nel suo studiòlo. Colà, fattolo entrare e sedere con tutte quelle formalità che s'usano fra persone di garbo, sor Giacomo per incominciare il discorso, invitò il conte a parlare, colla solita richiesta:

– In che cosa posso servirla?

– Ella è un uomo, cominciò San Luca, che con tutta la sua scioltezza e l'audacia in quel momento avrebbe preferito tutt'altra bisogna da compire, e un uomo risoluto e di coraggio. Credo adunque miglior consiglio, senza tanti avvolgimenti e preparazioni che di solito non fanno che aumentare lo sgomento, abbordare con tutta franchezza la verità.

Giacomo Benda, a questo preambolo, sentì stringersi il cuore da una mano di gelo.

– Ella è dunque venuta ad annunziarmi una sciagura! esclamò egli impallidito di subito.

San Luca curvò tristamente il capo e stava per cercare colle parole di attenuare quell'improvvisa impressione di spavento e di dolore che vedeva dipingersi sulla faccia dell'industriale, ma questi non glie ne lasciò il tempo.

– E questa sciagura ha colpito mio figlio? soggiunse con impeto angoscioso, alzandosi di scatto e in tutte le membra tremante. Il misero padre aveva traveduto l'orrenda verità. E so qual è questa sciagura, continuava egli con voce affievolita dallo spasimo: egli si è battuto?

– Sì: rispose il contino con mesta attitudine.

Quell'uomo forte e robusto, pieno ancora di vita e dotato d'un coraggio a tutta prova, vacillò, come se stesse per cadere.

San Luca che s'era alzato ancor egli, fece sollecito un passo verso di lui, pronto a sorreggerlo se e' mancasse; Giacomo gli prese una mano e la strinse forte, quasi con una tacita minaccia e un compresso furore.

– Morto? domandò egli con voce che appena era un soffio.

– No: s'affrettò a sclamare il conte: ma ferito… gravemente ferito.

Giacomo mandò un grido soffocato, e lasciando la mano dell'uomo che gli dava tal colpo crudele si premette il cuore dove troppo dolorosamente era penetrata la botta. Ma al grido di lui, un altro grido, e più doloroso, e più straziante e disperato, rispose prorompendo improvviso dalla porta, che, apertasi violentemente, diede il passo ad una donna commossa da un'emozione di spasimo cui nulla vale ad esprimere.

– Mio figlio!.. Mio figlio!.. gridò essa: ferito!.. Dov'è?.. Voglio vederlo… In nome di Dio, in nome della Vergine, per l'anima sua, mi conduca da lui!.. Voglio vederlo!

Chi può spiegare il segreto istinto d'un cuore di madre? chi i misteriosi, intimi, ineffabili legami che l'anima della madre legano indissolubilmente, senza cessa all'anima de' figli anche lontani, onde si compenetrano le loro esistenze ed ogni danno dal figliuolo sofferto si ripercote nella sensibile anima materna? Poichè Francesco fu uscito, Teresa era stata inquieta ed aveva provato un inesplicabil disagio: le assicurazioni dategli dal marito che la promessa del marchese di Baldissero allontanava dal capo di Francesco ogni pericolo, il racconto che il figliuolo aveva fatto del suo abboccamento riconciliativo colla famiglia dell'avversario al ballo della baronessa, racconto al quale il giovane aveva studiosamente accresciute le tinte di sincerità e di amichevolezza; lo sforzo di Francesco medesimo a sembrar più lieto e senza pensieri che mai; tutto questo non era pur tuttavia riuscito a scacciare dal fondo del cuore di Teresa una specie di paura che era un presentimento. Avrebbe voluto potersi tenere il figliuolo all'arrivo de' suoi sguardi almanco tutto quel giorno, proteggerlo, oltre che colle sue preghiere, colla sua presenza: se avesse osato l'avrebbe scongiurato a non uscire di casa fino al domani. Ma verso le tre, quando appunto Francesco affrontava la morte, la inquietudine fino allora vaga e indefinita della madre amorosissima, divenne un vero tormento insopportabile; ad un punto sentì mancarsi addirittura il respiro, tanto s'accrebbe di subito l'angoscia, come se stesse per rompersi improvviso lo stame della sua vita. Ebbe la coscienza, l'avvertimento d'una gran sciagura capitata. Era l'istante forse in cui Francesco trafitto dalla palla del marchese Ettore di Baldissero, precipitava al suolo. Non potè frenar più, nè dissimulare la smania di sgomento che la tormentava. Voleva accorrere presso il marito che trovavasi nella fabbrica e dirgli mandasse tutta la gente onde poteva disporre in cerca di Francesco, affinchè, trovatolo, glie lo riconducessero tosto a casa, che a calmare la sua ansia mortale non c'era altro mezzo fuor quello di rivedersi il figliuolo dinanzi; voleva senz'altro mandare ella stessa il fido Bastiano… ma dove? Se l'avesse saputo non avrebbe esitato a correre essa medesima.

Maria, testimone e confidente di questi spasimi della madre, invano tentava sedarne i tumulti dell'animo; combatterne le paure; e non otteneva altro effetto che di sentire ella stessa invaso il suo cuore dai funesti presentimenti.

Quando la carrozza di San Luca si fermò al portone della casa, madre e figliuola non dubitarono un momento che con quel legno giungesse la spiegazione, la conferma, ahi forse! delle loro paure. Teresa si precipitò fuori della stanza per correre all'incontro di quel nunzio, fosse egli buono o cattivo; e Maria le tenne dietro agitata ancor essa; ma come stavano per uscir nell'anticamera, udirono in questa passar Giacomo col visitatore, che si dirigevano verso il gabinetto di studio. Si fermarono palpitanti le due donne per lasciarli passare, nascoste dietro le imposte dell'uscio; poscia l'ansia della povera madre era troppa, perchè la resistesse alla tentazione; impose bruscamente silenzio alle timide rimostranze della figliuola che voleva combattere il proposito materno, la rinviò aspramente nel salotto, ed ella, con un palpito di cuore che Dio vel dica, si recò all'uscio dello studiòlo del marito per origliare.

Non udì ben distinte tutte le poche parole che si scambiarono, tanto era il tumulto di tutto l'esser suo che le orecchie le ronzavano come intronate, ma sentì pronunziare da Giacomo: «mio figlio»; poi da quello sconosciuto i detti: «gravemente ferito!» Le si sconvolse la ragione: quello ch'essa provò nel cuore, nel cervello, nell'intimo dell'esser suo impossibile dirlo: si precipitò come forsennata, quasi furibonda, con quell'eccesso di trasporto che la natura dà anche alla più timida delle madri quando si tratta di difendere la prole.